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Questa settimana ha portato agli onori delle cronache una serie di esordi al femminile: la prima donna che arbitrerà oggi
una partita di calcio di serie A; la prima europea
comandante di una stazione aerospaziale; la
prima (probabile) premier. Titoli che mettono
il genere al centro della notizia, più della persona che ne è protagonista.
Così ciò che conta e merita
di essere raccontato non
è il talento, la capacità, la
storia di Maria Sole Ferrieri Caputi, Samantha Cristoforetti,
Giorgia Meloni ma il fatto che si
tratti di donne. Però non è l’essere donne che ha condotto queste tre persone a risultati eccellenti bensì, rispettivamente,
una perfetta conoscenza delle
regole del calcio e doti atletiche;
un prestigioso curriculum da
astronauta; una carriera politica pluridecennale. Piuttosto, a
dire il vero, bisogna riconoscere
che le tre sono riuscite a ottenere risultati nonostante siano
donne. Se infatti fino a ora nessuna aveva occupato queste posizioni non è per carenza di competenze o passione, bensì per la
resistenza di pregiudizi e ostacoli culturali ed effettivi che ne
hanno impedito l’affermazione. Rendendo onore al merito
delle donne che contando sulle
proprie forze sono riuscite a ottenere grandi successi e senza
sminuire il valore del primato di
chi ha ottenuto risultati in settori storicamente dominati dagli
uomini, occorre ammettere che
così come una rondine non fa
primavera non necessariamente una presenza femminile al
vertice è sintomo di pari opportunità raggiunte.
La parità si ottiene garantendo eque condizioni di partenza,
che assicurino a donne e uomini di competere alla pari. Oggi
non è così perché sulla parte
femminile della società incombe ancora il gravame dell’attività domestica e dell’assistenza familiare. Le statistiche raccontano che nelle famiglie economicamente solide o che possono
contare su aiuti esterni le donne
lavorano e avanzano nella carriera, comunque spesso sacrificando la vita privata, mentre in
realtà meno stabili la componente femminile è tendenzialmente più sacrificata dal punto
di vista della occupazione e della realizzazione personale.
I dati dimostrano che le ragazze primeggiano per risultati nei
ranghi scolastici e accademici,
salvo subire un blocco in un momento preciso identificato con
l’età in cui si ha (o si suppone si
possa avere) il primo figlio per
rarefarsi, per quasi scomparire,
con poche eccezioni, nei ruoli dirigenziali sia nel pubblico che
nel privato. Questo perché le incombenze familiari formano un
carico fisico e mentale che affatica le donne e le rallenta, facendo si che a un certo punto cedano il passo, per stanchezza. Due
purosangue uguali ai ranghi di
partenza hanno le stesse chance di vincere la corsa ma se uno
dei due è sellato con una zavorra evidentemente la gara sarà falsata. La parità potrà dirsi raggiunta quando le donne, che
rappresentano più o meno la
metà della popolazione, saranno presenti in misura equilibrata in tutti i settori e a ogni livello,
in modo da rispecchiare la composizione sociale, ma questo accadrà solo quando nel loro percorso non incontreranno i pregiudizi e gli impedimenti che le
rendono meno competitive. Servizi di prossimità, asili e assistenza pubblica garantita per anziani e persone con disabilità, orari
e spazi di lavoro compatibili con
la gestione familiare, congedo
obbligatorio per chi diventa genitore, non solo per le madri: così si promuovono le pari opportunità. Sembra una banalità ma
la vera parità potrà dirsi raggiunta quando la presenza di una
donna in posizione apicale non
farà notizia ma sarà considerata
normale, come già accade altrove nel mondo. In ogni caso non
una donna purché sia ma una
persona con nome, cognome e
competenze, che si affermi per caratteristiche individuali che
contraddistinguono e rendono
unico ogni essere umano.
* Ordinaria di diritto pubblico
comparato all’Università di Sassari