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20.9.25

diario di bordo n 148 anno III SERRENTI , Nonna e nipote unite da un ricamo e dal corso di Sa Grutta Nieddas ., 8 intinerari per scoprire l'isola a piedi ., SASSARI Tutti pazzi per i pacchi smarriti centinaia in fila per acquistarli Il contenuto è una sorpresa e si paga a peso, 2 euro all’etto., OLBIA Calzoleria Budroni, ogni scarpa una storia da oltre 50 anni: «I lavori top secret per Clooney...»


  unione  sarda    del  20\9\2025



         A Serrenti la tradizione diventa identità da tramandare. Luigia Madau, a 81 anni, ha realizzato interamente il ricamo per lo scialle del costume sardo di sua nipote Sara, dopo aver frequentato il corso organizzato dall’associazione culturale Sa Grutta Niedda.         L’idea di contribuire con le proprie mani alla realizzazione di un pezzo fondamentale dell’abito tradizionale della nipote era già nell’aria quando sua figlia Fatima, vedendo l’annuncio del corso, decide di iscriverla a sorpresa per permetterle di perfezionare un’arte che ha iniziato a mettere in pratica già dalla tenera età. «Io sono originaria di Ozieri – racconta Luigia – e all’epoca c’erano ancora moltissime sarte che ricamavano, ho iniziato a dieci anni, ho imparato da mia mamma e dalle altre sarte che permettevano a noi bambine di osservarle all’opera e di collaborare con delle piccole mansioni, come togliere le imbastiture. Da allora non ho mai smesso, mi sono sempre adoperata nella realizzazione degli abitini per i miei figli e in altri piccoli lavori».         Per portare a termine lo scialle è stato necessario quasi un anno di lavoro, a cui ha contribuito anche la nipote Sara. «Quando ho visto nonna alle prese con le frange – dice Sara Mallocci – ho voluto provare anche io. Grazie ai consigli di maestra Marinella, sono riuscita a realizzarle e ad applicarle tutte, completando così il lavoro». Un impegno assiduo, che l’ha tenuta incollata alla sedia dalle tre alle sei ore al giorno per oltre un mese, consentendole di ultimare lo scialle prima del rientro a scuola.         È un legame dalle radici profonde quello che unisce Sara alla tradizione della Sardegna. «Avevo 13 mesi quando ho sfilato per la prima volta con il costume sardo, da allora non ho mai smesso – dice Sara – tengo moltissimo a ogni parte del costume, che indosso sempre con orgoglio, e a tutto ciò che appartiene alla cultura sarda».
  Non sono tanti i ragazzi che condividono la passione di Sara: «Qualcuno mi dice che spendo soldi inutilmente per il costume sardo, che non ne vale la pena perché probabilmente quando sarò più grande smetterò di usarlo». Ma per l’associazione Sa Grutta Niedda, la sua dedizione è un esempio prezioso. «Il lavoro di Luigia e Sara dovrebbe essere di ispirazione per tanti altri giovani – dice Anna Maria Pezza, presidente dell’associazione – perché solo così la tradizione ha qualche possibilità di sopravvivere».         «È una tradizione ricca di simboli, colori ed eleganza. Durante i corsi i partecipanti imparano i gesti lenti e precisi del ricamo. Ho iniziato a insegnare proprio perché credo sia fondamentale tramandare quest’arte», commenta l'nsegnante del corso Marinella Serra, di Villanovaforru.

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 nuova  sardegna    19\9\2025




nuova  sardegna   19 e  20 \09\2025 

un ottima    idea  antispreco   quella  di mettere in  vendita  pacchi  smarriti e   forse  non reclamati  .  tanto  sarebbero   finiti  al macero   con spreco  di risorse  ed  inquinamento  inutile     per  smaltirli  


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 nuova  sardegna  online 20 settembre 2025 14:07

Antichi mestieriCalzoleria Budroni, ogni scarpa una storia da oltre 50 anni: «I lavori top secret per Clooney...»A Olbia la bottega gestita da padre e figli: «La soddisfazione? Quando ci commissionano riparazioni dal resto d’Italia perché non ci sono botteghe così altrove»

