Cerca nel blog

Visualizzazione post con etichetta aste. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta aste. Mostra tutti i post

20.9.25

diario di bordo n 148 anno III SERRENTI , Nonna e nipote unite da un ricamo e dal corso di Sa Grutta Nieddas ., 8 intinerari per scoprire l'isola a piedi ., SASSARI Tutti pazzi per i pacchi smarriti centinaia in fila per acquistarli Il contenuto è una sorpresa e si paga a peso, 2 euro all’etto., OLBIA Calzoleria Budroni, ogni scarpa una storia da oltre 50 anni: «I lavori top secret per Clooney...»


  unione  sarda    del  20\9\2025



         A Serrenti la tradizione diventa identità da tramandare. Luigia Madau, a 81 anni, ha realizzato interamente il ricamo per lo scialle del costume sardo di sua nipote Sara, dopo aver frequentato il corso organizzato dall’associazione culturale Sa Grutta Niedda.         L’idea di contribuire con le proprie mani alla realizzazione di un pezzo fondamentale dell’abito tradizionale della nipote era già nell’aria quando sua figlia Fatima, vedendo l’annuncio del corso, decide di iscriverla a sorpresa per permetterle di perfezionare un’arte che ha iniziato a mettere in pratica già dalla tenera età. «Io sono originaria di Ozieri – racconta Luigia – e all’epoca c’erano ancora moltissime sarte che ricamavano, ho iniziato a dieci anni, ho imparato da mia mamma e dalle altre sarte che permettevano a noi bambine di osservarle all’opera e di collaborare con delle piccole mansioni, come togliere le imbastiture. Da allora non ho mai smesso, mi sono sempre adoperata nella realizzazione degli abitini per i miei figli e in altri piccoli lavori».         Per portare a termine lo scialle è stato necessario quasi un anno di lavoro, a cui ha contribuito anche la nipote Sara. «Quando ho visto nonna alle prese con le frange – dice Sara Mallocci – ho voluto provare anche io. Grazie ai consigli di maestra Marinella, sono riuscita a realizzarle e ad applicarle tutte, completando così il lavoro». Un impegno assiduo, che l’ha tenuta incollata alla sedia dalle tre alle sei ore al giorno per oltre un mese, consentendole di ultimare lo scialle prima del rientro a scuola.         È un legame dalle radici profonde quello che unisce Sara alla tradizione della Sardegna. «Avevo 13 mesi quando ho sfilato per la prima volta con il costume sardo, da allora non ho mai smesso – dice Sara – tengo moltissimo a ogni parte del costume, che indosso sempre con orgoglio, e a tutto ciò che appartiene alla cultura sarda».
  Non sono tanti i ragazzi che condividono la passione di Sara: «Qualcuno mi dice che spendo soldi inutilmente per il costume sardo, che non ne vale la pena perché probabilmente quando sarò più grande smetterò di usarlo». Ma per l’associazione Sa Grutta Niedda, la sua dedizione è un esempio prezioso. «Il lavoro di Luigia e Sara dovrebbe essere di ispirazione per tanti altri giovani – dice Anna Maria Pezza, presidente dell’associazione – perché solo così la tradizione ha qualche possibilità di sopravvivere».         «È una tradizione ricca di simboli, colori ed eleganza. Durante i corsi i partecipanti imparano i gesti lenti e precisi del ricamo. Ho iniziato a insegnare proprio perché credo sia fondamentale tramandare quest’arte», commenta l'nsegnante del corso Marinella Serra, di Villanovaforru.

-----

 nuova  sardegna    19\9\2025




nuova  sardegna   19 e  20 \09\2025 

un ottima    idea  antispreco   quella  di mettere in  vendita  pacchi  smarriti e   forse  non reclamati  .  tanto  sarebbero   finiti  al macero   con spreco  di risorse  ed  inquinamento  inutile     per  smaltirli  


-----------

 nuova  sardegna  online 20 settembre 2025 14:07

Antichi mestieriCalzoleria Budroni, ogni scarpa una storia da oltre 50 anni: «I lavori top secret per Clooney...»A Olbia la bottega gestita da padre e figli: «La soddisfazione? Quando ci commissionano riparazioni dal resto d’Italia perché non ci sono botteghe così altrove»

