partendo dall 'horror club di Dyla Dog n 471 Una finestra Sull'abisso (SOGGETTO\SCENEGGIATURA Giovanni Eccher DISEGNI Luigi Siniscalchi ) mi chiedo spinto da tale aricolo in un opuscolo \ rivista mi pare Svegliatevi dei testimoni di Geova lasciato in bottega cosa voglia dire la parola speranza cercando ovviamente d'anda re olttre il classico significato e se La speranza è sempre e solo una pia illusione, un modo per rifugiarsi in qualcosa di irreale? Oppure ci sono valide ragioni per considerare la speranza qualcosa di più, uno stato d’animo di cui tutti abbiamo bisogno per godere di buona salute e felicità, che ha una solida base e che porta benefìci concreti?
Infatti ho provato ad analizzare il termine sia in senso religoso sia in senso laico .
In senso religioso in particolare nel Cristianesimo, il concetto di speranza acquisisce una dimensione completamente diversa e più profonda, fondata sulla fede e sulle promesse divine.
🕊️ La Speranza come Virtù Teologale
Nella teologia cattolica e in gran parte del Cristianesimo, la speranza è considerata una delle tre Virtù Teologali (insieme a Fede e Carità/Amore).
La speranza è la virtù teologale mediante la quale desideriamo il Regno dei Cieli e la Vita Eterna come nostra felicità, confidando nelle promesse di Cristo e appoggiandoci non sulle nostre forze, ma sull'aiuto della grazia dello Spirito Santo. (Parafrasi del Catechismo della Chiesa Cattolica)
Elementi Chiave del Concetto Religioso Oggetto (Il Fine Ultimo): Non è un bene terreno, un successo personale o un miglioramento sociale (anche se questi non sono esclusi), ma è primariamente la Salvezza e la Vita Eterna (il Paradiso o il Regno di Dio). È l'attesa certa del compimento delle promesse divine.
Fondamento (La Certezza): A differenza della speranza laica che implica una possibilità ("spero che succeda"), la speranza religiosa (cristiana) implica una certezza o una fiducia incrollabile. Non è basata sulla nostra capacità, ma sulla fedeltà di Dio e sul fatto storico della Resurrezione di Cristo, che è la garanzia che le promesse si realizzeranno.
Un noto paragone è che non si spera che il sole sorga domani (è probabile), ma lo si attende con certezza. La speranza cristiana è attesa di qualcosa che è già stato compiuto in Cristo.
Fonte (Dono Divino): È considerata un dono di Dio (una grazia infusa) che eleva le capacità umane. Non è solo un'inclinazione naturale.
Dinamismo (La Perseveranza): Anche qui, non è passività. La speranza spinge il credente alla pazienza e alla perseveranza ($hypomonē$ in greco), cioè a "tener duro" e a operare il bene (la carità) in questo mondo in attesa del compimento finale.
In sintesi, mentre la speranza laica è la fiducia nelle forze umane e nelle possibilità di questo mondo, la speranza religiosa è la fiducia assoluta nelle promesse di Dio, orientata primariamente al destino eterno dell'anima.
Ma basandosi sul principio di tesi e antitesi ho voluto analizzarla anche dal punto di vista Laico
La speranza, spogliata della sua dimensione religiosa o trascendente, smette di essere un'attesa passiva di un intervento divino e si trasforma in qualcosa di molto più terreno, attivo e umano. Infatti In senso laico, la speranza non è la garanzia che "tutto andrà bene", ma la convinzione che le nostre azioni abbiano un senso. È una forza pragmatica.
Ecco un'analisi di cosa significa sperare in un contesto puramente laico:
1. La Speranza come "Azione" (Agire Propositivo)
Mentre la speranza religiosa può talvolta scivolare nel fatalismo ("Dio provvederà"), la speranza laica è intrinsecamente legata all'agire.
È la capacità di immaginare un futuro diverso dal presente e lavorare attivamente per costruirlo.
È il motore della scienza, della politica progressista e dell'attivismo. Chi lotta contro il cambiamento climatico o cerca una cura per una malattia lo fa mosso da una speranza laica: la fiducia nelle capacità umane di risolvere problemi.
2. La Distinzione tra Ottimismo e Speranza
Questa è una distinzione cruciale, spesso evidenziata dal filosofo e statista Václav Havel.
L'ottimismo è la convinzione che le cose andranno bene (spesso basata su un calcolo delle probabilità o un'illusione).
La speranza, invece, è uno stato della mente e dello spirito. Secondo Havel:
"La speranza non è la convinzione che qualcosa andrà bene, ma la certezza che qualcosa abbia un senso, indipendentemente da come andrà a finire." In senso laico, si spera non perché il successo è garantito, ma perché l'impegno verso quell'obiettivo è la cosa giusta da fare.
3. Il "Principio Speranza" (Ernst Bloch)
Il filosofo tedesco Ernst Bloch ha definito la speranza come un "sogno in avanti" (docta spes).
Per Bloch, l'essere umano è caratterizzato dal "Non-Ancora". Non siamo mai completi; siamo sempre in divenire.
La speranza laica è l'apertura verso il possibile, la ribellione contro lo status quo. È rifiutare di accettare che il mondo così com'è sia l'unico mondo possibile.
4. Una Risposta alla "Casualità"
Senza una Provvidenza divina che ordina il cosmo, il mondo laico può sembrare dominato dal caso o dal caos.
In questo contesto, la speranza è lo strumento psicologico che ci permette di tollerare l'incertezza.
È una forma di resilienza cognitiva: di fronte all'imprevedibilità della vita, la speranza laica è la scelta di investire nel futuro nonostante l'assenza di garanzie assolute.
5. La Dimensione Collettiva
La speranza laica è raramente un atto solitario; è spesso un progetto sociale.Si fonda sulla solidarietà tra esseri umani.
Si basa sulla fiducia che, unendo le forze, l'umanità possa correggere le ingiustizie. La democrazia stessa è un esercizio di speranza laica istituzionalizzata: la scommessa che possiamo governarci meglio insieme che da soli.