di Carolina Bastiani

Olbia «Ho scoperto che Babbo Natale non esiste dalle scarpe». E questo già la dice lunga sulla passione che regna nella Calzoleria al civico 9 di via Cesare Battisti a Olbia, a Sa Rughe, il vecchio quartiere dei pescatori.Protagonista dell’aneddoto uno dei figli di Paolo Budroni, titolare dell’attività dal 1983 e calzolaio da oltre 50 anni, che a 9 anni ha capito guardando le scarpe che quello travestito da Babbo Natale era un amico del padre. Sì, perché Mirko Budroni, classe 1995, il pallino ce l’ha da sempre ed è lì che gli cade subito l’occhio. Per questo, insieme al fratello minore Edoardo che condivide la sua stessa passione, ha deciso di mandare avanti l’attività di famiglia, dove lavora anche la madre Menica Sanna.È una vera e propria bottega la Calzoleria Paolo Budroni, di quelle ormai rare anche in Italia, dove l’artigianalità si respira insieme al profumo della pelle. Si lavora su misura con macchinari all’avanguardia e prodotti di qualità e al cliente si spiega ogni fase della lavorazione e della riparazione.E mentre la vicina via Redipuglia cambiava aspetto, la Calzoleria si adattava ai tempi, continuando a dare dignità all’antica arte manuale, che richiede tempo, preparazione e grande cura per i dettagli. Così oggi, insieme a scarpe in cuoio, borse e cinture, si riparano e si creano anche le sneakers. E, tra la vetrina social e quella del negozio, con una tappa in tv, il lavoro non manca. A sinistra dell’ingresso, un po’ nascosto da un bancone moderno, c’è ancora il piccolo banchetto di legno dove Paolo Budroni, a 14 anni, ha iniziato a imparare il mestiere in una bottega del centro. «In mezzo c’era il maestro e intorno noi apprendisti. Ne abbiamo presi di rimproveri, ci divertivamo a piantare nel legno le semenze», racconta divertito mentre indica i buchi lasciati dai chiodini, ma ricorda bene anche la severità delle punizioni, così come le prime paghette.«Mi sono rimaste impresse, prendevo 4.500 lire a settimana e la prima mancetta è stata di 500». Quinto di 8 figli, al mestiere è stato spinto dalla madre. Paolo, però, i suoi di figli non ha voluto condizionarli. «Come genitore sono molto orgoglioso della loro scelta, ma non li ho invogliati io. Loro venivano d’estate a giocare e piano piano si sono appassionati». Mirko ha studiato all’Accademia Riaci di Firenze, dove ha appreso l’intero processo di creazione delle calzature, mentre Edoardo ha girato per il mondo, ultima tappa Australia. «Sono tornato perché la Sardegna ha un cordone ombelicale che tira a sé – dice – ma anche perché la passione per il mestiere era forte. In Australia queste realtà non esistono, ma aver imparato l’inglese è stato utile e ora possiamo spiegare bene il lavoro anche agli stranieri».Il rapporto con il cliente alla Calzoleria Budroni è fondamentale. «Il lavoro va raccontato in tutte le sue fasi. Il contatto diretto non si può perdere». I clienti sono soprattutto locali, ma ci sono anche tanti turisti. «La più grande soddisfazione – dice Paolo – è quando da Milano, per esempio, arrivano per darci un lavoro che altrove non sono riusciti a far fare». E tra i clienti d’eccezione anche George Clooney, che nel 2018 ha girato in Gallura Catch-22.i hanno contattato per sistemare i costumi di scena come i giubbotti degli anni ‘40 – ricorda Paolo –. Era tutto top secret, abbiamo lavorato a serrande abbassate». E sempre dal 2018 alla calzoleria, oltre alle riparazioni che rimangono l’attività principale, è iniziata la produzione propria di calzature. «Lavoriamo su commissione – dice Mirko –. Lo scopo è mantenere il nostro marchio e l’artigianalità, che richiede il giusto tempo e grande qualità. E cerchiamo di garantirla col lavoro di squadra e l’aggiornamento continuo». Tutti fanno tutto, ma ognuno è specializzato in qualcosa. Edoardo si occupa di riparazione sneakers e colorazione, Menica del restauro di borse e giubbotti vintage. «Ciò che conta – conclude Mirko – è mettere insieme le visioni e l’esperienza di ognuno per arrivare al miglior risultato possibile».Un modo di lavorare apprezzato dalla Lm Professional, importante azienda nel settore dei prodotti per la cura delle scarpe e del pellame, che nel 2024 ha scelto la Calzoleria Budroni come esempio di eccellenza insieme ad altre 12 botteghe italiane.

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21.7.25

Gli uomini acetteranno un ruolo femminile ? Appello agli uomini per imparare l’uso del telaio. Poche le artigiane rimaste


Da
La Nuova Sardegna
Nuoro 19.7.2025

La tradizione   I tappeti di Sarule rischiano di scomparire, l’arte tessile cerca nuove mani: anche 
Appello agli uomini per imparare l’uso del telaio. Poche le artigiane rimaste
                                                di  Luca Urgu
     

Sarule C’era un tempo - ormai lontano - in cui bastava percorrere le strade di Sarule per sentire il suono del pettine in legno sul telaio. Raccontano che in paese ce ne fosse praticamente uno in ogni casa. Di una tipologia particolare, quello verticale. Una rarità nell’area del Mediterraneo. Ebbene, quello era rumore sordo e ripetitivo che accompagnava il lavoro - quasi a dettarne il ritmo - delle tessitrici. Una sorta di colonna sonora, una musica scesa oggi notevolmente di decibel. Eppure l’arte del tappeto della burra sarulese resiste grazie alle artigiani che si contano sulle dita di una mano. Animate dalla grande passione per un’arte antica che ha i suoi colori, trame che rimandano alla tradizione. Un mondo affascinante dove negli ultimi anni i designer guardano con sempre maggiore interesse e allo stesso
tempo l’universo dell’arte. Ora a lavorarci per creare la burra, il famoso e pregiato tappeto di Sarule interamente realizzato con la lana di pecora, sono rimaste in poche.
Carmela Brandinu, 56 anni, è una di loro. La donna racconta la sua infatuazione per la tessitura, un amore mai sopito malgrado negli anni, le vicende e le fortune legate a quest’arte siano state alterne. «Si, io ho iniziato da piccola, ho imparato da ragazzina, Poi ho continuato un corso all'Isola, ho lavorato nella cooperativa che esisteva in paese e al centro pilota. Quando questa esperienza si è conclusa ho continuato in privato», racconta l’artigiana che ha anche indossato l’abito di insegnante nei corsi realizzati in paese dalle amministrazioni comunali. «La passione per fare il tappeto è sempre viva, perché è un'arte che una volta che si impara non si dimentica e ci si augura sempre di tramandare alle nuove generazioni». Le ultime amministrazioni comunali hanno realizzato dei corsi seguiti da una dozzina di persone.


Altri contributi stanno arrivando dal Gal Barbagia Mandrolisai. «Siamo pochissime a saper lavorare la burra. Io e la mia amica siamo tra le più giovani. Sarebbe un peccato disperdere questo patrimonio di conoscenze», dice Carmela che insieme al figlio Fabio, ha costituito una cooperativa “Il telaio”. E apre al mondo maschile che storicamente sia a Sarule che anche negli altri centri storici della tessitura, non ha mai partecipato come forza lavoro. Insomma una sorta di parità di genere da telaio che abbatta nuove barriere. «Certo che si. Può essere anche un lavoro fatto da un ragazzo, l'importante è che abbia la passione di lavorare al telaio, di stare sempre seduto, di imparare tutti i meccanismi del tessere. Ben vengano gli uomini sono bene accetti», rimarca Carmela Brandinu.
Per il sindaco di Sarule Maurizio Sirca l’apertura verso l’universo maschile dall’artigiana è intrigante. «Sicuramente scardina un po' la visione del lavoro di genere è un'apertura interessante da guardare di buon occhio. Segno di una società che cambia e dove i ruoli diventano sempre più intercambiabili e complementari anche nel mondo delle professioni», dice il primo cittadino. «L’obiettivo è comune e per raggiungere il risultato serve un fronte compatto e trasversale. Ben venga la collaborazione tra uomini e donne. La speranza da sarulese è che questo appello venga raccolto con curiosità ed entusiasmo. In effetti sono i requisiti che servono per preservare e far vivere sempre con maggiore forza un’attività secolare evitando che scompaia e che possa generare reddito. A questo punto possiamo dire grazie alle donne ma a questo punto speriamo in un futuro di poter di rivolgere lo stesso rimngraziamento agli uomini che hanno creduto e investito in questa nobile e straordinaria arte», ha concluso Maurizio Sirca.


