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13.10.24

diario di Bordo n 81 anno II "Vergognatevi", il fratello di Totò Schillaci contro la Rai., Da poliziotta a suora: «Così continuo ad aiutare le vittime della violenza»., la seconmda vita di armanda gallius scampata ad uno stalker., trisnonna a 85 anni

Italia-Belgio di Nations League è stato un momento anche per ricordare l'ormai scomparso da qualche settimana Totò Schillaci, simbolo di quelle notti magiche di Italia '90. La Rai però al momento del suo ricordo in campo ha mandato in onda la pubblicità.
L’attore e doppiatore Luca Ward ha letto un messaggio in sua memoria e invitato il pubblico a inscenare una coreografia di luci con i telefonini per dare maggiore
suggestione a quegli attimi: “Totò Schillaci rimarrà nel cuore di tutti noi, ha fatto sognare l’Italia intera con le sue esultanze travolgenti. È il simbolo di una nazione che non si arrende”.In quel momento però le immagini, mandate in diretta dalla Rai, si sono poi interrotte per uno spot pubblicitario che non ha permesso di vedere nulla ai tifosi da casa. Una scelta che ha mandato su tutte le furie la famiglia Schillaci. A scrivere un messaggio di disappunto è stato Giuseppe Schillaci, fratello del calciatore ex Inter, Juve e Messina: "Vergogna, la Rai interrompe il ricordo di Totò Schillaci per la pubblicità. Vergognatevi".

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L’hanno cercata ben 8 emittenti televisive: Il boccone del resto era ghiotto: la suora-poliziotta, la religiosa che trent’anni fa arrestava i malfattori, oggi lavora perché nella Chiesa nessuno più abusi dei minori. Suor Tosca Ferrante, originaria di Visciano (5mila abitanti in provincia di Napoli) si è negata: a lei quell’etichetta sta stretta, anche se non rinnega nulla di quando, prima della professione religiosa, a 19 anni decise di entrare in polizia. Una confidenza ad Avvenire però la concede: quello che l’aveva convinta era stata la serie televisiva degli anni Ottanta “CHiPs”, due poliziotti in moto che facevano del bene al prossimo.

Suor Tosca nel 2024 ha compiuto 55 anni, ha festeggiato i 25 di professione religiosa ed è stata eletta superiora generale delle suore Apostoline di Castel Gandolfo, l’ultima creatura del beato don Giacomo Alberione. Laureata in psicologia dopo la professione religiosa, oggi coordina il Servizio di tutela minori delle diocesi toscane e di quello diocesano di Pisa; spesso è in trasferta per tenere corsi di formazione per gli operatori pastorali, ed è stato proprio in occasione di un seminario a Pistoia, qualche giorno fa, che la sua storia di suora-poliziotta è stata “intercettata”.


Suor Tosca, la divisa è stata una piccola parte della sua vita. Che ricordo ha di quella esperienza? Quando pensa a sé stessa, giovane, con la pistola nella fondina, che sensazioni prova?

Quando si pensa a una persona in divisa, con pistola e manette, la si associa spesso a un potere. Invece io ho vissuto l’esperienza in Polizia come servizio alla collettività.

Come hanno vissuto i suoi genitori la sua scelta giovanile?

Mio padre faceva il muratore, mia madre la casalinga, entrambi molto credenti, iscritti all’Azione Cattolica. Mio padre è stato molto tempo all’estero, in Venezuela e in Germania e ha trasmesso a me e a m io fratello, che lavora nell’Esercito, il valore della giustizia e dell’aiuto al prossimo. La Polizia è stato il mio primo spazio in cui incarnare quei valori. Quindi sì, dopo il disorientamento iniziale, sono stati favorevoli alla mia scelta.

Quali sono stati i suoi primi incarichi?

All’inizio sono stata a Roma, al Commissariato di Tor Pignattara. Dopo due anni e mezzo sono stata trasferita a Napoli, all’Ufficio stranieri. La sera andavamo negli alberghi a recuperare le prostitute per dar loro il foglio di via. Ho incontrato tante persone sofferenti: delinquenti, tossicodipendenti, giovani donne vittime della tratta, stranieri in attesa di permesso di soggiorno spesso vittime di raggiri: insomma tanta povertà, tanto vuoto e anche tanto male. E questo mi ha permesso di comprendere qual era la mia vocazione: ho sentito che Dio mi chiamava a donare tutta la mia vita.

E ha scelto la vita religiosa. Come è accaduto?

È stato un percorso, iniziato a 15 anni quando andai a Castel Gandolfo, dalle Suore Apostoline, per un’esperienza estiva. Ho sempre continuato a frequentarle, anche durante i miei cinque anni di lavoro in Polizia. Un giorno mi venne chiesto di vigilare su un minorenne che aveva compiuto un furto, il primo della sua vita. Dopo un po’ che parlavamo, lui iniziò a piangere, era spaventato. Poi mi disse: “Ho paura, mi dai un abbraccio?”. Non potevo, ero in divisa. Tornata a casa, mi guardai allo specchio e dissi: “Ma chi stai diventando?”.

