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13.10.24

«Mamma Calabria», c’è molto da cogliere e raccogliere corriere della calabria 11\10\2024 di emiliano morrone

 Buongiorno per tutto il giorno. Oggi su LA LENTE parliamo di giovani rientrati in Calabria dal Centro-Nord, di restanza, di promozione del patrimonio di natura e cultura della regione. Lo facciamo raccontando una bella iniziativa promossa a San Giovanni in Fiore dal gruppo "I spontanei". E chiediamo alla politica di ascoltare le istanze dei ragazzi che lavorano per mostrare una Calabria diversa. Leggete e condividete, è servizio pubblico del Corriere della Calabria.
Grazie per l'attenzione e cordiali saluti.
Emiliano Morrone 



«Mamma Calabria», c’è molto da cogliere e raccogliere

Una serata organizzata da “I spontanei” a San Giovanni in Fiore ricca di spunti di riflessioni e belle storie di Calabria

 Pubblicato il: 11/10/2024 – 6:38

         di Emiliano Morrone
«Mamma Calabria» è il titolo di un libro di Alessandro Frontera e Danilo Verta appena discusso in profondità nella biblioteca comunale di San Giovanni in Fiore, soprattutto grazie alle domande stimolanti della giornalista Maria Teresa Cortese. Già residente a Milano, Alessandro, l’autore del testo, è una guida ambientale escursionistica, un influencer rientrato in Calabria per promuovere natura, cultura e tradizioni della regione: dal Tirreno allo Ionio, dal Pollino alla Sila, dalle Serre vibonesi all’Aspromonte.

L’appuntamento è stato promosso dall’associazione “I spontanei”che da qualche anno propone incontri e dibattiti sull’esigenza di ridurre l’emigrazione giovanile, di creare impresa, lavoro e progresso partendo dai punti di forza e debolezza dell’area silana: suggestiva ma in parte isolata e sconnessa, bucolica ma ancora periferica, ispiratrice di slanci creativi ma in un contesto socioculturale alquanto condizionato da invidia, rassegnazione, attendismo, doppiezze, mancanza di coraggio.
La Sila ha una storia di peso – dalle utopie di Gioacchino da Fiore alla Riforma agraria del ’47, dalla vecchia emigrazione operaia a quella intellettuale del presente –, oggi più che mai minata dal capitalismo dell’era digitale, che cancella le identità locali, uniforma storie, usanze e posizioni, struttura e impone il mercato assoluto delle merci.
«Mamma Calabria» è anche il motivo comune degli interventi di quattro giovani che, durante la presentazione del volume di Frontera, hanno raccontato le loro storie di restanza oppure di rientro dal Centro-Nord nel periodo drammatico della pandemia. La mamma è per statuto naturale riferimento e rifugio, richiamo e modello; è la figura che, anche nella dimensione simbolica, alimenta, cura, compatisce; è il genitore che induce all’esperienza fuori dallo spazio domestico e intuisce i problemi, i bisogni della prole.


Così, la metafora «mamma Calabria» è valsa a inquadrare, a chiarire il legame di ciascuno degli intervenuti con i luoghi delle origini: forte, continuo, vitale; capace di riaccendere la luce della speranza in un clima oltremodo tormentato, di riaprire il campo delle possibilità, di sostituire le illusioni con le motivazioni personali. Si tratta di quattro ragazzi che provengono da esperienze diverse ma affini: Anna Stefanizzi ha inventato il Cammino dei monaci florensi; come “Esperiandanti”, Luigi Candalise mostra su prenotazione i posti della Sila, in bici, a piedi, a cavallo; Ivan Ariella organizza festival d’arte e richiamo; Maria Costanza Barberio porta, con il collettivo “Fiori florensi”, la ludopedagogia nelle piazze e nelle istituzioni, fra bambini e rispettive famiglie. Questi giovani hanno più di 30 anni e meno di 40, indole ambientalista, una dote d’idealismo proveniente dal loro vissuto nel mondo analogico, una robusta volontà di ritagliarsi spazi autonomi in Calabria, intanto professionali e sociali.
Sono giovani che parlano un linguaggio poetico fuori del tempo; che leggono romanzi intramontabili, diari di viaggio e saggi sulla conservazione della memoria; che con video, post e immagini evocative sanno comunicare le loro attività e trasmettere emozioni, divulgare buone pratiche ed esempi positivi. E sono giovani che, come accade altrove nel pianeta, rivendicano le ragioni della propria terra, cercano di collegare la tipicità locale con l’universalità umana, chiedono ascolto alla politica e impegno per la sostenibilità, l’eguaglianza, i diritti irrinunciabili. «Facciamo politica con il gioco, abituando i bimbi alla libertà di espressione e di giudizio», ha detto Maria Costanza. «La Calabria ha tre Parchi nazionali e uno regionale, noi dobbiamo credere nelle nostre radici, nelle nostre potenzialità», ha osservato Luigi, che ha aggiunto: «Da fuori iniziano a guardarci con altri occhi». Ciò perché diversi giovani calabresi hanno espresso talento e capacità; perché da un pezzo la narrazione dominante, ferma al tragico, a lamenti e semplificazioni di comodo, è contrastata da racconti di vicende edificanti, che iniziano a piacere, a diffondersi, a generare interesse, apprezzamento, consenso. «Per restare in questa terra, ognuno deve fare un cammino dentro di sé», ha osservato Luigi, che ha sottolineato: «Il 30 per cento della biodiversità europea è nelle nostre montagne. Se devo fare dei sacrifici, preferisco farli a casa mia». «Siamo quello che camminiamo», ha chiosato Anna. Stefano “Intour” Straface – che a Torino insegnava nella scuola pubblica e ha scelto di rientrare per promuovere via social eventi e prodotti calabresi – ha infine posto l’accento sulla «necessità che gli imprenditori siano formati per capire quanto valga l’impatto nel web, quanto esso sia utile a lavorare in tutti i mesi dell’anno e non soltanto d’estate o nelle vacanze di Natale». È un altro tema che merita ampia riflessione nelle sedi della politica, in parte assente rispetto alle istanze di giovani che lavorano con la cultura, l’arte e gli strumenti tecnologici.