per chi volesse aprofonire
https://sardinias.it/guida/tappeti-sardi

1.7.25

Una galleria d’arte per cambiare vita., La biblioteca di Chiaramonti? Si sposta al mercato La biblioteca di Chiaramonti? Si sposta al mercato Un incontro tra libri, ambiente e comunità per comunicare iniziative di lettura

  fonti unione  sarda  e  nuova  sardega  del 1\7\2


C’è una nuova luce tra le pietre secolari di Villasalto: è quella che filtra dal grande portone di Su Crociu e accende le sale dell’ex falegnameria diventata “Sa Buttega”, galleria d’arte contemporanea nata dall’iniziativa di Angelica Manca e del marito Paul Frank Wagner, una coppia che si è trasferita in paese dagli Stati Uniti. Un progetto di vita prima ancora che culturale, cominciato con l’acquisto dell’immobile nel gennaio 2023, un anno di restauro meticoloso e il t
rasferimento definitivo nel febbraio 2024
La scelta
«Desideravamo un paese raccolto e autentico, ricco di tradizioni, un luogo da poter chiamare casa e dove dare radici a nostro figlio Kai, di 11 anni», dice Angelica Manca. L’incontro con Villasalto è stato un colpo di fulmine: l’edificio, incastonato fra le strade acciottolate a pochi passi da piazza Italia, custodiva ancora i segni del suo passato artigiano. «Attraverso il grande portone si accede a un cortile rigoglioso, ogni pietra porta i segni del tempo come se custodisse storie dimenticate». Da qui l’idea di un restauro rispettoso — pietra locale e làderis di terra cruda — che conservasse la memoria del luogo trasformandolo in spazio culturale aperto. “Sa Buttega” oggi vuole essere «un punto di riferimento, prima per Villasalto e poi per il Sud Sardegna, dedicato alla condivisione, alla creatività e alla valorizzazione delle identità locali». Mostre, laboratori e residenze d’artista si intrecceranno con le feste del paese: la sagra di Santa Barbara, Su Sinnadroxiu dove il latte diventa formaggio, Is Animeddas coi suoi scambi di dolci. L’obiettivo è «usare il linguaggio universale dell’arte per raccontare l’autenticità».
La comunità
«Siamo stati accolti dalla popolazione e dalla pubblica amministrazione, entrambe entusiaste delle nostre idee» raccontano, aggiungendo di sentirsi «specchi e finestre»: specchi che riflettono la bellezza già presente, finestre che la collegano al mondo esterno. Uno dei momenti più significativi è quando il figlio Kai, dieci anni all’arrivo, ha colto l’essenza del progetto: «Mamma, ora capisco perché siamo venuti a vivere qui. Se non ricordiamo la bellezza di questo luogo, rischia di essere dimenticata per sempre». Guardando avanti, la posizione strategica di Villasalto — porta del Gerrei a mezz’ora da Cagliari — può attrarre viaggiatori in cerca di esperienze genuine. «Oggi, più che mai, abbiamo bisogno dell’autentico». Radicati in un paese «ricco delle cose essenziali: tradizioni, cultura, amicizia, ospitalità e solidarietà », i Manca non pensano ad altri traslochi: «Villasalto è diventata la nostra casa ».

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La biblioteca di Chiaramonti? Si sposta al mercato



Un incontro tra libri, ambiente e comunità per comunicare iniziative di lettura soprattutto sui temi dell’ecologia e della sostenibilità

Chiaramonti Ha riscosso un notevole successo venerdì mattina la prima giornata dell’iniziativa “La biblioteca al mercato”, svolta nel mercato rionale in piazza Costituzione nell’ambito del progetto “Impronte leggere – Un passo alla volta per cambiare il mondo” promosso dalla biblioteca comunale in collaborazione con lo Sbangl (Sistema bibliotecario dei Comuni dell’Anglona e della Bassa Valle del Coghinas), la Comes (Cooperativa mediateche sarde) e l’Unione dei Comuni dell’Anglona.
Un incontro tra libri, ambiente e comunità per comunicare iniziative di lettura soprattutto sui temi dell’ecologia e della sostenibilità. Un’occasione anche per divulgare le attività della biblioteca e coinvolgere il maggior numero di persone. «All’inizio ero un po’ scettica _ ha detto la responsabile Caterina Marrone _, invece le persone hanno risposto benissimo. Nonostante il caldo, in tante si sono avvicinate al nostro banchetto, chiedendo informazioni e suggerimenti di lettura per l’estate. Molte hanno preso libri in prestito e abbiamo addirittura fatto nuove iscrizioni». L’iniziativa della biblioteca al mercato, che in diversi luoghi è già una consuetudine consolidata e si accompagna ad altre iniziative delle biblioteche appartenenti allo Sbangl per il progetto “Impronte leggere” (dai laboratori eco di Laerru a quelli di Bulzi e Tergu), è stata anche occasione per distribuire la “Guida ai servizi” con una breve storia della biblioteca, ora al numero 16 di via Vittorio Emanuele, e una descrizione di tutte le attività adatte a qualsiasi tipo di lettore, da quello tradizionale a quello più social e interattivo. Per info: tel. 079 568025; e mail chiaramonti@sbangl.it - o  bibliochiaramonti@tiscali.it, su Facebook e Instagram. 