In sintesi
La speranza laica è l'accettazione del rischio della vita. È guardare in faccia la realtà, con tutte le sue difficoltà e la sua mancanza di un "copione" prestabilito, e decidere comunque di piantare un albero, scrivere un libro, o crescere un figlio.
Non è un anestetico contro il dolore del presente, ma uno stimolo a trasformarlo.
Io penso , almeno per il momento che entrambe le vie siano utili e quindi cercare una strada che le runisca insieme perchè sia che la s'intende in senso religioso \ spirituale tutti ne abbiamo bisogno L'importante è che stiamo lontani il più possibile da chi vive sperando, muore cagando .Si tratta di un proverbio popolare, spesso considerato volgare o scurrile, che serve a esprimere un concetto cinico e disincantato sulla natura della speranza.Questo detto è una critica ironica e brutale all'eccessiva passività o all'attesa vana di un evento positivo.
"Chi vive sperando..." Si riferisce a una persona che trascorre la vita aspettando costantemente che le cose migliorino da sole, senza agire, senza sforzarsi o senza prendere l'iniziativa. Si affida solo a un futuro ipotetico e fortunato.
"...muore cagando." La seconda parte usa un'immagine volutamente cruda e trivializzata della morte. Lo scopo è quello di sottolineare che la fine della vita (la morte) arriva in un momento qualunque, banale, sgradevole e involontario, proprio come una funzione corporea non gloriosa e quotidiana.
Il significato è quindi: Se passi tutta la tua vita ad aspettare un miracolo, una ricchezza inaspettata o una felicità promessa (sperando), finirai per morire in un modo del tutto ordinario, deludente e per nulla eroico o eccezionale (cagando), senza che la speranza ti abbia portato alcun beneficio concreto.È un monito a: Agire: Non affidarsi solo alla fortuna o alla speranza passiva. Vivere il Presente: Non rimandare la felicità o la realizzazione in attesa di un futuro incerto. In sostanza, è l'estrema versione popolare del motto: "Aiutati che Dio ti aiuta" (o "Fatti gli affari tuoi, perché altrimenti il destino non ti riserva nulla di speciale").
Una mia cara amica mi telefona da Milano. Mi dice di essere partita da Cagliari, nonostante un fastidioso raffreddore, per assistere a una conferenza di Daniel Goleman. È la stessa mia amica che qualche giorno prima mi aveva benevolmente rimproverato di scrivere troppo spesso di avvenimenti drammatici se non addirittura tragici. Lei aveva ragione; ma io non avevo torto. Dicevano i nostri padri latini che quando «majora premunt», ossia le cose più grandi incombono, non ci si deve soffermare sulle minori. Vorremmo scrivere sempre traendo spunto dai fatti e fatterelli della quotidianità. Sono essi l’indice della vita normale, ora serena ora travagliata, di quella parte maggioritaria della popolazione che, gioendo soffrendo operando nell’anonimato, è l’asse portante della società. La chiamiamo genericamente “gente”, e offre innumerevoli spunti di riflessione. E uno spunto me lo offre la mia amica, che gioisce del suo incontro ravvicinato con Goleman. Chi non ha ancora letto “Intelligenza emotiva”, il suo libro più famoso, lo faccia: è un raggio di luce che illumina le menti in penombra. Essere emotivamente intelligenti può renderci felici; e noi rendere felici gli altri. Può riconciliarci con la vita quando la speranza vacilla. Ne riparleremo. Regaliamone intanto una copia a Putin, Trump, Zelensky e Netanyahu. Hai visto mai che imparino qualcosa?
Un giorno, la gomma guardò la matita e, con voce gentile, le chiese:
– Come stai, amico mio?
La matita rispose seccamente, senza nemmeno alzare lo sguardo:
– Non sono tuo amico. Ti odio.
La gomma, colpita da quelle parole taglienti, domandò con tristezza:
– Perché?
– Perché cancelli sempre quello che scrivo – ribatté la matita con rabbia trattenuta.
Ma la gomma, con la dolcezza che nasce da chi conosce il proprio scopo, disse:
– Io cancello solo gli errori. Lo faccio per aiutarti.
– E perché dovresti farlo? – insistette la matita, ancora diffidente.
– Perché è la mia natura. Sono nata per questo – spiegò la gomma, con una calma che non chiedeva nulla in cambio.
La matita scosse la testa:
– Questo non è un vero lavoro.
– Eppure il mio compito è tanto importante quanto il tuo – rispose la gomma con convinzione.
– Ti sbagli, sei arrogante. Scrivere è più nobile che cancellare – insistette la matita, alzando la voce.
Ma la gomma non si scompose:
– Togliere ciò che è sbagliato è come riscrivere ciò che è giusto.
A quel punto, la matita restò in silenzio, colpita da quelle parole semplici ma profonde. Poi, con un filo di malinconia, sussurrò:
– Ti vedo ogni giorno più piccola…
La gomma sorrise teneramente:
– È vero. Ogni volta che cancello un errore, perdo un pezzetto di me. Ma lo faccio volentieri, perché so che sto aiutando.
La matita, con voce roca e occhi lucidi, aggiunse:
– Anche io mi sento più corta ogni giorno…
La gomma allora gli si avvicinò e lo consolò:
– Vedi? Nessuno può fare del bene senza rinunciare a qualcosa di sé. È questo il segreto.
Poi lo guardò con affetto sincero e chiese:
– Mi odi ancora?
La matita, finalmente serena, sorrise:
– Come potrei? Ti vedo sacrificarti ogni giorno per gli altri. Ogni mattina ti svegli, e sei un po’ meno di ieri… ma solo perché hai donato speranza e sollievo.
E allora, con la voce del cuore, concluse:
– Se non puoi essere una matita per scrivere la felicità degli altri, sii una buona gomma che cancella i loro dolori. E semina speranza, ovunque tu passi.Perché il bene non fa rumore… ma lascia un segno che nessuna gomma potrà mai cancellare.
