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23.11.25

Il mondo “travessu” di un musicista con un paese intorno Pierpaolo Vacca, dal gruppo folk alle stelle di Time in Jazz E Da hostess ad artigiana: «Così sono rinata»ed altre eccellenze sarde

 unione  sarda  23\11\2025




Il paese resta ad aspettarti. Sa che prima o poi tornerai. O forse non sei mai andato via. A Ovodda ci sono giorni in cui fare festa è l’unica cosa che conta. Carnevale, Mehuris de Lissìa. C’è un ragazzetto che suona, tutto intorno a lui si muove al suono del ballo. Pierpaolo Vacca, 33 anni, è cresciuto con l’organetto in mano e il paese intorno. Il centro di un mondo musicale meticcio, in cui mescolare folk, elettronica, il suono della terra e i sospiri elettrici dell’altrove. Senza etichette, in una parola travessu : «Vuol dire ribaltare, e rimescolare ma inteso anche come controcorrente e bastian contrario. Partire dalle sonorità del mio paese, rimescolarle e ribaltarle creando una musica che stia di traverso tra quella tradizionale e la sperimentazione».
Presente e futuro
Ballo sardo, la poesia di un ritmo concentrico. Il nipote di Beppe Cuga, insigne suonatore di launeddas, è cresciuto, è diventato un alchimista di colori. «Sicuramente mi piace prendere spunto da ciò che mi circonda e da quello che vivo. Da lì nasce la mia ricerca: mettere in dialogo melodie e suggestioni del passato con quelle del presente e futuro, anche con l’elettronica. È un modo per creare qualcosa di nuovo, ma che abbia radici».
Dalle serate con il gruppo folk a Time in Jazz, restando quel ragazzo in piazza con l’organetto. «La mia educazione musicale è stata libera, con un approccio allo strumento sempre gioioso e spontaneo. Cerco di trasmettere la stessa libertà anche ai miei nipoti, stimolandoli a esplorare e a lasciarsi guidare dalla curiosità e dal piacere di suonare».
Il paese festival
Qualche anno fa Pierpaolo Vacca, con un gruppo di amici, ha creato “Sonala”, il festival con un paese intorno. «La risposta della comunità che ci segue, ci invoglia a continuare ad andare avanti e a cercare di costruire qualcosa di solido che continui nel tempo a seminare bellezza anche nei nostri piccoli paesi». Partire, girare il mondo. Suonare sotto le stelle del jazz come ai piedi di una quercia, a Santu Predu. Tornare in bidda tra gli ungrones dell’anima.
«Il legame con Ovodda è forte e viscerale. Credo che nei nostri paesi ci sia una qualità di vita invidiabile e che vivere in un piccolo paese se tutti scegliamo di essere cittadini attivi all’interno di una comunità, possa solo essere un grande privilegio». Ai piedi del monte Orohole fare baldoria è una disciplina sportiva praticata fin da bambini. Pierpaolo guarda avanti. «Ci sono nuovi progetti discografici all’orizzonte e collaborazioni che mi entusiasmano».
Incontro felice
Paolo Fresu è stato più di un incontro, qualcosa di magnetico. Lo spettacolo Tango Macondo ha girato l’Italia, Fresu ha prodotto il suo disco Travessu. «È stimolante ed è un grande privilegio lavorare a fianco a Paolo e al suo staff, che con esperienza e professionalità mi insegnano qualcosa di nuovo». Nel suo tessere trame, di suoni impilati come fogli di pane ‘e fressa , sovrapposti, elettrificati, le melodie restano sarde, il suono riconoscibile, un marchio per pochi. Il teatro è un giardino da esplorare. «Mi piace farmi ispirare dalle suggestioni che solo il teatro sa regalare. È un altro modo di suonare, ogni movimento e ogni suono cambia il significato del racconto. Cerco di lavorare sulle ambientazioni e trovare la dimensione per la narrazione». Con Paolo Floris porta in giro Restituzione, nato da un laboratorio in carcere. In questo tempo è impegnato con Sara Sguotti nello spettacolo Dedica, dialogo in uno spazio fisico. Poi tutto all’improvviso si muove in un ballo. C’è un uomo che suona e un paese intorno.





La mattina Giulia Aramu alza la serranda del suo laboratorio nel centro storico di Sestu. E quel gesto, per lei che ha girato il mondo, è un po’ spiccare il volo: 43 anni, due vite, due anime. Prima assistente di volo, poi artigiana di pelli e stoffe. Tutto in un nome: Anima Pellegrina.
Il racconto
«Non ho scelto questo lavoro, è lui che ha scelto me». Perché questa è una storia di viaggi, di caduta e rinascita. «Non ho nonne che cucivano, non sono figlia di sarti. Invece fin da bambina sognavo di viaggiare. Così ho deciso presto di fare l’assistente di volo». E decisamente non ama ciò che è facile: «Io sono di qui e ho dovuto cambiare città, studiare tanto. Ma ogni giorno potevo vedere un posto diverso. Sembrava tutto un bellissimo sogno, ho lavorato per varie compagnie, l’ultima Air Italy».
Il licenziamento
E il sogno s’interrompe un giorno, bruscamente. Air Italy è fallita nel 2020. E tanti dipendenti hanno perso le ali. «Ho provato tanta delusione, anche perché ci era voluto molto studio per arrivare fin lì. Ma non volevo cadere nel buio, ho cercato qualcosa di nuovo. Mi sono iscritta ai corsi regionali ed è nato un amore. Prima col cucito, stoffa, gonna. Poi col corso di pelletteria. Dopo qualche tempo ho aperto il laboratorio, anche grazie al supporto di mio marito Carlo nella parte burocratica».
La rinascita
Il nome d’arte «l’ho scelto perché anche tra le quattro mura del mio laboratorio, resto una viaggiatrice. E i clienti portano in giro le mie creazioni, mi mandano le foto, e mi sembra un po’ di viaggiare con loro». Come artigiana sa spaziare: «Lavoro pelli, stoffe, faccio tutto, da bracciali, a buste, a valigette». Indica due cartelle: «Queste le ho fatte con una tecnica che ho appena studiato. Cerco di imparare sempre qualcosa. A volte combino stoffa e pelle. O decoro le mie creazioni. Ho solo una regola: usare materiali unicamente naturali, niente plastiche. E uso anche gli scarti, niente sprechi». La parte più difficile? «Quando sminuiscono il lavoro d’artigiano, o ti chiedono sconti”. La più bella? «Quando mi scelgono».
Artigiana per amore
E questo lavoro l’ha portata a riflettere: «Mi ha insegnato a fermare il tempo. Prima andavo sempre di corsa. Qui se vai veloce fai male. Ti aiuta a riconnetterti con te stessa. Ho imparato a non cadere davanti a un errore. Se sbagli devi ricominciare da capo». Un obiettivo per il futuro? «Far conoscere l’artigianato. È speciale, meraviglioso».



10.11.25

identita e resistenza . Il carnevale di Tempio arriva all’università: giovane lurese gli dedica la tesi di laurea., gli studenti dell'alberghiero tra i le vecchie botteghe che ancora resistono

  fonte  la  nuova  sardegna del  10\11\2025



Il carnevale di Tempio arriva all’università: giovane lurese gli dedica la tesi di laurea
di Mirko Muzzu



◗Valeria Pirisinu dopo la laurea e, a fianco, il rogo di Re Giorgio
Valeria Pirisinu ha analizzato il rito e spiegato il significato sociale