Nelle parole di questi ragazzi c’è molto da cogliere e raccogliere, ma il punto è che la politica, non tutta, non ne comprende la complessità, la finalità, l’utilità. Però, ha obiettato il fotografo e regista Emilio Arnone, instancabile sperimentatore di linguaggi artistici d’avanguardia, «bisogna smetterla con impostazioni sfacciatamente celebrative, serve equilibrio e uno sguardo d’insieme». È sempre l’autenticità, secondo l’intellettuale, che fa la differenza. Insomma, ovunque ci sono storie illuminanti, quindi bisogna stare attenti a non cedere, come capita sui social, a lusinghe facili, «all’apologetica d’ufficio» di certa pubblicistica.
Diventa difficile costruire reti di collaborazione, se non ci sono basi e contenuti comuni, hanno concluso Alessandro, Anna, Luigi, Ivan e Maria Costanza. E spetta alla politica, che dovrebbe affinare lo sguardo e ampliare gli orizzonti, favorire il compito e la collaborazione dei ragazzi che raccontano l’altra Calabria, quella della bellezza, delle tradizioni, del grande patrimonio culturale e ambientale. (redazione@corrierecal.it)

8.8.24

Diario di bordo n 70 anno II «La Sardegna è la mia terra»: la parola alla pastora 23enne Beatrice Marcia ., Un'indagine sulla condizione femminile: discriminazioni politiche, sociali e religiose le foto della yemenita Boushra Almutawakel e dell' iraniana Shadi Ghadiriandi., La Tornanza: il movimento culturale che sfida lo spopolamento del Sud Italia., esitudine , La Tornanza.


«La Sardegna è la mia terra»: la parola alla pastora 23enne Beatrice Marcia
Figlia di genitori sardi, vive in Toscana, dove fa la pastora. La Sardegna? la sua terra, senza se e senza ma. «La Sardegna è una terra che ho nel sangue, amo tutto ciò che la riguardi... quest’Isola è tutto per me. I miei genitori – nonostante siano in Toscana da molto tempo – hanno sempre cercato di mettere un po’ di Sardegna in tutto ciò che fanno, io infatti mi ritengo sarda al 100% e ne vado super fiera.»
«La Sardegna è una terra che ho nel sangue, amo tutto ciò che la riguardi: le tradizioni, i suoi profumi, la mia gente… quest’Isola è tutto per me. Ci tengo anche a dire che i miei genitori – nonostante siano in Toscana da molto tempo – hanno sempre cercato di mettere un po’ di Sardegna in tutto ciò che fanno, io infatti mi ritengo sarda al 100% e ne vado super fiera. Poi, come si fa a non amarla? È la terra più bella al mondo, dove non manca niente, i paesaggi, l’ospitalità delle persone, le infinite tradizioni. In più, mi ha trasmesso il più bel lavoro del mondo.»
Beatrice Marcia, 23 anni, abita nel Casentino, in un piccolo borgo, ma i suoi genitori sono sardi doc: la mamma è nata e cresciuta nell’Isola, mentre il padre è figlio di emigrati sardi arrivati in Toscana negli anni Sessanta.
Molto legata alle sue origini e alla sua terra, la Sardegna, Beatrice – insieme ai suoi genitori – è una pastora. E porta avanti questo mestiere con fierezza.
«Ho studiato come segretaria d’azienda, ma all’età di 16 anni ho lasciato la scuola perché la mia passione per la pastorizia ero molto più forte e il mio cuore mi ha portato a seguire quella strada» racconta. «Adesso, anche se ho solo 23 anni, mi sento molto realizzata. Certo, i sogni da realizzare nel cassetto sono molti, quello più importante è sicuramente ingrandire l’azienda e riuscir a portare avanti tutto ciò con orgoglio.»
In azienda la 23enne si occupa degli animali insieme al babbo e della parte casearia insieme alla mamma.
«La mattina ci svegliamo presto, portiamo in gregge al pascolo, torniamo e mungiamo a mano. Finita la 
fase della mungitura, portiamo il latte in caseificio e lo lavoriamo subito, trasformiamo il latte a crudo e come la mungitura anche il formaggio viene fatto a mano… la sera procediamo allo stesso modo. Aiuto mia mamma anche con le vendite, con i clienti: abbiamo infatti anche la vendita diretta.»
La pastora, un mestiere che, prima prettamente maschile, si sta – finalmente – diffondendo anche tra le donne: «Sono contenta che adesso le ragazze che fanno questo mestiere siano molte, questo significa che questo mestiere non andrà a morire. Però ho osservato che, da quando ho mostrato sui social la mia quotidianità con i miei animali, molte più ragazze non hanno avuto più paura dei pregiudizi delle persone e si sono mostrate per quello che sono e per quello che fanno. Sapere che siamo molte mi riempie il cuore di gioia… ma poi: sono una più bella dell’altra, viva le donne sempre!»
Lei la pastorizia ce l’ha nel cuore, del resto fa parte della quarta generazione.
«Mio babbo è stato molto bravo a tramandarmi tutto ciò. Basta dire che mia mamma, per farmi fare i compiti, mi minacciava: se non li avessi fatti, non mi avrebbe fatta andare con babbo dalle pecore. L’amore per questo mestiere è nato fin da subito, forse anche perché ci sono cresciuta: per me è stato tutto abbastanza naturale e normale. Il sogno che ho avuto fin da piccola che era quello di avere un caseificio, un marchio tutto nostro, così nel 2019 dopo tanti sacrifici ci siamo riusciti: il nostro caseificio è la mia vita, è tutto ciò che ho.»
La soluzione?
«Dovrebbe cambiare il commercio italiano, cioè non far esportare latte estero, ma dare valore al nostro latte. Per quanto riguarda il commercio dei prodotti caseari, dovrebbero essere più tutelate le piccole aziende che producono il proprio prodotto in modo sano, senza essere calpestate dalle grandi industrie e dalle grandi catene commerciali. Tutto ciò porterà a lungo andare alla chiusura delle piccole aziende e l’agricoltura diventerà industria: come tutti noi sappiamo l’industria tende a fare quantità e meno qualità.»
Ma Beatrice non molla, nonostante le difficoltà ha una tempra di ferro, granitica, sarda.
«Non ritengo che il mio lavoro sia pesante, è vero che non esiste un giorno di festa senza aver pensato prima a sistemare gli animali, ma quando scegli di fare questa vita è perché loro sono la tua vita. Il nostro non è un mestiere ma uno stile di vita, la libertà che ti dà questo mestiere è talmente grande che è impagabile, le soddisfazioni che ti dà non danno peso a nessuno sacrificio. A volte mi rendo conto che non faccio la stessa vita dei giovani della mia età, ma a me non interessa perché la mia felicità e la mia giovinezza la voglio vivere così, piena di valori e sacrifici che mi porteranno ad avere una vita piena di obbiettivi da portare a termine.»
https://ihaveavoice.it/
Un'indagine sulla condizione femminile: discriminazioni politiche, sociali e religiose.
Boushra Almutawakel è la prima donna fotografa riconosciuta in Yemen, con le sue foto, indaga sulla condizione femminile nei paesi islamici, mettendo in risalto la discriminazioni politiche, sociali e religiose che subiscono.
La donna è di proprietà dell’uomo che è il suo guardiano e padrone, mentre lei non ha alcuna autonomia legale. Infatti, vale metà in materia di testimonianza legale perché non è riconosciuta come persona con piena capacità giuridica in tribunale. Inoltre, la testimonianza di una sola donna non è presa sul serio se non è sostenuta da quella di un uomo.
Il 60% delle donne è analfabeta, contro il 25% degli uomini. La violenza domestica non è reato, e il tasso di mortalità per il parto è altissima. Le donne non possono uscire di casa, senza il permesso, nemmeno in caso di emergenza o per motivi di salute, e nei casi rarissimi in cui escono lo possono fare solo se accompagnate dal guardiano e coperte completamente dal velo. Sono relegate in cucina insieme alla servitù, e il loro compito è meramente riproduttivo, in quanto la loro maggiore funzione è quella di sfornare figli in quantità.
Il matrimonio infantile è accettato e incentivato, e non è raro che bambine di otto o dieci anni sposino uomini di 28 o 30 anni: il 52% delle ragazze è venduto prima dei 18 anni, il 14% sotto i 15, di cui oltre la metà intorno agli 8 anni, soprattutto in zone tribali e arretrate del Nord-Ovest.