26.5.25

Addio al nonnino dei presepi: Zio Teuccio muore a 102 anni


  da  la nuova  sardegna 





                                         Zio Teuccio muore a 102 anni

Aglientu Aveva compiuto 102 anni lo scorso 25 marzo Matteo Cassoni, per tutti Zio Teuccio, il maestro dei presepi di Aglientu. La sua morte rappresenta la scomparsa di una delle memorie storiche del paese gallurese, nonché di un vero e proprio riferimento artistico. Zio Teuccio, scomparso oggi, lunedì 26 maggio, per oltre ottanta anni ha realizzato i suoi grandiosi presepi nella casa dove abitava insieme alla figlia e al genero, di fronte alla piazza centrale di Aglientu. Per tutti era un vero onore essere invitati ad ammirare le sue creazioni per le quali, sino a pochi anni fa, realizzava da solo anche casette e arredi in sughero.
Nelle ultime interviste e chiacchierate ricordava di quando andava per le campagne di Aglientu a cercare pezzi di sughero e di legno da lavorare. E poi di quando, ormai anziano, erano gli altri a portargli rami, radici e scorze da intagliare. Oggetti che hanno viaggiato per il mondo: tanti sono stati regalati e spediti ad amici, parenti e conoscenti. Un legame non solo creativo, con la rappresentazione della natività, ma di vero sentimento. Così, ogni volta che zio Teuccio si è recato a Rieti per trovare la figlia che lì risiede, non perdeva occasione per recarsi a Greccio, la località dove San Francesco d'Assisi rappresentò per la prima volta la nascita di Gesù.
Zio Teuccio è stato anche un assiduo lettore: ogni mattina comprava il giornale e il pomeriggio, dopo pranzo, si sedeva al tavolo della cucina per sfogliarlo. La sua vita, insieme a quella degli altri centenari di Aglientu, ha rappresentato la memoria storica del paese nelle vicende locali e nazionali. Nato nel 1923, ricordava la guerra, la costituzione del Comune di Aglientu (con l’autonomia da Tempio), la sua vita da operaio muratore, con la nascita del turismo lungo il litorale e le tante case e villette che lui stesso aveva contribuito a costruire. Il suo lascito è soprattutto nel suo presepe: è sempre stata la sua opera a ispirare la Pro Loco di Aglientu, con il suo presidente Quinto Zizi, nella realizzazione del grande presepe che ogni Natale abbellisce la piazza centrale, di fronte alla chiesa parrocchiale dedicata proprio al santo di Assisi. Zio Teuccio ha portato avanti la personale tradizione fino allo scorso Natale, con quella che non sapeva sarebbe stata la sua ultima opera.

26.3.25

Licénziato durantela pandemia si è reinventato mago del design Sassari Livio Lai era un informatico, oggi è un creatore di successo

 da   la nuova  sardegna    del 26\3\2025

 Sassari È nei momenti di difficoltà, quando tutto sembra andare storto, che spesso si riescono a trovare risorse inaspettate e soluzioni che cambiano per sempre la vita. È quello che è successo al sassarese Livio Lai, un omone alto due metri con le mani enormi ma leggere, che riescono a danzare sulla carta e sul sughero e a creare oggetti d’artigianato raffinati ed eleganti. Livio Lai ha 55 anni e la sua è una storia di rinascita e riscatto, la testimonianza vera e diretta che non bisogna mai darsi per vinti, perché a volte, la soluzione dei problemi è sotto ai nostri occhi e non ce ne accorgiamo finché non ci troviamo con le spalle al muro. Nel 2020, in piena pandemia, Livio è stato licenziato in tronco. Di colpo, da geometra specializzato in informatica, con moglie e tre figli a carico, si è ritrovato senza un lavoro. Una condizione che avrebbe messo in ginocchio chiunque.


 Lui, invece, dopo lo choc iniziale, si è guardato intorno, ha ragionato con sua moglie Claudia Melis, e ha capito che la soluzione ai suoi problemi sarebbe passata attraverso il suo amore per l’artigianato. Una passione ereditata dal nonno Antonio Senes, carabiniere intagliatore, e portata avanti sin da ragazzo, quando giocava a basket perché era alto 2 metri e 02, e uno sport doveva pur farlo, ma il suo istinto lo spingeva a lavorare con gli oggetti, a cucire, a intagliare.

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Le sgorbie da intagliatore del nonno e la macchina per cucire Singer della nonna sono così diventati i suoi nuovi strumenti di lavoro. Dalla famiglia, da suo nonno e dalle sue due nonne è così arrivata una risposta alla crisi.
Nei primi giorni di pandemia, dopo avere realizzato a mano alcune mascherine artistiche per familiari e amici, con materiali di qualità e un design originale (le mascherine hanno un doppio profilo: il suo e quello della moglie), ha iniziato a ricevere tantissime richieste. A quel punto Livio ha iniziato a produrle in grandi quantità, anche per grandi imprese, trasformando le mascherine nel suo primo business artigianale.


Ma il vero salto di qualità, l’ex geometra lo ha fatto portando in fiera i suoi lavori di artigianato moderno, dai tessuti (cuscini, runner, tovaglie), ai quadri tridimensionali, con maschere sarde ricavate piegando la carta di cotone o con tappi di sughero intagliati.«Ho aperto la partita Iva poco prima della mezzanotte, giusto in tempo per iscrivermi alla fiera di Mogoro nel 2021 – racconta con orgoglio Livio –, ho portato tutto ciò che avevo prodotto fino a quel momento e ho venduto tutto, anche l’oggetto più piccolo. Un successo che mi ha fatto capire di essere sulla strada giusta».Livio Lai, nell’aprile 2023, ha aperto il suo laboratorio, che funge anche da spazio espositivo, in via Torre Tonda. Entrare in quel locale antico è come immergersi nell’arte di questo artigiano che trasmette calma e passione per il dettaglio. Ogni suo oggetto è frutto di un pensiero, di un ragionamento. Usa tessuti della tradizione, come l’orbace del cappotto della nonna, per creare oggetti dall’uso completamente diverso, come tovaglie. Oppure, recupera tessuti fatti al telaio e corredi antichi, per realizzare cuscini o tovaglie.
La maschera di carta di cotone piegata è frutto «di una ricerca durata anni, ancora prima della pandemia», spiega Lai, il design richiama chiaramente le maschere sarde, ma ha una sua sintesi stilistica che la rende unica e riconoscibile. Così i tappi di sughero intagliati, usati anche per comporre quadri con figure geometriche, dove le ombre creano dinamicità e movimento. «Ordino i tappi direttamente dai produttori e devo lavorarli quando sono ancora umidi ed elastici - racconta Lai - perché una volta che induriscono è impossibile intagliarli».Le opere di Livio Lai sono in vendita principalmente nel suo atelierdi Sassari, ma si possono trovare anche in diversi negozi di artigianato in diverse località della Sardegna. Inoltre, continua a partecipare alle fiere, da Mogoro a Milano, portando avanti il suo progetto. Nel laboratorio di via Torre Tonda, giorno dopo giorno, pezzo dopo pezzo, Livio Lai riscrive la propria storia di rinascita.


