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5.8.15

Franco Cardini inquadra il clima italiano : Non parliamo di razzismo è ostilità nei confronti del diverso . la normale diffidenza verso “l’altro” è diventata xenofobia

Leggo su www.lastampa.it/2015/07/19/italia/cronache/ questa interessante intervista all'ottimo studioso Franco Cardini





LAPRESSE Gli scontri di venerdì tra manifestanti e polizia dopo l’arrivo di alcuni profughi a Casale San Nicola



MATTIA FELTRI
ROMA



Professor Franco Cardini, che sta succedendo fra italiani e immigrati?

«Parafrasando un noto detto, anche stupido e banale, quando il gioco diventa serio bisogna che le persone serie si mettano a parlare. Vorrei essere serio perché la situazione è molto grave e non ci si deve parlare addosso».



È una situazione grave, ma è razzismo?


«No, non è razzismo e chi lo sostiene cambia le carte in tavola. Intanto la parola razza è ormai compromessa, nonostante sia stata usata in tutto l’800, che è un secolo di impronta scientifica. E infatti il razzismo è una teoria basata su presupposti scientifici, e non significa che siano presupposti veri».



Bene, non siamo neonazisti.


«Ma non bisogna pensare soltanto agli scienziati del Terzo Reich: basta pensare a Voltaire che era un feroce antisemita, o a Lutero che scrisse libri violentissimi contro gli ebrei. In definitiva il razzismo è una teoria o una prassi che non soltanto individua differenze razziali, ma postula gerarchie per cui ci sono razze superiori, razze inferiori, razze nocive. Nel mondo attuale di tutto questo non c’è più nulla - tranne qualche nazistello residuale - perché il 1945 è stato un vaccino efficacissimo. Vedete, tutti provano tenerezza per il bimbo straniero adottato, ma se ti arrivano fuori casa trenta immigrati la faccenda cambia».



Dunque è soltanto paura?

«L’idea per cui il diverso è pericoloso è fisiologicamente e non patologicamente connaturata alla natura umana. Il diverso è chi arriva da lontano e non dimentichiamo che in latino hospes e hostis, cioè ospite e nemico, hanno la stessa radice. E infatti nei testi antichi, dall’Iliade alla Bibbia, ci sono precetti che proteggono l’hospes, il quale però è tenuto a un’etichetta rigorosissima, a cominciare dal fatto che non può intrattenersi troppo a lungo. L’ospitalità è ben circoscritta nei termini di qualità e di tempo».



Cioè, l’ostilità prevale sull’ospitalità?

«Quando il fenomeno del diverso smette di essere affascinante e di suscitare curiosità, ma diventa massiccio e quindi minaccioso, a prevalere è il pregiudizio, e l’africano torna a essere negraccio schifoso».



Ecco, noi da bambini ci commuovevamo con «Radici», la storia dello schiavismo americano e pensavamo che non saremmo mai stati così.

«Certamente, è facile essere comprensivi quando i problemi riguardano gli altri. Allora non costa niente essere per i più deboli, anzi, ci fa sentire meravigliosamente buoni. Da bambini pensavamo anche che al Colosseo avremmo sfidato l’imperatore e i leoni per salvare i poveri cristiani. Che stupidaggine! Al contrario, ci saremmo divertiti un mondo a vederli sbranare dai leoni, e questo aiuta a capire che anche i brutti e i cattivi hanno le loro ragioni: se si conoscesse bene il trattato di Versailles alla fine della Grande Guerra, scopriremmo che Hitler non aveva ragione, ma non avevano tutte le ragioni neanche gli altri».



Ma quando vede gli scontri di piazza, lei che cosa prova?

«Penso che questa gente vada accolta, ma anche che vadano capite le dinamiche che si sono scatenate di modo da trovare un equilibrio - pure socio-economico, di distribuzione della ricchezza - e sarà un equilibrio che costerà qualcosa a tutti. Un conto è ospitare il diverso, altro conto ospitare qualsiasi tipo di prepotenza, sebbene spesso siano prepotenze involontarie».



Che cosa intende con «capire le dinamiche»?

