Gigi Riva La forza di una storia senza tempo da portare a scuola come educazione civica
Il Fatto Quotidiano
NANDO DALLA CHIESA
Che fosse bello me l’avevano detto. Ma non pensavo tanto. Parlo del docufilm di Riccardo Milani su Gigi Riva: “Nel nostro cielo un rombo di tuono”.Mi sono preso una serata nullafacente di agosto e ho fatto l’esperimento: me lo sono visto con altre due generazioni, mio figlio e il nipotino più grande (nove anni domani, auguri!). E mi sono imbattuto in una figura ancor più leggendaria di quanto già mi apparisse. Anzi, la lentezza del filmato mi ha aiutato a metabolizzare fino in fondo le immagini e le parole, il campione e il contesto, il genio calcistico e la storia sociale.
FOTO ANSA
Rombo di tuono Gigi Riva con la maglia del Cagliari
E siccome anche la modestia e la saggezza sanno avere una loro involontaria prepotenza, mi sono inchinato a ogni particolare. La vita e la morte in fabbrica del padre operaio, gli stenti della mamma, le restrizioni in collegio. Gli osservatori che lo vedono giovanissimo nei tornei minori senza diventarne sanguisughe sotto specie di procuratori. Le voci sulle richieste delle squadre di Milano e di Torino e poi la destinazione Sardegna, come allora capitava ai pubblici dipendenti riottosi o ai carabinieri da punire. Dove c’era il banditismo con i sequestri di persona e a sentirla nominare, quell’isola, ti metteva un po’ i brividi. E poi la singolare contemporaneità degli arrivi che ne avrebbero segnato la storia: l’aga Khan che avrebbe spremuto per sé le bellezze dell’isola e Gigi Riva che avrebbe spremuto sé stesso per portarla in cima alla storia sportiva del Paese. E le immagini dei gol che attraversano un pezzo di vita nazionale, dalla metà degli anni sessanta ai primi anni settanta.
Gol che entusiasmano ancora oggi tre generazioni, rivelando che la qualità non è solo la velocità o la potenza. Perché segnare al volo di testa tuffandosi distesi a pochi centimetri dall’erba (in nazionale) o segnare in rovesciata perpendicolare alla porta sollevandosi a due metri da terra (in campionato, a Vicenza) non te lo fanno fare né la palestra, né la tattica. Guardavo di sbieco mio nipote restare a bocca aperta a ogni prodezza. Osservavo soprattutto il fisico da dio greco non scolpito dalla chimica e perciò straordinariamente più bello, nel suo nitore scevro dai tatuaggi. Altro che nostalgie della propria giovinezza. Solo io l’avevo visto giocare eppure le altre due generazioni si commuovevano con me davanti al grande romanzo d’amore tra lui e la sua terra d’adozione. Rivedevo le beghe miserabili di un mercato estivo in cui tutto può accadere e mi incantavo una volta di più per quella storia fantastica e orgogliosa di un orfano di operaio che rifiuta la Juve e gli Agnelli perché non si vive solo di soldi e di potere. Quella storia di un atleta che deve fama e fortune alle sue gambe ma che una gamba se la spezza due volte (unico nella storia) in nazionale, per onorare fino in fondo la maglia dell’italia. “Lo rifarei”, risponde a chi lo intervista a proposito della prima frattura, prezzo memorabile dell’ennesimo gol regalato ai tifosi azzurri.
Parla piano Riva, nel docufilm. Mentre ha le sembianze in chiaroscuro di oggi ma anche mentre esibisce le sembianze giovani e luminose di allora. Con la stessa modestia, la stessa saggezza che ne fanno un simbolo al di sopra dell’italia odierna. Un linguaggio pulito, corretto, irreprensibile, lui che non poté studiare molto. Modernissimo, lui che diventò campione europeo nel pieno del sessantotto e vinse lo scudetto nell’anno scolastico e politico di piazza Fontana (anche se all’epoca non lo realizzai…).