09 novembre 2025 



Tempio Il Carnevale di Tempio diventa una tesi di laurea. È stata Valeria Pirisinu, con il suo percorso in Beni culturali, a portare il Carrasciali Timpiesu dentro l’aula magna del Dipartimento di Storia, Scienze dell’Uomo e della Formazione dell’Università di Sassari. Lo ha fatto lo scorso 10 ottobre discutendo, con il professor Cristiano Tallè, una tesi in Antropologia culturale dal titolo “Il carnevale di Tempio Pausania come fase liminale e rito di inversione sociale: uno studio antropologico”. «Volevo dimostrare che il carnevale è una cosa seria e importante, di cui si può e si deve parlare anche in ambito accademico» spiega Pirisinu, che racconta il suo legame con la manifestazione: «Sono di Luras, conosco il carnevale sin da bambina, poi il liceo a Tempio e la scoperta del carnevale “da grande”. Ma è stato quando ho incontrato Tore, il mio compagno, che ho capito davvero quanto lavoro ci sia dietro: mesi di preparativi, passione e impegno». Tore Siazzu, compagno di Valeria, è infatti il capogruppo di Quelli del Karnevale, uno dei gruppi storici del carnevale tempiese.
Dalle pagine della tesi, attraverso i paradigmi dell’antropologia culturale, emergono i significati più profondi del Carrasciali Timpiesu: rito di passaggio, fase liminale in cui l’individuo cambia condizione, e rito di inversione sociale, dove le regole quotidiane si ribaltano, il povero diventa re e il ricco si spoglia dei suoi privilegi. Il rogo di Re Giorgio, che conclude la Sei Giorni, segna simbolicamente la fine del tempo sospeso e il ritorno all’ordine. «È stato un lavoro complesso, in cui non ho potuto dare nulla per scontato – racconta la neodottoressa. –. Sono partita dalla storia del carnevale, dalla sua etimologia e dai riti più antichi. Ho analizzato i carnevali sardi arcaici come quello di Mamoiada e quelli equestri di origine spagnola come la Sartiglia di Oristano, mettendo in evidenza le differenze con il nostro carnevale allegorico. Ho raccontato anche le parti che non si vedono, come la costruzione dei carri, un lavoro lungo che inizia mesi prima».
Il lavoro comprende 5 interviste ai protagonisti del carnevale tempiese, un’ampia raccolta di foto e una rigorosa metodologia di ricerca. «Ho voluto far raccontare a loro gli aspetti più autentici di quello che considero un vero rito collettivo» spiega Pirisinu. L’obiettivo, sottolinea, era unire la conoscenza accademica alla partecipazione emotiva, dare dignità di studio a una tradizione che ogni anno coinvolge l’intera comunità. Sul Carnevale di Tempio si è scritto molto, soprattutto in chiave storica, ma mancava uno studio di taglio antropologico sul presente. Un primo approccio era arrivato nel 2023 con il convegno “Carnevale Tempiese: il mondo al rovescio”, promosso da Isre e Comune di Tempio, che vide tra i relatori l’antropologo Pietro Clemente e l’artista Simone Sanna. Con la sua tesi, Valeria Pirisinu ha compiuto il primo vero studio accademico sul Carrasciali Timpiesu contemporaneo, restituendo alla festa più amata della Gallura anche la dignità di oggetto di ricerca scientifica e di espressione culturale viva, capace di raccontare l’identità di un intero territorio.


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17.10.25

nel film fino alle montagne di Sophie Deraspe sembra d'essere in sardegna

 leggi   ache   

  1. https://ulisse-compagnidistrada.blogspot.com/2025/10/ovidio-marras-il-pastore-sardo-che.html
  2. https://ulisse-compagnidistrada.blogspot.com/2025/10/teulada-muore-108-anni-luomo-piu.html
  


 quando i miei  hanno  selto    di  vedere      Fino alle montagne - Film (2024) - MYmovies.it mi   sono   chiesto   ma  sara  una  coincidenza ( di solito   non  credo  tanto  ad esse  )   in quanto nei post  precedenti   vedere  url  sopra   avevo  riportato    le storie  di : 1)  Ovidio Marras, il pastore sardo che rinuncio’ a 700 milioni di euro  da  i benetton  per difendere il suo terreno nel Sud Sardegna  da  una speculazione    immobiliare
   2 )  Teulada, muore a 108 anni l’uomo più anziano della Sardegna: addio a Pietrino Culurgioni Viveva a Capo Spartivento, era il simbolo di una secolare tradizione pastorale . 
Un  film fortemente sensibile che affronta il tema dello sradicamento e dei limiti umani . All'inizio mi sembrava una copia del fim Il vento fa il suo giro un film del 2005, diretto da Giorgio Diritti, << basato su una storia realmente capitata a Ostana e osservata dallo sceneggiatore Fredo Valla. Il titolo riprende un proverbio occitano, col significato di "tutto ritorna". .... >> da Il vento fa il suo giro  Wikipedia . Ma  poi    , ma n  mano  che   poseguivo    nella  visione   e    rilllegendo  le  trame    nonotante  l'argomento  comune     si differenziano  . Un film  . forse  perchè sono abituato al mondo della pastorizia e   delle  campagne  ,  discreto   e  prevvedibile   in certi punti  , ma   con   Bellissime le immagini della montagna ripresa nel buono e cattivo tempo. Il desiderio quasi chimerico ed ideale di vivere la vita del pastore e la favola della vita semplice e al contatto della natura alla fine diventa una realtà. Una dimensione saldamente ancorata nel cuore dei protagonisti. L'ideale aspirazione dopo essere stato temprata dalla cruda e brutale realta' trova una sua forma concreta in una dimensione possibile e personale di vita.  voto 6

21.7.25

Domusnovas, il ricamo diventa terapia: successo per il progetto “La Quercia” Tra i protagonisti dei laboratori con gli ospiti delle Rsa anche la signora Delfina Melis, ancora abilissima con ago e filo alla veneranda età di 102 anni

Oltre a essere come ho raccontato in « Trend Fashion Tatreez, il ricamo tradizionale che custodisce la storia della Palestina: quando la resistenza passa da ago e filo. Dalle sue radici ai collezionismo » e in « La ragazza che con ago e filo, seduta ai tavolini di un bar di Roma, aiuta il popolo palestinese a sopravvivere. .... »Il ricamo  è strumento di cura dell’anima e della mente

DA   www.cagliaripad.it

A Domusnovas si è conclusa con un grande successo la prima edizione del progetto “La Quercia”, percorso di ricamo terapeutico ideato dalla socia Orsola D’Ambrosio e promosso dall’associazione I Fili emozionali di Alma in collaborazione con la Fidapa Sulcis. Un’iniziativa che ha coinvolto tutti i 54 ospiti delle Rsa del paese, la Residenza Santa Maria Assunta e la Residenza del Parco, e che ha visto 34 partecipanti cimentarsi per 5 settimane in un laboratorio dedicato al ricamo su lino. Guidati da esperte e volontarie, gli anziani hanno realizzato ciascuno una quercia personale, ricamata a mano con ago e filo su una fettuccia di tessuto, simbolo di forza, radici e rinascita. I singoli lavori sono stati poi uniti in un unico mosaico tessile che sarà presentato ufficialmente domani, alle 17.30, con una cerimonia presso la Residenza Santa Maria Assunta. Tra le protagoniste del progetto anche Delfina Melis, originaria di Gonnesa, che con i suoi 102 anni è diventata il simbolo dell’iniziativa. Con entusiasmo e precisione ha ricamato la sua opera, partecipando attivamente al laboratorio. “Gli anziani, per ragioni oggettive sono fragili, a volte non del tutto autosufficienti o non del tutto autonomi e a questo stato fisico non di rado si unisce la mancanza di una rete familiare o amicale” spiega l’ideatrice Orsola D’Ambrosio. “Ciò li porta a isolarsi. Il nostro progetto, dunque, viene loro incontro, proprio perché non si sentano soli o abbandonati”. “La Quercia” ha rappresentato molto più di un’attività ricreativa: è stata un’esperienza di stimolazione cognitiva, benessere emotivo e socialità. Un progetto che ha saputo intrecciare fili di memoria, pazienza e cultura, lasciando un segno profondo in chi vi ha preso parte.




11.7.25

Unorthodox – Una fuga verso la libertà: la mia opinione sulla serie Netflix


per  chi  ha  fretta

📺 Unorthodox (Netflix)
Unorthodox è una miniserie televisiva tedesca e statunitense ideata e scritta da Anna Winger e Alexa Karolinski, diretta da Maria Schrader e basata sull'autobiografia del 2012 di Deborah Feldman Ex ortodossache ha lasciato il movimento Satmar, una comunità chassidica di New York. Il rifiuto scandaloso delle mie radici chassidiche (Unorthodox: The Scandalous Rejection of My Hasidic Roots). La miniserie è stata scritta da Anna Winger e Alexa Karolinski,  Unorthodox è la prima serie di Netflix quasi interamente recitata in yiddish.
La miniserie, composta da quattro puntate, è stata resa disponibile internazionalmente sulla piattaforma Netflix dal 26 marzo 2020.[ una miniserie intensa, ispirata a una storia vera.
Segue Esty, una giovane donna in fuga da una comunità ultra-ortodossa per cercare libertà e identità.Più che una semplice fuga, è un viaggio umano tra fede, appartenenza e rinascita.
🎭 Personaggi complessi.🎥 Storia potente.🤔 Domande profonde: siamo davvero liberi di scegliere chi vogliamo essere?
👉 L’avete vista? Quale personaggio vi ha colpito di più? fatemelo  sapere   nei  commenti