«Abbiamo un vizio etico-politico che deriva dall'inesperienza - perché non siamo mai stati un vero Paese coloniale - e abbiamo tenuto un atteggiamento di apertura acritica derivato dal senso di colpa per quanto successo nella Seconda guerra mondiale. Quando di immigrati ne sono arrivati tanti, cioè quando la bilancia ha debordato dall’altra parte, la normale e sana diffidenza per il diverso si è trasformata in una xenofobia di ritorno che è la bombola d’ossigeno di Matteo Salvini, ma anche di gruppi di estrema destra. Anche perché a sinistra si predica uno sterile umanesimo. Quindi siamo vittima di un pregiudizio che, e questo è grave, si scontra col pregiudizio che per esempio hanno di noi gli islamici. E attenzione: si deve avere rispetto del pregiudizio come si ha rispetto della malattia».



Professore, è pessimista.

«Penso che dovremmo seguire il modello tedesco dell’integrazione (l’accettazione della cultura diversa, ndr), e si è visto come i rapporti una volta pessimi coi turchi siano oggi eccellenti, e non quello francese dell’assimilazione (l’adesione alla cultura del Paese ospitante, ndr). Diciamo che sono pessimista sulla tattica, ma ottimista sulla strategia: conosco la storia delle invasioni e quella delle immigrazioni, e in genere finiscono bene».






Incuriosito gli ho scritto all'email del suo sito ( http://www.francocardini.net/contatti.html ) chiedendogli d'approfondire alcune questioni da lui sollevate ed ecco che ne è uscita un altra intervista


Date: Sat, 25 Jul 2015 18:25:15 +0200
Subject: approfondimento dell'intervista sulla stampa del 19\7\2015
From: redbeppe@gmail.com
To: fc40@outlook.it


Salve
ho letto con interesse la sua intervista sulla stampa del 19\7\20115 e vorrei approfondire alcune cose .



1) quando lei dice : << ( ... ) Quindi siamo vittima di un pregiudizio che, e questo è grave, si scontra col pregiudizio che per esempio hanno di noi gli islamici. E attenzione: si deve avere rispetto del pregiudizio come si ha rispetto della malattia». >> cosa intende ? e come fare ad avere rispetto di un pregiudizio ? i pregiudizi non sono da cancellare ?
2) quando le dice : << «Penso che dovremmo seguire il modello tedesco dell’integrazione (l’accettazione della cultura diversa, ndr), e si è visto come i rapporti una volta pessimi coi turchi siano oggi eccellenti, e non quello francese dell’assimilazione (l’adesione alla cultura del Paese ospitante, ndr). >> non c'è il rischio che cosi s'arrivi ad un pensiero unico \ dominante e si uccidano le diversità ? non sarebbe meglio come ( mi scuso se mi permetto di auto citarmi ) suggerisce questa vicenda http://ulisse-compagnidistrada.blogspot.com/2015/07/battesimo-bat-mitzvah-o-hijab-in-testa.html applicare il sincretismo culturale . èstato applicato come lei saprà durante i secoli vedere il caso del'andalusia dopo la reconquista 





AVEVO DIMENTICATOI D'AGGIUNGERE COSA INTENDE PER prepotenze involontarie


Date: Sat, 25 Jul 2015 18:25:15 +0200
Subject: Re: approfondimento dell'intervista sulla stampa del 19\7\2015
From: redbeppe@gmail.com
To: fc40@outlook.it





1. Il pregiudizio, o quello che noi riteniamo tale, è frutto di un modo di ragionare e di vivere che magari noi non conosciamo a fondo; e, anche se avessimo la prova certa che si tratta di qualcosa di completamente errato, dovremmo comunque rispettare chi ne è il portatore come rispettiamo colui che è portatore di una menomazione, di una malattia, di una forma d'ignoranza, di una qualunque forme d'inferiorità; chi pensa di poter cancellare i pregiudizi altrui, se non è Dio, si espone a commettere un errore e una soperchieria; al massimo si può cercare di correggerli, ma rimettendosi in discussione, quindi accettanto che possano essere gli altri a svelare i pregiudizi dei quali siamo invece noi ad essere vittime; 2. l'integrazione è appunto l'accoglienza del diverso e la convivenza con esso; il sincretismo è la creazione artificiale di una forma unica risultato dell'incontro di due forme diverse ma che non è riuscito a giungere a una sintesi; è semmai ciò che porta al pensiero unico (in Andalusia dopo la Reconquista si sono semplicemente obbligati a convertirsi o ad andarsene marranos e moriscos).  3) La prepotenza involontaria è quella che riposa su intenzioni soggettivamente buone ma che si risolve comunque in una coartazione della volontà altrui, magari messa in atto nell'intenzione di giovargli (tipo: "lo faccio per il suo bene", frase del resto spesso ipocrita. Saluti. FC



