sara cronologicamente di due anni fa , ma tale storia è bellissima tantoi d'andare alò di lùà del tempo e dello spazio .
https://www.fanpage.it/
Adriana è una studentessa di Cerignola, iscritta all'università di Foggia. Qualche settimana fa si è laureata in giurisprudenza, discutendo la tesi da una stanza dell'ospedale Besta di Milano, al fianco della sorella Sara, di 15 anni, ricoverata per dei controlli. A Fanpage.it, Adriana rivive e racconta l'emozione di quel giorno indimenticabile: la sua paura era infatti di laurearsi lontano dalla sorella, che per una malattia rara è costretta a letto e impossibilitata a muoversi. Il ricovero al Besta è durato più del previsto, andando a coincidere con il giorno della discussione. Sara è stata così l'unica persona a poter assistere alla discussione della sorella maggiore Adriana affetta da una rara malattia. I controlli medici sono durati più a lungo del previsto e la giovane studentessa ha così vissuto uno dei momenti più importanti della sua vita in compagnia dell’unica persona che temeva non avrebbe potuto partecipare all’importante giorno: “Lei è la parte migliore della mia vita – ha spiegato Adriana a Fanpage.it – ed è lei che mi ha insegnato tutto”.
È difficile non commuoversi quando si ascolta la storia di Adriana Ciafardoni, studentessa di Cerignola, iscritta all'università di Foggia, che qualche settimana fa si è laureata in giurisprudenza, discutendo la tesi da una stanza dell'ospedale Besta di Milano. Una scelta che la 23enne ha fatto per restare al fianco della sorella Sara, di 15 anni che soffre di una rara malattia che la costringe a letto ed era ricoverata nel nosocomio milanese per dei controlli.
I giorni in ospedale e la laurea giunta all'improvviso
Il loro rapporto è unico, di quelli che legano due sorelle in un modo difficile a spiegarsi ma che traspare dalle parole e dagli occhi pieni di vita di Adriana che a Fanpage.it ha voluto raccontare l'emozione di quel giorno indimenticabile, quello della laurea che ha voluto condividere con l'unica persona che invece pensava non vi avrebbe preso parte: la sua paura era infatti di laurearsi lontano dalla sorella che per una malattia rara è costretta a letto e impossibilitata a muoversi. E invece così non è stato perché il ricovero al Besta per la piccola Sara è durato più del previsto ed è coinciso con il giorno della discussione della tesi di Adriana: "Non avevo la tesi con me perché non me l'aspettavo, per cui ho lasciato la copia della tesi a casa a Cerignola: avevo il pc che avevo portato per altri motivi ma che alla fine si è rivelato utile – racconta la studentessa -. In stanza con me c'era solo mia sorella e mi è stato accanto nel vero senso della parola: è stata la prima persona che ho guardato quando c'è stata la proclamazione e non potevo essere più felice".
Sara: Mia sorella è stata bravissima, soprattutto perché mi è rimasta accanto
Sara ha abbracciato la sorella con "i suoi occhioni lucidi" come ricorda Adriana e ovviamente non può che essere orgogliosa del traguardo da lei raggiunto: "È stata bravissima mia sorella, ma non solo nel discutere la sua laurea ma soprattutto per quello che ha fatto rimanendo accanto a me nelle ultime due settimane", le parole della 15enne intervistata da Fanpage.it. Anche da lontano è facile percepire l'amore che unisce queste due sorelle e che la vita ha portato a condividere proprio questi momenti così importanti: "Mi ha detto che era orgogliosa di me e che era contenta di quello che avevo fatto – continua la 23enne nel ricordare il giorno della laurea subito dopo la proclamazione – le cose accadono sempre per una ragione: dovevano esserci tutti tranne lei e invece c'era lei e basta ed è stata la cosa più importante". Ho passato la vita a insegnarle il mondo ma è stata lei a insegnarmi tutto
Adriana con un grande sorriso spiega come in realtà il loro rapporto sia cambiato e come indirettamente sia stata anche Sara a prendersi cura di lei insegnandole tante cose: "Io ho passato una vita cercando di insegnarle il mondo perché lei sono anni che è allettata, poi crescendo ho capito invece è stata lei a dare degli insegnamenti a me: a essere forte, a mettercela tutta sempre, contro qualsiasi avversità – conclude la giovane studentessa – lei è il mio esempio, non poteva che andare tutto al meglio con lei lì. Per tanto tempo è stata la mia piccolina, oggi è un compagno di viaggio, un confidente, una persona da cui ricevere e dare consigli, siamo simbiotiche. Lei è la parte migliore della mia vita".
