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7.3.25

Il padre di Sofia De Barros: «Mia figlia è morta di leucodistrofia metacromatica (Mld) ma il suo sangue è servito al test di diagnosi precoce: tutte le regioni lo adottino»

 Sofia De Barros aveva otto anni quando ha perso la sua battaglia contro la leucodistrofia metacromatica (Mld). Prima che se ne andasse, i loro genitori Guido e Caterina, hanno donato per la ricerca le gocce di sangue della figlia malata, pur sapendo che il gesto non l’avrebbe fatta guarire.
Signor De Barros, perché quelle gocce di sangue erano importanti?
«Per fare in modo che nessun altro bambino morisse di questa malattia. Grazie a quelle gocce donate da noi e altre famiglie con bimbi affetti da Mld, è stato messo a punto un
test per la diagnosi precoce di questa patologia neurodegenerativa finanziato al Meyer da Voa Voa! Amici di Sofia, l'associazione da noi fondata nel 2013».
Così si è arrivati in Toscana alla possibilità di diagnosi precoce?
«Esattamente, in Toscana si è arrivati alla possibilità di una diagnosi precoce che fa la differenza tra la vita e la morte: per la Mld esiste una terapia efficace, ma solo se iniziata prima della comparsa dei sintomi. Il progetto, finanziato sempre da VoaVoa, vede coinvolti la Regione Toscana, l’ospedale Meyer con il Laboratorio di Screening Neonatale e la struttura di Malattie metaboliche».
Adesso questa malattia è tornata alla ribalta con il caso di Gioia.«Lei è una bambina dell’Emilia Romagna a cui non è stato possibile fare una diagnosi precoce visto che la sanità della Regione non si è dotata di questa possibilità. Il progetto pilota per la diagnosi precoce non è un obbligo dei governi sanitari delle Regioni. È una sperimentazione che viene lasciata all’iniziativa del governo sanitario regionale di ciascuna regione».
Cosa significa non dotarsi di questo test?
«Non dotarsi di questo test a mio avviso costituisce una omissione di soccorso, visto che si sa che, nel caso nasca un bambino o una bambina con quella patologia, esiste una cura che è in grado di salvare il piccolo a patto che venga somministrata prima della comparsa dei sintomi».
Quindi si potrebbero salvare vite?
«Si potrebbero salvare numerose vite ma si sceglie di fatto di non farlo, e complice di questa omissione di soccorso è l’idea che questa patologia sia molto rara e che capiti a soltanto a poche decine di bambini, ma in questo modo si costringono a sofferenza atroci decine di bambini e decine di famiglie che si vedono perdere davanti agli occhi i propri figli e le proprie figlie».
Lei è amareggiato per questo?
«Ogni volta purtroppo bisogna arrivare al morto per tornare a sensibilizzare sul tema. Mi pare un atteggiamento agnostico restare ad aspettare che altre regioni facciano la sperimentazione. Se incrociamo le braccia noi, cade il silenzio su questa patologia, e invece bisogna parlarne perché si possono salvare vite attraverso progetti di screening che non hanno certamente costi proibitivi».
Qual è la sua speranza?
«La mia speranza è che l’Emilia Romagna, e poi tutte le altre regioni italiane, seguano l’esempio virtuoso di Toscana e Lombardia, adottando direttamente lo screening o attivando quanto prima un progetto pilota. A dicembre abbiamo inviato una lettera aperta al Presidente De Pascale, ripresa dalla stampa e oggetto di un’interrogazione regionale. A oggi, purtroppo, non abbiamo ricevuto alcuna risposta, nonostante la nostra disponibilità a sostenere economicamente l’avvio del programma».

