Matilde Sorrentino è una donna uccisa dalla camorra nel 2004 a Torre Annunziata. Dopo oltre 20 anni il mandante resta sconosciuto. Matilde si era ribellata al clan che controllava la città ma nonostante questo nessuno conosce le ragioni di questo omicidio. È una storia dimenticata e mai raccontata perché il giorno dopo il suo omicidio venne uccisa a Forcella Annalisa Durante. A Confidential vogliamo raccontare la sua storia per cercare di squarciare il velo d'omertà. Ne parliamo con Tommaso RIcciardelli (Parliamo di Mafia), Marta Casà (Mente Criminale) e Chiara Freddi, l'autrice dell'approfondimento.
Nostra patria è il mondo intero e nostra legge è la libertà
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2.12.25
Matilde Sorrentino: la mamma coraggio uccisa per essersi ribellata alla camorrra denunciando gli abusi sul figlio
1.12.25
“Elena Di Cioccio: ridere sull’inferno Sieropositiva e propositiva: la libertà di raccontarsi con il libro “Cattivo sangue, buona ironia”

Niccky mi è comparsa in un commento qualche post fa. Sono rimasta incuriosita dal nome del blog e sono andata a spulciare.Beh, ho scoperto che Niccky è una donna molto coraggiosa che si presenta così:
“ Sono una ragazza di 39 anni. Ho scoperto due anni fa la mia sieropositività. Amo raccontare di me…Questo blog “sieropositiva ” è una raccolta del virus. ( …) Ognuno affronta la sieropositività come sa e come può. Le donne hanno una possibilità di contrarre l’HIV durante rapporti sessuali non protetti da due a quattro volte superiore rispetto agli uomini, poiché la loro fisiologia le posiziona ad un livello di rischio più elevato (…) Appena risulti sieropositivo,ti viene una gran voglia di sapere tutto e subito…ecco io ce la sto mettendo tutta. Sto raccogliendo più informazioni possibili (…) la gente deve trovare qualcosa da fare mentre aspetta di morire.”
28.11.25
mr playmen avra una seconda stagione ? secondo me si . la merità se si vuole raccontare la storia completa di Adelina Tattilo
« [...] Un finale - oseremmo dire - trionfante, vittorioso e del tutto positivo per la protagonista che, dopo aver lottato e sofferto tanto, ha finalmente la sua rivincita, personale e lavorativa, ma che, al tempo stesso, lascia aperto uno spiraglio. Uno spiraglio per una nuova storia, un nuovo inizio, una nuova possibile stagione. [...] » da https://www.comingsoon.it/serietv/
Da qui, quindi, l'idea di una nuova e seconda stagione di Mrs Playmen. Un'idea che, al momento, sembrerebbe essere solo tale ma di cui si sta parlando ormai già da diversi giorni.
E' anche vero, però, che oltre a considerare la risposta e l'interesse del pubblico, bisogna vedere se e quanto Netflix vorrà investire su un secondo capitolo di una storia costruita intorno ad un personaggio già ben raccontato e sviluppato nella prima stagione. Quindi, per il momento, la domanda del titolo resta aperta
27.11.25
Giulio de plano «I miei 100 anni? Un lungo, splendido giro di giostra» I suoi intrattenimenti viaggianti nelle sagre di mezza Sardegna
unione sarda 27\11\2025

Cent’anni compiuti da poco, metà dei quali passati a fare volteggiare la sua giostra a catene nelle piazze delle feste paesane del sud dell’Isola, con una roulotte itinerante per casa. Giulio Deplano, natali di Oristano, vive a Serramanna da mezzo secolo e, per dirla con il simbolo della particolare attrazione da luna park popolarmente nota anche come “calcinculo”, ha staccato il nastro del secolo di vita. La festa nel suo paese adottivo, che gli è valsa l’omaggio del sindaco Gabriele Littera e della presidente dell’associazione “Anni D’Argento” Maria Grazia Cossu, è stata l’occasione per tornare con la memoria ai lunghi anni di giostraio girovago, durante i quali ha azionato chissà quante volte la leva del reostato elettrico che dava forza centrifuga alla giostra facendo librare in aria i seggiolini.