Insegna l’italiano a una compagna arrivata dal Marocco: la piccola Aya premiata al Quirinale La dodicenne, nata in Sardegna, ha aiutato una coetanea appena arrivata, permettendole di integrarsi. Mattarella l’ha nominata Alfiere della Repubblica
La piccola Aya (Foto concessa)
Aya è nata in Sardegna, il papà e la mamma sono marocchini e vivono a Marcalagonis. Oggi ha 12 anni e il 14 dicembre, assieme ad altri 29 premiati in tutta Italia (compresi alcuni sardi), riceverà l'attestato d’onore di "Alfiere della Repubblica" dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Aya Jedidi parla l’arabo e l’italiano. Durante l’anno scolastico ha aiutato Hayears, una coetanea arrivata dal Marocco e che non conosceva una parola d'italiano. La dirigente scolastica dell'Istituto Manzoni di Maracalagonis, Emanuela Lampis, ha subito promosso un progetto di studio con l'insegnante Francesca Congiu, dove Aya è stata la vera protagonista. Ha iniziato a seguire l'amichetta appena arrivata in Sardegna, le ha insegnato le prime parole di italiano, poi tanto di più, facendo anche lezioni a distanza alla connazionale durante la chiusura della scuola per la pandemia. La professoressa Congiu (Foto concessa)
"Aya è una ragazzina straordinaria - ha detto la professoressa Lampis - una ragazzina altruista, bravissima, seria, umile, capace di interagire con tutti. Così anche Hayears, arrivata da noi senza parlare una parola di italiano, si è inserita a scuola, ha trovato l'amicizia di tutti. Una storia bellissima, straordinaria. Una lezione per tutti. Questa è la scuola vera, una scuola soprattutto di vita”. La preside Lampis (Foro concessa)
La bella notizia è stata anche commentata dal sindaco Francesca Fadda: “Aya, grazie ai suoi gesti, al suo altruismo, alla sua bontà è diventata un ponte prezioso per i docenti e per i compagni, sempre pronta a offrire chiarimenti o spiegazioni, nei contesti didattici come in quelli ricreativi. Col suo slancio di solidarietà attraverso gesti spontanei e gentili ha conquistato i compagni e per questo è riconosciuta come un modello di buoni comportamenti”.
Altro che lezioni dal letto di casa, altro che Zoom, altro che webcam. Da oggi gli studenti, almeno in zona gialla, sono ritornati in classe, tra i banchi di scuola. Dopo un periodo fatto di isolamento causa Covid, rinchiusi dentro le mura di casa, davanti a un pc tutto il giorno, oggi hanno ripreso a “vivere”. «Abbiamo perso gli anni più belli della nostra vita, è come se ce li avessero tolti», ci dicono gli studenti, all’uscita di scuola, al liceo Alessandro Manzoni di Milano.
che i giovani definiscono «pesante»: «Stare tutto il giorno davanti a un pc non è stato affatto semplice, perdi la concentrazione e il rapporto coi compagni e coi prof si fa sempre più freddo. Adesso, invece, è tutta un’altra storia».
Da una parte – proseguono – «siamo stati abbandonati, dall’altra hanno fatto tutto il possibile anche se avrebbero potuto dare più priorità alla scuola, aprendo anche in zona rossa, nei momenti più critici, con tutte le limitazioni del caso».
È il giorno delle riaperture: il 26 aprile, gli studenti dell’Università Statale di Milano sono tornati a brulicare in via Festa del Perdono. Non solo per seguire le lezioni in presenza, già riprese, in parte, con il passaggio della Lombardia in zona arancione. Sono i bar, i ristoranti che circondano la Ca’ Granda dei milanesi a fornire agli studenti – seduti ai tavolini dei dehors – l’occasione per rincontrarsi dopo mesi di isolamento in casa. Alessandra, Arianna, Ginevra, Giada e Martina sono studentesse di primo e secondo anno del corso in Scienze dei beni culturali. La maggior parte delle loro lezioni si svolge in via Noto, periferia Sud di Milano, ma hanno scelto di inaugurare le riaperture del 26 aprile incontrandosi davanti alla sede centrale della Statale per studiare insieme, mantenendo le distanze e con le mascherine ffp2 sempre sul volto.