23.3.25

DIario di bordo 110 anno Ⅲ «Alla trap preferisco su mutetu» Luca Panna, giovane cantadori professionista: «Amo le tradizioni» ., Andrea e Chiara: «Noi, fratelli senza saperlo» Nati dalla stessa madre, si sono incontrati un anno fa: «Ora siamo inseparabili»


 da  l'unione sarda di  oggi


La passione è scoppiata con un “trallallera”. Luca Panna 36 anni, cantava sul carro della festa di San Giovanni e da lì ha capito che la musica sarebbe stata la sua strada. Ma non il rap o la trap, bensì “su mutetu” e “sa cantada”, «perché io amo la Sardegna e il mio obiettivo è conservare e tramandare le tradizioni». Da allora Panna ne ha fatta di strada diventando il più giovane cantadoris professionista in città e vincendo, proprio con un mutetu scritto da lui, la prima edizione del Premio Città di Quartu, organizzato dall’Accademia della lingua sarda campidanese.
La passione
«Sono appassionato di cavalli e qualche anno fa, partecipando alla festa di San Giovanni, ho cantato i “trallallera” e mi sono sentito felice. Poco tempo dopo ho accompagnato un mio amico nella sala prove del cantautore Tonio Pani, dove c’erano altri cantadoris, tutti per lo più anziani, e quando ho sentito la metrica de su versu ho iniziato a cantare. Poi hanno cantato un mutetu longu e l’ho visto come una sfida, volevo fare quel tipo di componimento». Così Luca comincia a studiare, a lavorare sulla memoria e a diventare sempre più bravo. «All’inizio mi sentivo un po’ a disagio tra persone più esperte di me, ma piano piano mi sono inserito».
Le prime sfide
L’esordio è nel 2019 alla festa di Santa Maria a Quartu. «Con il versus semplice improvvisato». Il mutetu longu arriva dopo, «a Cagliari in piazza San Michele quando avevo 32 anni. Ero molto emozionato e ancora mi vengono i brividi se ci penso. Ero con Tonio Pani, Eliseo Vargiu e poi Simone Monni e Luigi Zuncheddu che sono giovani anche loro ma di Burcei. Avevo paura di salire sul palco, di andare in black out, mi tremavano le gambe». Dopo però diventa tutto più facile e arrivano le esibizioni in varie parti della Sardegna. «Su mutetu è improvvisazione costante. I miei versi sono quasi sempre dedicati alla Sardegna». Ma non mancano altri temi come quelli del rispetto per le donne, «ho parlato di una tela pittorica e delle rose perché le donne sono belle come quadri e vanno protette come le rose. Un rispetto che purtroppo sta venendo a mancare».
Le radici
Oggi Luca Panna, di professione tornitore e saldatore, canta ogni volta che può: «Ogni tanto mi chiedo chi me lo faccia fare, sono super timido e questo è un mestiere che richiede tanti sacrifici». Ma le radici non si possono recidere. «In casa dei nonni hanno sempre parlato in sardo e devo ammettere che leggendo vecchie cantade mi sto rendendo conto che il mio è già un sardo moderno che sto cercando di correggere. Sto recuperando termini che non si usano più e cerco di eliminare gli italianismi». E in casa ha già gli eredi. «Miei figli hanno 4 e 5 anni e già mi hanno fatto da contra, da coro. A loro cerco di tramandare l’importanza delle tradizioni».


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Andrea e Chiara: «Noi, fratelli senza saperlo» Nati dalla stessa madre, si sono incontrati un anno fa: «Ora siamo inseparabili» 