Mi rendo conto che non tutti abbiano quella voce fuori campo interiore che fa la telecronaca di ogni loro gesto,o se l'abbiamo siamo forti da ignorarla , ma la mia in questo momento ha appena detto:
"Ed eccolo di nuovo intento a scrivere e condividere stronzate su quel cazzo di social, 'sto perdigiorno"Lo so, a volte è molto scurrile ed opprimente .Ma a volte utilissimo perchè mi evita di finire nei guai e di fare figure di 💩 ed alcune volte a ttraverso i suoi consigli saggi e la sua voce di esperienza, il grillo parlante come pinocchio mi ha aiutato a riconoscere le conseguenze delle sue azioni e a prendere decisioni migliori o quanto meno a ragionare prima di prendere una decisione o mi è stata utile in un tormento interiore quando l'ho ascoltato .
Infatti essendo ribelle preferisco farmi io un esperienza perchè
Quel portafoglio ritrovato dopo 10 anni dal meccanico (sotto il cofano dell'auto) Storia di Redazione Buone Notizie corriere della sera tramite msn.it • 3 ora/e •
Mai perdere le speranze, distratti di tutto il mondo: c'è chi il portafoglio lo ritrova anche dopo dieci anni, o meglio glielo ritrova addirittura il meccanico riparandogli l'auto. E poi glielo restituisce. È successo in Minnesota, dove il meccanico Chad Volk stava sostituendo la ventola di raffreddamento di una Ford Edge del 2015, quando qualcosa che avrebbe dovuto incastrarsi continuava a scontrarsi con qualcosa che lo impediva: «Ci ho trafficato un po' per scoprire cos'era perché lì per lì non si vedeva - ha detto Volk a Cbs News - ma alla fine da sotto una sporgenza è saltato fuori un portafoglio». Con dentro 15 mila dollari, una patente del Michigan, un biglietto della lotteria, 275 dollari in carte regalo Cabela's e un tesserino identificativo di un dipendente Ford: mister Richard Guilford. Che si è visto restituire tutto quanto. E quando è successo gli è anche tornata in mente la storia di com'era andata Era il 2014 e Guilford quel giorno, non avendo tasche nei pantaloni della tuta di lavoro, si era messo il portafoglio in un taschino della blusa. A un certo punto si accorse di non averlo più. E pensò che gli fosse caduto mentre era chino a lavorare su un'auto. «Era una Flex», disse ai colleghi. Che lo aiutarono a controllare. Purtroppo senza risultato. Un po' perché lui pensava che gli fosse caduto su qualche sedule, non dentro al motore. Ma soprattutto perché l'auto era un'altra: una Edge rossa. Successivamente venduta e spedita in Arizona, e da qui venduta di nuovo per finire in Minnesota. E dopo 151 mila miglia di vita certificate dal contachilometri è approdata nell'officina Volk di Lake Crystal. Il cui titolare ha rintracciato Guilford su Facebook e l'ha chiamato: «È tuo questo portafoglio?». E l'altro è scoppiato a ridere: «L'hai trovato in macchina?». Mister «Big Red», così lo chiamano gli amici per la sua stazza, ancor più che per i soldi recuperati si è detto felice per la storia in sé: «Ti fa riacquistare la fiducia nell'umanità quando la gente ti dice: Ehi, hai perso questo, l'ho trovato e te lo riporterò». Ancora più incredibile è come abbia fatto a sopravvivere alla neve e alla pioggia nella Terra dei Mille laghi o, peggio, al caldo del motore di un auto sotto il sole dell'Arizona. La catena Cabela's, che vende articoli per l'outdoor, ha dichiarato le carte regalo da 250 dollari rimangono valide. I numeri sul biglietto della lotteria invece sono troppo sbiaditi per riuscire a leggerli. Oggi Guilford ha 56 anni, non lavora più alla Ford e fa il banditore part-time. «Lascerò tutto nel portafoglio così com'è - ha detto - e lo terrò a casa in una vetrinetta: sarà per i miei figli, perché raccontino la storia un giorno ai miei nipoti. Ci piacciono molto le storie. Mi piace raccontare storie.
Israele ha distrutto la mia università, ma non il mio desiderio di istruzione Per un anno ho cercato disperatamente di continuare i miei studi universitari a Gaza per darmi un senso.
L'autore tra le macerie di Khan Younis [Per gentile concessione di Aya Hellis]
Ho iniziato la mia laurea triennale in ingegneria edile presso l'Università islamica di Gaza (IUG) nel 2021. Ero molto orgogliosa di me stessa per essere entrata nel campo di studi che avevo sempre voluto perseguire. La mia vita sembrava pronta per i successivi cinque anni. Avrei studiato sodo, avrei cercato di superare gli esami con buoni voti, avrei fatto uno stage in un noto studio di ingegneria e poi avrei fatto domanda per un master. Tutto stava andando secondo i piani fino al 7 ottobre dello scorso anno. Quel giorno avrei dovuto presentare un progetto universitario per il quale avevo perso molto sonno. I bombardamenti sono iniziati la mattina ma non ho prestato attenzione e ho continuato a lavorare al progetto. Ero abituato agli attacchi israeliani a Gaza. Ne avevo vissuti una mezza dozzina. Poi ho ricevuto la notizia che le lezioni universitarie erano state sospese. Ancora una volta, pensavo che le cose sarebbero tornate presto alla normalità, quindi ho finito il progetto e l'ho inviato. Il giorno dopo, l'8 ottobre, avrei dovuto discutere un compito di gruppo con altri tre compagni di classe. Doveva essere la nostra ultima discussione per concludere il progetto prima di presentarlo il 10 ottobre. Invece di parlare con i miei compagni di classe, ricevetti la notizia che uno di loro, il mio caro amico Alaa, era stato ucciso da un attacco aereo israeliano. Invece di finire il compito universitario, piansi il mio amico. Il 14 ottobre ho detto addio alla mia casa a Gaza City mentre i miei genitori, i miei fratelli e io fuggivamo a Khan Younis, pensando che saremmo stati al sicuro lì. Ho lasciato il mio laptop, i progetti, i libri e tutto ciò che riguarda i miei studi. A Khan Younis sognavo di tornare all'università. Alla fine l'ho fatto, ma non per studiare. All'inizio di dicembre, una moschea proprio di fronte al condominio in cui alloggiavamo è stata bombardata dall'esercito israeliano. Ci siamo spaventati e abbiamo cercato rifugio nella vicina Università di Al-Aqsa, senza portare quasi nulla con noi. Quella notte, l'edificio in cui