«Per noi matricole l’università, di fatto, non è mai iniziata» – racconta Martina -. Con le lezioni a distanza, eravamo soltanto delle sigle su un monitor. Adesso, invece, possiamo vederci finalmente di persona: solo così è possibile avere un vero confronto». Beatrice e Yassine, al quarto anno di Giurisprudenza, sono rappresentanti dell’associazione Obiettivo studenti. Durante le varie chiusure, hanno intensificato le attività di raccordo tra le problematiche dei colleghi e il rettorato. «Nonostante tutto, è stato bello ritrovarsi tutti insieme ad affrontare le difficoltà come una comunità. È vero che eravamo da soli fisicamente, ma moralmente ci siamo riscoperti più uniti», spiega Yassine. «Ci sono stati degli escamotage per alleggerire lo studio a distanza, ad esempio alcuni esami li ho preparati in gruppo su Zoom – racconta Beatrice -. Resto convinta, però, che una parte fondamentale del percorso universitario sia la possibilità di incontrare altre persone».
Coronavirus, il governo si è scordato dei matrimoni. La storia di Salvatore e Renata: «Troppa incertezza, il giorno più bello è diventato un incubo» 23 APRILE 2021 - 08:44
Nel decreto Covid i matrimoni non vengono neanche menzionati. Un problema non solo per gli aspiranti sposi, ma anche per 80mila aziende che lavorano nel settore
«Rischiamo di perdere migliaia di euro, non sappiamo come, quando e se riusciremo a sposarci. La prima data era stata fissata l’11 luglio 2020, poi il 13 luglio 2021. Adesso, dopo l’approvazione del decreto Covid che non cita affatto i matrimoni, ci sentiamo di nuovo abbandonati. Ci sembra di rivivere lo stesso film dello scorso anno. Chi ci tutela? Ci manca avere una certezza, non sappiamo nemmeno se possiamo organizzare il ricevimento, quante persone possiamo invitare. Il giorno più bello della nostra vita, che programmiamo dal 2019, è diventato un incubo, un’agonia. Così ci portano a pensare che quelli sbagliati siamo noi. Tutto distrutto, siamo distrutti». A parlare a Open sono Salvatore Leotta e Renata Torre, due siciliani di 33 e 29 anni. Dieci anni passati insieme, il sogno di costruire una famiglia e adesso la delusione di non potersi più sposare a causa delle misure di contenimento della pandemia del Coronavirus.
OPEN | In foto Salvatore e Renata
L’ultimo decreto Covid, infatti, non parla affatto di matrimoni, non vengono neanche menzionati. In zona gialla potranno organizzarsi banchetti? Se è sì, con quante persone? E cosa succederà, invece, in fascia arancione o rossa? Rimarrà tutto fermo? E soprattutto come organizzare una cena post-matrimonio con un coprifuoco fissato alle 22? «La verità è che noi siamo stati gli esclusi, il sogno di una vita è stato banalmente trasformato nel momento in cui due persone si limitano semplicemente a mettere una firma. Ma così non è», ha aggiunto Salvatore che, nonostante tutto, va dritto come un treno. «Dopo l’ennesima crisi di pianto della mia ragazza, abbiamo deciso di andare avanti, di continuare per la nostra strada. Non ci fermeremo. Il nostro matrimonio si terrà il 13 luglio alle 16.30 anche con il coprifuoco. Certo, la Chiesa si trova ad Acireale, il ristorante a Belpasso. Due comuni differenti. Sarà un problema?».