di Carolina Bastiani

Olbia «Ho scoperto che Babbo Natale non esiste dalle scarpe». E questo già la dice lunga sulla passione che regna nella Calzoleria al civico 9 di via Cesare Battisti a Olbia, a Sa Rughe, il vecchio quartiere dei pescatori.Protagonista dell’aneddoto uno dei figli di Paolo Budroni, titolare dell’attività dal 1983 e calzolaio da oltre 50 anni, che a 9 anni ha capito guardando le scarpe che quello travestito da Babbo Natale era un amico del padre. Sì, perché Mirko Budroni, classe 1995, il pallino ce l’ha da sempre ed è lì che gli cade subito l’occhio. Per questo, insieme al fratello minore Edoardo che condivide la sua stessa passione, ha deciso di mandare avanti l’attività di famiglia, dove lavora anche la madre Menica Sanna.È una vera e propria bottega la Calzoleria Paolo Budroni, di quelle ormai rare anche in Italia, dove l’artigianalità si respira insieme al profumo della pelle. Si lavora su misura con macchinari all’avanguardia e prodotti di qualità e al cliente si spiega ogni fase della lavorazione e della riparazione.E mentre la vicina via Redipuglia cambiava aspetto, la Calzoleria si adattava ai tempi, continuando a dare dignità all’antica arte manuale, che richiede tempo, preparazione e grande cura per i dettagli. Così oggi, insieme a scarpe in cuoio, borse e cinture, si riparano e si creano anche le sneakers. E, tra la vetrina social e quella del negozio, con una tappa in tv, il lavoro non manca. A sinistra dell’ingresso, un po’ nascosto da un bancone moderno, c’è ancora il piccolo banchetto di legno dove Paolo Budroni, a 14 anni, ha iniziato a imparare il mestiere in una bottega del centro. «In mezzo c’era il maestro e intorno noi apprendisti. Ne abbiamo presi di rimproveri, ci divertivamo a piantare nel legno le semenze», racconta divertito mentre indica i buchi lasciati dai chiodini, ma ricorda bene anche la severità delle punizioni, così come le prime paghette.«Mi sono rimaste impresse, prendevo 4.500 lire a settimana e la prima mancetta è stata di 500». Quinto di 8 figli, al mestiere è stato spinto dalla madre. Paolo, però, i suoi di figli non ha voluto condizionarli. «Come genitore sono molto orgoglioso della loro scelta, ma non li ho invogliati io. Loro venivano d’estate a giocare e piano piano si sono appassionati». Mirko ha studiato all’Accademia Riaci di Firenze, dove ha appreso l’intero processo di creazione delle calzature, mentre Edoardo ha girato per il mondo, ultima tappa Australia. «Sono tornato perché la Sardegna ha un cordone ombelicale che tira a sé – dice – ma anche perché la passione per il mestiere era forte. In Australia queste realtà non esistono, ma aver imparato l’inglese è stato utile e ora possiamo spiegare bene il lavoro anche agli stranieri».Il rapporto con il cliente alla Calzoleria Budroni è fondamentale. «Il lavoro va raccontato in tutte le sue fasi. Il contatto diretto non si può perdere». I clienti sono soprattutto locali, ma ci sono anche tanti turisti. «La più grande soddisfazione – dice Paolo – è quando da Milano, per esempio, arrivano per darci un lavoro che altrove non sono riusciti a far fare». E tra i clienti d’eccezione anche George Clooney, che nel 2018 ha girato in Gallura Catch-22.i hanno contattato per sistemare i costumi di scena come i giubbotti degli anni ‘40 – ricorda Paolo –. Era tutto top secret, abbiamo lavorato a serrande abbassate». E sempre dal 2018 alla calzoleria, oltre alle riparazioni che rimangono l’attività principale, è iniziata la produzione propria di calzature. «Lavoriamo su commissione – dice Mirko –. Lo scopo è mantenere il nostro marchio e l’artigianalità, che richiede il giusto tempo e grande qualità. E cerchiamo di garantirla col lavoro di squadra e l’aggiornamento continuo». Tutti fanno tutto, ma ognuno è specializzato in qualcosa. Edoardo si occupa di riparazione sneakers e colorazione, Menica del restauro di borse e giubbotti vintage. «Ciò che conta – conclude Mirko – è mettere insieme le visioni e l’esperienza di ognuno per arrivare al miglior risultato possibile».Un modo di lavorare apprezzato dalla Lm Professional, importante azienda nel settore dei prodotti per la cura delle scarpe e del pellame, che nel 2024 ha scelto la Calzoleria Budroni come esempio di eccellenza insieme ad altre 12 botteghe italiane.

------

8.7.25

Compra un dipinto per 600 euro, poi scopre che è il capolavoro perduto di William Turner: venduto all'asta a oltre 2 milioni



a volte succede che le cose considerate cose di pocco conto o croste cioèa quadri vecchi, anneriti e squamosi, privi di valore artistico, o anche, più genericamete qualsiasi quadro senza pregio posso essere invece dei capolavori : poco conosciuti , ignoti , ipotetici d'artisti importanti come il capolavoro perduto di William Turner .