Il carisma delle suore Apostoline, di cui lei è la superiora generale, è vocazionale, cioè stare accanto ai giovani affinché ciascuno trovi la sua strada e a chi ha già fatto una scelta di vita e vive un tempo di difficoltà vocazionale. Lei ha raccontato che da bambina voleva diventare maestra o infermiera, poi è diventata poliziotta e ora è psicologa e suora. È un po’ un cerchio che si chiude?

Mi pare che ciò che accomuna queste esperienze è la dimensione della cura della persona, attraverso l’ascolto, per garantire a tutti di stare al mondo con dignità.

Nel 2020 la Conferenza episcopale italiana ha istituito i Servizi diocesani e regionali per la tutela dei minori. Lei coordina quelli di Pisa e della Toscana. Questa rete anti-abusi funziona?

Sì, funziona. La chiave del servizio è la ricerca delle verità e trovare strade perché ciò che è accaduto non accada mai più. Una strada è la formazione: molto del nostro lavoro è richiamare alla responsabilità dell’essere adulti a coloro che operano in contesti parrocchiali. La fatica per i giovani è trovare punti di riferimento a cui guardare, adulti affidabili, maturi, che siano in grado di accompagnarli nella loro ricerca di senso.

Nelle diocesi, accanto ai Servizi di tutela, ci sono anche i Centri di ascolto, a cui arrivano segnalazioni di casi o testimonianze. Ha incontrato anche vittime di abusi?

Ho incontrato vittime di abusi, uomini e donne, e il mio lavoro è stato quello di accompagnarle a sentirsi riconosciute come tali. È il bisogno primario di ciascuno, in un processo che richiede molto tempo e pazienza perché le ferite sono profondissime. Per me è come prendersi cura di Cristo Crocifisso.



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Unione    sarda  13 ottobre


La seconda vita di Amanda

Sei mesi fa, in auto, l'uomo che si era invaghito di lei le era piombato addosso. Amanda Gallus, 40 anni,
di Carbonia, sta rimarginando le ferite (non solo fisiche) per iniziare una nuova vita. Lo stalker era stato arrestato
«Non è facile ricominciare a vivere dopo aver visto la morte in faccia ma io ce la sto mettendo tutta. Sono stati sei mesi durissimi e il percorso di guarigione non è ancora finito ma mi sto impegnando per riprendere in mano la mia vita». Sono passati sei mesi da quando Amanda Gallus, quarantacinquenne di Carbonia, ha rischiato di morire in un terribile scontro frontale. Non era stato un generico incidente stradale: a bordo dell'auto che ha travolto la sua utilitaria c'era Alessio Zonza, l'uomo di 53 anni che Amanda aveva denunciato per stalking e atti persecutori dopo che la sua vita era ormai un incubo quotidiano. L'incidente Nell'auto di Amanda c'era una telecamera che la donna aveva fatto piazzare a sua tutela e quel pomeriggio era al telefono con gli agenti del Commissariato perché si era accorta che Zonza la stava seguendo: le drammatiche immagini immortalate dalla telecamera e la disperata richiesta di aiuto raccolta al telefono non hanno permesso di evitare quel tragico schianto che ha fatto finire Amanda in ospedale in gravissime condizioni, ma hanno fatto in modo che l'uomo, anche lui ferito, venisse arrestato subito dopo l'incidente. Nella sua auto, nonostante avesse cercato di nasconderlo agli agenti, era stato trovato anche un martello. Due giorni fa un perito ha detto che Zonza, per il quale i suoi difensori hanno chiesto una perizia psichiatrica nell'ambito della processo per il reato di stalking, non è incapace di intendere e di volere e questa conclusione potrebbe essere determinante nel momento in cui si dovrà decidere il rinvio a giudizio per l'ipotesi di tentato omicidio. Le cure Amanda è chiaramente informata dell'evolversi della vicenda giudiziaria per la quale è seguita dagli avvocati Marco Aste e Maria Cristina Lindiri, «ma finché è ancora in corso preferisco non esprimere alcun commento – premette – ci sarà tempo e modo di parlarne, ora devo pensare alla mia salute». Non sono stati sei mesi facili: «Qualche santo mi ha protetto perché in quello schianto sarei potuta morire – dice – tuttavia ho riportato gravissime lesioni e fratture per le quali sono stata sottoposta a diversi interventi chirurgici e a una lunga fisioterapia, ancora in corso, che va in parallelo alle sedute di analisi con le quali cerco di metabolizzare il trauma che ho subito. Per fortuna ho intorno tante persone che mi vogliono bene, in primis il mio compagno e la mia famiglia e poi gli amici e i preziosi compagni di lavoro». La solidarietà Dal giorno dell'incidente Amanda è stata travolta da un'ondata di solidarietà e affetto dalla comunità di Carbonia e non solo: «Ho ricevuto migliaia di messaggi di auguri e di vicinanza che mi hanno commosso e mi hanno aiutato a non farmi mollare mai in questi mesi in cui i momenti di sconforto non sono mancati – afferma – ne sono arrivati moltissimi anche dai clienti del centro commerciale dove lavoro e dove i miei colleghi per mesi hanno ricevuto messaggi di affetto da inoltrarmi». Con i colleghi e le colleghe del centro Conad di Carbonia Amanda c'era già prima un rapporto di amicizia prezioso che questo dramma ha saldato ancora di più: «Per permettermi di continuare a curarmi, ora che ho esaurito i mesi di malattia disponibili ma ho ancora davanti un lungo percorso terapeutico, mi hanno donato parte delle loro ferie – racconta – un gesto importantissimo che mi lega in maniera indissolubile a ciascuno di loro, la mia riconoscenza è grandissima e spero con tutto in cuore di poter tornare tra loro, ritrovando la quotidianità e la serenità che ho perso, lasciandomi alle spalle questo tremendo incubo».