OPEN | Il sogno del matrimonio interrotto dal Covid
Salvatore e Renata, per la prima data del matrimonio, hanno speso 1.500 euro di acconto solo per il locale, «mai restituiti»; adesso ne hanno pagati altri 1.000, per una nuova location oltre ai 2.400 di acconto per il viaggio di nozze, «si spera in America». Parliamo di un totale di acconti pari a 5.620 euro (considerando anche fotografi, video operatori e fiori). Il costo stimato è di 32mila euro, non proprio un gioco da ragazzi. Soprattutto per due giovani che solo adesso hanno, in parte, trovato una stabilità economica: lui, laurea in tasca e un passato da precario, fa lo store manager in un negozio di telefonia; lei, invece, era un’addetta alla vendita. Da marzo è disoccupata poiché il negozio in cui lavorava ha chiuso causa Covid. Il problema di Salvatore e Renata, dunque, non sono solo i soldi buttati in tutti questi mesi ma anche l’incertezza di un matrimonio che non si sa quando e dove fare, con quanti invitati e a quali condizioni. C’è, però, anche il timore che il coprifuoco – che a luglio potrebbe anche non esserci – potrebbe rovinare tutti i loro piani. C’è la paura che i dati, causa riaperture, possano tornare a crescere, facendo ripiombare il nostro Paese nell’incubo. E loro, come tanti altri giovani in tutta Italia, resterebbero con il cerino in mano, con un sogno – quello di sposarsi – chiuso nel cassetto. Il dramma di chi deve organizzare i matrimoni OPEN | In foto Barbara Mirabella
Ma il problema non è solo di chi deve sposarsi ma anche di chi i matrimoni deve organizzarli, di chi si occupa di gestione di grandi eventi. Come Barbara Mirabella, referente di Italian Wedding Industry, organizzatrice di grandi eventi (da 20 anni si occupa di fiere della sposa) e assessora comunale, secondo cui il settore è davvero in ginocchio: «C’è grande disagio, senso di smarrimento e frustrazione. Manca la programmazione, i clienti non lasciano più gli acconti, non girano più soldi, il calo è almeno del 90 per cento. Aspettiamo una data e poche regole ma chiare, siamo fermi da ottobre 2020. Perché si può tornare – mi chiedo – a fare eventi culturali, con distanziamento e con tutti i protocolli di sicurezza del caso, e invece questo non può avvenire coi matrimoni? La follia è che, ad esempio, ville immense debbano rispettare capienze con numeri dati a caso senza valutare le loro effettive dimensioni». «A rischio 80mila aziende, pochi i ristori» Il decreto Covid «non parla di noi», aggiunge. E i ristori? Del tutto inadeguati: «Chi ha perso 350 mila euro ne ha ricevuti 10 mila, assurdo. Nel frattempo, però, bisogna pagare affitto e utenze. Alcuni settori, inoltre, come quelli degli abiti da sposa o da cerimonia, per questioni di codici Ateco, sono stati obbligati a stare aperti in quanto negozi con commercio al dettaglio e, dunque, non hanno ricevuto nemmeno un euro di ristoro. Peccato che non avessero a chi vendere i loro prodotti coi matrimoni fermi da mesi. Insomma, briciole su briciole». Senza considerare, poi, che tutte le date dello scorso anno «non sono state riprotette nell’unico mese e mezzo in cui si è potuto lavorare. I clienti, adesso, hanno paura che avvenga quello che è accaduto a ottobre quando di venerdì il governo ha detto “da domani stop ai matrimoni” lasciando i catering con le celle frigorifere piene». Insomma, ci confida, «ci siamo trasformati in un ufficio psicologico per futuri sposi». A rischio, adesso, ci sono 80 mila aziende: «Siamo sconfortati. Nessuno parla dei matrimoni nel decreto Covid. E, per di più, se come accaduto in passato, ci dicono che il massimo degli invitati è 30, significa far morire il nostro settore. Lasciare il coprifuoco alle 22, invece, si scontrerebbe con la dinamica, tutta italiana, di vivere la cerimonia al tramonto. Così, in altre parole, ci stanno dicendo “fatevi un brindisi e andate a casa”. Ma non si può». E a capire che qualcosa non sta andando per il verso giusto sono proprio le Regioni che, in una lettera inviata al premier Mario Draghi, hanno chiesto di programmare le riaperture anche per il settore dei matrimoni. Dunque, quando e a che condizioni sarà possibile tornare a sposarsi? Già dal 26 aprile nel rispetto dei protocolli? E, nel caso, si potrà fare solo in zona gialla o anche in rossa o arancione? Tutti, al momento, brancolano nel buio. Così per lunedì 26 aprile hanno organizzato un flashmob a Montecitorio di modelle e modelli in abito da cerimonia. «Non possiamo più attendere, non potete più ignorarci», ha detto Enzo Miccio, star dei wedding planner.
