Sofia De Barros aveva otto anni quando ha perso la sua battaglia contro la leucodistrofia metacromatica (Mld). Prima che se ne andasse, i loro genitori Guido e Caterina, hanno donato per la ricerca le gocce di sangue della figlia malata, pur sapendo che il gesto non l’avrebbe fatta guarire.
Signor De Barros, perché quelle gocce di sangue erano importanti?
«Per fare in modo che nessun altro bambino morisse di questa malattia. Grazie a quelle gocce donate da noi e altre famiglie con bimbi affetti da Mld, è stato messo a punto un
test per la diagnosi precoce di questa patologia neurodegenerativa finanziato al Meyer da Voa Voa! Amici di Sofia, l'associazione da noi fondata nel 2013».
Così si è arrivati in Toscana alla possibilità di diagnosi precoce?
«Esattamente, in Toscana si è arrivati alla possibilità di una diagnosi precoce che fa la differenza tra la vita e la morte: per la Mld esiste una terapia efficace, ma solo se iniziata prima della comparsa dei sintomi. Il progetto, finanziato sempre da VoaVoa, vede coinvolti la Regione Toscana, l’ospedale Meyer con il Laboratorio di Screening Neonatale e la struttura di Malattie metaboliche».
Adesso questa malattia è tornata alla ribalta con il caso di Gioia.«Lei è una bambina dell’Emilia Romagna a cui non è stato possibile fare una diagnosi precoce visto che la sanità della Regione non si è dotata di questa possibilità. Il progetto pilota per la diagnosi precoce non è un obbligo dei governi sanitari delle Regioni. È una sperimentazione che viene lasciata all’iniziativa del governo sanitario regionale di ciascuna regione».
Cosa significa non dotarsi di questo test?
«Non dotarsi di questo test a mio avviso costituisce una omissione di soccorso, visto che si sa che, nel caso nasca un bambino o una bambina con quella patologia, esiste una cura che è in grado di salvare il piccolo a patto che venga somministrata prima della comparsa dei sintomi».
Quindi si potrebbero salvare vite?
«Si potrebbero salvare numerose vite ma si sceglie di fatto di non farlo, e complice di questa omissione di soccorso è l’idea che questa patologia sia molto rara e che capiti a soltanto a poche decine di bambini, ma in questo modo si costringono a sofferenza atroci decine di bambini e decine di famiglie che si vedono perdere davanti agli occhi i propri figli e le proprie figlie».
Lei è amareggiato per questo?
«Ogni volta purtroppo bisogna arrivare al morto per tornare a sensibilizzare sul tema. Mi pare un atteggiamento agnostico restare ad aspettare che altre regioni facciano la sperimentazione. Se incrociamo le braccia noi, cade il silenzio su questa patologia, e invece bisogna parlarne perché si possono salvare vite attraverso progetti di screening che non hanno certamente costi proibitivi».
Qual è la sua speranza?
«La mia speranza è che l’Emilia Romagna, e poi tutte le altre regioni italiane, seguano l’esempio virtuoso di Toscana e Lombardia, adottando direttamente lo screening o attivando quanto prima un progetto pilota. A dicembre abbiamo inviato una lettera aperta al Presidente De Pascale, ripresa dalla stampa e oggetto di un’interrogazione regionale. A oggi, purtroppo, non abbiamo ricevuto alcuna risposta, nonostante la nostra disponibilità a sostenere economicamente l’avvio del programma».
Nostra patria è il mondo intero e nostra legge è la libertà
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26.6.12
una sentenza illuminata TRIESTE. Condannato ospedaleDa anni in coma per un errore medico avrà uno “stipendio”
TRIESTE Non potrà lavorare e guadagnarsi da vivere per un errore dei medici, e allora sarà la struttura sanitaria a dovergli un vitalizio, uno «stipendio» mensile di 1.500 euro che riceverà dal giorno in cui compirà 25 anni. La decisione, innovativa e inedita, è stata presa dal Tribunale civile di Trieste, al termine di una causa intentata all'Istituto pediatrico «Burlo Garofolo» dalla famiglia di un bambino di sei anni, in stato vegetativo permanente dal 2007 per un errore nel corso di un intervento chirurgico.
Il piccolo, a un anno e mezzo, fu operato per un “ascesso retrofaringeo” - un accumulo di pus nella zona posteriore della gola - che gli impediva di deglutire e di respirare bene. Secondo quanto accertato durante il processo, al termine dell'operazione sarebbe stato compiuto un errore da parte del medico anestesista, che bloccò l'afflusso di sangue al cervello causando lo stato comatoso al bambino.
Il procedimento si è incentrato sulla ricostruzione dell'accaduto e sull'esistenza o meno di un errore da parte dei medici. A un certo punto è stato ipotizzato che il piccolo fosse stato vittima di una malattia contratta dopo la nascita, ma il giudice ha deciso diversamente.
La sentenza - che è stata depositata in cancelleria il 29 maggio scorso ed è stata notificata alle parti all'inizio del mese di giugno - ha così disposto per la famiglia, residente in provincia di Udine, il diritto a ricevere il vitalizio a titolo di danno patrimoniale per tutta la durata della vita, per l'impossibilità del figlio a trovare un lavoro per sostenersi. Il danno non patrimoniale a favore dei genitori è stato invece valutato in 2,5 milioni di euro e verrà liquidato in una soluzione unica, al netto dell'«acconto» già versato di 250 mila euro. «È la prima volta», ha sottolineato il legale della famiglia, Matteo Mion. «La famiglia - ha precisato - ha lottato per avere la verità, e questo è più importante del denaro. È una sentenza illuminata che viene a lenire - ha puntualizzato - una situazione che purtroppo è comunque tragica».
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