                                              Stefania Piredda
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Dal 1980 a tutta birra: Michele "il tedesco" quartese ad honorem

E chi non lo conosce, Michael Hans Dieter Fellmann! Forse il cognome è poco noto, ma basta precisare “Michele il tedesco di Quartu” per avere chiaro in mente il sorriso gioioso e la simpatia contagiosa del re della birra tedesca, che nei giorni scorsi ha avuto addirittura la cittadinanza benemerita, votata all’unanimità dal Consiglio comunale della terza città dell’Isola.Perché Michele il tedesco di Quartu, 69
anni, in città si è stabilito ben 44 anni fa, quando aprì per la prima volta le porte del suo locale, lo Zum Loeweneck, l’angolo del leone, in via Magellano, a un tiro di schioppo da viale Colombo. «Allora c’ero solo io», ricorda, «solo il mio locale e intorno nemmeno un bar. Poi le cose sono cambiate, Quartu si è completamente trasformata. Prima quando si usciva si andava solo a Cagliari, perché qui era il deserto. Ora ci sono pizzerie, ristoranti, discoteche. La città è viva e sono i cagliaritani a venire da noi».
Il riconoscimento
Questa cittadinanza benemerita «è stata una sorpresa e un onore», dice, «sono orgoglioso. Io da tempo sono residente qui e mi sento un cittadino a tutti gli effetti. Amo molto questa città». E pensare che all’inizio il pensiero di venire nell’Isola per Michele fu quasi un trauma. «Quando mi mandarono in Sardegna per il servizio militare pensai: è una punizione divina. Un posto così lontano e che io non conosco». Poi nel 1974 viene spedito nella base di Decimomannu come aviere scelto, addetto ai rifornimenti: «Fu una folgorazione. I colori, il cielo, il mare. E poi il mirto, le belle donne, la mia prima festa di Santa Greca. E fu così che ho deciso che non sarei più andato via».Da lì a poco prende forma un’idea: aprire un pub per far conoscere ai sardi la birra e il cibo tedesco. «Nel 1980 apro il mio locale, la prima birreria tipica bavarese, che è ancora lì con gli stessi tavoli».Ancora attiva dopo 44 anni, con il padrone di casa Michele che accoglie sempre tutti con un sorriso grande così.In poco tempo la sua birreria viene inserita tra le trenta migliori d’Italia e nel 1991 entra addirittura nel Guinness dei primati, per avere costruito la più grande tabacchiera da fiuto simultanea. Ce l’ha ancora qui nel locale, la tabacchiera, ma il record non c’è più «perché dai Guinness sono stati tolti tutti i record che hanno a che fare con il fumo e con l’alcol. Ogni tanto però la tiriamo giù perché le persone si divertono». E in effetti fa un certo effetto vederla scendere dall’alto ed entrare in azione.
Nuove passioni
Lasciata la sua birreria, Michele il tedesco ha fatto incursioni anche nel cinema: «Ho partecipato al film “L’arbitro” di Stefano Accorsi, dove ho fatto la comparsa, mentre invece in quello di Pieraccioni “Finalmente la felicità” ho anche recitato». E in men che non si dica snocciola le battute per filo e per segno senza dimenticarsi nemmeno una virgola.A Quartu ha trovato anche moglie. «Sia la prima – racconta ancora – che purtroppo è morta quando aveva 49 anni, sia la seconda che ho sposato 4 anni fa. Abitiamo sempre qui a Quartu e ci troviamo benissimo». La cosa che più gli piace del suo lavoro, ancora dopo tanto tempo, «è sicuramente il contatto con la gente, far gustare il cibo come se fossimo in Germania. Il locale è come un salotto di famiglia, dove ognuno si sente a casa». E infatti non chiedetegli se ha intenzione di andare in pensione: «Non ci penso nemmeno. Dobbiamo tutti festeggiare i cinquant’anni della mia birreria nel 2030».

