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3.10.25

DIArio di bordo n 149 anno III Bianca Pitzorno: «Tutta folclore e fuori dalla storia, detesto l’isola descritta ai turisti» .,La ripartenza Dall’incendio alla rinascita: la lavanderia che restituisce la sabbia alle spiagge ., Coltivatori di funghi a 900 metri sul livello del mare: la scommessa contro lo spopolamento

conconcordo   con Concordo in pieno con la  scrittice  Bianca Pitzorno

 la  Nuova   Sardegna   2\10\2025 

L’intervista-la mia Sardegna
Bianca Pitzorno: «Tutta folclore e fuori dalla storia, detesto l’isola descritta ai turisti» 

La scrittrice racconta l’infanzia e la gioventù vissuta a Sassari: «I giochi, le vasche, i primi flirt; Piazza d’Italia era il cuore della vita sociale

                                                  di Massimo Sechi
Bianca Pitzorno: «Tutta folclore e fuori dalla storia, detesto l’isola descritta ai turisti»


«Io non mi sento sarda, mi sento sassarese. Per me Sassari è una enclave nella Sardegna così diversa che, per chi è veramente sassarese come sono io, il resto della Sardegna è un paese straniero come fosse il continente». Bianca Pitzorno non usa mezzi termini quando parla della sua terra e della sua città. Nata in via Roma, vissuta in Piazza d'Italia fino ai 26 anni, la scrittrice ha fatto di Sassari il centro della sua memoria e di molte sue storie, senza mai cedere alla retorica dell'identità sarda, un concetto che non nasconde di detestare, così come tanti stereotipi sull’isola.

Se pensa a Sassari quali ricordi le vengono in mente?

«Prima di tutto Piazza d’Italia, che era il cuore della vita sociale, ma anche il posto dove andavamo a passeggio, facevamo le vasche. I bambini più piccoli giocavano a rincorrersi, noi alle medie ci divertivamo con la guerra francese, poi un po’ più grandi nascevano i primi flirt. Poi c'è il liceo Azuni. Ho frequentato in quell’edificio dalla prima media alla terza liceo. Tutti i giorni andavo da Piazza d'Italia lungo via Cagliari, via Torre Tonda, i giardini pubblici. Mio fratello si era preso l'appento (la briga) di contare quante volte avevamo fatto quel percorso nella nostra vita ed erano infinite. Se parliamo invece di profumi ricordo quelli della favata, i lumaconi, le frittelle fatte con l’imbuto. E anche la zagara dei frutteti intorno alla città».

Quanto c'è di Sardegna nei suoi libri?

«C'è naturalmente tanto, perché per tutti gli scrittori la propria esperienza è la prima base della scrittura. Ho vissuto un quarto della mia vita qui e inevitabilmente alcuni dei miei libri sono ambientati a Sassari, ad esempio una serie di libri per ragazzi è ambientata nella scuola di San Giuseppe, storie veramente successe lì. Ho scritto dannandomi l'anima la biografia di Eleonora d'Arborea, perché non c'era quasi alcuna documentazione. La Sardegna c'è sempre tanto perché è stata la mia esperienza del periodo più importante della vita».

Ritorna spesso nell’isola?

«Io vengo spessissimo in Sardegna. Ho ancora una sorella che vive qui, una gran quantità di cugini, moltissimi amici fin dalle elementari con i quali sono rimasta molto legata. La mia necessità di tornare è di vedere quelle persone, non tanto di vedere la terra, ma le persone che a differenza mia sono rimaste a vivere qui. E quando riesco a beccarla, vado alla commedia sassarese, mi fa scompisciare dalle risate».

Che cosa non le piace della Sardegna di oggi?

«Ho vissuto il momento in cui è nata la Costa Smeralda, perché proprio in quel periodo facevo la mia tesi con Lilliu e partecipavo a degli scavi a Arzachena. Ho visto stravolgere quei luoghi. Devo dire che detesto la Sardegna raccontata a fini turistici, anche in alcuni libri recenti di successo. Si inventano una Sardegna fuori dalla storia, ad uso di chi arriva nell’isola con il tutto compreso, non esce dal villaggio se non per due gite guidate e se ne torna a casa sua con un’idea di questa terra favolosa ma che poi non è quella reale».

Quali scrittori sardi apprezza di oggi e del passato?