Con i nonni
«Ho seguito fin da molto piccolo i miei nonni negli spostamenti con il luna park, le nostre giostre», ricorda chiacchierando nella sala da pranzo della casa di una nipote con la quale vive. Sua madre, prosegue, di cognome faceva Duville, storica famiglia che nei primi del ‘900, dalla Francia, portò in Sardegna le attrazioni e gli spettacoli viaggianti cui era dedita: da lì la vocazione di Giulio per quella che, più che una professione, è stata – dice il centenario – «un’avventura».
In proprio
«Quando sono cresciuto – riprende – mi sono messo in proprio, portando in giro la giostra nelle feste della provincia». Il mestiere gli ha regalato le chiavi della felicità dei ragazzini, affascinati dall’ebbrezza della spinta con i piedi al seggiolino che proiettava nell’aria lo spericolato: una volta lanciati, ci si doveva allungare all’inverosimile per riuscire a staccare il nastrino appeso. Quel nastro valeva un biglietto per il giro successivo. Ma bisognava tenerlo saldamente: «Se il nastro, dopo essere stato afferrato, cadeva a terra – precisa tziu Giulio – il premio era vanificato».
Divertimento o famiglia?
«Prego, prendere posto: si gira». La frase di rito riecheggia nelle parole, e soprattutto nei pensieri del giostraio centenario, che per decenni ha detenuto la leva per la gioia di ragazzi e adulti.
«Nei paesi, a parte il cinema, c’era poco», ricorda: «I luna park, durante le feste, erano una grande attrazione, un grande divertimento».
Un divertimento che ha privato Giulio Deplano della gioia di una famiglia propria: «Le donne – sospira – non mi volevano: le spaventava la vita da girovago che facevo, e rifiutavano la mia domanda».
Tutti a caccia del nastro
Una semplice giostra a catene, un pugnometro e poco altro: bastava questo perché le feste paesane si colorassero di magia. Santa Maria a Serramanna, Santa Greca a Decimomannu, Santa Vida a Serrenti e Villasor, San Lussorio a Nuraminis: ecco il suggestivo elenco delle festività, salomonicamente ripartite fra le diverse ramificazioni dei Duville. «Mia nonna – ricorda il centenario – è stata la prima in Sardegna ad avere la classica giostrina coi cavallini disposti su un palco girevole: arrivava dalla Francia e, dato che qui non c’era ancora l’elettricità, girava grazie al traino di un asino, rigorosamente bianco».
Da quel gioco d’altri secoli ai classici intramontabili dei parchi più moderni, come gli autoscontro e i dischi volanti: col tempo i luna-park dei Duville si sono arricchiti di attrazioni sempre più sofisticate e tecnologiche. Giulio invece è rimasto sempre fedele alla semplice, ed economica, giostra a catene. «Prego, prendere posto: si gira», ripete oggi il giostraio, che al prezzo di 100 lire a biglietto regalava a piccoli e grandi tre o quattro minuti di volo («Quando c’era molta gente, però, facevo durare il giro un po’ di meno», confessa). Tutti sulla sua giostra a catene, cercando di afferrare e tenere stretto il nastro rosso che dava diritto al giro gratis.
24.11.25
Il Supramonte visto dai “Cuiles”, l’ultimo avamposto dei pastori di Luciano Piras
la nuova sardegna 22 novembre 2025 21:46

Dorgali «La domenica, le famiglie dei pastori si riunivano in un pinnettu per giocare a tombola o a carte, seduti sopra dei sacchi riempiti d’erba». Così raccontava tzia Michela Mandoi, dorgalese classe 1932, scomparsa pochi mesi fa. Raccontava, lucida e felice, di quei pochi momenti di svago, di quell’unico giorno settimanale consacrato al riposo, anche se poi si lavorava comunque, perché negli ovili, in fondo, c’è sempre qualcosa da fare, persino di domenica. «Nel cuile – aggiunge tziu Nanneddu Fronteddu Berritta, pure lui di Dorgali, dov’è nato del 1933 – producevamo formaggi e salumi che vendevamo in paese a negozianti ed albergatori. I maiali venivano comprati da pastori di Desulo. Generalmente, secondo l’abbondanza di pascolo, le capre producevano tra i 50 e i 70 litri di latte al giorno, dai quali ricavavamo tre, quattro formaggi».