 Ci sono legami che nascono nel sangue, ma vengono scoperti solo con il tempo.Andrea Bellini e Chiara Balistreri sono fratello e sorella, cresciuti ignari l’uno dell’esistenza dell’altra, finché un messaggio non ha cambiato tutto. Chiara, 22 anni, bolognese, è diventata simbolo di resilienza e coraggio. La sua storia ha fatto il giro dell'Italia, raccontata in più occasioni a Verissimo , dopo aver denunciato le violenze subite dall'ex compagno, arrestato a novembre di quest’anno in Romania.
Casualità
Andrea ha 25 anni, è di Monserrato e studia Infermieristica. Tra turni di volontariato nel 118 e la passione per le moto, non avrebbe mai immaginato che un giorno avrebbe scoperto di non essere figlio unico. Aveva 17 anni, fu sua madre a rivelarglielo, quasi per caso. «Tutto è nato da uno stupido discorso, le chiesi se mio padre avesse ancora i capelli, confermò e mi chiese se lo volessi vedere, le dissi di no. Poi mi disse di Chiara» racconta Andrea. Ci vollero sette anni prima che trovasse il coraggio di contattarla. «Avevo bisogno di risposte». Così, il primo maggio 2024, decise di scrivere a quella sconosciuta su Instagram: «Dovremmo essere figli dello stesso padre, se ti va ne possiamo parlare». L’attesa fu breve, dopo 40 minuti, la risposta arrivò: «Perché dovrei crederti?». Scetticismo, dubbi, paura di una verità troppo grande. Poi i pezzi iniziarono a combaciare: la famiglia di lei a Cagliari, la somiglianza fisica, ed infine il nome del padre.
La videochiamata
Il giorno dopo si guardarono negli occhi per la prima volta, attraverso lo schermo di un telefono. La videochiamata durò più di due ore. Tra sorrisi incerti, Andrea e Chiara smisero di essere due estranei. «Non è da me, ma ho nutrito dal primo istante una profonda fiducia. Sembrava ci conoscessimo da sempre», ricorda, ancora emozionato. Due vite parallele: «Siamo cresciuti con due madri lavoratrici, che si sono fatte il mazzo per darci una vita migliore» e due caratteri complementari, lui più riservato, lei più estroversa.
Il primo incontro
A ottobre, il primo incontro a Cagliari. «Chiara conosce bene la città, ogni estate va a trovare la nonna». Stavolta, però, c’era un motivo in più per tornare. «Abbiamo passato più tempo possibile insieme, adesso ci sentiamo quasi ogni giorno». Nella vita della ragazza incombe un’ombra pesante: una relazione tossica che si è trasformata in un incubo. Aveva 14 anni quando ha incontrato quello che credeva essere il primo amore. L’affetto si è presto tramutato in controllo, la gelosia in ossessione. Poi, il primo schiaffo. E da lì, il baratro. Per anni ha sopportato, intrappolata nella paura e nell’illusione che qualcosa potesse cambiare. Ma la violenza non si ferma da sola. A 22 anni, dopo un’aggressione brutale che l’ha mandata in ospedale, ha trovato la forza di denunciare. «Quando l’ho saputo erano passati due anni, mi sono sentito impotente» confessa Andrea. «Avrei voluto proteggerla, impedire che accadesse. Se ci fossimo conosciuti prima, avrei fatto di tutto. Forse è successo solo ora perché non eravamo ancora pronti».
Il futuro
Andrea e Chiara non sanno cosa riserverà loro il futuro, ma un sogno c’è: vivere più vicini. «Siamo molto impegnati, io con lo studio e il 118, lei con il lavoro. Ma troviamo sempre il tempo l’uno per l’altra. Sono il suo primo fan, anche a distanza».Un legame sospeso per anni, un passato da ricostruire e un futuro da scrivere insieme.

9.12.18

non fai il presepe e t'attaccano fai il presepe e ti attaccano cazz boh . il caso de "Il presepe dei profughi", nel Barese bufera sulla Natività di denuncia


per  approfondire   e  ecco  alcuni siti   da me    visitati  per    questo  articolo  




la gente dimentica che le tradizioni sono soggette ad oralità e quindi si modificano con le generazioni . ecco perchè io sostengo e concordo con quiesto sindaco ed i creatori di questo preseppe. Infatti : << (...) Generalmente, le tradizioni furono accettate dai più sempre acriticamente e talvolta anche senza un consapevole riferimento al contenuto storico dell'evento. Questo spiega la loro fragilità e, quindi, la loro dimenticanza. Anzi, alla crisi delle tradizioni, hanno concorso diversi fattori, quali le rapide trasformazioni di una società costantemente in evoluzione, l'individualismo, l'intellettualismo, gli influssi estranei di altre culture e civiltà  ( .... continua  in questo interessante articolo di  http://www.vastospa.it ) .. Va  bene  le  tradizioni   fanno parte  della  nostra   identità  , ma  essendo    come  già detto  prima    derivate  da  cultura  orale    è pressochè  impossibile      che  rimangano   fisse ed immutabili  in eterno  .  quindi    sempre  secondo   lo stesso  artiocolo  citato  prima  : <<  (....)  È un processo lento di recupero che deve partire da un risveglio spirituale, da una verifica introspettiva delle coscienze, da una ricerca di nuovi rapporti umani, basati sull'amore e sulla umiltà. 
A conclusione, noi confermiamo di voler credere fortemente nelle tradizioni, consapevoli che esse, allorché rispolverate ed adattate opportunamente alle attuali esigenze, continueranno a farci capire bene il passato, interpretare adeguatamente il presente, precostruire prudentemente il futuro. >>
Queto  presepe   in  cui  


"Il bambino nasce nel mare, dove con Giuseppe e Maria, profughi, non accolti da nessuno vive l’esperienza che molti migranti affrontano nel nostro Mar Mediterraneo. E il mare di plastica a fare da sfondalla Natività è un grido dall'allarme contro l'inquinamento". 

"Il presepe dei profughi", nel Barese bufera sulla Natività di denuncia

Ad Acquaviva delle Fonti, in provincia di Bari, il comitato Feste patronali ha realizzato un presepe di denuncia con il sostegno dell'amministrazione comunale. Non sono mancate le polemiche dei "tradizionalisti", sui social e sui quotidiano di destra la provocazione è stata definita come "ridicola". Replica il sindaco Davide Carlucci: "Vi sarebbe piaciuto vietare questa installazione, vi sarebbe piaciuto dar sfogo a pruriti fastidiosi. Ad Acquaviva c'è ancora la libertà, c'è ancora la democrazia. Fatevene una ragione"

25.9.18

nonostante la modernità la nostalgia del passato la fa ancora da padrone . il caso della foto dell'asino davanti alla banca foto scattata a foggia nel 2017 ed ancora virale

questa news mi  fa  ritornare  in mente ed  mi ha  fatto  scegliere  il titolo  del post  d'oggi   ,  è  dispersa   da qualche   parte  a casa ma  appena  la trovo  la metto  , una  fotro scattami  a  3  anni  a cavalo all'asino  a  Cuglieri  paese  di nonna materna  .
Parcheggia l’asinello e va in banca: la foto diventa virale
(credits photo: lavocedimaruggio.it)
 Il mix di tradizione contadina e finanza informatica, immortalato dalla fotografia scattata da un passante nel 2017, ha talmente affascinato il popolo del web che, dopo più di anno, gli utenti continuano imperterriti a ricondividere l’immagine. Voglia di riscoperta delle nostre antiche origini campagnole, celebrazione di una ritrovata mobilità ecologica o semplice sfottò virale sulla persistenza di stili di vita d’altri tempi nella modernità? Il successo della foto potrebbe diventare presto oggetto di una vera e propria indagine sociologica.
Lo scatto in questione è stato pubblicato su Facebook il 28 aprile del 2017


dalla pagina 'Inchiostro di Puglia', ma per qualche strano motivo e per le 'folli' dinamiche dei social, soltanto negli ultimi giorni è stato ripostato da migliaia di utenti, attirando l'attenzione di moltissimi quotidiani online.
“La Puglia è uno stato d'animo”, scrivevano nel commento gli admin della pagina Facebook. Guardando questa foto è difficile dargli torto.