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«Il piccolo Alessio mi ha reso trisnonna, è un dono di Dio» 

La storica bottegaia di Decimomannu: la famiglia è la cosa più importante 


 «Crema e profumo, gioielli e un bel vestito». Gianna Boeddu, 87 anni, decimese d’adozione, nonostante sia diventata trisnonna qualche giorno fa, non rinuncia al quotidiano tocco di eleganza e femminilità: «Prendersi cura del corpo e della mente, non abbattersi e leggere tanto sono i segreti per restare attivi». Quella di Gianna è un’energia contagiosa segnata da un sorriso smagliante contornato dal rossetto. Lei riserva questa energia soprattutto ai suoi numerosi nipoti, pronipoti e all’ultimo arrivato, il trisnipote Alessio Piredda: «La famiglia è la cosa più importante. Dio mi ha riservato un dono, nonostante i normali alti e bassi che ci sono in tutte le case». Mamma a 18, nonna a 36, bisnonna a 62 e trisnonna a 87 anni, Gianna è una vera forza della natura. 
«Sono nata a Bitti – racconta – ricordo bene la mia fanciullezza, quando scorrazzavo nel negozietto di paese gestito da mia zia. Mi parevano un sogno quegli scaffali pieni di ogni ben di Dio». 
 La sua famiglia, per questioni lavorative, si era poi dovuta trasferire a Iglesias, paese nel quale Gianna è sopravvissuta al tifo e ha conosciuto da giovanissima il ragazzo che sarebbe diventato suo marito: «Mi sono sposata a 15 anni e 2 giorni. Il mio fidanzato, Angelo Muroni, più grande di me di 9 anni, era originario di Sindia. I miei genitori non lo facevano entrare in casa e così abbiamo deciso di unirci in matrimonio». Fino al giorno del fatidico “sì” il padre non era d’accordo: «Prima ha acconsentito per poi cambiare idea il giorno prima della cerimonia. Ma siamo riusciti a convincerlo e così, volente o nolente, ha ceduto».   
 Gli sposini hanno deciso di mettere su famiglia a Decimomannu: «Mio marito non amava Iglesias, così abbiamo preso una casa in affitto in quello che sarebbe diventato il nostro nido “definitivo”, a parte una breve parentesi da emigrati in Francia».
  Dopo il rientro a Decimomannu, Muroni «ha appeso al chiodo le scarpette da minatore e ha preso in mano quelle di contadino e di agente forestale». Ma i soldi, con cinque figli, non erano sufficienti a tirare avanti la famiglia: «Avevamo acquistato casa in via delle Aie, il denaro scarseggiava comunque e io dovevo fare per forza qualcosa. Sotto casa avevo una piccola stanza inutilizzata, così ho pensato di avviare un negozietto». 
La bottega di via della Aie è diventato un punto di riferimento non solo per i decimesi: «Generi alimentari e fustini di detersivo in polvere erano i prodotti più venduti: acquistavo la merce dai rappresentanti e la rivendevo rincarata del 10 percento. In poco tempo l’attività è cresciuta vertiginosamente e ho dovuto ampliare il negozio». 
 Per tutti è diventata così “Gianna sa botteghera”: «Amavo il mio lavoro e stare in mezzo alla gente. I clienti si affezionavano perché non raccontavo in giro i loro segreti, non li giudicavo e permettevo loro di pagare a fine mese. Decimomannu è tutto per me. Mi sono sempre sentita a casa e voluta bene. Mi sono integrata e ho frequentato i corsi organizzati dal Cif. La dolce signora Augusta, moglie del medico di famiglia Mallus, teneva corsi di ricamo, maglia e comportamento». 
 Adesso Gianna è una nonna, anzi, una trisnonna, a tempo pieno: «Non mi dedico più a tutte le mie passioni (cucito, cucina e lettura) perché la salute non me lo permette. Ma riesco ancora ad assistere, per qualche oretta, i miei nipotini e a preparare loro delle semplici merende». Le difficoltà della vita non la buttano giù: «Prendo il mondo come viene». E a una società prettamente patriarcale dice: «Insegno soprattutto alle mie nipoti a lottare ed essere indipendenti. Le donne devono lavorare ed essere autonome. Come ho cercato di esserlo io per tutta la vita».

25.3.22

Studiare da rifugisti: l'academy è in montagnaUn verso per TikTok, la poesia si fa social.,Missione arance: lotta contro mafia e spreco.,



I gestori di Brioschi e Rosalba lanciano un percorso formativo per aiuto-rifugisti

Gratuito, per un massimo di sei candidati, per imparare il lavoro in rifugio

LECCO – Un lavoro bello ma decisamente duro quello del rifugista, perché la vita in montagna ha il suo grande fascino ma è una sfida personale e, in questo caso, anche professionale.
Il territorio lecchese offre anche questa opportunità di impiego ed oggi c’è anche un percorso formativo per imparare il mestiere: si tratta della ‘Capanat Academy’ di aiuto-gestori di rifugio che ha lo scopo di assumere nuove leve, rivolto a chi vuole intraprendere una esperienza di lavoro in rifugio.
E’ la proposta lanciata da ‘Brialba’, che si occupa si occupa della gestione dei rifugi “Rosalba” e “Brioschi” entrambi sul gruppo delle Grigne, con il patrocinio del Cai di Milano, in collaborazione con guide di montagna e Resinelli Tourism Lab.
Il percorso, completamente gratuito, si svolgerà presso i rifugi Brioschi e Rosalba e prevede la partecipazione di massimo 6 candidati/e ai quali, al termine del percorso, verrà rilasciato oltre che un attestato di frequenza, un attestato corso HACCP.
Ai partecipanti verrà attivata un’assicurazione idonea per attività nel rifugio sponsorizzata da “https://www.quadrifoglio.srl/L’unico obbligo per i partecipanti sarà attivare l’assicurazione attività individuale del CAI.Al termine della Capanat Academy verranno valutate eventuali opportunità di assunzione e saranno anche promosse attività di segnalazione (liste) anche a beneficio di altri rifugi interessati. Il programma si svolgerà nei week end di apertura dei rifugi tranne il modulo “Mountain Experience” che prevede due giornate infrasettimanali di uscita in ambiente con le Guide Alpine di Mountain Dream Guide