avevamo alloggiato fu attaccato e distrutto. Dovevamo cercare tra le macerie ed estrarre tutto ciò che potevamo trovare. Siamo rimasti un altro mese e mezzo a Khan Younis. Avevo paura di connettermi a Internet, figuriamoci di controllare compagni di classe e amici. Il solo controllo del mio WhatsApp è stato un incubo terrificante. Avevo paura di sapere della morte di persone che conoscevo. A dicembre ho ricevuto la notizia che un'altra compagna di classe, Fatima, era stata uccisa dall'esercito israeliano insieme a suo padre e ai suoi fratelli. A gennaio, l'esercito israeliano ha intensificato i bombardamenti, massacrando centinaia di persone a Khan Younis, e poi ha fatto irruzione nell'ospedale Al-Khair vicino a noi. Siamo fuggiti a Rafah e ci siamo sistemati in una piccola tenda piantata in strada. La vita era davvero miserabile. Ma la speranza a volte arriva come un visitatore a sorpresa, quando meno te lo aspetti. A marzo, si è sparsa la voce di un piano per consentire agli studenti di Gaza di iscriversi alle università della Cisgiordania e frequentare le lezioni a distanza. È stato un tale sollievo. Sentivo che non stavo più sprecando la mia vita. Mi sono iscritta al programma e ho aspettato di avere notizie da una delle università. Quando l'Università di Birzeit (BZU) mi ha contattato, ho sentito che la fortuna mi aveva finalmente sorriso. Mi sono iscritto al numero massimo di corsi che mi era consentito e ho aspettato felicemente di ricominciare a studiare. Ma la mia gioia è stata di breve durata. Appena cinque giorni dopo l'inizio del semestre, il 7 maggio, io e la mia famiglia siamo dovuti fuggire di nuovo dall'avanzata dell'esercito israeliano. Rafah era sotto attacco, quindi abbiamo dovuto evacuare per tornare a Khan Younis. L'assalto dell'esercito israeliano a Khan Younis l'aveva fatta sembrare una città fantasma. Non c'era più niente lì. Gli edifici e le infrastrutture sono stati completamente distrutti. Non era adatto alla vita, ma non avevamo scelta. Più di un milione di persone sono state evacuate con noi da Rafah e i campi profughi e altre aree come Deir el-Balah erano pieni fino all'orlo del baratro. Questo spostamento ha significato che non ho potuto completare i miei studi alla BZU. Mentre la vita in una tenda per le strade di Rafah era dura, internet ha funzionato per la maggior parte del tempo. A Khan Younis non c'era affatto internet. Il punto più vicino da cui potevo collegarmi era ad al-Mawasi, a sette chilometri di distanza. Ho dovuto percorrere quella distanza a piedi con il cuore pesante per inviare un'e-mail alla BZU per far sapere loro che stavo terminando la mia iscrizione. A giugno, ho ricevuto la notizia che la mia università di origine, IUG, aveva escogitato un piano per consentire agli studenti di completare i loro studi a distanza attraverso una combinazione di autoapprendimento e istruzione. Ha diviso in due il semestre che abbiamo iniziato lo scorso ottobre, dandoci un mese per studiare materiale che normalmente richiederebbe mesi prima di sostenere gli esami per la prima parte; Poi abbiamo dovuto fare lo stesso per la seconda parte. Trovare istruttori per ogni corso è stata una sfida. Molti professori sono stati uccisi e molti altri sono stati sfollati e in situazioni precarie, lottando per fornire cibo e acqua alle loro famiglie. Di conseguenza, abbiamo avuto un istruttore assegnato all'intero corso di quasi 800 studenti. Mi sono iscritta a due corsi e ogni giorno iniziavo a camminare per sette chilometri fino ad al-Mawasi sotto il sole cocente, passando tra cumuli di macerie, spazzatura e pozzanghere di acque reflue, per scaricare le lezioni e rimanere in contatto con la mia università. Ne sono rimasto soddisfatto. Qualsiasi cosa era meglio che sedersi in una tenda calda e deperire nella disperazione. Ma mantenere questo studio a distanza era estremamente difficile. Poco dopo aver iniziato a studiare, l'esercito israeliano ha effettuato un massiccio attacco ad al-Mawasi, sganciando otto enormi bombe sul campo, uccidendo almeno 90 persone e ferendone altre 300.C'era caos e paura ovunque. Io stesso avevo paura di avvicinarmi a quella che doveva essere una "zona sicura". Non sono tornato online per una settimana. L'esercito israeliano aveva danneggiato l'infrastruttura delle comunicazioni. Quando finalmente sono riuscito a connettermi, il segnale era molto debole. Mi ci sono voluti due giorni per scaricare un libro. Sono riuscito a riprendere gli studi solo per essere interrotto di nuovo. Nuovi ordini di evacuazione emessi dall'esercito israeliano hanno costretto migliaia di persone nell'area vuota in cui ci eravamo stabiliti. Era così sovraffollato e rumoroso che avevo difficoltà a concentrarmi per ore. Anche caricare il telefono per studiare era un'altra fonte di sofferenza. Ogni due giorni dovevo inviarlo la mattina a un servizio di ricarica e aspettare il pomeriggio per riaverla, sprecando un'intera giornata. La settimana degli esami è finalmente arrivata ad agosto. Ho dovuto affannarmi per trovare una buona connessione a Internet e, quando l'ho fatto, ho dovuto pagare un'enorme somma di denaro per usarla per un'ora. Ho fatto quello che potevo agli esami. Tre settimane dopo, ho ricevuto i risultati: A+ in entrambi gli esami. Quel giorno non riuscivo a smettere di sorridere. Poi ho iniziato a studiare per la seconda parte del semestre e gli altri tre esami, che ho sostenuto a settembre. Ho terminato questo semestre improvvisato quasi un anno dopo l'inizio della guerra: un anno di sfollamenti, perdite, vita in tenda, incubi ed esplosioni incessanti. Mentre lottavo per studiare, mi sono resa conto di quanto mi mancassero i piccoli "lussi" della mia vita precedente: la mia scrivania, il mio letto, la mia stanza, le mie barrette di tè e cioccolato. Questi due mesi di studio per gli esami sono stati una piccola distrazione dai travolgenti sentimenti di perdita e disperazione in mezzo a questo genocidio in corso. Sembrava un'iniezione di un anestetico per aiutarmi a dimenticare solo per un po' il dolore della mia vita miserabile.