Bastano queste poche pennellate, questi pochi passaggi rubati al nuovo libro di Leo Fancello, “Cuiles. Storie e tradizioni del Supramonte”, appena pubblicato dalla Edes di Sassari, per immergersi in un mondo che ormai sta scomparendo, vinto dai tempi, dimenticato dai social eppure ancora benedetto da madre natura, regina indiscussa nelle cime più impervie di Baunei, Dorgali, Oliena, Orgosolo e Urzulei.

Il regno dei cuiles: «Le antiche dimore di chi in quei monti ha duramente lavorato per lunghi anni, allevando capre e maiali» spiega Fancello. Professione geometra, speleologo, guida ambientale e turistica, profondo conoscitore di ogni sentiero e anfratto del Supramonte. È qui, in questi labirinti carsici che dalle zone interne guardano al Mar Tirreno, che Leo Fancello ha censito ben 263 insediamenti umani, dove «svettano le superbe capanne di abitazione, i pinnettos, che ricordano da vicino le capanne nuragiche» spiega l’autore di questo libro frutto di oltre trent’anni di escursioni, incontri, interviste, rilievi, studi, fotografie. Oggi sono soltanto due, forse tre le famiglie che ancora vivono e lavorano nei cuiles: a Buchi Arta, ai confini tra il cielo e il mare, tra i ginepri di una pietraia che si affaccia su Cala Luna e una falesia che squarcia l’orizzonte infinito.
Di ogni cuile individuato, Fancello presenta una scheda tecnica, ne descrive le condizioni attuali, misura la quota altimetrica, segnala la presenza o meno di recinti per animali o di siti archeologici. Fancello va oltre: accanto alle tecniche di costruzione e alle caratteristiche architettoniche, differenti da paese a paese, da zona a zona, raccoglie le testimonianze dirette, i racconti in prima persona dei protagonisti e delle protagoniste che hanno vissuto i cuiles di un tempo: pastori, caprari soprattutto. Storia e storie dei Supramontes. «Ciascuna secondo la propria singolare identità ma nel quadro antropologico della comunitaria cultura pastorale» evidenzia Bachisio Bandinu nella presentazione del saggio, una guida sicura nell’ambiente naturale di questa porzione di Sardegna, un viaggio nel passato che porta dritto dritto al futuro, dalla conformazione geologica all’etnografia, dalla preistoria alla tecnologia, dai metodi di allevamento alla tradizione orale. Persino alla poesia. Leo Fancello ci aggiunge anche la narrazione: uno stile tutto suo, che intreccia parole e immagini, suggerimenti e constatazioni, dati analitici e generali, documenti, sogni, speranze e cruda realtà.

Perché se oggi i cuiles sono tappe di un percorso alla scoperta delle meraviglie del Supramonte, non bisogna mai dimenticare che quelle stesse capanne sono state croce e delizia di generazioni di uomini e donne che hanno dovuto lavorare sodo per tenere in piedi la famiglia. Un mondo raso al suolo, letteralmente, dall’arrivo della petrolchimica, devastante per le campagne del Nuorese. Molto più del banditismo, la piaga tanto temuto allora, quando era facile negli ovili fare a tu per tu con chi era alla macchia. L’ospitalità era sacra, non poteva essere negata a nessuno, come in mare aperto non può essere negata una ciambella galleggiante a chi rischia di affogare. «Questo libro non rappresenta solo il ricordo di un tempo passato che non si ripeterà mai più – chiude Angelo Capula nella postfazione del volume –. Non è soltanto il racconto di vite vissute ma è un messaggio per l’attuale generazione e quelle future. In questa prospettiva il Supramonte, con i suoi cuiles carichi di storia e storie millenarie, è un bene unico, di inestimabile valore, un’importante opportunità e anche una sfida che gli amministratori pubblici devono saper affrontare». «È stata una corsa contro il tempo e, probabilmente – saluta Leo Fancello –, siamo arrivati un po’ tardi. Sono rimasti pochi uomini e donne in grado di raccontare quel mondo, e molti cuiles, fra non molti anni, saranno ridotti ad informi cumuli di macerie». La speranza ultima è che questo patrimonio non vada mai perso.