Ma, come chiarisce la 23enne, non sempre è tutto rose e fiori.
«Ci sono anche delle piccole difficoltà, nel nostro mestiere. A volte non tutti i mesi le cose vanno bene in ambito economico, perché comunque ci sono dei periodi in cui ci sono solo uscite: il cambiamento climatico ci rende le cose difficili. Essendo in Toscana abbiamo problemi con la predazione, come gli attacchi dei lupi, e un’altra parte molto complicata è anche la troppa burocrazia, le troppe regole e i troppi limiti da rispettare.»

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La scomparsa della donna. La fotografa yemenita Boushra Almutawakel ( la  prima )  e quella dell'Irania Shadi Ghadirian (  la  second  ) parlano della condizione femminile nei paesi islamici.
La condizione della donna nello Yemen


Shadi Ghadirian è una fotografa iraniana che scatta fotografie che esasperano i costumi della sua cultura iraniana e gli stereotipi arcaici che pone sulle donne contemporanee
In Iran le donne possono contrarre il matrimonio già a 13 anni, anche prima della pubertà se c’è il permesso del tutore.Non sono libere di sposarsi con chi vogliono, senza rischiare di andare incontro al delitto d’onore.Non hanno il diritto di cantare, se non in un pubblico esclusivamente di sole donne, di ballare, di recarsi negli stadi (eccetto per le partite della nazionale).Non possono ricevere un’eredità adeguata.Non possono vestirsi come vogliono, ma hanno l’obbligo di indossare l’hijab.Non possono viaggiare all’estero da sole, se sposate, e hanno bisogno del permesso del marito.Non possono esercitare la carica di Presidente della Repubblica.Non possono condurre la bicicletta.L’età di una donna è di 9 anni per essere considerata penalmente responsabile (per i maschi 15). È prevista la pena di morte per l’adulterio tramite lapidazione. Spesso avviene anche se vengono stuprate.106 donne sono state impiccate nel 2018 e nel 2019, ma i dati dichiarati probabilmente sono per inferiori a quelli reali.Non esiste un numero ufficiale di femminicidi per “violazioni delle norme islamiche o delle consuetudini sociali”.Il 66 % delle donne sposate che hanno partecipato ad una indagine aveva subito violenza domestica almeno una volta nella vita, un numero probabilmente sottostimato rispetto ai casi reali.40 milioni di donne vivono in Iran.40 milioni di donne i cui diritti più basilari vengono quotidianamente calpestati.Queste donne devono essere tutelate.

 

Leggi alcune storie di donne iraniane:

Marziyeh Ebrahim, deturpata con l’acido perché guidava l’auto.  

Samira Zargari, la head coach della squadra iraniana femminile, il cui marito le ha proibito di partecipare ai Mondiali. 
Zahra Esmaili, impiccata già morta per aver ucciso il marito che picchiava lei e figli. 

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Un libro, un podcast, un festival ma anche un hub e un’academy
La Tornanza: il movimento culturale che sfida lo spopolamento del Sud Italia. Le testimonianze
Un processo di rinascita dei territori che parte dall’innesto tra chi, dopo aver viaggiato, decide di tornare nel paese d’origine e mettere a frutto la propria conoscenza, e chi è rimasto; tra il tornante e il restante. Al centro, il viaggio




Non tutti lasciano la propria città o paese d'origine per sempre. C'è chi torna e sono in tanti a farlo. E non solo ritornano, ma cambiano il loro modo di vivere nel loro luogo d'origine e fanno impresa: nasce il progetto “La Tornanza”, il movimento culturale che vuole far rivivere i borghi italiani. La Tornanza è un libro, un podcast, un festival ma anche un hub e un’academy: il progetto di Antonio Prota e Flavio Albano che sfida lo spopolamento del Sud Italia puntando su origine, viaggio e innovazione. Un movimento di rinascita dei territori che parte dall’innesto tra chi, dopo aver viaggiato, decide di tornare nel paese d’origine e mettere a frutto la propria conoscenza, e chi è rimasto; tra il tornante e il restante. Al centro di questi due poli, il viaggio, come innesco del cambiamento, e l’innovazione, come strumento a servizio del capitale umano e del territorio. 