la mia terza email


mi scuso se ritorno ancora sull'argomento , ma dalla risposta al quesito :<< quando le dice : << «Penso che dovremmo seguire il modello tedesco dell’integrazione (l’accettazione della cultura diversa, ndr), e si è visto come i rapporti una volta pessimi coi turchi siano oggi eccellenti, e non quello francese dell’assimilazione (l’adesione alla cultura del Paese ospitante, ndr). >> non c'è il rischio che cosi s'arrivi ad un pensiero unico \ dominante e si uccidano le diversità ? >> non ho capito se lei ha , visto le sue prese di posizioni contro le guerre in Iraq e in Afganistan , cambiato idea e si è schierato per un pensiero unico che annulla le diversità culturali

Pensiero dominante è un conto, e nella storia la cosa si è affermata più volte, eliminazione delle diversità un altro. Comunque, sono spiacente ma non posso sostenere discussioni o dibattiti privati. La mia giornata è solo di 24 ore. Saluti. FC




Secondo me   F.C    ha  ragione  :  1) sul termine  razzismo   ma  visti i commenti   beceri allle  news  in cui  si parla  della situazione degli immigrati in italia  (  vedere  i comenti  ogni qualche  volta  succede  qualche  disgrazia  in mare  o  qualche  sbarco  ,   ecc  )   io parlerei di  neo razzismo    che mescola   populismo  odio per il diverso  ,  , demagogia  ,  xenofobia  . 2)  sulle  altre  cose  espresse  nell'intervista , perchè  bisogna   chiedersi come mai la gente  aderisce  in massa   alla propaganda   populista  \  malpancista  delle  bufale  sugli immigrati e non solo ., 3)  ed  sul pregiudizio  perchè    come tutte le cose per poterle  rimuovere  \  lasciare che avvvenga  cosi



Mentre mi sembra   più vago (  forse  ha ragione   gli rotto le scatole   con i mie  dubbi  )   sul  pensiero dominante   \  o



Il relativismo culturale Teoria formulata, a partire dal particolarismo culturale di Franz Boas, dall'antropologo statunitense Melville Jean Herskovits (1895 - 1963) secondo il quale, considerato il carattere universale della cultura e la specificità di ogni ambito culturale, ogni società è unica e diversa da tutte le altre, mentre i costumi hanno sempre una giustificazione nel loro contesto specifico. In seguito il concetto di relativismo culturale diviene imprescindibile in campo antropologico, grazie anche all'attività divulgativa dell'allieva di Boas, Margaret Mead, la cui opera più celebre, L’adolescente in una società primitiva. (precedente di qualche anno alla formulazione esplicita del relativismo culturale), può essere considerata paradigmatica dell'utilizzo di argomentazioni di carattere relativistico come strumento di critica della società occidentale (in quel caso americana).
Da questa teoria sono derivate numerose tesi che raccomandano il rispetto delle diverse culture e dei valori in esse professati. Tali idee sostengono ad esempio l'opportunità di un riesame degli atteggiamenti nei confronti dei paesi del Terzo Mondo, richiedendo maggior cautela negli interventi e criticando la tendenza coloniale e post-coloniale ad imporre anche un sistema culturale mediante l'intervento umanitario, gli aiuti per lo sviluppo economico e/o la cooperazione internazionale (vedi inculturazione). Spesso critiche di questo tipo sono state rivolte alle organizzazioni che fornivano aiuti umanitari condizionati all'adozione di determinati comportamenti, come ad esempio la propaganda religiosa delle missioni cristiane.
Il relativismo culturale infatti porta avanti la convinzione per cui ogni cultura ha una valenza incommensurabile rispetto alle altre, ed ha quindi valore di per sé stessa e non per una sua valenza teorica o pratica. Secondo il relativismo culturale i vari gruppi etnici dispongono quindi di diverse culture e tutte hanno valenza in quanto tali. Il ruolo dell'antropologo viene di conseguenza ristretto all'analisi e alla conoscenza profonda di tali espressioni culturali da un punto di vista emico, mentre ogni valutazione di valore viene messa al bando come espressione di etnocentrismo, ovvero del punto di vista opposto rispetto al relativismo. Posizioni simili ha espresso Claude Levi-Strauss.
da   https://it.wikipedia.org/wiki/Relativismo




26.9.08

RISORGIMENTO E REVISIONISMO






A proposito di Porta Pia
di Franco Cardini - 24/09/2008

Fonte: Identità Europea [scheda fonte]






Credo che in questo paese si debba ancora imparare a discutere e magari a polemizzare: ma con serenità e, possibilmente, anche con qualche argomento che vada al di là delle pillole di conformismo e di politically correct.