Posso capire , provando a fare l'avvocato del diavolo ed ad immedesimarmi nel prof ( anzi nei prof visto che non è vedere quest' articolo https://www.fanpage.it/napoli/dad-scuola-campania-interrogazione-bendati/ che avviene un fatto del genere ) di Verona dove Studentessa bendata durante l'interrogazione, shock a Verona. La professoressa di tedesco le ha fatto coprire gli occhi
Cronaca Scuola a distanza, la prof e la benda per interrogare. Gli studenti: ora basta Studentessa bendata durante l'interrogazione, shock a Verona. La professoressa di tedesco le ha fatto coprire gli occhi
12 Aprile 2021
485 Un minuto di lettura
Shock a Verona dove una studentessa si è bendata durante una lezione in Dad. La giovane si è coperta gli occhi con una sciarpa su richiesta della professoressa di tedesco che quasi non credeva alla bravura della 15enne, studentessa di un liceo veronese. [ .... ]
Capisco che in DAD o DDE si possano avere dubbi se uno studente sia stia copiando o leggendo . Ma non che si arrivasse a questo punto . Bastava dire : d'alunna in questione di allargare il raggio della telecamera e levare gli appunti . ma comportarsi in quel modo è bullismo Dad o non in certi casi è un obbrobrio .Ora La didattica a distanza come la chiamano in molti ha molti limiti educativi. Comprensibile la frustrazione dei ragazzi ma anche quella dei docenti, che nell'ultimo hanno hanno dovuto interamente rivedere i loro metodi di insegnamento per gli studenti di ogni ordine e grado . Ma Questa volta lo stratagemma creato dalla prof per sventare il “rischio imbroglio” ha forse oltrepassato più di un limite. <<Ma -- come dicehttps://www.ilgiornale.it/news/e qui mi rova d'accordo -- la spasmodica ricerca di una nuova strada, spesso per arginare l'elevata arguzia dei più giovani, ha portato talvolta a soluzioni poco ortodosse che diventano boomerang per il sistema scolastico, già al tracollo. Lo dimostra l'esperienza personale di una 15enne di Verona, che durante un'interrogazione da remoto si è sentita chiedere dalla sua docente di bendare gli occhi. Questa è la dad? >> Lo chiedo all'amico compagno di strada il prof Cristian Porcino chiedendogli di raccontarci come si trova ed un suo parere
«Più che Dad (didattica a distanza) mi piace definirla DDE (didattica di emergenza). Da più di un anno noi insegnanti ci siamo dovuti confrontare con un nuovo modo di fare lezioni.
Sull’esperienza dell’ultimo anno scolastico ho scritto un libro dal titolo “Ciao, Prof!”. In Sicilia da diversi mesi la didattica in presenza è ormai al 75% e di conseguenza passo più tempo a scuola e molto meno in Dad. Per me è di vitale importanza la presenza fisica in classe. Il nostro lavoro si nutre dello scambio diretto tra docenti e discenti. La Dad non scomparirà dal nostro orizzonte ma impareremo a conviverci anche nei prossimi anni. Anche a distanza possiamo coinvolgere i nostri allievi e tentare di costruire un percorso formativo accattivante. Non bisogna mai mortificare gli allievi e in special modo durante un’interrogazione. Per il resto preferisco attendere anche la versione della professoressa prima di esprimermi in merito
Polemica a Verona. Quindicenne costretta a coprirsi gli occhi. Il preside valuta provvedimenti. “Mi sono sentita a disagio, come se mi stessero accusando di imbrogliare”
La studentessa bendata durante l'interrogazione a Padova
VERONA Troppo brava per essere vero, troppo preparata per essere creduta. "Prenda una sciarpa e si bendi, voglio vedere se ha studiato davvero". Una studentessa quindicenne di un liceo di Verona si è sentita fare questa richiesta dalla professoressa di Tedesco durante l'interrogazione. Mestamente ha accettato, nonostante la vergogna e l'umiliazione per il fatto di essere vista da tutti i compagni di classe collegati in quel momento. Storie di Dad, l'ormai famigerata Didattica a distanza. Lo scorso mese di ottobre un caso analogo era stato segnalato in un liceo di Scafati, vicino a Salerno. Sette mesi dopo e 720 chilometri più a nord, ecco una nuova interrogazione orale bendata. Stavolta però gli studenti sono decisi ad andare fino in fondo: hanno già parlato con il dirigente scolastico e chiedono provvedimenti definendo la richiesta "repressiva e violenta". Giovedì mattina, dunque: giro di interrogazioni orali in Lingua e Letteratura tedesca nella seconda classe di questo liceo. Una