La Tornanza: il libro

Tutto inizia con un libro: “La Tornanza - ritorni e innesti orientati al futuro” - il saggio di Antonio Prota e Flavio R. Albano (Laterza edizioni), due esperti di turismo e marketing territoriale e digitale - che è in realtà il manifesto stesso del movimento. È qui, infatti, che ci sono tutti i concetti fondanti del progetto che poi vengono messi in pratica: l’importanza di tornare dopo il viaggio e scegliere di ristabilirsi nel paese d’origine, portando con sé un background nuovo, una trasformazione che può innestarsi con la conoscenza dei restanti per partecipare attivamente allo sviluppo del territorio. Una crescita fatta di azioni concrete, volte a creare una nuova economia e una nuova società nei territori che da sempre e sempre più spesso vengono abbandonati. Come il progetto FAME (Food, Art, Move, Energy), un movimento culturale che avvia un circolo virtuoso in cui le comunità lavorano insieme per la crescita dei propri territori attraverso una visione comune e una sinergia che unisce agricoltura, turismo, artigianato e commercio, o la teoria dell’innesto, che pone al centro del dibattito socio territoriale i borghi, intesi come una via di ricostruzione sociale e culturale.

La Tornanza: il podcast

Il racconto della tornanza dalla viva voce dei tornanti diventa la base del video podcast itinerante, una serie di narrazioni per raccontare le storie di chi ha deciso di rientrare a casa. Dalla Puglia, alla Basilicata, dalla Campania alla Calabria e non solo: una volta a settimana, un tornante racconta la sua storia, da dove è partito e dunque dove, dopo un lungo viaggio, ha deciso di tornare, ma anche il perchè di questa scelta e il progetto che sta cercando di portare avanti nella sua terra d’origine, forte dell’esperienza maturata durante la sua assenza. 

La Tornanza: i festival

Non solo podcast, però. Proprio nel segno della collaborazione e della condivisione, la tornanza è anche una serie di eventi dal vivo, i Tornanza festival, per guardarsi negli occhi e raccontarsi le proprie esperienze, ma soprattutto le proprie idee, affinché possano essere d’ispirazione. Il primo è stato lo scorso 28 giugno, a Padula, in Campania, e a breve ce ne saranno altri, alcuni in collaborazione con l’Università. Il 17 e il 18 settembre a Potenza, poi il 20 settembre a Matera e il 1 ottobre a Bari.

 

La Tornanza: gli hub

Innovazione per costruire startup, accoglienza dei tornanti e dialogo tra tornanti e restanti: in questo consistono gli hub, i luoghi in cui si lavora e si comincia a creare la base concreta di un’idea. L'obiettivo è costruire hub in vari territori e per il primo sono già pronte le coordinate: aprirà a settembre a La Certosa di Padula in Campania e a Gravina in Puglia.

 

La Tornanza: l’academy

Vera e propria espressione dei concetti fondanti della Tornanza (origine, viaggio e innovazione) l’academy è lo spazio dedicato alla formazione dei tornanti e per coloro che vogliono diventarlo


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Luigi e Luigia litigavano su tutto, ma il cane Tobia ha salvato il loro matrimonio

Luigi e Luigia sono sempre stati una coppia molto litigiosa. Riuscivano a non essere d’accordo su qualunque aspetto: dalle cose importanti ai progetti della vita sino ad arrivare alla scelta della pizzeria del sabato sera.L’uno ha sempre tentato di prevaricare sull’altro e il loro rapporto è sempre stato una sorta di braccio di ferro disfunzionale che non li ha mai portati a una risoluzione effettiva dei disagi. Anche in terapia avevano l’abitudine di interrompersi, sovrastarsi, insultarsi e a volte di
scappare dal setting terapeutico sbattendo la porta del mio studio.Nel momento in cui l’uno andava via dallo studio o dalla relazione, l’altro lo inseguiva.Tra un litigio efferato e un altro anche l’amore scricchiola ma la coppia non riusciva a seppellire l’ascia di guerra.Nonostante gli impegni da parte di tutti, la coppia continuava a essere una coppia altamente disfunzionale. Quando iniziavano a stare un po’ meglio, tornavano a litigare per un nonnulla e il benessere faticosamente costruito svaniva.I partner erano ben consapevoli di non poter mettere al mondo dei bambini, perché loro stessi si consideravano tali, così di comune accordo - almeno questa volta - avevano rinunciato
L’incontro L’amico del cuore di Luigi, Giuseppe, nome di fantasia, fa l’addestratore cinofilo e ha una pensione per cani. Quando Luigi e Luigia vanno a cena con lui e altri amici, l’argomento principale è il lavoro di Giuseppe. Così, tra una pizza e una
birra, l’amico del cuore incanta tutti i commensali con le sue storie.
Racconta di quel cagnone di nome Gigi che soffriva di disturbi del comportamento e che in realtà aveva bisogno d’amore, e che lui aveva curato.
Di Frida che con i suoi disturbi psico-somatici raccontava il disagio della famiglia in cui abitava e che iniziava a stare bene solo quando si trasferiva in pensione. Di Poldo, che aveva l’abitudine di mangiare le sue feci perché era sin troppo solo, annoiato e trascurato.
E poi c’era Tobia, un Bassotto Tedesco a pelo lungo con due occhi neri penetranti e liquorosi, e un caratteraccio. Allegro, giocherellone, buffo, testardo e vivace al tempo stesso, ma veramente impegnativo. Tobia aveva rapito il cuore di tutti.
Tobia e la pensione