Incuriosito da questa serie suggeritami da amici fra cui un amica laureata in arabo del medio oriente ho approfondito tramite loro e un documentario di 20 minuti, Making Unorthodox, che racconta le riprese e il processo creativo dietro la serie.E altre recensioni e letture sula serie in particolare : Perché devi vedere assolutamente la serie Unorthodox su Netflix   di https://www.tag24.it/
ho approfondto    il contesto culturale di Unorthodox  e  ulteriormente  le mie  conoscienze sulla  cultura  ebraica e   le suye sfacetature \ interpretazioni   dei libri sacri  
La serie si basa sulla vita all’interno della comunità chassidica Satmar, un gruppo ultra-ortodosso ebraico con sede a Williamsburg, Brooklyn. Questo contesto, raramente esplorato nella narrativa televisiva, è fondamentale per comprendere la forza della storia di Esty.
La cultura Satmar è profondamente legata alla tradizione, con regole precise che regolano ogni aspetto della vita: abbigliamento, lingua, educazione, ruoli di genere, e perfino la musica. Lo yiddish è la lingua principale, e la separazione tra uomini e donne è marcata.
Per le donne, le aspettative sono chiare: matrimonio giovane, maternità e dedizione alla famiglia. In questo ambiente, il dissenso non è solo scoraggiato – è impensabile.
Unorthodox non giudica apertamente questa cultura, ma la mostra attraverso gli occhi di chi non riesce più a respirare al suo interno. Il contrasto con la Berlino multiculturale non è solo geografico, ma profondamente simbolico: rappresenta la collisione tra due mondi e la fatica del trovare un’identità tra passato e presente.
Unorthodox è una miniserie Netflix che racconta la storia di Esty, una giovane donna che decide di lasciare la sua comunità ultra-ortodossa a Brooklyn per cercare una nuova vita a Berlino. Ispirata all’autobiografia di Deborah Feldman, la serie offre uno sguardo intenso e realistico su un mondo poco conosciuto, affrontando temi come l’identità, l’autodeterminazione e il peso delle tradizioni .
Dal punto di vista tecnico, la serie colpisce per l’accuratezza della ricostruzione culturale,  infatti  si  mantenuta la lingua  originale   della  comunita   e l’interpretazione della protagonista, che riesce a trasmettere con grande forza le emozioni contrastanti del suo percorso. La regia è essenziale ma coinvolgente, e riesce a bilanciare momenti di grande intensità emotiva con una narrazione fluida e ben costruita  nonostante l'uso  eccessivo   dei  flashback e  un racconto   non  lineare  . 
Pur essendo una storia individuale, Unorthodox solleva domande universali: quanto siamo disposti a rischiare per essere liberi? Fino a che punto la cultura in cui cresciamo definisce chi siamo?
Personalmente, a  parte (  forse questione di abitudine ) la  poca linearità  nei  racconto  più  adatto a mio  avviso    a  un romanzo  che a  un  film ,  ho trovato la serie coinvolgente e ben realizzata. Nonostante alcune semplificazioni necessarie al formato televisivo, Unorthodox riesce a lasciare il segno.
Ecco una  cosa mi  ha colpito   dei ta ai personaggi principali di Unorthodox:I personaggi principali: tra fede, ribellione e ricerca di sé.  Infatti  uno  degli aspetti  più riusciti di Unorthodox è la caratterizzazione dei personaggi, che non cadono mai nel bianco o nero, ma mostrano sfumature e contraddizioni umane.Esty Shapiro
È la protagonista assoluta. Giovane donna cresciuta nella comunità chassidica Satmar, Esty incarna il desiderio di libertà e la fatica di liberarsi da un’identità imposta. La sua trasformazione, sia interiore che esteriore, è al centro della narrazione. Il modo in cui affronta il senso di colpa, la paura e l’incertezza del futuro rende il suo viaggio emotivamente potente e realistico.Yanky Shapiro Il marito di Esty, inizialmente può apparire come un semplice “antagonista”, ma la serie gli concede spazio per mostrarsi più complesso. È vittima di un sistema tanto quanto Esty, e il suo comportamento è spesso dettato dalla pressione della famiglia e della comunità. La sua evoluzione, tra fragilità e tentativi maldestri di riconquista, offre un ritratto credibile di chi è rimasto nel mondo che Esty ha scelto di abbandonare. Moische Cugino di Yanky, rappresenta la parte più conservatrice e aggressiva della comunità. Il suo ruolo è quello dell’inseguitore, ma anche lui è un personaggio tormentato. Il suo passato problematico emerge a tratti, lasciando intuire quanto sia intrappolato in una struttura che non perdona la deviazione.Robert e il gruppo di Berlino
Rappresentano l'altro lato del mondo di Esty: quello libero, aperto e multiculturale. Nonostante la loro accoglienza, Esty si rende conto che anche qui deve trovare il suo posto. Robert, in particolare, è il primo legame autentico che Esty sviluppa al di fuori della sua comunità, ma la serie evita ogni banalizzazione romantica, lasciando spazio a una relazione fondata su comprensione e rispetto. 
Ecco una riflessione da aggiungere dopo l’approfondimento dei personaggi, per chiudere in modo coerente e stimolante tale mia  recensione  di  Una storia che vive nei suoi personaggi è  quella   che  Unorthodox non è solo il racconto di una fuga, ma soprattutto la rappresentazione di un conflitto interiore che prende forma attraverso i suoi personaggi. Esty, Yanky, Moische e gli altri non sono semplici simboli o stereotipi: sono esseri umani intrappolati tra aspettative sociali, senso del dovere e desideri personali.
Ciò che colpisce è che nessuno dei personaggi è del tutto "buono" o "cattivo". Anche chi ostacola Esty lo fa spesso per paura, per convinzione o per incapacità di vedere un’alternativa. Allo stesso tempo, il mondo esterno non è dipinto come perfetto o privo di ostacoli: è solo diverso, e altrettanto complesso.
In definitiva, Unorthodox invita a riflettere su quanto la libertà sia una conquista personale e mai priva di costi. Ed è proprio grazie a questi personaggi – vivi, imperfetti, umani – che il messaggio arriva con forza e autenticità .Quindi   nonostante    sia   in molt  punti   caduta    nei  : «  Pericoli del flashback Affilato come la lama di una katana, il flashback è altrettanto pericoloso da maneggiare se non si è esperti. Impone cura e attenzione. I pericoli del flashback sono i suoi stessi pregi, ma al negativo. Primo fra tutti è il calo di tensione. Se utilizzato al punto giusto aiuta a rendere il testo più arioso e a rallentarlo un po’, ma che ne sarebbe del nostro testo se ne abusassimo? Se lo usassimo troppo spesso o se il nostro flashback fosse troppo lungo? Indovinato. Farebbe perdere al romanzo la tensione narrativa e si assisterebbe a quello che in sociologia viene definito ‘sbadiglio’. Il lettore si annoierebbe, inizierebbe a pensare alle vacanze o alle spese da fare o a quel grazioso vicino di casa che… e il testo sarebbe spacciato. È un bel rischio.»   ( da Il flashback, cos’è e come usarlo  di  Francesco Montonati|  )  Mi è piaciuto molto per   i motivi     citati   nella  sezione  i sintesi  \ per  chi  ha  fretta  .  
E voi vi siete riconosciuti in qualcuno di loro? Quale personaggio vi ha colpito di più, e perché?  E voi l’avete vista? Che impressione vi ha fatto? Vi è sembrata una rappresentazione equilibrata o troppo romanzata?Mi piacerebbe conoscere anche il vostro punto di vista nei commenti. 

2.6.25

La ragazza che con ago e filo, seduta ai tavolini di un bar di Roma, aiuta il popolo palestinese a sopravvivere., Keanu Reeves a 60 anni ci dà una lezione di stoicismo contemporaneo: "Perdona le persone in silenzio e cerca di non rivolgergli più la parola ., Il segreto di Yang Xinmin, il “nonno di ferro” del bodybuilding: ha 77 anni ma ne dimostra meno di 50

Non servono particolari ricerche statistiche per affermare che nella grandissima maggioranza dei casi una persona seduta da sola ai tavolini di un bar guarda il suo telefonino. Qualcuno più anticonformista sfoglia un giornale, qualche stravagante magari legge un libro. Ma davvero non ci si aspetta di vedere una ragazza solitaria che davanti a un caffè lavora con ago e filo. Si chiama Yasmine, ha poco più di vent'anni, vive e studia a Milano, starà a Roma pochi giorni. Con il suo accento settentrionale ci spiega che sta ricamando una kefiah. Che però non ha niente a che vedere con il tessuto a quadrati che tutti
conoscono come simbolo della lotta palestinese: Yasmine sta cucendo pochi punti colorati su un panno tutto bianco. «Io sono di origine palestinese, mio padre è figlio di palestinesi esiliati, è nato in Giordania e dopo tanti viaggi si è stabilito a Napoli dove si è sentito finalmente a casa. Mia madre è napoletana. In Palestina ci sono stata solo una volta da piccola, ma voglio tornarci per imparare l'arabo». Il lavoro che sta facendo non è un passatempo qualsiasi: è un modo di tramandare la cultura di un popolo sventurato. Il “tatreez” è l'arte del ricamo palestinese, ma è anche una forma di resistenza perché, trasmessa da una generazione all'altra, preserva l'identità di una nazione nella diaspora. Così Yasmine - che vende i suoi ricami e con il ricavato aiuta i suoi connazionali in Palestina - in un bar romano, tra le macchine che si affannano ai margini della circonvallazione, con ago e filo sta dando il suo piccolo contributo alla sopravvivenza di un popolo.