13.9.22

Canada, i figli diventeranno ciechi: i genitori fanno fare loro il giro del mondo






Canada, i figli diventeranno ciechi: i genitori fanno fare loro il giro del mondo

di Massimo Basile
I 4 bambini sono affetti da una rara malattia genetica: il viaggio deciso per imprimere ricordi visivi prima che perdano completamente la vista

 NEW YORK 
 Guardare il mondo prima che scompaia. Immergersi in tutti i colori, albe, tramonti, arcobaleni, mongolfiere, le foglie piegate dal vento, l’orizzonte giallo, le rughe millenarie di un tronco d’albero. L’ultimo giro di valzer intorno al mondo è ciò che ha scelto di fare una famiglia canadese colpita da un tragico incantesimo: a tre dei quattro figli di
 Edith Lemay e Sebastien Pelletier è stata diagnosticata una retinite pigmentosa, rara condizione genetica che provoca la lenta e inesorabile perdita della vista. La prima era stata Mia: aveva appena tre anni quando i genitori avevano notato i problemi.

 

La Namibia è stata la prima tappa del viaggio intorno al mondo per i 4 bambini canadesi che diventeranno ciechi 

Pochi anni dopo l’avevano portata da uno specialista, che le aveva diagnosticato la malattia. Poi era toccato a Colin, che ora ha sette anni, e Laurent, cinque. La paura è stata confermata nel 2019: avevano tutti e tre lo stesso disordine genetico. Il quarto figlio, Leo, nove anni, invece è immune. “Non c’è niente che puoi davvero fare - ha spiegato alla Cnn la madre - non sappiamo quanto sarà veloce questo declino, ma ci aspettiamo che saranno completamente ciechi da adulti”. 
Davanti all’inesorabile, questa famiglia canadese avrebbe potuto mettersi attorno a un tavolo e piangere, e forse è successo, ma poi hanno scelto la madre di tutte le soluzioni: trasformare un problema in opportunità. È successo quando lo specialista aveva detto ai Pelletier che la figlia avrebbe assorbito tutti i “ricordi visivi” e se li sarebbe portati dentro per sempre. “Ho pensato - racconta Edith - che non le avrei mostrato le foto di elefanti rari nei libri, ma riempito la sua memoria con immagini migliori”. Lei e il marito hanno cominciato a pianificare un viaggio di un anno intorno al mondo, messo da parte i soldi. La vendita dell’azienda, in cui Sebastien aveva quote, ha portato denaro fresco. 
Il viaggio sarebbe dovuto cominciare nel luglio 2020, ma le restrizioni legate alla pandemia da Covid avevano fatto rinviare tutto. A marzo di quest’anno è arrivato il via libera. I Pelletier sono partiti da Montreal. Senza un itinerario preciso. Torneranno a casa a marzo 2023. Mia voleva andare a cavallo. Laurent gustarsi un succo, standosene sul dorso di un cammello. Namibia, Tanzania, Mongolia, Indonesia. Le coloratissime mongolfiere in Cappadocia, Turchia. Tutto catturato dagli occhi e immagazzinato nella memoria, come provviste per l’inverno. Mia ha saputo che avrebbe perso la vista quando aveva sette anni. Ora ne ha dodici. Colin e Laurent lo hanno saputo da poco e cominciano a fare domande difficili. “Mamma, cosa significa essere ciechi?. “Potrò guidare una macchina?”. 
I genitori rispondono con calma. “Voglio che sperimentino tutto - raccontano - e che si sentano comunque fortunati di poter vivere un’esperienza come questa”. La famiglia sta raccontando il viaggio sui social, con foto e racconti postati su Facebook e Instagram. Tra gli oltre undicimila follower c’è chi è affetto dalla stessa malattia e ha cominciato porsi davanti al declino visivo in modo diverso. Alcuni vogliono provare la stessa esperienza: viaggiare e scoprire il mondo, e al diavolo cellulare e televisione. Mia, Colin e Laurent ce lo stanno insegnando: si può non vedere realmente avendo dieci decimi, e vederci benissimo quando sai che tutto questo sarà bui

4.5.22

Kaif morto a 4 anni per una malattia rara: abbandonato dai genitori, l’addio della sua madre adottiva Chiara Fossombroni

Una  storia  quella che   ho  trovato   https://www.thesocialpost.it/  talmente triste  che    mi ha  sconvolto  e spiazzato  tanto  da  :  non trovare  parole   per  commentarla  ne per  criticare o quanto modo  provare a  comprendere la  scelta  dei genitori  naturali 