Il quattrozampe frequentava abitualmente la pensione di Giuseppe perché i suoi amici umani viaggiavano spesso per lavoro. Durante la pandemia, i proprietari di Tobia sono rimasti per oltre due mesi in Giappone, lasciandolo in pensione.Al loro rientro il quattrozampe si era talmente affezionato a Giuseppe e ambientato nella sua nuova casa che stentava ad andar via.Anche Giuseppe dal canto suo aveva instaurato un rapporto di profondo affetto con Tobia pur consapevole di doverlo restituire alla sua famiglia.In realtà, Tobia non ha mai avuto un carattere particolarmente facile: non amava rimanere da solo in casa e tutte le volte che accadeva distruggeva qualcosa. Questo suo comportamento aggressivo e disfunzionale aveva messo a dura prova la pazienza dei suoi amici umani, così, un po’ per scherzo, un po’ per sondare il terreno hanno chiesto a Giuseppe se per caso volesse diventare la nuova famiglia di Tobia.Giuseppe non ha esitato neanche un istante e ha ripreso Tobia con sé facendolo diventare un aiuto-addestratore cinofilo.Estate, cane mio non ti conosco. La triste storia di Penelope: dal balcone alla sua nuova vita
La sceltaIl carattere prepotente ed esuberante di Tobia ha messo a dura prova il lavoro di Giuseppe, rendendolo particolarmente complicato.Non voleva rimanere da solo in casa e lo dimostrava con tutte le monellerie in suo possesso. In pensione entrava in competizione con gli altri cani di sesso maschile e man mano che passavano le settimane diventava sempre più morboso e simbiotico nei confronti del suo nuovo amico umano.La vita di Giuseppe era diventata un inferno, ma non poteva più restituirlo perché sentiva una responsabilità enorme.Una sera, tra una pizza e una birra, raccontava a Luigi e Luigia la storia di Tobia. I coniugi, nonostante fossero occupati a litigare, hanno immediatamente mostrato un interesse a dir poco dirompente nei confronti dell’esuberanza di Tobia.(Con il senno di poi, probabilmente, si erano entrambi identificati nelle angosce abbandoniche del quattrozampe e nei frequenti rituali che metteva in atto per attirare l’attenzione).A fine serata hanno chiesto a Giuseppe di incontrare Tobia e di poter stare un po’ con lui.
La sorpresa
Tobia, come sempre, era particolarmente schivo e anche un po’ imbronciato. Non amava ricevere visite, ma preferiva trascorrere la serata sul divano in compagnia di Giuseppe. Ogni persona o cane che frequentava quella casa era considerato per lui una chiara intrusione di campo e di cuore.Quella sera, però, l’incontro tra Tobia, Luigi e Luigia aveva sin da subito presentato delle caratteristiche inedite.Il quattrozampe si è mostrato incuriosito e interessato; probabilmente ha subito sentito l’interesse da parte della coppia.Tutti e tre hanno giocato per l’intera serata, lanciandosi palline e calzini e ridendo a crepapelle. Per la prima volta Luigi e Luigia hanno dimenticato di essere una coppia litigiosa e in crisi e si sono occupati di un altro essere vivente diverso da loro. E Tobia, dal canto suo, ha dimenticato di essere un cane con un carattere difficile e diffidente e si è concesso al gioco.Luigi e Luigia hanno chiesto a Giuseppe di poter adottare Tobia e di poterlo portare a casa con loro. Giuseppe, per poter continuare a vivere a lavorare serenamente, ha acconsentito con una sorta di tacita postilla: nel caso in cui ci fossero stati problemi il quattrozampe sarebbe ritornato a casa sua.
Un anno dopo
La settimana scorsa ricevo una telefonata inaspettata e affettuosa di Luigi e Luigia, che nel mio immaginario erano già separati. In realtà mi raccontano che la loro vita è cambiata profondamente da quando Tobia è entrato a far parte del loro quotidiano. Mi hanno raccontato la loro storia e mi hanno chiesto di scriverla per La Zampa.Hanno poi concluso il racconto dicendomi che grazie all’adozione di Tobia hanno salvato il loro matrimonio, e sempre grazie a Tobia hanno smesso di essere due persone egocentriche e infantili e hanno imparato ad amare e ad essere amati.Tobia ha imparato a rimanere a casa da solo, a non distrugge più nulla e non ululare al silenzio. Luigi e Luigia hanno imparato ad interpretare le esigenze di Tobia e ad ascoltarlo, e nel frattempo hanno imparato ad ascoltarsi l’un l’altro.

Ringrazio Luigi e Luigia per aver avuto fiducia in me e per avere affidato alle mie parole il racconto della loro storia, scritto in esclusiva per La Zampa.





4.3.24

Franco Dente A Berchidda ha imparato a intrecciare dall’anziano padre. Dopo 41 anni in Germania è tornato nel suo paese, a berchidda , e tiene viva la tradizione

da la  nuova  sardegna  del 2\3\2024 



A Berchidda ha imparato a intrecciare dall’anziano
padre. Dopo 41 anni in Germania è tornato nel suo paese e tiene viva la tradizione


Inviata a Berchidda Le mani esperte si muovono con grazia mentre tessono fili di salice, olivastro, canna. La campagna di Berchidda è la silenziosa quinta naturale che Franco Dente sceglie per creare i suoi cestini. Tradizionali ma con un tocco personale sul manico. Il cinguettio degli uccelli, interrotto solo dall’abbaiare di qualche cane, è la melodia che accompagna il lento movimento dell’intreccio.  Custode di un ritmo antico imparato dal padre, contadino e poeta, Franco mentre intreccia geometrie libera i pensieri negativi nell’aria. Una terapia dell’anima. A 64 anni, dopo 41 da emigrato in Germania, torna nella sua Berchidda e complice il lockdown da Covid, comincia a fare cestini con il padre, allora quasi centenario.I primi lavori sono imperfetti ma intrisi di passione. Li pubblica sul suo profilo Facebook per testare il gradimento dei compaesani. Arrivano i primi like, i complimenti, le richieste di acquisto, gli inviti a proseguire quella attività in estinzione. Franco perfeziona la sua arte, ogni cestino diventa un racconto di emozioni che sanno di Sardegna, di storia, di cose semplici. Ora cerca qualche giovane a cui insegnare questa arte antica. «Non dico che possa essere un vero lavoro, di certo è un hobby piacevole, una tradizione da tenere viva e perché no, con dei bei lavori, qualche soldino si può anche fare».