Il glossario Dalla A di “ae”, che in italiano significa “aquila reale”, e di “ae trina” che sta per “aquila del Bonelli”, alla Z di “zumpeddu”, “sgabello basso, di sughero, legno o ferula”. Leo Fancello ha pensato bene di inserire nel suo libro “Cuiles. Storie e tradizioni del Supramonte” anche un piccolo “Glossario” che raccoglie i vocaboli sardi dorgalesi che ruotano attorno al mondo degli ovili. Poche pagine utilissime per i lettori che si avvicinano per la prima volta a questo spaccato di Sardegna. Intanto, una precisazione: “cuile”, singolare di “cuiles”, viene detto anche “coile”, “coiles”. Indica l’ovile, l’insediamento pastorale. “Cuile ‘e monte” è l’ovile di montagna. “Cuile ‘e settile” è l’ovile d’altipiano. “Cuile d’eranu” è l’ovile utilizzato dalla primavera all’autunno. “Cuile pesau” dae terra è la capanna con le travi che partono dal suolo. “Cuile a muridina” è la capanna con le travi che poggiano sul muro perimetrale. Poi ci sono i “culuminzos de cuile”: le travi principali della capanna di abitazione. Il riparo per i capretti prende il nome di “edile” mentre la capra che ha un’età compresa tra i tre mesi e un anno si chiama “gargazza”. “Su camu” è il morso di legno per svezzare i capretti. E via discorrendo, passando per “mandra” o “corte”, il recinto per gli animali, per “secotiana”, capra che figlia da febbraio in poi, fino a “taschedda”, piccolo zaino di pelle, e “teracu ‘e pè”, servo pastore con gregge proprio. Scorrere l’ordine alfabetico del glossario è un modo per ricapitolare quanto svelato da questo “Cuiles”, nuovissima fatica letteraria di Leo Fancello, già autore di altre pubblicazioni sul tema andate esaurite da tempo. Sua la guida pratica ai sentieri dei Supramontes “Trekking dei cuiles”, ormai introvabile.
22.11.25
IL CASO DELLA FAMIGLIA INCONTAMINATA
La madre dei ragazzi ,Catherine, afferma che la società offra modelli tossici, ipercompetitivi, stressanti, poco attenti al benessere individuale e che vuole che i figli si formino in modo sano ed equilibrato prima di entrarci da adulti. Altrimenti detto: l’idea è quella di prepararli ad entrare in un mondo disfunzionale da sani di mente.Ma il sistema, il medesimo sistema che considera le baby influencer la norma, decide che debbano essere puniti per aver dimostrato che ci si può sottrarre ai fallimentari modelli imposti dalla società dello schiavismo capitalista.

ma un compremesso alla , vedere il film , Captain Fantastic un film del 2016 scritto e diretto da Matt Ross.
Protagonista del film è Viggo Mortensen, che interpreta il ruolo di un padre fuori dagli schemi che ha vissuto in isolamento con la sua famiglia per oltre un decennio, lontano dalla moderna e consumistica società.Il film è stato presentato in anteprima mondiale al Sundance Film Festival 2016, per poi essere proiettato nella sezione Un Certain Regard al Festival di Cannes 2016, dove ha vinto il premio per la miglior regia. Nel corso del 2016 ha ottenuto diversi riconoscimenti. .... per la per la trama continua su Captain Fantastic - Wikipedia
Per quanto riguarda la vicenda in sè fa però sorgere dei dubbi che sono gli stessi che leggo su thereads
rainbowgio
Riguardo ai bambini nel bosco, mandati CON LA MADRE (quindi NON strappati alla famiglia) in una struttura protetta. Vorrei dire una cosuccia ai fanatici della vita bucolica e a quelli che "magistrati cattivihih"! Questi bambini sono finiti in ospedale per un' intossicazione da funghi, il che lascia presupporre una scarsa responsabilità in coloro che li hanno nutriti, cioè i genitori. Inoltre non vedevano mai altri bambini e non avevano socialità. Vi sembra normale nel 2025? 👇🏼
voi cosa ne pensate ? lasciate se vi và un parere nei commenti
20.11.25
spesso. tipi consideratri strani ci danno lezioni di altruismo vero il caso di Giandomenico Oliverio e ladislav di Emiliano Morrone
eco l'articolo corriere della calabria 20\11\2025
la storia a lieto fine
Il ragazzo che salva i cani… e le persone: Ladislav rinasce grazie a Oliverio
Partito da San Giovanni in Fiore verso Roma, il 65enne ottiene un documento dopo mesi vissuti ai margini. A sostenerlo il ragazzo che dormiva in roulotte con 30 animali
SAN GIOVANNI IN FIORE Notte. L’autobus parte da piazza Antonio Acri, diretto a Roma da San Giovanni in Fiore. Dal finestrino un passeggero ignoto guarda la strada macinata con animo sollevato. Si tratta di Ladislav Tomlein, 65 anni, slovacco di Levoča. Sul sedile accanto siede Giandomenico Oliverio, il giovane sangiovannese che molti conoscono per il suo amore verso gli animali, i cani in particolare. Non è una gita, perché l’anziano ha bisogno come il pane di un documento di identità. Per mesi ha infatti vissuto come nell’ombra, riconosciuto soltanto dai calabresi che l’hanno accolto e confortato ogni volta.