Kaif morto a 4 anni per una malattia rara: abbandonato dai genitori, l’addio della sua madre adottiva Chiara Fossombroni  
DI SILVIA NAZZARENI // CRONACA ITALIA

04 MAGGIO 2022, 12:45

Kaif aveva una rara malattia ed era stato lasciato solo in ospedale: Chiara aveva immediatamente deciso
di tenerlo con sé, e così è stato fino alla fine.
Kaif è morto il primo maggio, a soli 4 anni, per una malattia rarissima: nella sua breve vita, però, ha avuto la fortuna di essere stato molto amato dalla sua mamma adottiva, Chiara, che lo ha conosciuto quando era solo in un letto d’ospedale, abbandonato dai suoi genitori.
La loro è una storia d’amore e di tenerezza: un’avventura che termina con un addio di dolore, ma Chiara Fossombroni non si è mai pentita neanche un attimo di aver adottato Kaif: è lui ad averle donato i momenti più belli degli ultimi anni.
Chiara ha incontrato Kaif due anni fa: era su un letto dell’ospedale Meyer, a Firenze, solo e abbandonato.
Gli avevano diagnosticato una sindrome rara che conterebbe solo 170 casi in tutto il mondo ed i suoi genitori biologici, a quanto pare, non se l’erano sentita di affrontare una situazione tanto drammatica. A La Nazione, lei ha raccontato il suo primo incontro: “Quando ci siamo incontrati era sdraiato su un letto a guardare il soffitto. Non era mai uscito dall’ospedale, per i primi due anni non ha potuto mangiare né bere, nutrendosi tramite un sondino. Si è appoggiato sul mio seno e io sono diventata sua madre”.
Kaif alla scoperta del mondo, con Chiara come “manico di scopa”
Negli anni in cui Kaif e Chiara sono stati insieme, lei ha fatto di tutto per fargli conoscere il mondo e le bellezze della vita: gli ha mostrato il mare, la montagna, il divertimento e soprattutto gli ha fatto conoscere amore e protezione.
Quando lo ha incontrato, il piccolo Kaif era desideroso di ricevere un contatto ematico, come gli aveva spiegato in ospedale: “Il professor Massimo Resti che lo aveva in cura, – ricorda – mi disse che aveva tanto bisogno di affetto che si sarebbe attaccato anche a un manico di scopa pur di trovarne.
Quel manico di scopa sono stata io”.
Negli ultimi mesi le condizioni di Kaif si erano aggravate e, fino all’ultimo, sua madre aveva sperato che migliorassero. Sulla sua pagina Facebook, lo scorso 30 aprile, aveva scritto: “Solo una preghiera per Kaif adesso. Forza ! Sei l’essenza dell’amore e devi vincere”. Il giorno dopo, purtroppo, il tristissimo annuncio: “Alleluia Kaif è in cielo felice e la sua mamma continuerà ad essere sempre con lui. TI AMO e saremo sempre insieme”.

5.3.22

Milano, si laurea in ospedale per stare accanto alla sorella: “È la parte migliore della mia vita”

 sara  cronologicamente  di due anni fa  , ma   tale  storia  è bellissima    tantoi   d'andare  alò di  lùà  del tempo e  dello spazio  . 


https://www.fanpage.it/

Adriana è una studentessa di Cerignola, iscritta all'università di Foggia. Qualche settimana fa si è laureata in giurisprudenza, discutendo la tesi da una stanza dell'ospedale Besta di Milano, al fianco della sorella Sara, di 15 anni, ricoverata per dei controlli. A Fanpage.it, Adriana rivive e racconta l'emozione di quel giorno indimenticabile: la sua paura era infatti di laurearsi lontano dalla sorella, che per una malattia rara è costretta a letto e impossibilitata a muoversi. Il ricovero al Besta è durato più del previsto, andando a coincidere con il giorno della discussione. Sara è stata così l'unica persona a poter assistere alla  discussione della sorella maggiore Adriana  affetta da una rara malattia. I controlli medici sono durati più a lungo del previsto e la giovane studentessa ha così vissuto uno dei momenti più importanti della sua vita in compagnia dell’unica persona che temeva non avrebbe potuto partecipare all’importante giorno: “Lei è la parte migliore della mia vita – ha spiegato Adriana a Fanpage.it – ed è lei che mi ha insegnato tutto”.