Dalla Germania a Berchidda: Franco Dente custode dell'arte dei cestini

Franco lascia Berchidda a 24 anni. «Era il 6 gennaio 1981, lo ricordo bene – racconta –. Subito dopo la terza media mi ero messo a lavorare come falegname. Mi piaceva, ma non avevo la possibilità di mettermi in proprio. Allora servivano 50milioni di lire. Non volevo restare dipendente a vita. In Germania c’erano alcuni miei cugini, tramite loro partii e trovai subito lavoro».
Per 12 anni Franco lavora in una fabbrica della zona della Rhur in cui si producevano turbine per centrali nucleari. «Arrivai senza conoscere il tedesco e all’inizio fu difficile. A farmi sentire a casa ci pensava però la bella comunità sarda e il circolo dei sardi. Avevamo anche una squadra di calcio».Il legame con il paese resta sempre forte. Franco torna a trovare i genitori ogni anno. Nel 1993 lascia la fabbrica e compra una gelateria, «un’attività che in Germania funziona benissimo, ancora di più con una gestione italiana – spiega –. L’ho tenuta fino al 2002. Negli ultimi 20 anni ho fatto il rappresentante di prodotti per gelati. Un lavoro che mi permetteva di tornare al paese anche due volte all’anno. Negli ultimi cinque lavoravo a casa, da Berchidda, da ottobre fino a febbraio».Il periodo del Covid Franco lo trascorre nel paese gallurese, insieme al padre quasi centenario. «Il lockdown natalizio del 2021 ci imponeva di non uscire per quattro giorni. Quindi dissi a mio padre: cosa facciamo chiusi a casa per tutto questo tempo? Vado in campagna a prendere un po’ di vimini e mi insegni a fare cestini».La campagna della famiglia Dente è a un chilometro dal paese. «È allora che ho cominciato a intrecciare, con papà. Lui non aveva più tanta forza nelle dita e faceva cestini piccolini. Ma mi ha insegnato come fare il fondo fino ad arrivare al manico» racconta. Una tradizione di famiglia: il nonno materno di Franco e lo zio, erano gli unici artigiani di cestini a Berchidda. «Papà era contadino, aveva cominciato a intrecciare quando era andato in pensione, come passatempo, senza che qualcuno glielo avesse mai insegnato. Anche io ho cominciato così, un po’ guardando lui, un po’ andando a tentativi». Il primo esperimento di cestino fallisce. Franco riprova con un secondo. «Il terzo era venuto abbastanza bene così decisi di pubblicare la foto sul mio profilo Fb. Incredibilmente ricevetti tanti consensi. Da allora è diventato un hobby, una passione che mi aiuta a meditare».


Franco Dente intreccia secondo l’antica tradizione. Utilizza olivastro, salice a volte sbucciato, canna mediterranea, midollino. «A volte uso anche il mirto che dona ai cestini un profumo che dura negli anni. Col tempo ho cercato di migliorarmi e dare una mia impronta personale. Il manico, che per tradizione viene fatto a treccia, io lo faccio a due fili. Lo considero un po’ la mia firma». Un lavoro che richiede pazienza e la giusta dose di forza. Quattro ore il tempo medio per realizzare un cestino. Nessuna bozza su carta. La mente disegna i contorni dell’oggetto che deve creare. Le mani e le dita diventano la naturale continuità del pensiero. «Devo solo sapere se il cestino dovrà essere grande o piccolo, ovale o tondo. Non mi serve nient’altro. Dal materiale che resta faccio portapane e portafrutta».

Creazioni bio 100% e a chilometro zero. «Il materiale lo trovo nella mia campagna – conclude Franco, sui social come Franco cestini artigianali –. Il salice lo prendo al fiume. Per non fare danni alla natura bisogna sapere quando va colto, da ottobre a febbraio. L’olivastro invece anche tutto l’anno. Non ho mirto nel mio terreno, quando mi occorre chiedo il permesso di entrare in qualche campagna. Con la canna bisogna fare grande attenzione. Sa essere tagliente come un rasoio. Piano piano intreccio, serve forza ma anche delicatezza. E nel frattempo i pensieri cattivi volano via e dentro mi resta solo una grande pace».

le nuove paure ed i rigurgiti degli antimoderni alla vanacci

 

Le nuove paure L’italia cambierà e (per fortuna) non lo impediremo

FOTO ANSA
L’antimoderno Roberto Vannacci

L’ITALIANITÀ, BELLA PAROLA. Il duce, nella prima fase del regime, la sostanziò con la grandezza militare e culturale romana risorta col fascismo, poi, più tardi, per accondiscendenza al nazismo, la trasformò in supremazia razziale. Era italiano chi somigliava a un italiano (ariano) e, intanto, spargeva gas sulle tribù del corno d'africa. Oggi, invece, che cosa c'è di così tanto veracemente italiano, se non un tale che ha capito che è il momento di darsi alla politica tipica della “politicanza” odierna sparando slogan al ventre molle dell'incultura e dell'ignoranza sociale? Una condizione nella quale siamo precipitati più che altro per la resa delle forze che, un tempo, erano il progresso: quello fatto non soltanto di parole e di rette circolari. L'italianità. quella vera delle delocalizzazioni, delle svendite totali ai fondi esteri e dei furbi al potere che si fanno le leggine in questa democrazia farlocca fotocopiata dai piani di Licio Gelli, è proprio una réclame, un abbraccio alla "grana" padana più che al noto formaggio.