«Apprezzo moltissimo Marcello Fois quando parla di Sardegna come nella saga dei Chironi o  in “Memorie del vuoto” sulla vita di Stocchino. Ma mi piace anche quando racconta storie ambientate nel continente, come nel suo ultimo romanzo.  Anche Toti Mannuzzu era un grande scrittore. Poi c'è stato Sergio Atzeni: “Bellas Mariposas” secondo me è uno dei libri di formazione sull'adolescenza più belli della fine del Novecento. Invece ci sono altri scrittori che offrono una descrizione della Sardegna tutta folclore, magica. Quelli non li posso sopportare. La Sardegna ha avuto una storia nell'Europa, ai tempi di Eleonora i Giudici di Arborea erano alla pari dei principi europei. E ha avuto le sue classi sociali: non solo pastori e contadini, ma avvocati, ingegneri, pittori».

Cosa consiglierebbe a un giovane scrittore sardo: partire o restare?

«Oggi è necessario avere un agente. Quando uno ha un buon agente, che viva in Sardegna o fuori è uguale, deve vivere dove si trova meglio, dove ha i suoi affetti. Questo col fatto di fare lo scrittore non c'entra niente. Attenzione però: con questa moda della Sardegna favolosa, se uno si presenta con i gambali e la berritta, anche con un testo mediocre viene guardato con più interesse di uno vestito in jeans come un ragazzo di Trieste».

Tra i tanti premi ricevuti, che posto hanno quelli legati a Sassari?

«Il Candeliere d’oro fu un riconoscimento affettuoso, nato quasi per caso, dopo la mia laurea honoris causa a Bologna. Ma il premio che ho amato di più è stata la “chiave d’oro dei cancelletti degli orti”, che mi consegnò lo scrittore Franco Enna e che mi nominava sassarese in ciabi. Forse mi ha fatto più piacere quello che non il candeliere d’oro speciale».

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IDEM 

La ripartenza
Dall’incendio alla rinascita: la lavanderia che restituisce la sabbia alle spiagge


Sassari 
Quattro anni fa, sembrava tutto finito. Le fiamme avevano distrutto i sogni e i progetti di una vita: la prima sede della ditta di pulizie Arte Clean era andata in fumo insieme ad altri nove capannoni e altrettante aziende nella parte sud di Predda Niedda  «Quell’incendio ci ha cambiati: forse le cose non sarebbero andate così» dicono Barbara Grandu e Sandro Usai, con un sorriso che quattro anni fa sarebbe stato inimmaginabile. E che però è diventato possibile, grazie all’aiuto di tanti e alla forza di volontà dei due.

«Pian piano siamo riusciti a rimetterci in piedi, abbiamo iniziato a lavorare con importati realtà turistiche della Costa Smeralda, e ci siamo resi conto di un fatto: gli asciugamani, per quanto vengano scossi e sbattuti dalle persone, contengono ancora tanta sabbia, che resta nella trama» raccontano. E così, prima per gioco e poi sempre più seriamente, insieme ai propri dipendenti hanno iniziato a raccogliere la sabbia che restava nei filtri degli essiccatori: «Noi ci teniamo alla nostra terra bellissima e se possiamo in qualche modo, anche piccolissimo modo, contribuire a tenerla bella, lo facciamo volentieri».
Al termine della stagione, il bottino raccolto è stato di 40 chilogrammi: «È tanto, è poco? Non lo so, è un inizio. Sappiamo da dove arriva, perché da lì arrivano gli asciugamani, e così, dopo aver filtrato la sabbia, ripulendola da cicche e gomme, la abbiamo riportata a Liscia Ruja» dice Sandro.