Un corso  imopegnativo visto     che  Sul massiccio alpino delle Grigne sono arrivate 150 domande da tutta Italia per il primo corso gratuito che insegna a gestire presidi d'alta quota. I prescelti? Solo 6

Ha 22 anni e ha avuto il coraggio di portare su Tik Tok un'arte all'apparenza lontanissima dai social: la poesia. Scrive testi, li recita seduto alla scrivania di camera sua e pubblica i video. Con successo. Tanto che ha raggiunto 240 mila follower e 3,7 milioni di "mi piace". Il "tiktoker poeta" si chiama Lorenzo Colafrancesco, in arte @madpeopleloveme (letteralmente, "le persone folli mi amano"), è romano di Trastevere, studia Cinema all'Università La Sapienza e segue corsi di recitazione.

Ha tenuto il suo primo reading, fresco della pubblicazione del libro "Amore corri-sposto", in Piemonte, ad Asti, alla rassegna L'École (di cui La Stampa è media partner), organizzata al polo culturale FuoriLuogo e pensata proprio per i giovani. Il rapporto tra l'antica poesia e l'attualità dei social Colafrancesco lo spiega così: "Non è vero che i ragazzi sui social cercano solo superficialità. I social sono anche fatti di parole, e permettono di far arrivare le tue parole a persone anche molto distanti, accorciando le distanze". La poesia, racconta, "ci sembra lontana perché consideriamo quella dei padri della letteratura, che sono e restano mostri sacri. Ma può essere anche pop".
di Giulia Destefanis
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Cinque ettari di terreno di Cosa Nostra sono stati confiscati, ma l'associazione che li curava si è ritirata.

 E così è partita una mobilitazione per salvare gli agrumi

14.12.21

smontare il sovranismo ? semplicissimo prendendoli alla lettera . il caso di Antonio Silvio Calò, 60 anni, professore di Storia e Filosofia, nel 2015, insieme alla moglie Nicoletta, ha deciso di compiere un atto rivoluzionario: ha accolto nella propria casa di Treviso sei ragazzi richiedenti asilo africani.


Quante volte lo abbiamo sentito dire: “ Perché non te li prendi a casa tua? ”
Antonio lo ha fatto davvero, dando loro una casa, un lavoro, un futuro. proprio per questo, in tutti questi anni è stato insultato, minacciato dai neofascisti   di forza  nuova  e  dalla    lega .
Quest  ultimi , hanno circondato l’abitazione con sei bandiere dell’indipendenza veneta, gli hanno augurato che stuprassero la moglie e la figlia . Ma  lui    non  se n'è  curato  è andato avanti per la sua strada. E, alla fine, ha vinto la sua scommessa. “Oggi i miei figli lavorano tutti, pagano le tasse e alcuni hanno deciso di sposarsi - ha detto di recente - Se ci sono riuscito io che sono un insegnante, può farlo a maggior ragione lo Stato. Se si vuole, si può fare!".
Quelli come Antonio e Nicoletta fanno paura perché, con le loro azioni, smontano anni di retorica razzista e sovranista, dimostrano che l’accoglienza non solo si può fare ma funziona se  si  vuole  .



E questa è la loro meravigliosa famiglia.