GIANFRANCO PUGNI

TRA MENO DI 30 ANNI scompariranno 4 milioni di italiani e nuovi italiani prenderanno il loro posto. Italiani d'africa, italiani neri, italiani afgani, palestinesi, turchi, armeni. Con gli occhi dell'oriente oppure no. L'italianità, come l'abbiamo conosciuta, forse adorata, sicuramente vilipesa quando nella storia travagliata del Novecento si è trasformata nella tragica macchina da guerra durante gli anni del fascismo, è destinata a essere revisionata, come

succede alle parti dei motori che subiscono il peso degli anni. L'identità, la storia, la memoria, la lingua, la cultura sopravviveranno alle nostre fobie, ai processi mentali di chi teme la fantomatica sostituzione etnica, che è altro non è che la parola d'ordine, un messaggio in codice per provare a introdurre sistemi moderni di segnalazione razziale. Il clima (le ore di sole e quelle di pioggia), sta cambiando il mondo, e con il clima cambierà la natura, e la dimensione dei laghi, dei mari, delle foreste subiranno il peso del cambio. La demografia certificherà le altre dimensioni, quelle di coloro che abiteranno la Terra. È un processo da governare ma non da ostruire. Perciò tutti i richiami alla difesa dell’identità sono recessivi, anti-moderni, conservativi, destinati a soccombere di fronte alla realtà più forte di qualunque demagogia.

27.4.23

mi fanno ridere quei cristiani che parlano di pensiero unico

Non condivido  i  toni   del post    riportato sotto    ma  nella  sostanza  ha  ragione .  i  tempi  sono  cambiati  ,   ed  tornare inietro  è  solo  nostalgia  . si può  essere   anche  credenti  ( nel  nostro  caso   cristiani  o  cattolici ) in modo laico  e  non  solo  confessionale  .  Ma  soprattutto    non è solo  l'unica  cultura  della  nostra  identità  



Ugo Giansiracusa

Se c'è una cosa che mi fa ridere fino alla nausea sono i cristiani che parlano di "pensiero unico" per tutto ciò che non rispecchia la loro ideologia. Amico cristiano e amica cristiana, forse non ve ne siete del tutto resi conto ma per circa 2000 anni il pensiero unico è stato il vostro. Libri messi al bando, teorie scientifiche bollate come eretiche, massacri di credenti (cristiani anche loro) che avevano una lettura leggermente diversa del cristianesimo, massacri di "infedeli", curatrici messe al rogo accusate di stregoneria e via discorrendo. Dalle

leggi alla morale alla scienza passando per la politica e ogni aspetto della vita quotidiana era improntato al pensiero unico cristiano. È solo con l'illuminismo che si comincia ad affrancarsi da una visione religiosa di tutto. Ora io capisco che vi scoccia un poco aver perso questo primato e il diritto di fare i roghi e le crociate e restare totalmente impuniti per i vostri orrori grazie al fatto che erano in nome di una divinità. Però dovete prenderla con un poco più di filosofia ! Anche se nelle scuole non si insegna più che l'uomo è stato creato da Dio avete pur sempre le vostre chiese dove tramandare le vostre strampalate teorie. E si, capisco che un mondo che non consideri peccato mortale fare sesso fuori dal matrimonio, magari pure sesso omosessuale, vi metta in profonda crisi ma, non so come dire in maniera esaustiva...ah, si: cazzi vostri. Lungi dall'essere un pensiero unico come lo è stato quello cristiano per due millenni, oggi puoi scegliere liberamente. Concordo nel fatto che questo possa creare un poco di confusione. I tempi andati in cui senza alcuna scelta battesimo, cresima, comunione, matrimonio 6 o 7 figli e via. E se non ti omologavi fiamme eterne! Comunque quei tempi sono passati. E capisco che guardiate certe teocrazie mediorientali con una certa invidia. Però, ecco, noi no. Ma la cosa bella di un mondo senza pensiero unico (benché voi pensiate il contrario) è che c'è la totale libertà di mandare i vostri figli in scuole cristiane. Poi potete mandarli al catechismo. In estate al Grest. In vacanza ai ritiri spirituali. Insomma, liberi di fargli vivere una vita di merda secondo la vostra ideologia. E finché siete liberi e libere di indottrinare i vostri innocenti figli con una marea di orribili e dannose corbellerie vi pregherei di astenervi dal parlare, proprio voi, di pensiero unico.

Cordialmente.

22.1.23

l'identità non dev'essere confusa con folkore

Uno scritto    interessante  di Stefania     Calledda 
Quando da volontaria faccio divulgazione della cultura sarda, non m'interessa un approccio folkloristico e nostalgico della tradizione. Io credo che "la Sardegna è un'altra cosa", che oggi i sardi concorrono al progresso o regresso della società, che sono pienamente cittadini del mondo e spesso occupano cariche apicali, istituzionali e strategiche: è ora di finirla con "i sardi vessati poverini", piuttosto è dalla coscienza della propria storica condizione che oggi è possibile emanciparsi, ma non vedo nella classe dirigente sarda un moto perlomeno di orgoglio, e per quanto riguarda le classi subalterne vige una passività spaventosa.
Se questo atteggiamento è sicuramente generalizzabile, pesa di più dove lo sviluppo è rallentato o assente.
In altre parole la tradizione è per i turisti, ma io non voglio essere turista della e nella Sardegna.

Le  do    ragione pur  non essendo  :  Sardo d'oltre mare * ,  residente nella penisola \ in continente come lei  o all'estero    ma  risiedo nell'isola  . Leggendo quest   articolo mi  sem  trovo  conferma    a  quanto  dicevo  precedentemente    su queste  pagine  mi pare nel  post  : <<   siamo troppo  italiani  >>  . Infatti  noi  italiani     siamo   anche   uniti     a   forza   troppo provinciali 




* quei sardi emigrati all'estero ed i loro discendenti qui nel libnro : << Sardegna d'oltremare. L'emigrazione coloniale tra esperienza e memoria - Valeria Deplano (donzelli.it) >> trovate maggiori informazioni

26.6.22

La passione senza tempo dell'artista di Subbuteo \ calcio da tavolo ., Bentornato orso gentile, a settembre tour della convivenza sulla Majella ., Giulia Pession, a 19 anni confuta Eraclito e diventa campionessa mondiale di filosofia: “Non esiste il logos, ognuno ha idee proprie”