studentessa inizia in modo brillante e questo, dopo poche battute, fa insospettire la prof. Dopo un anno di Didattica a distanza i docenti hanno aumentato in modo considerevole i sospetti sui trucchi usati da qualche studente: dal libro posizionato sulla scrivania fuori dal campo visivo della telecamera, ai bigliettini appesi intorno al monitor, ai post-it appiccicati alle pareti di casa, per finire con le diavolerie più tecnologiche. È probabilmente a causa di questi dubbi che la professoressa, a un certo punto, ha chiesto alla ragazza di coprirsi gli occhi. Gelo nell'aula virtuale. Rifiutare avrebbe significato far terminare anzitempo l'interrogazione e, probabilmente, anche con un voto insufficiente. "Mi sono sentita a disagio, come se mi stessero accusando di imbrogliare", ha detto la giovane parlando con i rappresentanti d'istituto e con gli esponenti della Rete degli studenti medi veronesi. "Già è un momento difficile, non capiamo come si possa pensare di umiliare in questo modo i ragazzi", dice Camilla Velotta, responsabile locale della Rete. I compagni di classe, collegati con la piattaforma Teams, hanno fotografato la schermata. E quell'immagine è finita anche nelle chat dei genitori, suscitando uno sdegno unanime. "Il nostro appello è di denunciare tutti i professori che fanno simili richieste: noi ci siamo, ci occuperemo delle vertenze", avvisa Lorenzo Baronti, rappresentante d'istituto. La registrazione della lezione potrebbe arrivare fino all'Ufficio scolastico regionale, cui competono i provvedimenti disciplinari nei confronti degli insegnanti delle scuole del territorio. "È inaccettabile che sulla scorta dell'emergenza vengano calpestati i diritti", protesta la Rete degli studenti medi, che il 7 aprile scorso ha organizzato uno sciopero per denunciare tutti i limiti della Didattica a distanza. L'interrogazione con gli occhi bendati è sicuramente uno di questi.
leggendo i giornali con https://www.medialibrary.it/home/index.aspx con ho letto su Libero ogni tanto è utile --- anche se si conosce già --- leggere quello che dicono i giornali ( anzi gli pseudo giornali ) , i due articoli che trovate sotto .
Il primo
Ora Crepet non ha tutti i torti perchè Dad o non Dad se uno\a non fa un .... nemmeno il minimo dev'essere bocciato . Ma la ver a ignoranza è dovuta alla nostra classe politica cioè a quelli che dovrebbero curare l'istruzione della popolazione .
Infatti a confermare ciò è i secondo articolo
Ora premetto che detesto non la persona in se , in quanto è un caso umano , ma la sua ideologia ed modo fazioso che questo giornalista ( per essere buoni ed non infierire troppo ) ha di esporre i fatti e di e vedere solo la pagliuzza del suo avversario ed non la trave che esso ( ed il suo padrone \ referente politico ha ) per ulteriori dettagli vedere la sua biografia qui su wikipedia .
Ma non riesco a biasimarlo completamente in quanto anche la merda ed i qualunquismo contiene un po' di verità
I nostri governanti maestri di ignoranza
L’attuale classe dirigente è composta da incompetenti che sproloquiano su tutto. La zucca vuota, ma di successo, è il modello proposto alla gioventù
Libero
RENATO FARINA
L’umanità ha riconosciuto dai primordi di avere un nemico: l’ignoranza. Ha sempre cercato di emanciparsi da essa per non consentire alla natura e ai prepotenti di sottomettere la brava gente. È sempre stato così. Fino all’arrivo di Di Maio e dei grillini al Potere. Dopo di che l’ignoranza è diventata un titolo di merito, una conquista agognata sul divano, la prova di una purezza adamantina. (...)
Personalmente ho sempre ritenuta diabolica la pretesa della scienza di impadronirsi del mistero dell’essere. Diabolica e persino ridicola. Non c’era bisogno del Covid e delle baruffe gallinacee tra virologi per scoprirlo. Gli scienziati sono in corsa per darci l’immortalità, ma non sono ancora riusciti a curare la calvizie e il raffreddore. Ma non è un buon motivo per l’instaurazione della dittatura dell’ignoranza, come forma di governo vigente in Italia. Non bisogna confonderla con la confessione di Socrate: «So di non sapere», perché quella era lealtà dinanzi all’infinità dei mondi. Esprimeva la consapevolezza del limite e subito la voglia di andare oltre l’orizzonte, aprendosi all’avventura mai appagata di «virtute e canoscenza», per la quale nacque Ulisse e noi con lui.