Ladislav approda in Calabria in silenzio, con un cane bianco e una piccola tenda. Giunge a San Giovanni in Fiore senza documenti e riferimenti, dorme all’aperto e affronta il freddo con il proprio amico a quattro zampe. Alcuni cittadini gli danno una mano, tra questi Giovanni Spataro, che continua a sostenerlo con la presenza e qualche aiuto economico. Ma la svolta arriva quando il signor Tomlein incontra Oliverio, che vive in una roulotte a San Leonardo di Caccuri (Crotone), mentre provvede ai propri 13 cani e ai 17 di suoi parenti; tutti i quadrupedi sequestrati l’anno scorso su provvedimento dell’autorità giudiziaria.
Oliverio non chiede alcunché: ospita Ladislav nella propria roulotte, gli dà un tetto e dei pasti per vivere. Dopo il sequestro degli animali e del terreno, Oliverio lo porta con sé a San Giovanni in Fiore, a casa sua. In sette mesi e passa, Ladislav entra nella sfera familiare del giovane. Non è un ospite né costituisce un peso. Sta lì come presenza stabile; «come uno zio», racconta Giandomenico.
Intanto le istituzioni appaiono sfuggenti. Nessuna struttura pubblica prova a farsi carico di Ladislav, che continua a vivere senza un documento e in teoria senza sanità e gli altri diritti di base. Dell’uomo si occupa anzitutto Oliverio, che intanto deve affrontare un procedimento per presunto canile abusivo e mancata ottemperanza a provvedimenti amministrativi. Le accuse sono ancora in corso ma non cancellano il dato: c’è un pezzo di mondo che rimane fermo mentre il ragazzo, che in giro sembra strano, accoglie senza utili un uomo in difficoltà.
Poi matura la decisione di andare a Roma. Nella notte scorsa salgono sul bus per la Capitale. Stamani, al Consolato della Repubblica Slovacca, Ladislav riceve un documento provvisorio che gli consente finalmente di curarsi, muoversi in libertà e lavorare se ne avrà l’occasione. Nei prossimi mesi il suo Paese gli darà il documento definitivo.

Per Ladislav è la fine di un limbo lungo quanto ingiusto. Per Oliverio è l’ennesimo gesto che parla da sé: dopo aver salvato decine di cani da abbandono e fame, assiste un essere umano lasciato al destino imprevedibile e a un immobilismo pubblico all’italiana. La domanda nasce spontanea: chi ha fatto il minimo indispensabile, le istituzioni o un ragazzo che viveva in roulotte?
Oggi Ladislav scende dal bus con un foglio che gli apre, volendo parafrasare Franco Battiato, «un’altra vita». L’aspetta il suo cane bianco, affidabile, paziente, affettuoso. E in mezzo c’è sempre Oliverio, che continua a muoversi secondo la voce della coscienza. Quella che nessun giudizio “direttissimo” potrà mai irretire.