 concludo citando   quest  articolo  di VANITY FIRE del 21 NOVEMBRE 2021
Migranti, Antonio Calò: «L'accoglienza si può fare»
Il professor Antonio Silvio Calò ha accolto sei ragazzi africani in casa sua. «Io, mia moglie e i nostri quattro figli siamo gente comune. Se l’abbiamo fatto noi, può ben farlo lo Stato, i comuni» dice. Il Parlamento europeo lo ha eletto Cittadino europeo 2018 e il Presidente della Repubblica lo ha premiato come Ufficiale al merito. Ha raccontato la sua storia in un libro
DI CHIARA PIZZIMENTI
Migranti Antonio Calò L'accoglienza si può fare
«Se non si vuole non si potrà mai, lo abbiamo dimostrato noi facendolo. È chiaro che manca la volontà politica». Il professor Antonio Calò non è tipo da mezze misure e da mezze parole. Quello che ha dimostrato insieme alla sua famiglia è che l’accoglienza può essere realtà. Nella sua casa in
provincia di Treviso, insieme alla moglie e ai quattro figli ha ospitato sei giovani profughi arrivati dall’Africa. Questa esperienza è diventata un libro: Si può fare. L’accoglienza diffusa in Europa, edito da Nuova Dimensione, scritto da Antonio Silvio Calò insieme a Silke Wallenburg, giornalista, in versione italiana e inglese. È una forma di accoglienza che il professore definisce diffusa e che, a suo parere si potrebbe fare in tutta Europa. «La nostra esperienza è diventata un progetto europeo, Embracin, fatto in sei città compresa Padova: ogni comune con 5000 abitanti può accogliere sei persone e così a salire in base al numero di abitanti. Contando che in Europa ci sono 500 milioni di abitanti, applicando questo sistema l’invasione non c’è più». Quando il professore è andato la prima volta in prefettura a chiedere di ospitare un gruppo di rifugiati è stato guardato come se fosse pazzo. «All’inizio siamo stati visti come disgraziati, persone pericolose. Siamo stati minacciati. La gente non ci salutava più», spiega Calò che insegna storia e filosofia, «quando però la comunità si è avvicinata, ha capito che erano sei ragazzi». Non ha mai temuto il fallimento perché sentiva di stare creando una famiglia nuova. «Non abbiamo avuto difficoltà interne, non ci siamo scannati come si attendeva qualcuno. I timori che molti esprimevano per mia moglie e mia figlia non avevano alcun fondamento. Mia moglie ha sei guardie del corpo. Per loro la madre è sacra». Aggiunge con un pizzico di orgoglio di essere stato al matrimonio di uno dei ragazzi. «Siamo stati presentati ai genitori della sposa. Ci ha detto che darà il mio nome o quello di mia moglie al futuro figlio o figlia. Questo ragazzo è andato via da casa. Ha fatto otto mesi di galera in Libia, ha fatto la traversata, è arrivato qua con nulla. Adesso ha un lavoro a tempo indeterminato, una moglie, una casa, un’auto e un’autonomia». Il professor Calò parla di accoglienza in Europa, ma anche di prevenzione in Africa, con progetti a lungo termine. «È possibile fare una programmazione, ma solo con un processo di reale decolonizzazione. Accoglienza e prevenzione devono andare avanti in parallelo. La parola chiave è accompagnare. L’accoglienza non può essere una cosa di comodo per colmare il nostro deficit demografico».

28.7.18

CASTELBELFORTE. il paese adotta un senegalese aggiornamdento Annullato in extremis il rimpatrio per Marcel, il senegalese per il quale l’intera comunità di Castelbelforte si è mobilitata



la vicenda 

 è giunta  ora la notizia   che 



Rimpatrio annullato, Marcel può restare. Già raccolte 500 firme

Lunedì 30 luglio al via la procedura per il permesso di soggiorno. E il parroco don Alberto si è già offerto di ospitarlo



CASTELBELFORTE. Annullato in extremis il rimpatrio per Marcel, il senegalese per il quale l’intera comunità di Castelbelforte si è mobilitata. La tenacia del parroco, l’appoggio del sindaco, la disponibilità di un avvocato e le quasi cinquecento firme raccolte in paese hanno centrato il primo e più importante obiettivo: quello di non farlo ripartire. Ora, grazie all’intervento delle più alte cariche amministrative, avrà il tempo di presentare tutta la documentazione necessaria per ottenere il permesso di soggiorno. Venerdì 27 luglio Marcel, accompagnato dal suo legale, è arrivato in questura dove è stato ufficialmente identificato, attraverso le impronte e la foto. Lunedì presenterà tutta la documentazione per ottenere il permesso di soggiorno: dal parere positivo del sindaco di Castelbelforte Massimiliano Gazzani alla disponibilità del parroco don Alberto Ancelotti che gli ha già garantito un alloggio, alla raccolta di firme di tanti cittadini che vogliono che rimanga in paese. Da oltre quattro anni Marcel lavora nell’ambito del volontariato, al servizio di giovani ed anziani, persone deboli e bisognose. Quasi una sorta di adozione cittadina la sua.




Fassar Marcel Ndiaye è divenuto in breve tempo un personaggio importante, anzi fondamentale, all’interno della comunità. Infatti, grazie alle sue innumerevoli competenze lavorative ed alla bontà d’animo che lo contraddistingue, la popolazione lo ha accolto e coinvolto in numerose attività.
Dal paese è considerato un uomo affidabile, serio e gentile, sempre disponibile ad aiutare gli altri e particolarmente dedito al volontariato.
Marcel ricopre altresì un ruolo fondamentale all’interno della parrocchia, dove collabora quotidianamente con il parroco e nel servizio di volontariato con la Caritas, con l’Anspi, con i tanti servizi richiesti dalle famiglie di pensionati e anziani del paese. Canta anche nel coro parrocchiale.
Molti cittadini di Castelbelforte hanno persino dato la loro disponibilità ad assumerlo.
E anche il sindaco leghista è dalla sua parte.

24.7.18

CASTELBELFORTE Il paese adotta il senegalese: tante firme per farlo restare Un giovane africano deve andarsene perché non ha il permesso di soggiorno. La comunità gli dedica una festa. Con lui anche il sindaco leghista Gazzani




  di Giancarlo Oliani

CASTELBELFORTE. Fassar Marcel Ndiaye, cittadino senegalese destinato al rimpatrio volontario in Africa per la mancanza del permesso di soggiorno, è il protagonista di una petizione firmata da numerosissimi cittadini di Castelbelforte che vorrebbero trattenerlo nella comunità perché parte della loro grande famiglia. Quasi una sorta di adozione cittadina per l’uomo che da tanti anni lavora e fa volontariato nel paese del Mantovano.