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Keanu Reeves a 60 anni ci dà una lezione di stoicismo contemporaneo: "Perdona le persone in silenzio e cerca di non rivolgergli più la parola




Keanu Reeves, attore conosciuto in tutto il mondo per il suo talento sul grande schermo e per la sua umiltà nella vita quotidiana, a 60 anni è considerato un'icona non solo per i suoi film, ma anche per il suo atteggiamento nei confronti della vita. Il suo approccio alle avversità e la sua serenità gli hanno fatto guadagnare il soprannome di "stoico moderno", un concetto apparso in un video sul famoso account TikTok @porticoestoico e che ha accumulato migliaia di visualizzazioni. Il video esplora il motivo per cui Reeves incarna i valori dello stoicismo, un'antica filosofia sostenuta da pensatori come Marco Aurelio ed Epiteto e oggi molto di moda.
In sostanza, lo stoicismo insegna che non possiamo controllare ciò che accade intorno a noi, ma possiamo controllare le nostre reazioni. Una lezione che l'attore stesso riassume perfettamente in una riflessione sul perdono che ha condiviso in diverse interviste...
"Perdonare le persone in silenzio e scegliere di non rivolgergli più la parola. Non si tratta di rabbia o risentimento, si tratta di prendersi cura di sé. Lasciare andare ciò che ci siamo lasciati alle spalle senza riaprire la porta a altro dolore." Il messaggio di Reeves si collega direttamente a uno dei pilastri dello stoicismo. Ciò che ci disturba non è il fatto in sé, ma la nostra opinione su di esso. Questa prospettiva ci invita ad accettare ciò che non può essere cambiato e a concentrarci su ciò che dipende da noi: il nostro atteggiamento e le nostre decisioni. Perdonare in silenzio non è un atto di debolezza o risentimento, ma di forza e saggezza emotiva. Come spiega @porticoestoico, questo tipo di perdono cerca di liberarsi dal peso emotivo senza riaprire ferite che causano solo maggiore sofferenza. "Perdonare non significa dimenticare. Significa scegliere la pace con se stessi", afferma Reeves.
La lezione di Keanu Reeves è particolarmente preziosa in un mondo in cui molte persone convivono con risentimenti, conflitti irrisolti ed emozioni negative che incidono sul loro benessere. "Se stai attraversando una situazione difficile con qualcuno, l'unica cosa che dipende da te è come reagisci", riflette l'attore. Quindi, lasciar andare il passato e impedire a quelle emozioni di controllare la nostra vita è un atto di libertà e di cura di sé.


Giusto, ma non facile. Se il tuo avversario è il mondo in cui vivi, e molto spesso lo è quando non ti vengono riconosciuti o addirittura ti vengono negati i tuoi diritti, diventa difficile "perdonare in silenzio".
E aggiungo: È anche peggio quando per il riconoscimento di un tuo diritto ti devi rivolgere ad un giudice, aspettando mesi o anni e nel frattempo pagando uno dei tanti "avvocati" poco corretti che aspettano come avvoltoi i problemi di chi per legge dovrebbe essere tutelato, ma in realtà È la vittima da RAPINARE! Avete mai avuto a che fare con un AMMINISTRATORE/TRICE di CONDOMINIO ? Ecco un esempio di categoria "professionale" assolutamente LIBERA DI FARE TUTTO QUELLO CHE VUOLE ALLA FACCIA TUA e DELLE LEGGI!

Facile  secondo  alcuni    perdonare da Miliardario...😎🤣😃




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Tutti lo chiamano il "nonno di ferro" e a ben vedere hanno ragione: Yang Xinmin è un classe 1948 e sulla carta di identità riporta ben 77 anni. Ma a vederlo sembra un cinquantenne in perfetta forma fisica, a tal punto che è uno dei più famosi e seguiti bodybuilder al mondo, sia perché è stato tra i primi a praticare questa disciplina in Cina laddove è rimasta per anni proibita, sia perché è un esempio di longevità unico. Che "nasconde" dietro alla sua strepitosa forma fisica, segreti legati ad alimentazione e allenamento
Xinmin, il primo culturista che sfidò il Governo cinese
Il nome di Xinmin nel mondo del bodybuilding è circondato da un alone di immenso rispetto: ha iniziato a praticarlo quasi in clandestinità, agli inizi degli anni 80 quando il governo cinese osteggiava questa disciplina, considerata vietata. Poi, i primi risultati e successi, anche a livello internazionale, che lo hanno fatto conoscere e apprezzare nell'ambiente. Ora, a distanza di oltre 40 anni, il suo nome è riconosciuto perfettamente anche dalle più giovani generazioni anche dopo il ritiro ufficiale dalle competizioni. Perché alla veneranda età di 77 anni suonati è ancora un esempio da seguire per una strabiliante prestanza fisica.
Xinmin: "L'allenamento è la parte più importante della mia vita"
Nessun elisir di eterna giovinezza per Xinmin ma una maniacale dedizione alla cura del proprio corpo. La sua costanza nel mantenere il fisico da competizione anche in età avanzata è a dir poco impressionante a tal punto che dopo alcuni esami ha dimostrato ad avere una forma fisica, una forza muscolare e una potenza complessiva addirittura migliore di quelle della maggior parte dei giovani. "L'allenamento è la parte più importante della mia vita" ha ripetutamente sottolineato il culturista cinese. "Dopo anni di esperienza, il mio obiettivo è mantenermi in salute e prevenire l'invecchiamento per avere l'energia necessaria per fare altro. Ricordate le mie parole, mi allenerò ancora a 80 anni. Che siano 80. Amici culturisti: ci vediamo a 80 anni!"
Il "segreto" di Xinmin: "Da oltre 10 anni mangio sempre la stessa cosa"
Come? Allenandosi tutti i giorni, con sessioni lunghissime di workout, in aggiunta ad una rigorosa autodisciplina anche nell'alimentazione: "Da oltre dieci anni ogni mattina mangio sempre la stessa cosa". Tra le otto e le dieci uova condite con fiocchi d'avena, cetrioli e pomodori, insieme all'immancabile petto di pollo.

15.4.25

Esodo di chiara Atzeni Un viaggio dentro se stessi attraverso la storia dell’esodo giuliano dalmata


    Per  i  rispettivi impegni   sia  miei   sia    dell'autrice,   Chiara Atzeni  autrice  del   bellissimo    profondo  Cd   Esodo ,      riesco    solo  ora a  intervistarla   . IL cd ESODO   è un concept album che trae ispirazione dalla storia dell’esodo giuliano dalmata per svilupparsi in un racconto introspettivo di più ampio respiro, incentrato sulle tematiche del non ritorno, dell’abbandono e della ricerca delle proprie radici.

Il disco, prodotto da Luca Moretti per MaBa Edizioni, nasce dopo una gestazione di quattro anni e rappresenta l’evoluzione in musica dell’omonimo libro di Chiara Atzeni, in cui si narra una storia d’amore sullo sfondo delle travagliate vicende che travolsero l’Istria, il Quarnaro, Fiume e Zara quando passarono dall’Italia alla Jugoslavia.
Le stesse vicende che costrinsero la famiglia della cantautrice ad abbandonare la propria terra, le proprie case, il senso stesso della propria vita. L’album e il libro sono legati a doppio filo dalla stessa genesi e dalla volontà di pervenire a una “catarsi” collettiva e individuale.
“ESODO” è la divulgazione di una memoria comune a migliaia di persone, come riflessione e cura delle più profonde ferite personali. Un viaggio nella storia, così come nell’io più profondo.  

Come sei riuscita a bloccare in forma artistica,in questo caso letteraria\ musicale i ricordi e  le memorie ,  evitando così che i racconti della tua famiglia, più precisamente dei tuoi nonni, esuli giuliani del secondo dopoguerra, finissero nell'oblio del tempo e dispersi nel vento? Oltre ai racconti, le parole di chi li aveva conosciuti e vivendo fisicamente i luoghi: « l’isola di Lussino e il piccolo meraviglioso paese di Neresine. » Ci hai messo qualche riferimento al tuo percorso di studi all'esodo giuliano-dalmata e quindi alla tua laurea in Lettere Moderne con una tesi sul tema ?