Non importa dove sia la tua casa e quale sia il tuo percorso ma tieni presente che il nostro stato non è mai certo è che la fortuna può capovolgersi anche per i più potenti
Un sentiero sicuro può franare ma ce n'è sempre un altro che spesso può condurci in un posto migliore \ propizio da cui ripartire \ ricominciare prima di riprendere il viaggio o rincominciare uno nuovo
ha ragione Lorenzo Tosa : << Il problema, semmai, su cui interrogarci serissimamente è che in tutta Europa Forza Italia rappresenterebbe una normale destra conservatrice. Qui da noi al confronto con Meloni e Salvini appare di centro (con punte di centro-sinistra), tale è lo scivolamento della politica verso la destra estrema. Ed è la stessa ragione per cui i liberali negli ultimi anni si sono tendenzialmente spostati sempre più a sinistra. Perché di liberale, in questo governo di busti e di nostalgici, non c’è neanche l’ombra per terra.>> infatti anch'ioNon avrei mai pensato di dirlo, ma Antonio Tajani, pur con tutti i suoi limiti e contraddizioni, nelle ultime 48 ore sta dando letteralmente una lezione di Politica e Civiltà a Lega e Fratelli d’Italia (ci vuole poco, eh…) su Ius Scholae, carceri, Europa, diritti, welfare, inclusione, dimostrando (tardivamente) che può esistere anche una destra decente, liberale, capace di adeguarsi alla realtà e ai cambiamenti sociali e civili di un Paese.Una destra che in (quasi) tutta Europa è da decenni la normalità e che qui da noi, in un Paese che non ha fatto ancora i conti col fascismo (al punto da rimandarlo al potere) è pura utopia.E gli attacchi feroci e sbavanti che Tajani sta subendo da tutta la destra estrema in queste ore sono lì a dimostrarlo. Non dimentico nulla, sia chiaro. Ma con una destra come quella che oggi (non ieri, OGGI) incarna Tajani non solo è giusto discutere e dialogare sui singoli temi, ma dobbiamo augurarci anche che prevalga sul populismo di Salvini e il neofascismo di Meloni.
Ed su questa strada aperta da lorenzo tosa s'innesta il pensiero del giorno del compagno di strada Emiliano Morrone :
Quando il discorso politico si basa sull'insulto, per di più gratuito, significa che si è toccato il fondo, che non si vogliono risolvere i problemi perché manca la competenza, la capacità e le volontà di indicare soluzioni e orizzonti. Dalle mie parti, a sud del Sud, vedo un'affezione sempre più diffusa e compiaciuta per il ricorso a diffamazioni anonime, come se la politica fosse la gara degli asini che la sparano più grossa o delle bisce che sputano il veleno più tossico. È, infine, un master della demolizione incontrollata, della confusione totale che lascia i territori nella loro marginalità e lontananza, nell'ombra più cupa rispetto allo sguardo del governo nazionale e del legislatore, che in genere si muovono in autunno, in occasione della legge di Bilancio, nella quale vengono previsti gli interventi principali e stanziate le risorse occorrenti. Che cosa volete che in quella sede sia disposto, per l'interno della Calabria, se la gente comune, tra cui educatori e acculturati, continua a occupare il proprio tempo per gettare fango e deiezioni addosso al vicino, la cui erba è, da manuale, sempre più verde? Mai una lettera anonima – meglio sarebbe se firmata –su come impiegare le ultime risorse (in parte in prestito) del Pnrr, su come rifinanziare e riorganizzare i servizi sanitari pubblici, attrarre investimenti o creare vantaggi fiscali, acceleratori di sviluppo, premialità per le imprese in grado di impiegare, promuovere e valorizzare le risorse territoriali. Sempre meglio non assumersi le proprie responsabilità, non soltanto civili e penali, e scadere nel linguaggio e nelle argomentazioni, prive di basi, analisi, prospettive. Qualcuno dovrà pur muoverla questa critica, perché siamo diventati un posto in cui si producono rifiuti e scorie della mente e dell'anima, non discussioni ragionate, confronti, proposte, azioni utili alla collettività. Non c'è da meravigliarsi, poi, se l'emigrazione aumenta e i Comuni si svuotano. E basta con lo scaricabarile sulla politica, che dovrebbe essere l'arte della costruzione, mediante l'ascolto, il coinvolgimento e l'inclusione, di società più civili e progredite. Nessuno si senta assolto, soprattutto le vecchie guardie, che ora, in tutta comodità e senza ansie personali o familiari, giocano (all'"ammucciuni") a interpretare il ruolo delle verginelle e perfino delle vestali, dimentiche della trave che hanno nel loro occhio.
Un brutto male diagnosticato alla nascita l’ha costretto a lottare fin da subito. E lui ne è uscito più forte e intenzionato a mettere a disposizione degli altri le proprie qualità. «Sogno di diventare insegnante»L’amore per il latino e per la vita Così Marco ha vinto la malattia
avvenire 6\7\2024 ROBERTO MAZZOLI
Pesaro
«Ragazzi, studiate il latino e scoprirete voi stessi». Sono le parole di Ivano Dionigi, pesarese, già Magnifico rettore dell’Università di Bologna e per lunghi anni a capo della Pontificia Accademia della Latinità. Parole che evidentemente hanno fatto breccia nel cuore di Marco Remedia, 14 anni, che quest’anno ha concluso brillantemente il primo anno al liceo classico “T. Mamiani” di Pesaro, ottenendo il massimo dei voti in tutte le materie d’indirizzo.