Fassar Marcel Ndiaye stringe la mano al sindaco Massimiliano Gazzani



Ndiaye è divenuto in breve tempo un personaggio importante, anzi fondamentale, all’interno della comunità.
Infatti, grazie alle sue innumerevoli competenze lavorative ed alla bontà d’animo che lo contraddistingue, la popolazione lo ha accolto e coinvolto in numerose attività. Dal paese è considerato un uomo affidabile, serio e gentile, sempre disponibile ad aiutare gli altri e particolarmente dedito al volontariato. Ndiaye ricopre altresì un ruolo fondamentale all’interno della parrocchia, dove collabora quotidianamente con il parroco e nel servizio di volontariato con la Caritas, con l’Anspi, con i tanti servizi richiesti dalle famiglie di pensionati e anziani del paese. Canta anche nel coro parrocchiale.
Purtroppo Fassar Marcel Ndiaye non ha il permesso di soggiorno ed allora, assecondando l’invito della polizia, al fine di non violare le disposizioni di legge, si è reso disponibile alla procedura di rimpatrio volontario in Senegal, nonostante le sue reali volontà sarebbero quelle di continuare a vivere a Castelbelforte, unitamente a tutta la grande famiglia che lo ha accolto e gli vuole bene.
L’uomo il prossimo 31 luglio 2018 dovrebbe lasciare Castelbelforte per ritornare in Senegal dove, al contrario dell’attuale situazione, non avrà alcun lavoro né una casa. È davvero incredibile la solidarietà che quest’uomo è riuscito ad accentrare su di sé. Molti cittadini di Castelbelforte hanno infatti dato la loro disponibilità ad assumerlo. E anche il sindaco leghistaMassimiliano Gazzani è dalla sua parte.
Per questi motivi per domenica 29 luglio i cittadini di Castelbelforte hanno organizzato in onore di Ndiaye una grande festa per chiedere a gran voce che gli venga concesso il permesso di soggiorno. E lanciano un appello affinché il prefetto di Mantova, Sandro Lombardi, possa prendere in considerazione il caso. L’avvocato Zeida Vitali del foro di Mantova, sta lavorando assiduamente per consentire al giovane senegalese di ottenere quel permesso di soggiorno chiesto a gran voce da un’intera comunità. Nei quattro anni vissuti in paese è stato in grado di integrarsi al punto da diventare un vero punto di riferimento per le persone bisognose.

23.6.13

fncl a chi non vuole i cani in spiaggia . Al Poetto c'è il cane bagnino Maya aiuta la Guardia Costiera MAYA ACCUCCIATA SOTTO L'OMBRELLONE Previsioni meteo Sardegna comune per comune Guarda l'Agenda Tutto su trasporti e appuntamenti Guida Spiagge La guida alle spiagge della Sardegna La Guardia Costiera quest'anno ha un aiuto in più: il cane bagnino Maya. Il pelo bianco-grigio ne favorisce la mimetizzazione. Se scatta l'emergenza Maya, cane bagnino in forza alla Guardia Costiera, è pronta a tuffarsi in acqua. Acquattata sotto l'ombrellone, quasi un tutt'uno con la sabbia del Poetto, è equipaggiata con un giubbetto capace di favorire le operazioni di soccorso. Il proprietario ha adottato Maya da un canile di Olbia e dopo l'addestramento ha fatto riconoscere le sue abilità con un apposito brevetto.

unione sarda
Al Poetto c'è il cane bagnino Maya aiuta la Guardia CostieraMAYA ACCUCCIATA SOTTO L'OMBRELLONE

La Guardia Costiera quest'anno ha un aiuto in più: il cane bagnino Maya.Il pelo bianco-grigio ne favorisce la mimetizzazione. Se scatta l'emergenza Maya, cane bagnino in forza alla Guardia Costiera, è pronta a tuffarsi in acqua. Acquattata sotto l'ombrellone, quasi un tutt'uno con la sabbia del Poetto, è equipaggiata con un giubbetto capace di favorire le operazioni di soccorso. Il proprietario ha adottato Maya da un canile di Olbia e dopo l'addestramento ha fatto riconoscere le sue abilità con un apposito brevetto.

11.10.09

Uomini e no

 

Uguali perché unici. E' bello che la Giornata delle Persone con Sindrome di Down si svolga, quasi si stenda, tra i colori dell'autunno, nel loro sfumare ondulato e tenuamente monotono. E' una sensazione di conforto, di grembo, di gioia pura, di riconciliazione. Una giornata, se vogliamo, lenta. Una giornata che ci ricompone nella nostra natura balbettante, nei nostri primi passi, nelle nostre provvidenziali cadute. E' una domenica resa al suo significato di festa, e non "un giorno da buttare" come riecheggiavano gli stinti versi di un'infelice, vecchia canzone. E' qui, per ricordarci che da buttare non c'è proprio nulla, e che l'imprevisto è dietro l'angolo, col suo carico di ansie, tribolazioni, dolori e intense gioie.