Realizzare l’intero progetto (libro, in due edizioni, e disco) è stata un’impresa impegnativa, sotto tutti i punti di vista. Ma era qualcosa che per me andava fatto e che desideravo realizzare già dal 2010, anno della mia tesi di laurea in Lettere. Questo progetto racchiude quello che l’arte è per me, cioè riuscire a veicolare qualcosa di razionale in un linguaggio che arrivi non solo alla nostra parte razionale ma soprattutto alla pancia, alle emozioni. Credo che sentire sia molto più potente del semplice capire. Così ho provato a trasmettere non solo i racconti, che potrebbero ridursi a una cronologia di eventi, ma anche gli stati d’animo, le sensazioni e i sentimenti, dei miei nonni in particolare, ma non solo. Ad esempio, nel disco ho inserito dei suoni tra un brano e l’altro, suoni che ho registrato proprio sull’isola di Lussino, perché potessero immergere l’ascoltatore il più possibile in quel luogo. Oppure, nel libro, ho deciso di lasciare le parlate originali di coloro che ho intervistato (alcune interviste sono estratte proprio dalla tesi di laurea), perché le loro parole potessero essere fermate in quell’istante, sopravvivere nel tempo e arrivare vive e vere a chi le leggerà. I quattro anni di lavoro all’intero progetto sono stati una sorta di catarsi per me, un po’ come l’elaborazione di un non risolto che avevo in qualche modo ereditato.

Consigli per chi scopre da poco ( anche se in realtà il disco uscito più di un anno fa precisamente nel marzo 2024 ) il tuo lavoro discografico Esodo , di ascoltarlo prima o dopo oppure ( come rifarò io dopo questa intervista ) in contemporanea al libro L’Eco di un Esodo ?

 I due lavori sono complementari ma indipendenti, entrambi potrebbero vivere in autonomia. Tuttavia penso che leggere prima il libro possa aprire a un diverso livello di “lettura” del disco; quindi, a chi volesse avvicinarsi a entrambi, consiglierei di leggere prima il libro e poi ascoltare il disco. Vorrei specificare che L’eco di un esodo è stata una prima edizione del libro, destinata ad esaurimento; la seconda edizione del libro, autoprodotta e rieditata, ha preso il titolo di Esodo, come l’intero progetto, ed è quella che consiglio di leggere.

 Tu in L’Eco di un Esodo  dici : << [..] “Il punto di vista cui ho dato voce è quello di coloro che sono partiti quando hanno deciso che restare fosse pericoloso o, semplicemente, abbandonare la loro terra risultava ai loro occhi l’unica alternativa possibile. >> quale delle due fu quella dei tuoi nonni che dovettero a causa della difficile situazione delle terre irridente fuggire e venire in italia ?

Direi entrambe. I miei nonni sono venuti via nel ’49, quindi non subito dopo il passaggio alla Jugoslavia. Hanno provato a rimanere sotto la Jugoslavia per quattro anni e mai avrebbero voluto lasciare la loro terra, da sempre multietnica e variegata. La loro partenza non aveva nulla a che vedere con questioni ideologiche, ma con l’impossibilità di poter vivere serenamente, dignitosamente e in sicurezza in quella che era diventata per loro una terra estremamente ostile. Le motivazioni che li spinsero a partire furono parecchie e ben descritte nel mio libro; sarebbe riduttivo esporle in poche parole. Tuttavia, la goccia che fece traboccare il vaso fu il reclutamento di mia nonna, allora ventenne, al “lavoro volontario obbligatorio” per la ricostruzione di strade e ferrovie, lontano da casa e in condizioni di lavoro insostenibili ed estremamente pericolose (tanto che una sua amica morì durante il lavoro, schiacciata da un masso); non essenso possibile rifiutare il reclutamento (pena l’internamento) i miei bisnonni decisero di farla partire per Trieste. Solo mesi più tardi riuscirono ad ottenere il permesso di raggiungerla, ovviamente lasciando tutto per sempre.

Che ne pensi del 10 febbraio giorno del ricordo è riuscito in questi 20 anni della sua istituzione a : << [..] questa storia va compresa con il cuore prima ancora che con la ragione, per evitare di esser risucchiati da quel groviglio di idee e convinzioni, in cui, anche a voler essere obiettivi, si faticherebbe a venirne fuori indenni.” (Tratto da Chiara Atzeni, L’Eco di un Esodo) >> oppure come tutte le cose italiane , soprattutto quando a causa dell'oblio forzato creato dalla guerra fredda ( la cosidetta congiura del silenzio ) e da non essere riusciti a fare i conti con il passato e le proprie responsabilità le ferite sono ancora aperte , ogni volta che si parla di foibe ed esodo finisce in caciara e tipo contrapposizioni da stadio quando c'è un derby ? 
Purtroppo il 10 febbraio rimane per la maggior parte una data divisiva. Credo che l’essere umano abbia bisogno di appartenere a qualcosa e automaticamente schierarsi contro qualcosa di opposto, catalogare il bene e il male e lì fossilizzarsi, come una sicurezza. Lo stesso succede per quella data che potrebbe essere emblema del ricordo, del rispetto del dolore, dell’andare oltre odio, rancore ed etichette per evolvere come esseri umani; e invece diventa oggetto di strumentalizzazione, da entrambe le parti, come scudo e arma per avvalorare le proprie ideologie, qualsiasi esse siano. Ancora una volta, purtroppo, ideologie e preconcetti prevalgono su empatia e umanità. Però, posso dire anche che in questi anni in cui ho portato in giro Esodo, ho incontrato molte persone curiose e ben disposte all’ascolto.



Per concludere due domande su due canzoni che mi sono piaciute di più, oltre Esodo  che da il  titolo  al tuo lavoro  

 In che senso la canzone Immunità è una strada verso la resilienza . di solo  alla   parola immunità    diamo  significato negativo  ?

 Immunità è la canzone più criptica di tutto il disco, che però lascia anche spazio all’immaginazione; a volte il non detto apre a più interpretazioni e lascia più spazio e chi ascolta. Credo ci sia bisogno anche di quello. “ che poi male che vada, saprò farne una canzone” penso racchiuda un po’ il senso. Tutto quello che ci succede può essere trasformato in qualcos’altro. Anche se non era ciò che avevamo immaginato per il nostro futuro. 

Come si collega la bellissima Amica che , almeno io l'ho interpretata cosi , è una lettera a un’amica; un tentativo di calore e vicinanza durante la malattia, con le tematiche del disco e del lavoro Esodo ?

Amica è proprio una lettera, come dici tu; era il mio modo di rimanere vicina a una persona a me cara. Ma anche questa è un invito alla resilienza, a vivere il presente fiduciosi in quello che la vita ci presenterà. E credo che l’empatia e la vicinanza emotiva a volte siano potenti almeno quanto un aiuto materiale.

 vi lascio con le  note dell'ultima    canzone     del disco Esodo   COSA è CASA  .  


La  quale ,   oltre  a  riassumere   insieme  a    Esodo l'intero  ed intenso  lavoro  di Chiara,  è    secondo  https://www.rockit.it/, cosa  con  cui    concordo ,  il ritorno alle origini con la consapevolezza necessaria è possibile solo grazie al distacco di due generazioni; è l’accettazione e la reintegrazione del proprio vissuto e di quello dei propri avi. È la chiusura di un cerchio in  pratica .

13.10.24

«Mamma Calabria», c’è molto da cogliere e raccogliere corriere della calabria 11\10\2024 di emiliano morrone

 Buongiorno per tutto il giorno. Oggi su LA LENTE parliamo di giovani rientrati in Calabria dal Centro-Nord, di restanza, di promozione del patrimonio di natura e cultura della regione. Lo facciamo raccontando una bella iniziativa promossa a San Giovanni in Fiore dal gruppo "I spontanei". E chiediamo alla politica di ascoltare le istanze dei ragazzi che lavorano per mostrare una Calabria diversa. Leggete e condividete, è servizio pubblico del Corriere della Calabria.
Grazie per l'attenzione e cordiali saluti.
Emiliano Morrone 



«Mamma Calabria», c’è molto da cogliere e raccogliere

Una serata organizzata da “I spontanei” a San Giovanni in Fiore ricca di spunti di riflessioni e belle storie di Calabria

 Pubblicato il: 11/10/2024 – 6:38

         di Emiliano Morrone
«Mamma Calabria» è il titolo di un libro di Alessandro Frontera e Danilo Verta appena discusso in profondità nella biblioteca comunale di San Giovanni in Fiore, soprattutto grazie alle domande stimolanti della giornalista Maria Teresa Cortese. Già residente a Milano, Alessandro, l’autore del testo, è una guida ambientale escursionistica, un influencer rientrato in Calabria per promuovere natura, cultura e tradizioni della regione: dal Tirreno allo Ionio, dal Pollino alla Sila, dalle Serre vibonesi all’Aspromonte.