19.11.25
«Gareggio per ricordare mio papà Sarò in auto insieme Miki Biasion» Michela Imperio, figlia di Nicola, a 24anni ritorna a fare rally a Buddusò
16.11.25
Diario di bordo n 154 anno III Onifai A centosei anni si è dovuta recare all’ufficio postale per l’autentificazione di una firma per non perdere il diritto alla pensione ed altre storie burocrazia, integrazione tra culture , forza animale
A 106 anni all’ufficio postale solo per autenticare una firma per la pensione .Il sindaco: «La nostra nonnina costretta a spostarsi nonostante le difficoltà»

La nonnina di Onifai Luisa Monne con il sindaco Luca Monne
Onifai
A centosei anni si è dovuta recare all’ufficio postale per l’autentificazione di una firma per non perdere il diritto alla pensione. È successo nei giorni scorsi nel piccolo centro della valle del Cedrino. La signora Luisa Manca, alla veneranda età di 106 anni e con comprensibili problemi di deambulazione, si è dovuta spostare seppur per poche centinaia di metri per assolvere a questa incombenza. A comunicarne la notizia il sindaco del paese Luca Monne. «Abbiamo assistito a un episodio che mette in luce come, nonostante le normative e le leggi a tutela delle persone con difficoltà motorie, spesso manchi una reale sensibilità e disponibilità ad applicarle in modo flessibile e umano – spiega il primo cittadino –. La nostra nonnina tzia Luisa con le sue evidenti difficoltà è stata costretta, nonostante tutto, a recarsi presso gli uffici postali per autenticare una firma, pena la sospensione della pensione». Come spiega ancora Monne è «Un compito che in condizioni normali sarebbe stato semplice, ma che in questo caso si è trasformato in una fonte di grande disagio e sconforto per lei e la sua famiglia. Con grande sforzo la signora ultracentenaria, è stata caricata in macchina per essere accompagnata allo sportello dimostrando, come spesso le frenesie burocratiche si scontrino con la realtà delle persone più fragili. Le leggi italiane prevedono norme di tutela per le persone con disabilità ma è evidente che in molti casi sarebbe necessario prevedere delle misure più flessibili e personalizzate – dice ancora il sindaco –. In questi casi, dovrebbe essere possibile usufruire di alternative come la delega, l’autenticazione a domicilio o procedure telematiche che evitino a persone come tzia Luisa di affrontare inutili fatiche e rischi. È fondamentale che le istituzioni, pur rispettando le normative, si mostrino più sensibili, pronte ad adattarsi alle esigenze di chi si trova in condizioni di vulnerabilità. Chiediamo quindi alle autorità e alle Poste Italiane di rivedere le proprie procedure, prevedendo misure di deroga e strumenti di tutela più efficaci, per evitare che episodi come questo si ripetano. La tutela dei diritti e della dignità di tutte le persone, soprattutto le più fragili, deve essere sempre una priorità affinché nessuno si trovi costretto a vivere situazioni di disagio o esclusione a causa di rigidità burocratiche. Questa non è assolutamente una critica nei confronti dell’ufficiale di Poste, che riceve direttive e si attiene alle normative e a tzia Luisa non possiamo che augurare che queste situazioni, se mai dovessero capitare, si verifichino per molti anni ancora». Per completezza d’informazione, occorre precisare che Poste Italiane si è immediatamente scusata per l’accaduto, e a riferirlo è lo stesso sindaco: «Capiamo le difficoltà ma siamo vicini alle persone, soprattutto alla nostra nonnina» conclude Luca Monne.
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Cento anni di cemento, mattoni e tanto cuore: la storia della famiglia Rasenti

Olbia Cento anni tondi tondi e una città che, per certi versi, è diventata così grande anche grazie a loro. Perché è dal 1925 che i Rasenti ci mettono cuore, cemento, ferro e mattoni. Stessa licenza, stessa linea di sangue. Dal nonno con la bombetta ai nipoti che parlano di materiali da costruzione ecosostenibili. In mezzo c’è un secolo di storia e di vita familiare: Terranova che si trasforma in Olbia, il dopoguerra, il boom del turismo e una città in continua espansione. «Quando nonno Giuseppe aprì la sua attività Olbia era tutta lì, c’era soltanto quello che oggi chiamiamo centro storico» sottolineano i nipoti Pietro e Giuseppe Rasenti. Tutto cominciò in via De Filippi. Poi, molti anni dopo, il trasloco in fondo a viale Aldo Moro.
«In via De Filippi non ci stavamo più. E soprattutto non passavano più i mezzi. Andavano bene i carretti e i camioncini, ma ce lo vedete voi un autotreno passare in quella strada?». Naturalmente no. Olbia è cambiata e in parte sono cambiati anche loro. Ma la missione – un secolo dopo – resta ancora la stessa: vendere materiale edile e, da qualche tempo, anche elementi di arredo. Pure la passione è sempre la stessa, identica a quella che, un secolo fa, spinse Giuseppe Rasenti a creare una attività tutta sua.