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Cos'ha fatto? Ma che razza di domanda è?


Non plaudiamo indiscriminatamente a Barack Obama ma, contrariamente a tanti moralisti dell'ultima ora, siamo consapevoli - e, a quanto sembra, lui pure - che la forma è sostanza, e che il simbolo è realtà. Volente o nolente, Obama è un simbolo, ne avverte l'onere e il destino. Le azioni brute hanno corto respiro. Certo, il suo cammino è ancora lungo, per molti aspetti estenuante. Una vera traversata nel deserto in cui l'uomo si muove con circospezione fredda e ponderata. Non può agire altrimenti. E sa che il Nobel per la Pace gli giunge mentre potrebbe giocarsela, questa pace, nell'intricato gorgo mediorientale. E' un premio a doppio taglio la cui sfida, come sempre, accetta con asciutta e dolce virilità, preciso come uno scienziato. Eppure, uno scienziato alla Einstein, sempre pronto a scapigliarsi ("Wow!").


Ha fatto, nel momento in cui ha aperto al mondo la sua nuova visione del mondo. Senza la quale nessun gesto, neppure il più eroico, ha realmente senso. La gloria non viene dalle opere, perché nessuno possa vantarsene (S. Paolo).


Noi attendiamo, e criticheremo se del caso, ma non staremo col fucile spianato. Dalla diffidenza non è mai nato nulla.


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Giorni fa è stato assegnato un altro Nobel: per la Medicina. A due donne contemporaneamente (Elizabeth H. Blackburn e Carol W. Greider) e a un loro collega, Jack W. Szostak. Hanno aperto la via a un nuovo campo di ricerca, quello sull’invecchiamento cellulare. A una delle due donne, in particolare, già avevamo accennato, poiché era stata allontanata dal predecessore di Obama, George W. Bush, a causa delle ricerche sulle cellule staminali, invise ai cristianisti. Lo scorso anno, sempre per la Medicina, il premio era andato a un'altra scienziata, Françoise Barré-Sinoussi.


L'eco della furia sessista di Berlusconi è giunta pure in Birmania. Da dove un gruppo di sostenitrici di Aung San Suu Kyi ha fatto recapitare a Rosy Bindi una toccante lettera di solidarietà. Anonima: laggiù, a scrivere certe cose si rischia grosso.


Nel campo scientifico, in quello dei diritti umani, nel lavoro di ogni giorno, mogli o madri, religiose o artiste, le donne sono autentiche e piene protagoniste. Tuttavia, in Italia, i mass-media continuano a proporre un unico modello femminile. Questo:



...Vabbè, anche qui si parla della Montalcini (altro Nobel per la Medicina, e il più illustre). Una morta vivente, ex-concorrente del Grande Fratello, creatura Mediaset, ne anticipa, anzi ne borbotta la morte fisica, sotto lo sguardo ammiccante del conduttore che, ostentando un ridanciano distacco para-intellettuale, si diverte un sacco a metterla alla berlina (e a strabuzzare gli occhi sulle poppe plastificate).


Occorre una precisazione, però. Piero Chiambretti è un ultracinquantenne ancora scapolo, o meglio, zitello frustrato. E' sufficiente guardarlo pochi secondi per comprenderne le ragioni: chi può volerlo, brutto, piccolo e stortignaccolo com'è? Se una persona si giudica esclusivamente dall'aspetto estetico, la regola deve valere anche per i maschietti; a maggior ragione per i Chiambretti. Solo non si capisce perché debba sfogare le proprie insoddisfazioni davanti a una platea così vasta. Se la pigli con madre natura, che si è mostrata così ingenerosa con lui.

Daniela Tuscano



6.6.09

Uno spazio per noi donne

Care donne lettrici di Compagni di Viaggio,


se aveste la possibilità di ideare e progettare uno spazio dedicato alla cura, alla tutela, all'assistenza ed all'accoglienza delle donne, nella vostra città, nel quartiere in cui vivete, quali elementi e quali prestazioni giudichereste fondamentali, importanti ed idonei per la realizzazione ed il buon funzionamento di questo servizio? Quali sono i problemi e le difficoltà, anche quelle più piccole, semplici e quotidiane, che oggi affliggono noi donne? Che cosa desideriamo, di cosa abbiamo bisogno, e che cosa le istituzioni ed i servizi pubblici e privati sul territorio non sono ancora in grado di offrirci?


MariLouLou, curiosa, spera di ricevere tante risposte, non solo dalle lettrici, e vi augura una buona giornata.


Se volete leggermi, la mia dimora è sita in  http://trattidanima.splinder.com 


 Salut à tout le monde!

emergenza femminicidi non basta una legge che aumenti le pene ma serve una campaga educativa altrimenti è come svuotare il mare con un secchiello

Apro l'email  e tovo  queste  "lettere "   di  alcuni haters  \odiatori  ,  tralasciando  gli  insulti  e le  solite  litanie ...