L’appuntamento è stato promosso dall’associazione “I spontanei”che da qualche anno propone incontri e dibattiti sull’esigenza di ridurre l’emigrazione giovanile, di creare impresa, lavoro e progresso partendo dai punti di forza e debolezza dell’area silana: suggestiva ma in parte isolata e sconnessa, bucolica ma ancora periferica, ispiratrice di slanci creativi ma in un contesto socioculturale alquanto condizionato da invidia, rassegnazione, attendismo, doppiezze, mancanza di coraggio.
La Sila ha una storia di peso – dalle utopie di Gioacchino da Fiore alla Riforma agraria del ’47, dalla vecchia emigrazione operaia a quella intellettuale del presente –, oggi più che mai minata dal capitalismo dell’era digitale, che cancella le identità locali, uniforma storie, usanze e posizioni, struttura e impone il mercato assoluto delle merci.
«Mamma Calabria» è anche il motivo comune degli interventi di quattro giovani che, durante la presentazione del volume di Frontera, hanno raccontato le loro storie di restanza oppure di rientro dal Centro-Nord nel periodo drammatico della pandemia. La mamma è per statuto naturale riferimento e rifugio, richiamo e modello; è la figura che, anche nella dimensione simbolica, alimenta, cura, compatisce; è il genitore che induce all’esperienza fuori dallo spazio domestico e intuisce i problemi, i bisogni della prole.


Così, la metafora «mamma Calabria» è valsa a inquadrare, a chiarire il legame di ciascuno degli intervenuti con i luoghi delle origini: forte, continuo, vitale; capace di riaccendere la luce della speranza in un clima oltremodo tormentato, di riaprire il campo delle possibilità, di sostituire le illusioni con le motivazioni personali. Si tratta di quattro ragazzi che provengono da esperienze diverse ma affini: Anna Stefanizzi ha inventato il Cammino dei monaci florensi; come “Esperiandanti”, Luigi Candalise mostra su prenotazione i posti della Sila, in bici, a piedi, a cavallo; Ivan Ariella organizza festival d’arte e richiamo; Maria Costanza Barberio porta, con il collettivo “Fiori florensi”, la ludopedagogia nelle piazze e nelle istituzioni, fra bambini e rispettive famiglie. Questi giovani hanno più di 30 anni e meno di 40, indole ambientalista, una dote d’idealismo proveniente dal loro vissuto nel mondo analogico, una robusta volontà di ritagliarsi spazi autonomi in Calabria, intanto professionali e sociali.
Sono giovani che parlano un linguaggio poetico fuori del tempo; che leggono romanzi intramontabili, diari di viaggio e saggi sulla conservazione della memoria; che con video, post e immagini evocative sanno comunicare le loro attività e trasmettere emozioni, divulgare buone pratiche ed esempi positivi. E sono giovani che, come accade altrove nel pianeta, rivendicano le ragioni della propria terra, cercano di collegare la tipicità locale con l’universalità umana, chiedono ascolto alla politica e impegno per la sostenibilità, l’eguaglianza, i diritti irrinunciabili. «Facciamo politica con il gioco, abituando i bimbi alla libertà di espressione e di giudizio», ha detto Maria Costanza. «La Calabria ha tre Parchi nazionali e uno regionale, noi dobbiamo credere nelle nostre radici, nelle nostre potenzialità», ha osservato Luigi, che ha aggiunto: «Da fuori iniziano a guardarci con altri occhi». Ciò perché diversi giovani calabresi hanno espresso talento e capacità; perché da un pezzo la narrazione dominante, ferma al tragico, a lamenti e semplificazioni di comodo, è contrastata da racconti di vicende edificanti, che iniziano a piacere, a diffondersi, a generare interesse, apprezzamento, consenso. «Per restare in questa terra, ognuno deve fare un cammino dentro di sé», ha osservato Luigi, che ha sottolineato: «Il 30 per cento della biodiversità europea è nelle nostre montagne. Se devo fare dei sacrifici, preferisco farli a casa mia». «Siamo quello che camminiamo», ha chiosato Anna. Stefano “Intour” Straface – che a Torino insegnava nella scuola pubblica e ha scelto di rientrare per promuovere via social eventi e prodotti calabresi – ha infine posto l’accento sulla «necessità che gli imprenditori siano formati per capire quanto valga l’impatto nel web, quanto esso sia utile a lavorare in tutti i mesi dell’anno e non soltanto d’estate o nelle vacanze di Natale». È un altro tema che merita ampia riflessione nelle sedi della politica, in parte assente rispetto alle istanze di giovani che lavorano con la cultura, l’arte e gli strumenti tecnologici.

Nelle parole di questi ragazzi c’è molto da cogliere e raccogliere, ma il punto è che la politica, non tutta, non ne comprende la complessità, la finalità, l’utilità. Però, ha obiettato il fotografo e regista Emilio Arnone, instancabile sperimentatore di linguaggi artistici d’avanguardia, «bisogna smetterla con impostazioni sfacciatamente celebrative, serve equilibrio e uno sguardo d’insieme». È sempre l’autenticità, secondo l’intellettuale, che fa la differenza. Insomma, ovunque ci sono storie illuminanti, quindi bisogna stare attenti a non cedere, come capita sui social, a lusinghe facili, «all’apologetica d’ufficio» di certa pubblicistica.
Diventa difficile costruire reti di collaborazione, se non ci sono basi e contenuti comuni, hanno concluso Alessandro, Anna, Luigi, Ivan e Maria Costanza. E spetta alla politica, che dovrebbe affinare lo sguardo e ampliare gli orizzonti, favorire il compito e la collaborazione dei ragazzi che raccontano l’altra Calabria, quella della bellezza, delle tradizioni, del grande patrimonio culturale e ambientale. (redazione@corrierecal.it)

8.8.24

Diario di bordo n 70 anno II «La Sardegna è la mia terra»: la parola alla pastora 23enne Beatrice Marcia ., Un'indagine sulla condizione femminile: discriminazioni politiche, sociali e religiose le foto della yemenita Boushra Almutawakel e dell' iraniana Shadi Ghadiriandi., La Tornanza: il movimento culturale che sfida lo spopolamento del Sud Italia., esitudine , La Tornanza.