 
La passione senza tempo dell'artista di Subbuteo

  Una  passione senza  tempo  quella  del Subbuteo ovvero il calcio  da tavola    , riscoperta  in quanto   A settembre l'Italia ospiterà i mondiali. E in Toscana c'è chi rievoca maglie e campioni vintage, il perchè esso sia ancora  una passione   o una  cosa  che non  muore  e  che ancora     resiste    alla tecnologia     come potete vedere  nel video  sotto  



                                         di Margherita Cecchin


il Subbuteo o meglio il calcio da tavolo Nato 75 anni fa, il calcio da tavolo non si arrende alla tecnologia. Infattti secondo quanto trovato su wikipedia : << ..... Nel corso degli anni novanta l'azienda produttrice del gioco (la Waddingtons Games), fu acquisitadall'azienda statunitense produttrice di giocattoli Hasbro la quale, però, nel 2000 interruppe la produzione del gioco considerandolo non più competitivo nei confronti dei nuovi videogiochi di argomento calcistico. La produzione del gioco è continuata, in Italia, fino al 2003 grazie ad una licenza concessa al distributore locale, la ditta Edilio
Parodi, che ha inoltre creato una nuova versione del gioco da tavolo chiamata "Zëugo" (gioco in genovese). Il marchio Subbuteo è ricomparso ufficialmente in Italia nel 2009, grazie a una collana edita dalla Fabbri Editori su licenza Hasbro e distribuita nelle edicole.
In Italia esiste un movimento organizzato, detto "Old Subbuteo", che tende a replicare il medesimo gioco degli anni settanta e ottanta utilizzando materiali dell'epoca oppure fedeli riproduzioni attuali.
La Federazione Italiana Sportiva Calcio da Tavolo (di seguito FISCT) a partire dal 2013 ha creato un circuito denominato "Subbuteo" nel quale è possibile gareggiare con materiali dell'epoca o repliche. Nel 2012 la Hasbro tentò di rivitalizzare il marchio Subbuteo proponendo il prodotto sulla falsariga delle prime figurine Subbuteo di cartone e distribuendo nelle edicole bustine per completare le formazioni da schierare. Il tentativo si rivelò un errore di merchandising per un prodotto che è sempre stato commercializzato come gioco pronto, e venne quindi abbandonato. Successivamente l'azienda commercializza di nuovo, con un catalogo di proposte minimo, le tradizionali composizioni dello scatolame Subbuteo apportando le ormai ben note modifiche alle figurine dei calciatori nel nuovo materiale antiurto in voga in buona parte dei prodotti di calcio da tavolo.
Tra i progetti principali vi è la diffusione del gioco del Subbuteo, nelle sue discipline Subbuteo/Calcio Tavolo, verso una platea sempre più vasta, con il coinvolgimento dei più piccoli, mediante attività mirate presso gli istituti scolastici e tramite l’organizzazione di tornei a livello regionale e nazionale, per giocatori di entrambi i sessi, per gli under 16 e per i soggetti diversamente abili.
Il 27 ottobre 2018 viene presentata a Roma la Lega Nazionale Subbuteo (di seguito LNS), associazione che rappresenta il settore nazionale Subbuteo di OPES, Ente di promozione sportiva affiliato al CONI.
LNS ha come proprio obiettivo primario la promozione e lo sviluppo del Subbuteo/Calcio Tavolo, nel pieno rispetto dei valori della sportività e dell’associazionismo.>> 
 continua  su https://it.wikipedia.org/wiki/Subbuteo

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Tra gli esemplari dell'Appennino abruzzese abituati alla presenza dell'uomo. Ora hanno ripreso a riprodursi. E il Wwf organizza un progetto per aiutare la convivenza .  
Parte il primo ‘Tour della Convivenza – Bentornato orso gentile’ che dal 7 all’11 settembre si snoderà nei territori del Parco Nazionale della Maiella dove la presenza dell’orso bruno marsicano è sempre più tangibile, con l’obiettivo di aumentare la conoscenza e la consapevolezza dei cittadini affinché una popolazione stabile di orso marsicano possa insediarsi, riprodursi e svolgere il suo ruolo ecologico nell’ecosistema: lo sforzo è annullare o minimizzare le minacce antropiche per questa specie chiave della fauna protetta dell’Appennino. ... segue  su  https://www.ilportaledibirillo.it/bentornato-orso-gentile-sulla-majella/

per    saperne  di più  e  del perchè  ciò sia importante     vedere   questo video   
di   di  Chiara Nardinocchi

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  chi lo dice che   I giovani non hanno voglia di rimboccarsi le maniche? Qualcuno lo vada a dire a Giulia Pession che a 19 anni ha confutato Eraclito, diventando campionessa mondiale di filosofia. La studentessa valdostana, di Saint-Christophe, alunna del quinto anno del liceo classico ‘XXVI Febbraio’ di Aosta, ha vinto la medaglia d’oro alle Olimpiadi Internazionali di Filosofia, che si sono tenute a Lisbona dal 26 al 29 maggio. La ragazza ha conquistato il titolo superando altri 87 finalisti provenienti da 42 nazioni in tutto il mondo. E una menzione speciale è stata poi assegnata a Giovanni d’Antonio del liceo classico e scientifico ‘Torricelli’ di Somma Vesuviana. Due giovani ragazzi, l’orgoglio dell’Italia.
Giulia Pession, 19 anni, valdostana, ha vinto la medaglia d’oro alle Olimpiadi Internazionali di Filosofia (Foto / Facebook / Giulia Pession)

ha vinto  Ha vinto il titolo mondiale in Portogallo, ora affronta l'esame di Stato nella sua Valle d'Aosta nel video di Alessandra Del Zotto
 Intervista alla giovane che ha fatto dello studio una passione

emergenza femminicidi non basta una legge che aumenti le pene ma serve una campaga educativa altrimenti è come svuotare il mare con un secchiello

Apro l'email  e tovo  queste  "lettere "   di  alcuni haters  \odiatori  ,  tralasciando  gli  insulti  e le  solite  litanie ...