La storia La famiglia Rasenti è presente a Olbia dai primi decenni del Settecento. Due secoli più tardi, invece, la svolta imprenditoriale. «Fu nostro nonno a fondare l’impresa, anche se prima ancora, verso la fine dell’Ottocento, i nostri bisnonni aprirono una rivendita di tabacchi in corso Umberto – racconta Pietro –. Per quanto riguarda la nostra attività, tutto cominciò con un deposito di legname. Presto, però, arrivò il materiale da costruzione più classico: mattoni, cemento, ferro. Il deposito si trovava in via De Filippi, nell’area oggi occupata dalla banca. Poi il trasferimento in viale Aldo Moro, era il 1978». Negli anni Sessanta l’impresa passò nelle mani dei figli di Giuseppe: Tonino e Alvaro, conosciutissimi a Olbia. Dagli anni Novanta, invece, opera la terza generazione: Giuseppe e Manlio, figli di Alvaro, e Pietro e Angelica, figli di Tonino. Trasformazioni e passaggi di consegne che hanno contribuito all’espansione di Olbia.
Perché sono centinaia (se non di più) gli edifici della città – ma anche del borgo di Porto Rotondo – che sono stati costruiti con il materiale acquistato dai Rasenti. «Ma naturalmente, negli anni, è cambiato tutto – ricorda Pietro –. Nel dopoguerra, per esempio, gli olbiesi venivano da noi, prendevano il materiale, si costruivano la casa e poi pagavano piano piano. Non c’erano le banche, bastava una stretta di mano. A Olbia ci si conosceva praticamente tutti. Un tempo la manodopera costava molto meno dei materiali. Oggi, invece, accade l’esatto contrario».
Rasenti oggi Dal 2007 la Rasenti materiali da costruzione spa – che festeggia il centenario proprio in queste settimane – fa parte del consorzio BigMat, con oltre mille punti vendita e 577 soci in sette Paesi. L’azienda olbiese – che in viale Aldo Moro conta sia uno showroom che un negozio di materiali – vanta una ventina di dipendenti e un fatturato di circa sei milioni di euro.
Una attività che continua naturalmente a seguire tutte le trasformazioni del mercato e anche dei materiali richiesti per la costruzione. «Sicuramente tante cose sono cambiate dopo la grande crisi del 2008 – ricorda Pietro Rasenti –. Il mercato si è spostato non tanto sulla costruzione del nuovo ma sulla ristrutturazione. È significativa anche l’evoluzione dal punto di vista dell’innovazione dei materiali. Oggi si parla di cappotto, di isolamento, di ecosostenibilità». «Poi, ovviamente, dagli anni Ottanta-Novanta è cambiata anche l’estetica – sottolinea Giuseppe –. Una spinta di questo tipo, a Olbia, è arrivata soprattutto dalla vicina Porto Rotondo e dalla Costa Smeralda. Realtà internazionali che fatto sicuramente la loro parte nel modo di concepire la casa anche in città».
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Senegalesi, cinesi e sassaresi ridipingono la staccionata di corso Vico: "Esempio di vera integrazione"
Sassari Le signore distribuiscono dolcetti, succhi e caffè tipico del Senegal, i ragazzi armeggiano con rulli, pennelli e vernice bianca, i bambini giocano e mangiano. C'era proprio aria di festa, in occasione del progetto "Scuola della comunità" dell'istituto comprensivo San Donato, con il finanziamento della Fondazione di Sardegna, il patrocinio del Comune e la collaborazione di comitato Centro Storico, comunità senegalese e cinese e di cittadini e associazioni come Il Cenacolo. Un'idea semplice, ma efficace: con i materiali acquistati e donati dalla comunità cinese, la comunità senegale si è messa al lavoro per imbiancare la staccionata che costeggia corso Vico. Nelle prossime settimane, artisti e bambini si dedicheranno a riempire di colori e opere la staccionata. "Un messaggio di pace nel viale delle Rimembranze, dove ogni albero rappresenta un caduto in guerra" ricorda il presidente del comitato Centro Storico Giovanni Ruiu. "L'obiettivo è quello di rigenerare questo tratto di corso Vico coinvolgendo chi vive nel centro storico" spiega la dirigente dell'istituto comprensivo Patrizia Mercuri. Una rigenerazione che, nella strategia del Comune, passa anche dal nuovo mercato di corso Vico: "La settimana prossima pubblicheremo la graduatoria definitiva e già da subito potrà partire il mercato, ogni venerdì dalle 8 alle 14". Insieme a Qiu Zhongbiao, rappresentante della comunità cinese, anche Mor Sow, maestro di musica e presidente dell'associazione Amico del Senegal - Batti cinque: "Siamo qui per dimostrare non solo che ci siamo, ma anche la nostra disponibilità a lavorare per rendere più bello il centro storico di Sassari". (a cura di Davide Pinna)
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Crudeltà sugli animali
Olbia, cagnolina trovata senza le zampette posteriori: la storia di Giada, simbolo di resistenza

La Lida: «E’ stata abbandonata in campagna. Ci siamo chiesti come abbia fatto a sopravvivere»
Olbia Si chiama Giada, pesa cinque chili, e quando i volontari della Lida di Olbia l’hanno vista per la prima volta non riuscivano a credere che fosse ancora viva. La cagnolina è stata trovata sola in campagna, con le zampette posteriori amputate, le ossa esposte, costretta a muoversi trascinandosi sui moncherini. Una scena difficile da reggere anche per chi è abituato a intervenire nei casi più estremi.