Inoltre lo scorso 26 maggio ha ricevuto la palma del vincitore alla 33^ edizione di “Latinus Ludus”, manifestazione riservata alle giovani eccellenze italiane nello studio dei classici. « È stata la mia insegnante, Alessandra Massent, a iscrivermi e ho partecipato con grande entusiasmo alla prova che consisteva in una traduzione del “Ratto delle Sabine” di Tito Livio». Quel giorno su centinaia di partecipanti da tutta Italia, Marco consegna la sua traduzione per primo. È molto soddisfatto del suo lavoro e lo stupore della commissione è grande, anche perché sono trascorsi appena 50 minuti delle tre ore concesse. A casa per festeggiare il novello Cicerone ci sono mamma Francine e papà Filippo, le due sorelle maggiori Holly e Carolina e la nonna Maria Rosa, già maestra elementare e innamorata del latino. « La passione di Marco per questa lingua non ha niente di snob – dice il suo parroco don Mario Florio – e questo premio ha coronato il suo percorso che gli auguro lungo e fecondo». Sembra tutto facile per Marco, in realtà la sua vita si è rivelata un vero dramma fin dalla nascita. A seguito di una peritonite meconiale non riconosciuta al momento del parto, Marco subisce un ictus ischemico e sarà costretto ad un delicato intervento presso l’ospedale di Rimini dove verrà dimesso dopo un lungo ricovero di quasi due mesi. « Da quell’esperienza sono uscito anche con un superpotere – scherza Marco – infatti mi è rimasto un udito molto più sensibile della norma cosa che, se da un lato è positiva, d’altra parte è penalizzante perché amplifica ogni minimo rumore, impedendomi di concentrarmi come vorrei». Le gravi conseguenze motorie subite alla nascita, resteranno inoltre per tutta la vita, costringendolo a nuovi e complessi interventi chirurgici. L’ultimo esattamente un anno fa, quando è stato sottoposto all’allungamento dei tendini più importanti delle gambe: il semitendinoso e il gracile, che nel suo caso erano rimasti pari all’estensione di quelli di un bambino di tre anni. «Sono stato contento di essermi operato durante i mesi estivi, subito dopo l’esame di terza media perché, anche se ho patito parecchio caldo e sofferenza, almeno non ho perso giorni di scuola; non sarei stato in grado di dedicarmi allo studio, per me così importante, perché era già faticoso anche solo alimentarsi». Parlare con Marco è come dialogare con un adulto. Ha le idee ben chiare sul suo futuro: «Sogno di potermi iscrivere alla Facoltà di Lettere classiche e di diventare un insegnante ma spero di non sentirmi mai superiore agli altri, perché non c’è niente di più bello che comunicare la propria conoscenza ». Del resto comunicare deriva dal latino communicare: cum (insieme) e munus (dono), e Marco è un vero dono anche per la sua classe che ha festeggiato la sua vittoria portandolo in trionfo e facendogli sentire tutto l’affetto della vera amicizia. « A scuola mi trovo bene come in famiglia, mi piace studiare ma anche divertirmi come un qualunque ragazzo della mia età: leggo i fumetti manga, gioco alla playstation e vado all’oratorio parrocchiale». Come premio per il riconoscimento ottenuto, oltre a numerosi libri, potrebbe arrivare anche un regalo speciale della famiglia: un viaggio a Roma. « Non sono mai stato nella capitale e per me sarebbe un sogno viaggiare nel tempo alle origini della lingua che tanto mi affascina». E a proposito di sogni: la madre dice che nel sonno Marco parla in latino. Forse è proprio vero quel che dice Dionigi. Il latino ci consente di risalire al significato originario delle parole, di riconoscere il loro volto, di ripercorrere la loro storia. Perché le parole, come le persone, hanno un’origine, un volto e una storia.
"Ciò che conta è trovare il coraggio di rialzarsi e andare avanti, non importa quante volte la vita ci abbatterà. "
Charles Bukowski
Avendo sostenuto non ricordo con precisione quale causa umanitaria del giornale ho ricevuto un abbonamento gratuito ad avvenire.it da cui ho tratto queste due storie piene di speranze e voglia di rincominciare come quella che sto afffrontando e di cui ho una delle rara volte, parlato nel n 56 di questa rubrica : << dopo aver attraversato la tempesta e ritornata la paura ma sono riuscito ad affrontarla con consapevolezza>> forse perche come la protagonista ( e per altri motivi personali ed familiari ) del primo articolo ho difficoltà a esternare le mie emozioni .
La prima storia è quella di Giulia Ghiretti,Campionessa paralimpica con un palmares di 27 medaglie internazionali, un record del mondo nei 50 farfalla in vasca corta e un titolo mondiale nei 100 metri rana, con il quale si presenterà a settembre a Parigi nei XVI Giochi paralimpici estivi sotto le insegne della Polizia di Stato, Giulia Ghiretti si racconta ad Avvenire: « Le persone disabili vanno trattate come tutte le altre. Uguale. Non mi va che mi mettano su un piedistallo, o che esaltino i miei risultati in quanto disabile». 27 medaglie e un record del mondo in vasca corta. Sarà a Parigi, ma anche in tante scuole a raccontare la paralisi dopo una caduta e la rinascita
la
Non smette mai di sorridere, Giulia. Ogni risata scuote la massa di capelli ricci, nel verde del cortile della sua casa in una frazione di Parma che è già
campagna. « Non potrei mai vivere in città – dice -. Questo è il mio mondo». Un mondo apparentemente confinato nella villetta in cui vive con la famiglia, a fianco del casale agricolo in cui abita la nonna.
Solo apparentemente, però. Campionessa paralimpica con un palmares di 27 medaglie internazionali, un record del mondo nei 50 farfalla in vasca corta e un titolo mondiale nei 100 metri rana, con il quale si presenterà a settembre a Parigi nei XVI Giochi paralimpici estivi sotto le insegne della Polizia di Stato, Giulia Ghiretti vive tra aerei da prendere, gare da affrontare, allenamenti quotidiani da onorare. E poi gli incontri nelle scuole, che negli ultimi anni si sono moltiplicati. Perché lei ha la sua storia da raccontare: quella di una ragazza di 16 anni, giovane atleta promettente, che in un giorno di gennaio del 2010, durante il primo allenamento dopo le feste di Natale e poco prima dei Mondiali a cui era attesa, prende letteralmente il volo sul tappeto elastico, la sua specialità, atterra di schiena e si frantuma una vertebra. Intervento, mesi di terapia. La certezza che non tornerà mai più a camminare. La carrozzina che diventa il suo “fine pena mai” (anche se lei questa espressione non la sottoscrive, perché la sedia con le ruote non l'ha mai vissuta come una prigione). E poi la scelta di tornare a fare agonismo. In piscina, però, dove si sente libera. Da allora è stato un crescendo: oltre 60 titoli italiani, un primato mondiale, titoli europei e iridati, due argenti e un bronzo tra i Giochi di Rio e Tokyo.