Compra un dipinto per 600 euro, poi scopre che è il capolavoro perduto di William Turner: venduto all'asta a oltre 2 milioni








Un capolavoro riscoperto di William Turner (1775-1851), uno dei più grandi pittori del Romanticismo inglese, ha raggiunto la cifra di 1,9 milioni di sterline (circa 2,166 milioni di euro) all'asta di Sotheby's a Londra. Il dipinto ha visto una concorrenza accanita tra quattro offerenti, prima che un collezionista privato del Regno Unito si aggiudicasse «The Rising Squall, Hot Wells, from St Vincent's Rock, Bristol» per oltre sei volte la sua stima massima di 300.000 sterline.
L'acquisto per "due soldi"
Uno dei primi dipinti a olio di Turner, e il primo mai esposto pubblicamente, è stato recentemente riscoperto dopo 150 anni. L'opera era stata venduta all'asta l'anno scorso per sole 400 sterline (circa 600 euro), a causa di un'errata attribuzione a un pittore sconosciuto. Il nuovo proprietario ha sicuramente vissuto la sorpresa della vita quando ha fatto pulire il dipinto, rivelando di nuovo la firma di Turner.
Il dipinto perduto
«The Rising Squall, Hot Wells, from St Vincent's Rock, Bristol» fu dipinto nel 1792, quando il celebre pittore romantico aveva 17 anni ed era ancora studente alla Royal Academy of Art di Londra. Il suo primo acquerello era stato esposto alla mostra estiva della Royal Academy nel 1790, quando Turner aveva appena 15 anni. The Rising Squall segnò una nuova pietra miliare: fu il primo dipinto a olio di Turner a essere esposto pubblicamente nello stesso prestigioso luogo, nella primavera del 1793, pochi giorni prima del suo 18º compleanno.
La vendita all'asta
«Cambia molto di ciò che sappiamo, o pensavamo di sapere, sul primo lavoro di Turner e sul modo in cui la sua tecnica e il suo stile si sono evoluti», ha detto Julian Gascoigne, specialista di Sotheby's, al quotidiano «The Guardian». «Sta cercando di capire il mezzo, ma porta tutta l'esperienza che aveva già come pittore di acquerelli nell’applicazione dell'olio». Al momento dell'asta alla casa Dreweatts di Londra l'anno scorso, il dipinto era caduto nell'oblio ed era stato erroneamente attribuito a un «seguace di Julius Caesar Ibbetson», pittore britannico del XVIII secolo, con una stima di 600-800 sterline, ma venduto per soli 400 sterline. Dopo la scoperta della firma di Turner sulla tela, il dipinto è stato analizzato dai massimi studiosi che hanno confermato la nuova attribuzione.
Il record d'asta per un dipinto di Turner è stato stabilito a Sotheby's Londra nel 2014, quando «Rome, from Mount Aventine» (1835) fu venduto per 30,3 milioni di sterline. Tra i soggetti interessati all'acquisto all'asta Sotheby's c’era il Bristol Museum and Art Gallery, che ha raccolto oltre 100.000 sterline da circa 1.450 donatori per acquisire l'opera, in una campagna di raccolta fondi durata cinque giorni che è stata definita «un risultato fenomenale». Purtroppo l'istituzione non è riuscita ad aggiudicarsi il lotto. I fondi raccolti saranno restituiti ai donatori.

7.2.22

Che senso ha comprare all’asta un oggetto che non si potrà mai toccare? certi collezionisti non li capisco

 

IL FIGLI O DI JOHN LENNON HA MESSO ALL’ ASTA DEI CIMELI DEL PADRE. MAGLI ACQUIRENTI LI POSSEDERANNO VIRTUALMENTE




Mi rendo conto dello stupore. Julian Lennon ha messo all’asta una serie di memorabilia dei Beatles (dal 7 febbraio), compresi il cappotto del padre John in Magical Mystery Tour e il mantello di Help!, ma solo come NFT, Non-fungible Token, ossia come beni di cui si ha la proprietà, ma che sono solo virtuali, o, come in questo caso, benché fisici, non passano mai nelle mani di chi compra. Che senso ha? Anche noi,
come Cambi, abbiano messo m in asta opere d’arte virtuali Nft. In quel caso, i proprietari possono guardarle su schermo. Mail punto è un altro. Può sembrare strano, ma già g in passato molti collezionisti compravano per la smania di possedere un’opera, non di toccarla. t Molti, non sapendo dove metterla, non la toglievano dall’imballo. Se valeva molto , la chiudevano in un caveau. Alt tri compravano per speculare. È vero però che i Nft attirano i nativi digitali. Meglio: quelli diventati ricchi con le criptovalute.

Spesso sono diventati ricchi. Ma non possono comprare casa con i bitcoin.

Viceversa i Nft si comprano solo con criptovalute. E sono un nuovo modo di investire. O di scoprire  l’arte: chi di loro avrebbe comprato una statua?

Manuale di autodifesa I consigli dell’esperto anti aggressione Antonio Bianco puntata n LX IMPARATE A “LEGGERE” IL LINGUAGGIO DEL CORPO

 Il linguaggio del corpo da solo non basta a prevenire femminicidi o violenze, ma può essere un segnale precoce utile se integrato con educ...