Qui siamo invece alla prevalenza del “buon selvaggio” e alla affermazione della superiorità morale e intellettuale del vuoto mentale conclamato come passaporto per essere classe dirigente. Guai a rovinare con lo studio la foresta vergine e riccioluta come le chiome di Toninelli e della Taverna. I social ma anche i talk show sono dominati dalla filosofia dell’uno vale uno. L’opinione sulle origini del virus dell’analfabeta, ma deputato, dunque portavoce del popolo, vale più del giudizio del professor Giuseppe Remuzzi, in odore di Nobel della medicina. Uno uguale uno vuol dire dittatura dell’ignoranza. Il primo teorico della faccenda fu Jean Jacques Rousseau che, inconsapevole di poter essere due secoli dopo trasformato in piattaforma da Casaleggio, era un filosofo e persino un educatore, anche se siamo certi si sarebbe sparato se avesse intuito che cosa avrebbero fatto dell’Italia le sue idee in mano a Grillo. Sosteneva che la “volontà generale” esprimesse la verità. Essa è stata tradotta come volontà della Rete. Risultato: la tabula rasa. Non è additata quale modello la competenza esito della fatica e premiata per questo; è la zucca vuota ma di successo ad essere proposta come esempio alla nostra gioventù.
IL CERTIFICATO DI BATTESIMO
Come ha scritto Antonio D’Anna su Italia Oggi l’unico titolo di studio che non è biasimato è il certificato di battesimo, anche perché nessuno ti può incolpare di aver sgobbato e passato notti insonni per ottenerlo. Siamo portati - e la mia modesta prosa lo dimostra - a scherzarci su. Ma è una tragedia della civiltà. E questo stato di cose è insieme esito e causa dello stato di crisi se non di coma delle agenzie educative. La famiglia, la scuola, la Chiesa, lo Stato, l’esercito sono stati, e dovrebbero tuttora essere, le forme con cui gli individui associandosi consegnano l’eredità di valori e conoscenze alla generazione successiva. I giovani per salire sulle spalle di chi li ha preceduti devono arrampicarsi, giocando la loro libertà: per sviluppare o negare la proposta dei padri e delle madri, dei maestri e dei preti. Si annega tutti nel mar nero dell’uno vale uno, cioè zero, che è il nome della cultura prevalente: il nichilismo. Che non è colpa dei ragazzi ignoranti, ma degli adulti che non hanno saputo accendere la fiaccola affascinante di una bellezza e di una conoscenza da attingere come acqua nel deserto. È uscito un libro illuminante: Sotto il segno dell’ignoranza ( Ed. Egea, pagg. 184, € 22) di Paolo Iacci, che non è un filosofo teoretico ma uno che sta in trincea, grande esperto in gestione delle risorse umane. La prima riga del volume è lapidaria: «In Italia vige la dittatura dell’ignoranza». Quel che segue è una fotografia tremenda. «Questa è la nuova questione morale del Paese. La classe dirigente ha da tempo abdicato a favore di una orda di incompetenti che stanno occupando i posti di potere e che si approfittano della volontà di cambiamento diffusa nel Paese per occupare indegnamente i principali posti di responsabilità».
Dopo di che è arrivato Mario Draghi, che è tutto meno che incompetente e negazionista dei congiuntivi. Esaudendo l’invocazione disperata di Berlusconi a Mattarella e al buon Dio si sarebbe cambiato paradigma. Speranza assai tenue. Il catrame della divina ignoranza ha inzuppato i gangli vitali della società e i meccanismi di selezione della classe politica. La dittatura dell’analfabetismo intellettuale e morale allunga ancora i suoi tentacoli abbrancando poltrone e leve di comando. Tant’è che Draghi e Mattarella hanno “dovuto” stendere il tappeto del governo perché sia calpestato dagli zoccoli di alcuni campioni dell’asineria. Non verrà dai vertici la riparazione del modello (dis)educativo regnante. Si deve ripartire dal basso, dalle famiglie, dalla scuola, dagli oratori. Dal popolo insomma. Campa cavallo.
concludo con gli ultimi versi
Voglio sperare che il mondo torni a quote più normali \che possa contemplare il cielo e i fiori\che non si parli più di dittature \se avremo ancora un po' da vivere... \ La primavera intanto tarda ad arrivare.
Un’altra storia a lieto fine, la seconda in pochi giorni, annuncia l’arrivo della rivoluzione nella gestione delle emergenze. Un uomo è riuscito a far nascere il figlio in brevissimo tempo grazie a un software in dotazione alle Centrali Operative di Emilia Romagna e Piemonte. Durante il parto imminente, nell’impossibilità di portare la moglie in ospedale, è stato assistito direttamente da un’infermiera via videochiamata.