Giulia, la tua vicenda è diventata anche un libroSono sempre io(Piemme, 208 pagine). Quando hai pensato di volerlo scrivere?
Non ho mai voluto! Mi ha convinto Andrea (Del Bue, giornalista e amico del cuore di Giulia, firma con lei il libro, ndr). Non mi piace parlare di me. La svolta è stata con il Covid: chiusi in casa, ne abbiamo avuto il tempo.
Lo scorso febbraiohai compiuto 30 anni. Che effetto ti ha fatto?
Traumatico. Mi sembra di non aver realizzato nulla. Di essere un po’ in ritardo.
In ritardo? Hai completato la laurea magistrale in ingegneria biomedica al Politecnico di Milano, hai vinto decine di medaglie tra Olimpiadi e competizioni mondiali...
Sì, è vero. Però dentro di me, la mia vita personale, intima, mi sento in ritardo.
Da anni giri per le scuole a testimoniare che la disabilità non limita la vita. Cosa ti piace di più dell’incontro con i bambini e i ragazzi?
Mi piace la loro spontaneità. Mi chiedono cose come: entri in acqua con la carrozzina? Perché ti metti i pantaloni se non senti le gambe? Non potresti tagliarti le gambe e metterti le protesi? I bambini non avvertono barriere. A loro cerco di trasmettere l’idea che i disabili possono fare le stesse cose dei normodotati, in modi diversi. L’importante è avere la curiosità di conoscere chi è diverso da te, così ti fa meno paura. La disabilità spaventa, sì, ma solo perché non la si conosce.
Il titolo del tuo libro è "Sono sempre io":Giulia, davvero sei rimasta la stessa che eri prima dell’incidente?
Sì, e sai perché? Perché non ho abbandonato i miei sogni. Anzi, ne ho fatti di nuovi. Per me è un sogno tutto ciò che è successo in questi anni: le Olimpiadi, i Mondiali, conoscere il presidente della Repubblica, presentare la candidatura di Parma come città italiana della Cultura… A volte penso: cos’ho fatto per meritarmi tutto questo?
Diciamo che hai trasformato la disabilità di forza. Non è poco. Pensi che grazie ai tuoi incontri nelle scuole chi ti ascolta cambi lo sguardo?
Sì, un po’. Vedo che si instaura un clima di confidenza e sono spesso i ragazzi a chiedermi come è giusto comportarsi con chi è nella mia condizione.
Per esempio, cosa non bisogna fare?
Be’, le carezze sulla testa, gli abbracci non richiesti. In generale, è semplice: le persone disabili vanno trattate come tutte le altre. Uguale. Non mi va che mi mettano su un piedistallo, o che esaltino i miei risultati in quanto disabile. Quelli che ti dicono: che brava, ma come fai... Per quanto mi riguarda, amo conservare una mia normalità.
Non ho mai abbandonato i miei sogni
Sento una responsabilità verso gli altri
Da questa carrozzina posso costruire qualcosa
Forse è questo il senso di quello che mi è successo
Dopo l’incidente hai scelto di dedicarti al nuoto paralimpico.Perché?
L’acqua è libertà. In piscina per la prima volta dopo l’incidente ho avuto piena consapevolezza del mio corpo. Fuori dall’acqua sto sempre appoggiata a qualcosa, le mie gambe pesano molto ma non ne ho la percezione. In acqua non conta più nulla, le gambe seguono docilmente i movimenti del corpo.
Senti mai di avere dei limiti?
I limiti sono fisici. Un gradino, una scala, per me sono oggettivamente altrettanti limiti, perché da sola non li posso oltrepassare. I limiti sono tutti fuori da me, o in certe mentalità che escludono i disabili. Per il resto, più che limiti io dico che esistono obiettivi.
Nel libro scrivi che quando sogni te stessa, ti vedi in piedi.Che sensazione provi?
È difficile da spiegare: sono in piedi, però magari in un punto dove c'è la ghiaia e faccio fatica a muovermi. È una situazione irreale eppure vera: oggi con la carrozzina sulla ghiaia non mi muovo.
Pensi mai che un giorno, grazie ai progressi della scienza, della medicina e della tecnologia, potrai tornare a camminare?
Quando mi sono fatta male mi dicevano che in un decennio ci sarebbero state strabilianti novità. Ne sono trascorsi 14. Uso l’esoscheletro per la fisioterapia, ma non c’è paragone con la mobilità che mi garantisce la mia carrozzina.
Nel tuo libro scrivi anche che non sai dire ti voglio bene, nemmeno a tua sorella a cui sei legatissima. Come mai?
Perché non riesco a esternare i miei sentimenti. Mi considero una persona molto riservata, a volte posso sembrare fredda e lontana. Ma a me gli abbracci piacciono tantissimo, ci sono dei momenti in cui ho bisogno del calore umano. Però ecco, i gesti sono una cosa, le parole un’altra.
Amore?
Storie sentimentali ne ho avute, ma non è facile, mi accorgo che la disabilità fa paura. Io voglio un amore come un film, ma è difficile... Poi più cresci più diventi esigente. Lo dicevo all’inizio no, che mi sento in ritardo?
Sei cresciuta in oratorio, ma poi ti sei allontanata. Cosa è successo?
Dopo l’incidente andavo a Messa e le persone venivano intorno a me, mi accerchiavano e mi sono sentita a disagio. Era il loro modo per farmi sentire la vicinanza, ma alla fine scappavo via prima che la funzione finisse. Adesso per me essere credente è voler bene e accogliere gli altri.
A fine estate parteciperai alle Paralimpiadi di Parigi, ci arriverai da campionessa in carica. Comela vedi?