Non riesco per esempio a capire perché nella nostra opinione pubblica e nei relativi mass media si debba sempre e per forza gridare allo scandalo ogni volta che qualcuno azzarda pareri dietro i quali sia sospettabile la presenza di di tesi o anche solo di proposte che appena appena escano dai solchi ben collaudati delle idées données e delle Verità Inconfutabili garantite dai manuali di scuola media e ripetute dai poligrafi travestiti da ricercatori che impestano le nostre librerie con best sellers regolarmente scopiazzati da vecchi libri di storia. Quelli col Barbarossa cattivo e i lombardi buoni, col Radetzky feroce e i bravi Tamburini Sardi, col “Mamma li Turchi” e col meno-male-che-c’è-stata-Lepanto. Insomma, con la storia detta, ripetuta, collaudata e ribadita sul metro di quei geniali maĩtres-à-penser che molti decenni or sono, mossi a pietà degli studenti pigri, redassero i manualetti noti come “Bignami”. E, se ci si oppone al Bignami, ci si becca la condanna secca come una mannaia: “revisionisti!”.


Ora, premesso che “revisionismo” è parola che dalla storia della politica sé Internazionale” per poi dilagare nel mondo della semistoria e della pseudostoria, è necessario sia chiaro che il lavoro degli   storici, intendo di  quelli veri, consiste sempre e inevitabilmente, in gran parte, nella revisione delle tesi e delle letture dei fatti quali gli sono state confidate da chi ha lavorato prima di lui. Non esiste quindi nessuna pagina di storia che sia stata scritta una volta sola e per sempre. La storia è una fatica di Sisifo.


Ecco perché è stata obiettivamente ridicola, al di là di qualunque posizione si voglia difendere, la polemica scatenata dall’orazione del generale Antonio Torre che, commemorando ufficialmente il 20 settembre scorso il 138° anniversario della Breccia di Porta Pia, si è particolarmente soffermato sui 19 caduti dell’esercito pontificio sorvolando su quelli italiani; e che il sindaco di Roma Gianni Alemanno non abbia dal canto suo provveduto a rimediare alla gaffe dell’alto ufficiale: sempre che – ha commentato qualcuno – solo di gaffe si sia trattato e non, orrore, di “scelta di campo” o peggio, raccapriccio, di “revisionismo”.


Ora, va da sé che in una sede ufficiale e paludata, per sua natura retorica e convenzionale, come quella di una commemorazione pubblica, non è mai il caso di lasciarsi andare a discussioni storiografiche: il che del resto non era senza dubbio nelle intenzioni e forse nemmeno nelle possibilità obiettive del generale Torre, che fa il militare e non lo storico.


Quel che però non mi meraviglia  affatto – ormai so da tempo che cos’è l’Italia -, ma comunque continua a indignarmi, è la desolante piattezza del coro, praticamente unanime, di giornalisti, di politici e perfino (e ciò m’è dispiaciuto) di qualche storico serio: tutti allineati e coperti nello stigmatizzare il silenzio di Alemanno o comunque la sua scarsa energia nel difendere, a scanso di equivoci, la tesi ufficiale della quale egli, in quanto sindaco, viene considerato una specie di garante e di custode (e a dire il vero non se ne capisce il perché).


Insomma. Perché mai non si dovrebbe cominciar a dire che in realtà la storia del nostro Risorgimento, così come si svolse tra 1848 e 1870, non andò affatto come andò perché non avrebbe mai potuto andare altrimenti; e tanto meno che non andò per nulla nel migliore dei modi possibili? E, badate, qui ucronia e fantastoria non c’entrano per niente. Il dogma che la storia non si possa scrivere “al condizionale”, “con i se e con i ma”, è una fesseria che nessuno storico serio – a parte un manipolo di paleostoricisti convinti – non dice più da molto tempo. E non sono io ad affermarlo: bensì uno dei più grandi studiosi viventi, David S. Landes.