Il docufilm sciorina immagini e parole che sembrano non appartenerci più ma che, a giudicare dalle reazioni delle tre generazioni riunite davanti allo schermo, ci appartengono eccome. Da qui una irresistibile fantasia: perché non fare di questa storia esemplare una testimonianza di educazione civica nelle scuole? Altro che gli anemici manuali sui diritti e sui doveri. E poi volete mettere la forza meravigliosa del racconto?
Sempre dallo stresso giornale
Buffon Insegnerà i valori della nazionale: bestemmie, scommesse e “boia chi molla”
Il Fatto Quotidiano
PAOLO ZILIANI
Dunque a 45 anni Gigi Buffon si ritira dal calcio e entra a far parte dei quadri Figc: sarà capo delegazione e poiché - come scrive la Gazzetta - è “adorato trasversalmente da bambini e ragazzi, sarà anche coinvolto nelle iniziative che la Federcalcio promuove nelle scuole per promuovere i valori della nazionale”. Un testimonial perfetto diremmo. Vediamo perché.
SCUOLA. Buffon dirà ai giovani che sognano di diventare calciatori di crederci, ma di pensare prima di
tutto allo studio. Che nella vita è tutto. Lui, bocciato due volte alle superiori (ragioneria), pur di iscriversi all’università di Legge a Parma presentò addirittura un diploma di maturità falso di un istituto di Roma mai frequentato che gli valse una denuncia per truffa: era il 1997, patteggiò con una multa di 6,5 milioni di lire. EDUCAZIONE.Se l’istruzione è importante, il rispetto e la buona creanza sono tutto. Il primo comandamento del buon cittadino è “Non bestemmiare”: specie se lo fai negli stadi italiani, spesso semi-deserti, dove la bestemmia viene sentita in mondovisione, amplificata e corri il rischio di essere multato e squalificato come capitò al distratto Gigi in un Parma-juventus con bestemmia urlata all’indirizzo del giovane Portanova. RISPETTO DELL’AUTORITÀ. È poi molto importante aiutare l’arbitro che svolge un ruolo difficile e fondamentale. Se ad esempio succedesse di trovarne uno che all’ultimo minuto ti fischia un rigore contro che ti fa perdere la qualificazione (come l’inglese Oliver in Real Madrid-juventus 1-3), devi mantenere il self control, non protestare, non farti espellere e evitare di andare in tv a dire che “l’arbitro ha un bidone dell’immondizia al posto del cuore”. Potresti ricevere 3 giornate di squalifica. E non starebbe bene.
LEALTÀ.
È il valore alla base di ogni attività sportiva: vincere slealmente è una sconfitta. Se per esempio sei un portiere e ti capita di respingere un tiro, poniamo di Muntari, con la palla che ha superato di mezzo metro la linea di porta senza che l’arbitro se ne sia accorto, niente di male: dici all’arbitro che quello era gol, palla al centro e la partita riprende. Sportività e giustizia vengono prima di tutto.
ILLECITI.
Se poi si affacciasse lo spettro delle partite “combinate” e il tuo allenatore, poniamo Antonio Conte, venisse indagato e squalificato per aver partecipato a incontri truccati, sarà importante prendere le distanze e non dire mai che il detto “Meglio due feriti che un morto” che giustifica accordi illeciti nel calcio prevale su tutto. Sarebbe disdicevole.
SCOMMESSE.
Scommettere sulle partite per chi fa il calciatore è un reato grave. Non si può fare. Nemmeno se hai un amico che ha una tabaccheria-ricevitoria a Parma, si chiama Massimo Alfieri e al quale mandi 14 assegni da 50 a 200 milioni di lire per un totale di 1 miliardo e mezzo che vengono subito trasferiti sul conto di Lottomatica. Neanche se questa ricevitoria ha una percentuale di vincita dell’83%. Non si fa.
FASCISMO & NAZISMO.
È infine molto importante non lanciare messaggi sbagliati e diseducativi. Se per esempio ti presenti a un’intervista post-partita con una maglia con la scritta “Boia chi molla” sul petto, o scegli di giocare col numero 88 (che significa HH, la sigla di Heil Hitler) o ancora festeggi il trionfo al mondiale con uno striscione su cui compaiono la croce celtica e la scritta “Fieri di essere italiani”, non dai un bell’esempio. Ora Gigi Buffon spiegherà tutto a tutti.