Sarà molto difficile. Ho il terrore delle due atlete cinesi con le quali mi sfiderò, perché non sai cosa fanno durante l’anno, non le conosci, spuntano fuori solo alle Olimpiadi.
Insomma, nuoterai per difendereil tuo titolo?
Ora sulla carta ho il primo tempo, però so che alcune delle mie avversarie sono molto più veloci di me. Quindi, no, non mi sento una inseguita ma ancora una inseguitrice.
Che cosa ti ha regalato fare il tuo record personale nei 100 rana in finale a un Mondiale?
Una gioia indescrivibile. Ma non per il record in sé, quanto per l'idea di avere ogni volta la possibilità di superare i miei limiti. E poi, la scarica di adrenalina...
C’è una donna a cui ti ispiri?
Mia mamma. Su certe cose siamo molto simili. L’intuizione, ad esempio. Capire i bisogni degli altri senza nemmeno che li esprimano. La praticità: sa sempre cosa bisogna fare. Dopo l’incidente a un certo punto ha detto: be’ io adesso dormo due ore perché da domani ci saranno un sacco di cose da fare.
Com’è stata la tua adolescenza?
Io l’adolescenza è come se non la avessi vissuta. A 16 anni ho avuto l’incidente per cui ho dovuto reimparare tutto. Era tutto nuovo.
Hai trovato un senso in ciò che ti è successo?
In realtà non me lo chiedo nemmeno. È successo, pura sfiga. L’unica cosa che mi domando è se posso essere utile a qualcuno, se questa sfiga può dare un frutto. Se la risposta è sì, allora forse questo è il senso.
Tu sei un’atleta, sei una sorella, una figlia, una ingegnera. Tanti ruoli insieme, come ciascuno di noi. Ma Giulia davvero chi è?
Sono una ragazza che ama sfidare i suoi limiti. E che però ha le sue paure, che talvolta vorrebbe chiudere il mondo fuori e fermarsi. Ma che sente di avere responsabilità nei confronti degli altri. Mi chiamano frequentemente a parlare della mia vita, delle mie esperienze e in alcuni casi saltano fuori curiosità su cosa c’è dietro, nella quotidianità, a una persona con disabilità. Vuol dire che trovano qualcosa di bello e di buono in me. Vuol dire che anche io, da questa carrozzina, posso costruire qualcosa.
-----
La seconda è inve e lastoria di Bahara una ragazza Afgana , una sintesi nel video sotto , che Ha lasciato famiglia e cuore nel suo Paese ( nella foto sotto a sinistra una png da avvenire del 26\6\2024 sulla situazione in Afganistan ) diciannove anni, afgana, avrebbe dovuto sposare un talebano sessantenne, grazie ai corridoi umanitari venerdì sera è arrivata in Italia...
Il suo nome significa "primavera", ha 19 anni e avrebbe dovuto sposare un talebano sessantenne. Ora è in Italia, vuole aiutare «le donne afghane a sentirsi libere come mi sento io adesso»
È dentro un frullato di emozioni e un altro lo ha dentro. Si chiama Bahara, che in afghano significa primavera, ha 19 anni, non è potuta più andare a scuola da mille giorni, avrebbe dovuto sposare un talebano 60enne. Scende dall’aereo, a Roma, felicemente stanca e spaesata, un misto di gioia, paura, stanchezza. È incredula, le ci vorrà un po’ per capire che non sogna e non lo nasconde: «Se qualcuno mi avesse detto un anno fa che adesso sarei stata qui in questa situazione, non ci avrei creduto, perché non avrei mai pensato di avere questa forza interiore che mi ha portata a superare tutto quel che ho dovuto superare». Allora adesso, in questo aeroporto, libera, si guarda indietro e «mi emoziono per essere riuscita a farcela nonostante tutto».
(Grazie ad Arianna Briganti, vicepresidente di "Nove Caring Humans", per la traduzione)
Va avanti. «Penso alle brave persone – dice -. Alle brave persone che sono venute in mio aiuto. Penso a loro, quando penso alla parola amore». Sistema il velo sui suoi capelli. Sorride. Le danno un pasto e dell’acqua. Le tiene la mano e la coccola Arianna Briganti, vicepresidente dell’associazione Nove Caring Humans, che seguirà Bahara nel suo futuro italiano e l’aspettava con un borsone: «Bahara non ha nulla, nemmeno vestiti», spiegava Arianna, prima che la ragazza s’affacciasse nel terminal tenendo fra le mani giusto uno zainetto, sola, in un Paese che per lei dev’essere qualcosa simile alla luna.
Non è arrivata in Italia da sola, sul volo da Islamabad atterrato venerdì sera al “Leonardo da Vinci”, con lei c’erano altri 190 profughi afghani (fra loro, 71 minorenni e 70 donne), che erano rifugiati in Pakistan dall’agosto 2021. Qui grazie ai corridoi umanitari promossi dalla Conferenza episcopale italiana (attraverso la Caritas), Comunità di Sant’Egidio, Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia, Tavola Valdese, Arci e d’intesa con i ministeri dell’Interno e degli Esteri.
Bahara ha lasciato in Afghanistan cuore e famiglia e non è stato facile. Ma non le sembra vero che ora «posso studiare, vestire come voglio, uscire quando voglio, essere libera». Il volo dal Pakistan è durato cinque ore e mezza, ha avuto tempo per riflettere e «mi sono messa a pensare a settembre, a quando sarò in classe, a come farò a diventare una studentessa modello e poi una donna che lavora, di quelle molto in gamba, molto capaci», quindi «mentre volavo pensavo a come farò a eccellere nello studio e nel lavoro».
Ne ha passate tante, troppe in 19 anni, però nemmeno ha mai pensato d’abbattersi, arrendersi, né ha mai vacillato ciò in cui crede o la sua speranza. E se adesso è felice, «continuo a sentirmi anche estremamente triste per quello che succede alle donne afghane nel mio Paese – racconta -. Non possono uscire di casa, sono costrette a umiliazioni di tutti i tipi, a matrimoni forzati». Perciò – ripete spesso Bahara - «quel che voglio fare è essere libera, ma anche aiutare le donne afghane a liberarsi come mi sento io adesso».