La sua storia è stata raccontata in un post dalla Lida, che definisce l’immagine di Giada «un grido silenzioso di sofferenza» e allo stesso tempo un esempio di forza: «Ci siamo chiesti come abbia fatto a sopravvivere da sola in quelle condizioni». Nessuno conosce ancora cosa le sia accaduto né da quanto tempo vagasse ferita nella campagna.
A dare l’allarme è stato un volontario, contattato da chi aveva notato la cagnetta spostarsi con evidente difficoltà. «Si muoveva sui moncherini, mostrando una tenacia incredibile», raccontano dal rifugio I Fratelli Minori. Le foto inviate alla Lida, guidata da Cosetta Prontu, hanno gelato i volontari: «Ci siamo sentiti paralizzati dall’impotenza e dalla tristezza, capendo che la sua vita dipendeva da un gesto di umanità».
Il recupero è avvenuto subito. E mercoledì mattina, 12 novembre, Giada è arrivata al rifugio, accolta – scrivono – «con un abbraccio d’infinito amore e premura». Adesso verrà visitata da un chirurgo ortopedico per valutare la possibilità di un intervento che le consenta di iniziare un percorso di recupero. Un cammino che sarà lungo e complesso, fatto di cure, medicazioni e adattamento, ma che la Lida si dice pronta ad affrontare «passo dopo passo».
È l’ennesimo episodio di crudeltà registrato nel territorio. Solo poche settimane fa l’associazione aveva salvato cinque cuccioli chiusi in un sacco di juta, abbandonati in una campagna olbiese e recuperati appena in tempo. Un caso che aveva suscitato forte indignazione e riacceso il dibattito sulla tutela degli animali e sulla necessità di maggiore responsabilità da parte dei proprietari.
Il messaggio della Lida, oggi, è lo stesso: Giada è una sopravvissuta. «Un esempio vivente della forza della vita, una piccola guerriera», la definiscono. Animale «speciale», uno di quelli che molti chiamano «con un angelo custode». L’associazione invita tutti a non restare indifferenti: «Ogni gesto può fare una differenza enorme. Il vostro supporto è un messaggio potente: esistono ancora speranza, compassione e amore incondizionato».
Il rifugio chiede ai cittadini di diffondere la storia della cagnetta e, per chi può, di contribuire alle cure. «Facciamo in modo che senta questo amore in ogni passo verso il suo lieto fine», si legge nel post. «Perché, nonostante tutto, Giada non ha mai smesso di lottare».
Manuale di autodifesa I consigli dell’esperto anti aggressione Antonio Bianco puntata n LX IMPARATE A “LEGGERE” IL LINGUAGGIO DEL CORPO
Il linguaggio del corpo da solo non basta a prevenire femminicidi o violenze, ma può essere un segnale precoce utile se integrato con educ...
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Come già accenbato dal titolo , inizialmente volevo dire Basta e smettere di parlare di Shoah!, e d'aderire \ c...
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iniziamo dall'ultima news che è quella più allarmante visti i crescenti casi di pedopornografia pornografia...
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Ascoltando questo video messom da un mio utente \ compagno di viaggio di sulla mia bacheca di facebook . ho decso di ...