È difficile non commuoversi quando si ascolta la storia di Adriana Ciafardoni, studentessa di Cerignola, iscritta all'università di Foggia, che qualche settimana fa si è laureata in giurisprudenza, discutendo la tesi da una stanza dell'ospedale Besta di Milano. Una scelta che la 23enne ha fatto per restare al fianco della sorella Sara, di 15 anni che soffre di una rara malattia che la costringe a letto ed era ricoverata nel nosocomio milanese per dei controlli. I giorni in ospedale e la laurea giunta all'improvviso Il loro rapporto è unico, di quelli che legano due sorelle in un modo difficile a spiegarsi ma che traspare dalle parole e dagli occhi pieni di vita di Adriana che a Fanpage.it ha voluto raccontare l'emozione di quel giorno indimenticabile, quello della laurea che ha voluto condividere con l'unica persona che invece pensava non vi avrebbe preso parte: la sua paura era infatti di laurearsi lontano dalla sorella che per una malattia rara è costretta a letto e impossibilitata a muoversi. E invece così non è stato perché il ricovero al Besta per la piccola Sara è durato più del previsto ed è coinciso con il giorno della discussione della tesi di Adriana: "Non avevo la tesi con me perché non me l'aspettavo, per cui ho lasciato la copia della tesi a casa a Cerignola: avevo il pc che avevo portato per altri motivi ma che alla fine si è rivelato utile – racconta la studentessa -. In stanza con me c'era solo mia sorella e mi è stato accanto nel vero senso della parola: è stata la prima persona che ho guardato quando c'è stata la proclamazione e non potevo essere più felice". Sara: Mia sorella è stata bravissima, soprattutto perché mi è rimasta accanto Sara ha abbracciato la sorella con "i suoi occhioni lucidi" come ricorda Adriana e ovviamente non può che essere orgogliosa del traguardo da lei raggiunto: "È stata bravissima mia sorella, ma non solo nel discutere la sua laurea ma soprattutto per quello che ha fatto rimanendo accanto a me nelle ultime due settimane", le parole della 15enne intervistata da Fanpage.it. Anche da lontano è facile percepire l'amore che unisce queste due sorelle e che la vita ha portato a condividere proprio questi momenti così importanti: "Mi ha detto che era orgogliosa di me e che era contenta di quello che avevo fatto – continua la 23enne nel ricordare il giorno della laurea subito dopo la proclamazione – le cose accadono sempre per una ragione: dovevano esserci tutti tranne lei e invece c'era lei e basta ed è stata la cosa più importante".  Ho passato la vita a insegnarle il mondo ma è stata lei a insegnarmi tutto Adriana con un grande sorriso spiega come in realtà il loro rapporto sia cambiato e come indirettamente sia stata anche Sara a prendersi cura di lei insegnandole tante cose: "Io ho passato una vita cercando di insegnarle il mondo perché lei sono anni che è allettata, poi crescendo ho capito invece è stata lei a dare degli insegnamenti a me: a essere forte, a mettercela tutta sempre, contro qualsiasi avversità – conclude la giovane studentessa – lei è il mio esempio, non poteva che andare tutto al meglio con lei lì. Per tanto tempo è stata la mia piccolina, oggi è un compagno di viaggio, un confidente, una persona da cui ricevere e dare consigli, siamo simbiotiche. Lei è la parte migliore della mia vita". 

emergenza femminicidi non basta una legge che aumenti le pene ma serve una campaga educativa altrimenti è come svuotare il mare con un secchiello

Apro l'email  e tovo  queste  "lettere "   di  alcuni haters  \odiatori  ,  tralasciando  gli  insulti  e le  solite  litanie ...