Prima di Natale, un altro padre ha salvato un bambino mentre soffocava. Il piccolo è stato rianimato grazie alle indicazioni in tempo reale dell’operatore del 118. Le cruciali videochiamate sono state effettuate con l’app FlagMii, in dotazione ad alcuni Enti pubblici per le telefonate d’emergenza fatte dallo smartphone. Bologna, fa nascere il figlio in call con l’ostetrica
Momenti di intensa agitazione quelli seguiti a una chiamata al 118 effettuata da un uomo la cui moglie era in travaglio. Le infermiere del centralino hanno immediatamente capito che si trattava di un parto imminente.
Mandata l’ambulanza, nel frattempo hanno videochiamato il padre tramite l’app. A raccontarlo è l’infermiera Elisa Nava: “Ho deciso di richiamare il papà e di fargli attivare FlagMii, la piattaforma che ci consente di fare videochiamate con gli utenti per potere avere una visione di quello che sta succedendo e guidare le loro azioni.
Il papà era molto agitato ma mi ha seguito in tutto quello che gli dicevo di fare, è stato molto bravo“.
Grazie all’intuizione, 12 minuti dopo è nato Alex, 2,9kg. “È stato fondamentale avere Elisa che ci ha aiutato perché noi non sapevamo assolutamente cosa fare, eravamo nel panico più totale“, racconta il papà in un video. Poco dopo, la neo-mamma e al bambino sono stati portati all’ospedale Maggiore di Bologna. Salvato un bambino dal soffocamento
Un’altra famiglia del bolognese è stata soccorsa grazie all’app FlagMii. Un bambino di 2 anni è soffocato a causa di un boccone mentre la madre preparava la cena. In poco tempo ha perso i sensi, ma il padre è stato in grado di fare le manovre di rianimazione e il massaggio cardiaco grazie all’operatore del 118, che lo ha videochiamato.
La madre ha raccontato la vicenda a Il Resto del Carlino. Dopo la chiamata al 118, “mi hanno passato l’infermiere Daniele Celin, il quale, con un sangue freddo incredibile, ci ha chiesto di poter vedere con i propri occhi ciò che stava accadendo e di poter teleguidare nelle manovre rianimatorie mio marito“.
L’infermiere, racconta, le ha inviato un messaggio, con un link e un invito ad accedere alla videocamera. La donna la teneva puntata “sul mio bimbo e su mio marito che stava praticando il massaggio cardiaco“. L’operatore ha così “corretto ogni azione, ogni movimento delle mani di Michele, era come se fosse lì accanto a noi. Sapevamo esattamente cosa fare grazie alle sue direttive precisissime“. Una ventina di minuti dopo l’arrivo del medico e dell’ambulanza.
Che cos’è FlagMii
Le operazioni di soccorso a distanza sono state rese possibili grazie all’app FlagMii. Da circa un anno utilizzato in Piemonte ed Emilia Romagna, il software si propone tramite un’app presente sul telefono di contattare i soccorritori inviando direttamente le proprie coordinate Gps. Se non è presente sul telefono, FlagMii manda un sms a chi chiama dalla Centrale Operativa contattata, permettendo la videochiamata. Una soluzione pensata per persone con disabilità, come quelle sordomute, che possono accedere a una chat interattiva e per aiutare nei minuti, spesso cruciali, prima dell’arrivo dei soccorsi. Post di FlagMii
“L’operatore può scegliere la forma di comunicazione più opportuna e passare da una all’altra in qualsiasi istante“, spiega la pagina Facebook, “Possono essere inviati link, video e immagini con istruzioni in attesa dei soccorsi e, in senso contrario, il chiamante può inviare un riscontro visivo sulla propria situazione“. La tecnologia che salva la vita Federico Semeraro, medico anestesista dell’USL di Bologna e presidente dell’European Resuscitation Council, ha commentato quanto accaduto. “Da qualche anno in accordo con le linee guida internazionali esistono quelle che sono denominate ‘istruzioni pre-arrivo’“, ha spiegato, “Procedure codificate e standardizzate che vengono utilizzate dagli infermieri al telefono con i pazienti e/o con chi chiama per dare un aiuto a distanza. Queste istruzioni pre-arrivo, per quanto riguarda l’arresto cardiaco hanno dimostrato aumentare la sopravvivenza. Il vecchio slogan di una famosa compagnia telefonica ‘Una telefonata ti allunga la vita’ oramai è realtà“.Post di Federico Semeraro