Infatti secondo https://www.105.net/news/tutto-news/ pare proprio che la foto scattata a Cagnano Varano, in provincia di Foggia, sia piaciuta a tanti.Il protagonista dell’immagine è un asinello legato nei pressi della banca del paese.
Il proprietario deve aver pensato di ‘parcheggiare’ lì l'asinello per andare a ritirare i soldi allo sportello. Insomma, assistiamo a un mix perfetto fra ruralità e tradizione, in cui la finanza incontra, forse, un desiderio di tornare alle origini e recuperare l’amore per i ‘bei vecchi mestieri di una volta’.
Qualunque sia il significato dello scatto datato 2017, il popolo del web l’ha davvero apprezzato.

11.6.18

la doppia medaglia della cultura food il caso della pasta filindeu e di Paola Abraini . preservare \ manmtere viva la tradizione mna allo stesso farla diventare moda standardizzandola

Sardegna.Simbolo incontrastato di sole, mare, divertimento e vacanze estive. Ma la  Sardegna non è solo coste dorate e mari incantati, meta di turisti festanti e vip dal soldo facile.  Infatti  come  dico   d'anni    qui su  queste  pagine  ed  a  voce   ad  amici\che   social  \ telematici (   quelli  che  un  tempo .  scusatemi per  la nostalgia  ma  in questi giorni lo  sono particolarmente 😞😟 ,  non troppo  lontano ma  lontano tecnologicamernte    si  chiamavano amici  di carta&penna )     del continente  , ehm ,  della penisola  ,   che  essa  è anche  quella dei  paesi arroccati ,  a  rischio  spopolamento   o ripopolamento   stranieri    del nord  europa  , dove si respira ancora un’atmosfera antica, raccolta, familiare, e dove le abitudini secolari vengono conservate e tramandante con orgoglio e sapienza.
su filindeuCosì è Nuoro, ed  tutte le  zone  dell'interno (  ma non solo  )  e così sono i gesti di Paola Abraini che, come raccontato all’inviato della BBC, Eliot Stein.
Paola, come dicono in paese e come riporta questo articolo ( da  cui  ho preso  la  foto  chge  trovate a destra   ovvero il risultato finale dei  filindeu ) dal sito www.dissapore.com/ si è stancata, infastidita del clamore improvviso nato attorno a questa rocetta, trasformata da ristoro per pellegrini a nuovo caso di “Instagram food”, il cibo alla moda che i food blogger ostentano sul social network delle immagini.Ora che  tale  pasta ed  il cammino  religioso  ad essa legata  sia diventato un rito paganizzato e amato dai turisti non è per forza negativo, anzi, ha aiutato a preservare una tradizione religiosa dall’oblio, dall’abbandono.   << Un  >>   -- come dice   quest'altro articolo  di dissapore.com  --   << Con l’aiuto dell’Arca del Gusto di Slow Food, >> e  con la  rete   che  ne  ha  riprodotto le  fasi della lavorazione    



 << che ha inserito i su filindeu tra i 4000 piatti o ingredienti a rischio di estinzione, perché, come scrive il giornalista Simran Sethi, “ciò che non mangiamo sparisce”, e ormai tre quarti del cibo mondiale proviene da appena 12 piante e 5 specie animali.Un rischio elevato per i filindeu che potrebbero scomparire inghiottiti dall’indifferenza e dalla complessità della preparazione che richiede anni di pratica per essere padroneggiata.  >> Infatti  

dal  corriere  della  sera https://www.corriere.it/cronache/16_ottobre_26/
 [...  ] Nessun laboratorio, il filindeu è fatto soltanto in casa, sul tavolo di cucina. Paola Abraini, 62 anni, lavora e parla: «Avevo 16 anni ed ero fidanzata fresca di Antonio — il marito è lì che conferma con un cenno —, mia suocera Rosaria mi voleva bene: “Guarda come si fa”. Ho imparato subito e non ho mai smesso». Su (il) filindeu si preparava due volte l’anno per la festa grande di Nuoro, San Francesco di Lula. A ottobre, ma soprattutto a maggio per la novena e il pellegrinaggio, legato a riti e leggende. Prima fra tutte quella sul santuario, fatto costruire nell’Ottocento a 34 chilometri da Nuoro per «grazia ricevuta» da un bandito assolto in tribunale da un delitto. Da allora migliaia di persone percorrono a piedi la strada da Nuoro al santuario e la festa va avanti per nove giorni, fra preghiere, balli tradizionali e fiumi di vino rosso. Si comprano e vendono greggi e cavalli, si combinano matrimoni, si mostra l’abilità nel gioco della morra e atti processuali hanno rivelato che qualche rapimento è stato là organizzato e di qualche altro si è pagato il riscatto. E si raccontano storie come quella di una nuora, che appena dopo il matrimonio rifiutò di preparare il filindeu con la suocera. Al ritorno dalla festa di San Francesco cadde da cavallo e precipitò in un dirupo che da allora si chiama — così è anche oggi — «il precipizio della sposa». [... ]
 ed  è quello che   ho provato   a  farlo   anch'io    , anhc e se  parzialmente   , visto  la  marea ,  come potete  vedere  anche   dalle  foto ,  di  gente  presente  a  questa  sua  dimostrazione pubbblica      tenuta   il  9 maggio  alla  due giondi  Stazzi e Cussogghj   (  trovate  qui   il mio  reportage   fotografico   )  


L'immagine può contenere: 2 persone, persone sedute, tabella, spazio al chiuso e cibo