«La Sardegna è la mia terra»: la parola alla pastora 23enne Beatrice Marcia
Figlia di genitori sardi, vive in Toscana, dove fa la pastora. La Sardegna? la sua terra, senza se e senza ma. «La Sardegna è una terra che ho nel sangue, amo tutto ciò che la riguardi... quest’Isola è tutto per me. I miei genitori – nonostante siano in Toscana da molto tempo – hanno sempre cercato di mettere un po’ di Sardegna in tutto ciò che fanno, io infatti mi ritengo sarda al 100% e ne vado super fiera.»
«La Sardegna è una terra che ho nel sangue, amo tutto ciò che la riguardi: le tradizioni, i suoi profumi, la mia gente… quest’Isola è tutto per me. Ci tengo anche a dire che i miei genitori – nonostante siano in Toscana da molto tempo – hanno sempre cercato di mettere un po’ di Sardegna in tutto ciò che fanno, io infatti mi ritengo sarda al 100% e ne vado super fiera. Poi, come si fa a non amarla? È la terra più bella al mondo, dove non manca niente, i paesaggi, l’ospitalità delle persone, le infinite tradizioni. In più, mi ha trasmesso il più bel lavoro del mondo.»
Beatrice Marcia, 23 anni, abita nel Casentino, in un piccolo borgo, ma i suoi genitori sono sardi doc: la mamma è nata e cresciuta nell’Isola, mentre il padre è figlio di emigrati sardi arrivati in Toscana negli anni Sessanta.
Molto legata alle sue origini e alla sua terra, la Sardegna, Beatrice – insieme ai suoi genitori – è una pastora. E porta avanti questo mestiere con fierezza.
«Ho studiato come segretaria d’azienda, ma all’età di 16 anni ho lasciato la scuola perché la mia passione per la pastorizia ero molto più forte e il mio cuore mi ha portato a seguire quella strada» racconta. «Adesso, anche se ho solo 23 anni, mi sento molto realizzata. Certo, i sogni da realizzare nel cassetto sono molti, quello più importante è sicuramente ingrandire l’azienda e riuscir a portare avanti tutto ciò con orgoglio.»
In azienda la 23enne si occupa degli animali insieme al babbo e della parte casearia insieme alla mamma.
«La mattina ci svegliamo presto, portiamo in gregge al pascolo, torniamo e mungiamo a mano. Finita la 
fase della mungitura, portiamo il latte in caseificio e lo lavoriamo subito, trasformiamo il latte a crudo e come la mungitura anche il formaggio viene fatto a mano… la sera procediamo allo stesso modo. Aiuto mia mamma anche con le vendite, con i clienti: abbiamo infatti anche la vendita diretta.»
La pastora, un mestiere che, prima prettamente maschile, si sta – finalmente – diffondendo anche tra le donne: «Sono contenta che adesso le ragazze che fanno questo mestiere siano molte, questo significa che questo mestiere non andrà a morire. Però ho osservato che, da quando ho mostrato sui social la mia quotidianità con i miei animali, molte più ragazze non hanno avuto più paura dei pregiudizi delle persone e si sono mostrate per quello che sono e per quello che fanno. Sapere che siamo molte mi riempie il cuore di gioia… ma poi: sono una più bella dell’altra, viva le donne sempre!»
Lei la pastorizia ce l’ha nel cuore, del resto fa parte della quarta generazione.
«Mio babbo è stato molto bravo a tramandarmi tutto ciò. Basta dire che mia mamma, per farmi fare i compiti, mi minacciava: se non li avessi fatti, non mi avrebbe fatta andare con babbo dalle pecore. L’amore per questo mestiere è nato fin da subito, forse anche perché ci sono cresciuta: per me è stato tutto abbastanza naturale e normale. Il sogno che ho avuto fin da piccola che era quello di avere un caseificio, un marchio tutto nostro, così nel 2019 dopo tanti sacrifici ci siamo riusciti: il nostro caseificio è la mia vita, è tutto ciò che ho.»
La soluzione?
«Dovrebbe cambiare il commercio italiano, cioè non far esportare latte estero, ma dare valore al nostro latte. Per quanto riguarda il commercio dei prodotti caseari, dovrebbero essere più tutelate le piccole aziende che producono il proprio prodotto in modo sano, senza essere calpestate dalle grandi industrie e dalle grandi catene commerciali. Tutto ciò porterà a lungo andare alla chiusura delle piccole aziende e l’agricoltura diventerà industria: come tutti noi sappiamo l’industria tende a fare quantità e meno qualità.»
Ma Beatrice non molla, nonostante le difficoltà ha una tempra di ferro, granitica, sarda.
«Non ritengo che il mio lavoro sia pesante, è vero che non esiste un giorno di festa senza aver pensato prima a sistemare gli animali, ma quando scegli di fare questa vita è perché loro sono la tua vita. Il nostro non è un mestiere ma uno stile di vita, la libertà che ti dà questo mestiere è talmente grande che è impagabile, le soddisfazioni che ti dà non danno peso a nessuno sacrificio. A volte mi rendo conto che non faccio la stessa vita dei giovani della mia età, ma a me non interessa perché la mia felicità e la mia giovinezza la voglio vivere così, piena di valori e sacrifici che mi porteranno ad avere una vita piena di obbiettivi da portare a termine.»
https://ihaveavoice.it/
Un'indagine sulla condizione femminile: discriminazioni politiche, sociali e religiose.
Boushra Almutawakel è la prima donna fotografa riconosciuta in Yemen, con le sue foto, indaga sulla condizione femminile nei paesi islamici, mettendo in risalto la discriminazioni politiche, sociali e religiose che subiscono.
La donna è di proprietà dell’uomo che è il suo guardiano e padrone, mentre lei non ha alcuna autonomia legale. Infatti, vale metà in materia di testimonianza legale perché non è riconosciuta come persona con piena capacità giuridica in tribunale. Inoltre, la testimonianza di una sola donna non è presa sul serio se non è sostenuta da quella di un uomo.
Il 60% delle donne è analfabeta, contro il 25% degli uomini. La violenza domestica non è reato, e il tasso di mortalità per il parto è altissima. Le donne non possono uscire di casa, senza il permesso, nemmeno in caso di emergenza o per motivi di salute, e nei casi rarissimi in cui escono lo possono fare solo se accompagnate dal guardiano e coperte completamente dal velo. Sono relegate in cucina insieme alla servitù, e il loro compito è meramente riproduttivo, in quanto la loro maggiore funzione è quella di sfornare figli in quantità.
Il matrimonio infantile è accettato e incentivato, e non è raro che bambine di otto o dieci anni sposino uomini di 28 o 30 anni: il 52% delle ragazze è venduto prima dei 18 anni, il 14% sotto i 15, di cui oltre la metà intorno agli 8 anni, soprattutto in zone tribali e arretrate del Nord-Ovest.



Ma, come chiarisce la 23enne, non sempre è tutto rose e fiori.
«Ci sono anche delle piccole difficoltà, nel nostro mestiere. A volte non tutti i mesi le cose vanno bene in ambito economico, perché comunque ci sono dei periodi in cui ci sono solo uscite: il cambiamento climatico ci rende le cose difficili. Essendo in Toscana abbiamo problemi con la predazione, come gli attacchi dei lupi, e un’altra parte molto complicata è anche la troppa burocrazia, le troppe regole e i troppi limiti da rispettare.»

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La scomparsa della donna. La fotografa yemenita Boushra Almutawakel ( la  prima )  e quella dell'Irania Shadi Ghadirian (  la  second  ) parlano della condizione femminile nei paesi islamici.
La condizione della donna nello Yemen


Shadi Ghadirian è una fotografa iraniana che scatta fotografie che esasperano i costumi della sua cultura iraniana e gli stereotipi arcaici che pone sulle donne contemporanee
In Iran le donne possono contrarre il matrimonio già a 13 anni, anche prima della pubertà se c’è il permesso del tutore.Non sono libere di sposarsi con chi vogliono, senza rischiare di andare incontro al delitto d’onore.Non hanno il diritto di cantare, se non in un pubblico esclusivamente di sole donne, di ballare, di recarsi negli stadi (eccetto per le partite della nazionale).Non possono ricevere un’eredità adeguata.Non possono vestirsi come vogliono, ma hanno l’obbligo di indossare l’hijab.Non possono viaggiare all’estero da sole, se sposate, e hanno bisogno del permesso del marito.Non possono esercitare la carica di Presidente della Repubblica.Non possono condurre la bicicletta.L’età di una donna è di 9 anni per essere considerata penalmente responsabile (per i maschi 15). È prevista la pena di morte per l’adulterio tramite lapidazione. Spesso avviene anche se vengono stuprate.106 donne sono state impiccate nel 2018 e nel 2019, ma i dati dichiarati probabilmente sono per inferiori a quelli reali.Non esiste un numero ufficiale di femminicidi per “violazioni delle norme islamiche o delle consuetudini sociali”.Il 66 % delle donne sposate che hanno partecipato ad una indagine aveva subito violenza domestica almeno una volta nella vita, un numero probabilmente sottostimato rispetto ai casi reali.40 milioni di donne vivono in Iran.40 milioni di donne i cui diritti più basilari vengono quotidianamente calpestati.Queste donne devono essere tutelate.

 

Leggi alcune storie di donne iraniane:

Marziyeh Ebrahim, deturpata con l’acido perché guidava l’auto.  

Samira Zargari, la head coach della squadra iraniana femminile, il cui marito le ha proibito di partecipare ai Mondiali. 
Zahra Esmaili, impiccata già morta per aver ucciso il marito che picchiava lei e figli. 

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Un libro, un podcast, un festival ma anche un hub e un’academy
La Tornanza: il movimento culturale che sfida lo spopolamento del Sud Italia. Le testimonianze
Un processo di rinascita dei territori che parte dall’innesto tra chi, dopo aver viaggiato, decide di tornare nel paese d’origine e mettere a frutto la propria conoscenza, e chi è rimasto; tra il tornante e il restante. Al centro, il viaggio




Non tutti lasciano la propria città o paese d'origine per sempre. C'è chi torna e sono in tanti a farlo. E non solo ritornano, ma cambiano il loro modo di vivere nel loro luogo d'origine e fanno impresa: nasce il progetto “La Tornanza”, il movimento culturale che vuole far rivivere i borghi italiani. La Tornanza è un libro, un podcast, un festival ma anche un hub e un’academy: il progetto di Antonio Prota e Flavio Albano che sfida lo spopolamento del Sud Italia puntando su origine, viaggio e innovazione. Un movimento di rinascita dei territori che parte dall’innesto tra chi, dopo aver viaggiato, decide di tornare nel paese d’origine e mettere a frutto la propria conoscenza, e chi è rimasto; tra il tornante e il restante. Al centro di questi due poli, il viaggio, come innesco del cambiamento, e l’innovazione, come strumento a servizio del capitale umano e del territorio. 

La Tornanza: il libro

Tutto inizia con un libro: “La Tornanza - ritorni e innesti orientati al futuro” - il saggio di Antonio Prota e Flavio R. Albano (Laterza edizioni), due esperti di turismo e marketing territoriale e digitale - che è in realtà il manifesto stesso del movimento. È qui, infatti, che ci sono tutti i concetti fondanti del progetto che poi vengono messi in pratica: l’importanza di tornare dopo il viaggio e scegliere di ristabilirsi nel paese d’origine, portando con sé un background nuovo, una trasformazione che può innestarsi con la conoscenza dei restanti per partecipare attivamente allo sviluppo del territorio. Una crescita fatta di azioni concrete, volte a creare una nuova economia e una nuova società nei territori che da sempre e sempre più spesso vengono abbandonati. Come il progetto FAME (Food, Art, Move, Energy), un movimento culturale che avvia un circolo virtuoso in cui le comunità lavorano insieme per la crescita dei propri territori attraverso una visione comune e una sinergia che unisce agricoltura, turismo, artigianato e commercio, o la teoria dell’innesto, che pone al centro del dibattito socio territoriale i borghi, intesi come una via di ricostruzione sociale e culturale.