La discussione non è affatto oziosa: e tanto meno lo sarebbe al livello politico, se non vivessimo in un paese dominato, fra le altre cose, da una disinvolta schizofrenia e da un’impudica ostentazione d’incoerenze. Vorrei proprio che qualcuno mi spiegasse perché, nei nostri manuali scolastici, continua tuttora a trionfare una visione del Risorgimento degna del libro Cuore e delle Maestrine dalla Penna Rossa – alcuni epigoni delle quali sembrano oggi sedere sugli scranni del governo – mentre quel governo stesso si regge con l’appoggio determinante d’una forza, la Lega Nord, che se fosse un po’ meno bécera dovrebbe pur sviluppare, appunto nel quadro di quanto essa stessa sostiene, anche un serio discorso critico sulle scelte che condussero al processo d’unità nazionale, sui metodi che furono adottati per conseguirle, sulle conseguenze a cui condussero. Perché la soluzione unitaria e centralista, voluta dalla monarchia sabauda che mirava all’espansionismo del suo potere dinastico e dai dottrinari “neogiacobini” che seguivano Mazzini e Garibaldi (e una parte dei quali sacrificò al dogma dell’ “unità indivisibile” i suoi stessi ideali repubblicani), non solo per lungo tempo non era stata l’unica possibile, ma era stata quella considerata, anche a livello internazionale, la più avventuristica e pericolosa.


L’unità proclamata nel 1861 e coronata dalla presa di Roma del 1870 andava direttamente contro un millennio di storia italiana, ch’è e sempre stata per sua natura policentrica, municipalistica, regionale e cittadina; e i capi degli stati italiani preunitari, a cominciare dal papa,  si erano tutti – sia pur in diversa misura – adattati ad accettare una formula di unità federale, su un modello non lontano da quello che (essa sì in coerenza con al sua storia) fu adottata dalla Germania proprio in quello stesso 1870. E in tale senso, anche se con accentuazioni diverse, si erano espressi gli ingegni migliori e più equilibrati del nostro Risorgimento, dal Gioberti al D’Azeglio al Cattaneo.


Ma il governo piemontese, guidato dal Cavour e dai suoi successori, scelse – fino a un certo punto in accordo con Napoleone III, poi addirittura senza e contro di lui – la politica delle provocazioni, dei colpi di mano e dell’alternanza di menzogne e di atti di violenza per giungere, contro il diritto e la legittimità internazionali, alla violazione patente dei diritti dello stato pontificio. Che oggi tutti, anche senza sapere di che cosa si trattava, si sbracciano a qualificare di “corrotto”, di “incapace”, di “antistorico”, mentre la realtà del tempo non presenta per nulla tale quadro. Né si capisce perché si continui a far finta di non ricordare che la presa di Roma poté compiersi, proditoriamente da parte italiana, non appena, in conseguenza della sconfitta di Sedan, la protezione dell’imperatore dei francesi a Pio IX venne meno. O perché molti abbiano rimproverato il generale Torre per il suo omaggio – da soldato, se non altro – agli zuavi e in genere ai volontari che accorsero soprattutto dalla Francia a difendere il papa che aveva tutto il diritto a non venire attaccato su quel territorio che egli legittimamente governava.


E sarebbe poi stata con certezza peggiore, per esempio, un’Italia federale, di quanto sia stata l’Italietta unitaria che determinò la questione del Mezzogiorno, provocò scandali finanziari gravissimi a ripetizione, inventò infamie fiscali come la “tassa sul macinato” ch’era una vera e propria tassa sulla miseria, coniò “leggi internazionali” e massacrò contadini siciliani (Bronte) e operai (i cannoni ad “alzo zero” del Bava Beccaris, decorato dal “Re Buono”), fu incapace di rimediare al flusso continuo di poveracci che abbandonavano il paese per disperazione e si dimenticò del destino degli emigrati,  infine ci gettò inutilmente – e con opportunistica furbizia – nel grande macello della prima guerra mondiale, da cui sarebbero  appunto usciti i tanto detestati comunismo e fascismo? Aveva davvero proprio tutti i torti, l’ “infame” Franti?


Così è, se vi pare. Perché non proviamo a discuterne pacatamente, invece di stracciarci le vesti ogni volta che qualcuno prova a commettere l’indicibile peccato consistente di cercar di rimetterci in moto le meningi? E chiamatelo, se volete, “Revisionismo”.








dal sito: http://www.ariannaeditrice.it

emergenza femminicidi non basta una legge che aumenti le pene ma serve una campaga educativa altrimenti è come svuotare il mare con un secchiello

Apro l'email  e tovo  queste  "lettere "   di  alcuni haters  \odiatori  ,  tralasciando  gli  insulti  e le  solite  litanie ...