L'immagine può contenere: una o più persone

   con questo  è tutto alla prossima storia

10.10.17

Non sapevo che le mie foto facessero tali effetti



Lo  so chje   chi si loda  s'imbroda ma  questo che trovate  sotto insieme  ad  un articolo   è  uno  dei  complimenti più belli   che  abbia mai  ( almeno fin ora )  ricevuto 

Mario   bianchi    (  trovate  sopra il  suo facebook  e    il sito     consigliato  vivamente  qui  una   panoramica   )      un mio  fotopgrafo  e  " antropologo  "  vedendo queste mie  foto  (  le  altre le trovate     su questo mio album fotografico   di facebook  )      scattate alla festa  di Sant'Efisio a  Cagliari  l'anno scorso   ha scritto 

Per Giuseppe Scano: terribile il lavoro del fotografo! Il fotografo taglia, seleziona, spia, non può che essere un feticista, non può che essere un "guardone".  Roland Barthes aggiunge in "La camera chiara"  che, interpretando le sue parole, è un "boia" che uccide l'attimo ad ogni scatto. Ed in più, giustamente sostiene, che la foto debba pungere! Se non contiene il "punctum", che punge e fa male penetrando sotto la nostra scorza, non è una foto interessante. Trovo nello sguardo di Giuseppe tutto ciò.




Ma con una componente che spiazza a causa del forte contrasto tra quanto arma il dito che tira il grilletto e il succo che trasuda dai suoi bersagli: la dolcezza. Una dolcezza dal retrogusto aspro, come accade per  i frutti più saporiti . Come accade per le più penetranti poesie.

 dalle pagine culturali   della  nuova  sardegna  del   2\10\2017


“A.Banda 2017”, tutte le immagini di un’isola

Inaugurata a Villaverde la rassegna che coinvolge oltre cinquanta fotografi della Sardegna

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VILLAVERDE. è stata inaugurata nei giorni scorsi a Villaverde la rassegna "A.Banda 2017. Fotografia in Sardegna", un’iniziativa dell’associazione Su Palatu_Fotografia. Si tratta di una rassegna espositiva che propone una serie di mostre, con centinaia di fotografie realizzate da 54 autori sardi che, tra giugno e agosto, sono state esposte in singoli eventi in centri diversi della Sardegna.
Ora il materiale fotografico presentato al pubblico durante questo periodo viene raccolto in una sola rassegna. Le fotografie sono esposte negli spazi del Consorzio Due Giare Move The Box, lungo le strade e nei locali del paese. In mostra i lavori di Donatella Altea, Pietro Basoccu, Tony Bulciolu, Alessandro Cani, Vittorio Cannas, Natalina Casu, Gianluca Chiai, Davide Cioncia, Luigi Corda, Francesca Corriga, Margherita Cossu, Antonio Crisponi con Andrea Pinna, Francesco Cubeddu, Tiziano Demuro, Pierluigi Dessì, Stefano Ferrando, Antonio Leonardo Figoni, Ignazio Figus, Giuseppe Firinu, Carlo Giglio, Rosi Giua, Fausto Ligios, Claudia Locci, Giorgio Locci, Danilo Loriga, Andrea Macis, Alberto Masala, Manuela Meloni, Giaime Meloni, Riccardo Melosu, Rosanna Mulas PiIia, Gigi Murru, Marco Navone, Marianna Ogana, Piero Pais, Franco Pampiro, Gabriele Pileri, Francesco Pintore, Ernst H. Piras, Gino Puddu, Francesca Randi, Alessandro Rosas, Silvia Sanna, Marco Sanna, Mario Saragato, Giuseppe Scano, Giusi Scanu, Salvatore Solinas, Alessandro Spiga, Michele Tamponi, Luca Tavera, Laura Tuveri, Immacolata Ziccanu e Silvia Zoroddu


L'immagine può contenere: 11 persone, persone che sorridono
dal marito di una dell'ìassociazione   la sardegna  vista  da vicino 
  dal catologo disponibile    free  online dell'edizionen A-banda  2017 http://www.supalatu.it/abanda/



GIUSEPPE SCANO
S.T., dal progetto “Li Conchi”, 2016
[stampa digitale fine art, cm 40 x 60, mostra a cura dell’Associazione La Sardegna Vista da Vicino]
Nato a Tempio Pausania nel 1976. Ha iniziato a fotografare con la pellicola, pur avendo poche basi. Successivamente è passato al digitale e grazie ai vari seminari svoltisi a cura dell’Associazione culturale “La Sardegna Vista da Vicino”, di cui fa parte, ha acquisito le nozioni per una fotografia più consapevole.
concludo rtipondendo a chi mi dice  che  :  scatto in automatico o con le impostazioni della macchina fotografica , e che non usi post produzione .
Vero a  volte    , dipende  dalla fretta o  in   casao  :  se  devo fotografare  :  un corteo ,  una  sfilata  o  altri eventi    in cui  non fai in tempo  a programmare  la  macchina, oppure sei di fretta =  o   dale    condizioni  di luce naturale   o  dei concerti     dificili da regolare  manualmente ,  ecc  allora  uso  le  impostazioni automatiche   o il semplice  automatico . Ma  non  è da questo      che si  riconosce  un   fotografo  e una  fotografia  ,  conta  dk  più il sogetto   , il modo  cui  ha  colto  l'attimo , ecc  . 
Per  la post  produzione  dipende     cosa  vuoi fare  o che effetti vuoi dare  alle  tue  foto  . Io    di recente  ,  grazie   alle lezini dell'associazione   sto scattando  in raw   e  a  colori , poi trasformo in bianco e nero   o  con altri filtri  o provo ad  aggiustare  quella  foto  venuto  troppo scura o troppo chiara 

Manuale di autodifesa I consigli dell’esperto anti aggressione Antonio Bianco puntata n LX IMPARATE A “LEGGERE” IL LINGUAGGIO DEL CORPO

 Il linguaggio del corpo da solo non basta a prevenire femminicidi o violenze, ma può essere un segnale precoce utile se integrato con educ...