La Tornanza: il podcast

Il racconto della tornanza dalla viva voce dei tornanti diventa la base del video podcast itinerante, una serie di narrazioni per raccontare le storie di chi ha deciso di rientrare a casa. Dalla Puglia, alla Basilicata, dalla Campania alla Calabria e non solo: una volta a settimana, un tornante racconta la sua storia, da dove è partito e dunque dove, dopo un lungo viaggio, ha deciso di tornare, ma anche il perchè di questa scelta e il progetto che sta cercando di portare avanti nella sua terra d’origine, forte dell’esperienza maturata durante la sua assenza. 

La Tornanza: i festival

Non solo podcast, però. Proprio nel segno della collaborazione e della condivisione, la tornanza è anche una serie di eventi dal vivo, i Tornanza festival, per guardarsi negli occhi e raccontarsi le proprie esperienze, ma soprattutto le proprie idee, affinché possano essere d’ispirazione. Il primo è stato lo scorso 28 giugno, a Padula, in Campania, e a breve ce ne saranno altri, alcuni in collaborazione con l’Università. Il 17 e il 18 settembre a Potenza, poi il 20 settembre a Matera e il 1 ottobre a Bari.

 

La Tornanza: gli hub

Innovazione per costruire startup, accoglienza dei tornanti e dialogo tra tornanti e restanti: in questo consistono gli hub, i luoghi in cui si lavora e si comincia a creare la base concreta di un’idea. L'obiettivo è costruire hub in vari territori e per il primo sono già pronte le coordinate: aprirà a settembre a La Certosa di Padula in Campania e a Gravina in Puglia.

 

La Tornanza: l’academy

Vera e propria espressione dei concetti fondanti della Tornanza (origine, viaggio e innovazione) l’academy è lo spazio dedicato alla formazione dei tornanti e per coloro che vogliono diventarlo


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Luigi e Luigia litigavano su tutto, ma il cane Tobia ha salvato il loro matrimonio

Luigi e Luigia sono sempre stati una coppia molto litigiosa. Riuscivano a non essere d’accordo su qualunque aspetto: dalle cose importanti ai progetti della vita sino ad arrivare alla scelta della pizzeria del sabato sera.L’uno ha sempre tentato di prevaricare sull’altro e il loro rapporto è sempre stato una sorta di braccio di ferro disfunzionale che non li ha mai portati a una risoluzione effettiva dei disagi. Anche in terapia avevano l’abitudine di interrompersi, sovrastarsi, insultarsi e a volte di
scappare dal setting terapeutico sbattendo la porta del mio studio.Nel momento in cui l’uno andava via dallo studio o dalla relazione, l’altro lo inseguiva.Tra un litigio efferato e un altro anche l’amore scricchiola ma la coppia non riusciva a seppellire l’ascia di guerra.Nonostante gli impegni da parte di tutti, la coppia continuava a essere una coppia altamente disfunzionale. Quando iniziavano a stare un po’ meglio, tornavano a litigare per un nonnulla e il benessere faticosamente costruito svaniva.I partner erano ben consapevoli di non poter mettere al mondo dei bambini, perché loro stessi si consideravano tali, così di comune accordo - almeno questa volta - avevano rinunciato
L’incontro L’amico del cuore di Luigi, Giuseppe, nome di fantasia, fa l’addestratore cinofilo e ha una pensione per cani. Quando Luigi e Luigia vanno a cena con lui e altri amici, l’argomento principale è il lavoro di Giuseppe. Così, tra una pizza e una
birra, l’amico del cuore incanta tutti i commensali con le sue storie.
Racconta di quel cagnone di nome Gigi che soffriva di disturbi del comportamento e che in realtà aveva bisogno d’amore, e che lui aveva curato.
Di Frida che con i suoi disturbi psico-somatici raccontava il disagio della famiglia in cui abitava e che iniziava a stare bene solo quando si trasferiva in pensione. Di Poldo, che aveva l’abitudine di mangiare le sue feci perché era sin troppo solo, annoiato e trascurato.
E poi c’era Tobia, un Bassotto Tedesco a pelo lungo con due occhi neri penetranti e liquorosi, e un caratteraccio. Allegro, giocherellone, buffo, testardo e vivace al tempo stesso, ma veramente impegnativo. Tobia aveva rapito il cuore di tutti.
Tobia e la pensione

Il quattrozampe frequentava abitualmente la pensione di Giuseppe perché i suoi amici umani viaggiavano spesso per lavoro. Durante la pandemia, i proprietari di Tobia sono rimasti per oltre due mesi in Giappone, lasciandolo in pensione.Al loro rientro il quattrozampe si era talmente affezionato a Giuseppe e ambientato nella sua nuova casa che stentava ad andar via.Anche Giuseppe dal canto suo aveva instaurato un rapporto di profondo affetto con Tobia pur consapevole di doverlo restituire alla sua famiglia.In realtà, Tobia non ha mai avuto un carattere particolarmente facile: non amava rimanere da solo in casa e tutte le volte che accadeva distruggeva qualcosa. Questo suo comportamento aggressivo e disfunzionale aveva messo a dura prova la pazienza dei suoi amici umani, così, un po’ per scherzo, un po’ per sondare il terreno hanno chiesto a Giuseppe se per caso volesse diventare la nuova famiglia di Tobia.Giuseppe non ha esitato neanche un istante e ha ripreso Tobia con sé facendolo diventare un aiuto-addestratore cinofilo.Estate, cane mio non ti conosco. La triste storia di Penelope: dal balcone alla sua nuova vita
La sceltaIl carattere prepotente ed esuberante di Tobia ha messo a dura prova il lavoro di Giuseppe, rendendolo particolarmente complicato.Non voleva rimanere da solo in casa e lo dimostrava con tutte le monellerie in suo possesso. In pensione entrava in competizione con gli altri cani di sesso maschile e man mano che passavano le settimane diventava sempre più morboso e simbiotico nei confronti del suo nuovo amico umano.La vita di Giuseppe era diventata un inferno, ma non poteva più restituirlo perché sentiva una responsabilità enorme.Una sera, tra una pizza e una birra, raccontava a Luigi e Luigia la storia di Tobia. I coniugi, nonostante fossero occupati a litigare, hanno immediatamente mostrato un interesse a dir poco dirompente nei confronti dell’esuberanza di Tobia.(Con il senno di poi, probabilmente, si erano entrambi identificati nelle angosce abbandoniche del quattrozampe e nei frequenti rituali che metteva in atto per attirare l’attenzione).A fine serata hanno chiesto a Giuseppe di incontrare Tobia e di poter stare un po’ con lui.
La sorpresa
Tobia, come sempre, era particolarmente schivo e anche un po’ imbronciato. Non amava ricevere visite, ma preferiva trascorrere la serata sul divano in compagnia di Giuseppe. Ogni persona o cane che frequentava quella casa era considerato per lui una chiara intrusione di campo e di cuore.Quella sera, però, l’incontro tra Tobia, Luigi e Luigia aveva sin da subito presentato delle caratteristiche inedite.Il quattrozampe si è mostrato incuriosito e interessato; probabilmente ha subito sentito l’interesse da parte della coppia.Tutti e tre hanno giocato per l’intera serata, lanciandosi palline e calzini e ridendo a crepapelle. Per la prima volta Luigi e Luigia hanno dimenticato di essere una coppia litigiosa e in crisi e si sono occupati di un altro essere vivente diverso da loro. E Tobia, dal canto suo, ha dimenticato di essere un cane con un carattere difficile e diffidente e si è concesso al gioco.Luigi e Luigia hanno chiesto a Giuseppe di poter adottare Tobia e di poterlo portare a casa con loro. Giuseppe, per poter continuare a vivere a lavorare serenamente, ha acconsentito con una sorta di tacita postilla: nel caso in cui ci fossero stati problemi il quattrozampe sarebbe ritornato a casa sua.
Un anno dopo
La settimana scorsa ricevo una telefonata inaspettata e affettuosa di Luigi e Luigia, che nel mio immaginario erano già separati. In realtà mi raccontano che la loro vita è cambiata profondamente da quando Tobia è entrato a far parte del loro quotidiano. Mi hanno raccontato la loro storia e mi hanno chiesto di scriverla per La Zampa.Hanno poi concluso il racconto dicendomi che grazie all’adozione di Tobia hanno salvato il loro matrimonio, e sempre grazie a Tobia hanno smesso di essere due persone egocentriche e infantili e hanno imparato ad amare e ad essere amati.Tobia ha imparato a rimanere a casa da solo, a non distrugge più nulla e non ululare al silenzio. Luigi e Luigia hanno imparato ad interpretare le esigenze di Tobia e ad ascoltarlo, e nel frattempo hanno imparato ad ascoltarsi l’un l’altro.

Ringrazio Luigi e Luigia per aver avuto fiducia in me e per avere affidato alle mie parole il racconto della loro storia, scritto in esclusiva per La Zampa.





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