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La fenice Eppure, quattro anni fa, ogni cosa sembrava perduta. L’incendio fu devastante. «Era il 21 settembre 2021 e il mondo si fermò» racconta Barbara Grandu. Sarebbe stato molto facile arrendersi, anche perché all’enorme ondata di commozione e solidarietà, come spesso capita in questi casi, non corrispose poi un concreto aiuto economico. «Ma abbiamo avuto la fortuna di incontrare degli amici, degli angeli che ci hanno aiutato a rimetterci in piedi» spiega. E in quel momento tutto è cambiato, a cominciare dal logo di Arte Clean. Un nuovo simbolo che non poteva che essere la fenice, l’uccello mitologico che rinasce dalle sue stesse ceneri, rossa come le fiamme che avrebbero potuto distruggere un progetto, ma che invece ne hanno fatto nascere uno nuovo, trasformando una impresa di pulizie specializzata nelle case vacanze in una lavanderia artigianale all’avanguardia, con un occhio di riguardo per l’ambiente. «Non sarebbe potuto accadere senza coloro che ci hanno aiutato, a cominciare dalle nostre dipendenti, che hanno acquistato personalmente scope, palette e altri utensili per continuare a lavorare dopo che il materiale era andato distrutto» raccontano Barbara e Sandro. Ma non sono state le uniche: «Siamo stati accolti alla Farfalla, dove il personale amministrativo ha potuto chiudere le fatture entro il 30 settembre grazie a due vecchi computer sistemati e donatici dal nostro tecnico. Ci ha aiutato anche Agricola Mariani, mentre Filippo Salaris, di Sorgente Solare, ci ha portato qui, nella sede dove stiamo adesso, noi non avevamo soldi per pagare l’affitto ma ci ha detto: “Iniziate a lavorare, ci rivediamo fra un anno e mezzo”. O ancora i commercianti del centro, che ci hanno aiutato con una donazione grazie all’impegno di Diana Tessuti. Insomma, abbiamo ricevuto tanto bene, e ora vogliamo restituirlo». E anche riportare la sabbia nelle spiagge di origine è un piccolo modo per farlo. «Ora stiamo studiando con il nostro fabbro-inventore, Giovanni Lella, un macchinario che ci consenta di scuotere gli asciugamani ancora prima di metterli in lavatrice» spiega Sandro Usai. Che mostra orgoglioso i macchinari dell’azienda: «La mia idea è che tutti gli utili vadano investiti in innovazione tecnologica: non ho bisogno di comprarmi la Porsche, questa è la mia Porsche» dice, indicando una macchina che piega i tovaglioli. Più in là ce n’è una per il lavaggio dei tappeti: «In Italia non le produce nessuno e non se ne trovano più, l’abbiamo dovuta far arrivare dalla Turchia».Di fronte c’è un macchinario per stenderli, progettato sempre dal solito fabbro-inventore. «Ma l’automazione non deve sostituire il fattore umano, che è la vera risorsa di un’azienda che ha scelto di lavorare con la qualità piuttosto che con la quantità. Il gruppo ha circa una quarantina di dipendenti, e anche se il lavoro segue un andamento stagionale, la gran parte ha il contratto a tempo indeterminato, perché non possiamo permetterci di perdere la loro professionalità».

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I titolari dell'azienda a Belvì Dante Carboni e Luciano Onano

Belvì I funghi più alti della Sardegna nascono a Belvì. Li coltivano da oltre quattro lustri, esattamente da 24 anni, Dante Carboni e il suo socio della Società agricola funghi belviesi, Luciano Onano. Consapevole che il marketing gioca anche su alcune parole chiave, anche l’altimetria dei prelibati funghi lo è, per conferire maggior appeal al prodotto. «Sì, siamo a circa 900 metri dal livello del mare. Penso che sia l’unica azienda per la produzione di funghi che lo faccia a questa altezza. In Sardegna di sicuro, ma probabilmente anche in Italia. Non mi risultano casi del genere. I competitor ci sono. E anche tanti, ma sono tutti in pianura», dice l’imprenditore con il nome del sommo poeta e con un sorriso accogliente e i modi decisi e rapidi della gente di montagna. Da sempre abituata a darsi da fare e a superare difficoltà imposte in primis dalla geografia e orografia dei luoghi.La sua è una famiglia di commercianti («mio nonno paterno veniva da Bosa era de “sos perriganos” citando il soprannome che nella città del Temo marchia tutti in maniera indelebile), ma per i funghi c’è una passione tutta personale e una competenza acquisita negli anni. Sicuramente ha contato anche essere un cercatore esperto in un territorio che sa regalare soddisfazioni. «Tutti noi abbiamo sempre vissuto nel bosco e i funghi li andavamo a cercare fin da bambini. Si creava una sorta di competizione. Io ero gelosissimo dei miei e quelli che prendevo li dovevo assaggiare io per primo», dice l’imprenditore che con il socio i funghi li coltiva in nove serre adagiate in mezzo al bosco. Un punto che si raggiunge percorrendo una strada che si arrampica tra i fusti di corbezzolo. «Di sicuro non ho mai venduto i porcini che ho trovato, quella è un’altra storia», dice Dante che qui da sempre ha trovato il suo equilibrio con la natura tra funghi, caccia e pesca.«La produzione annua solitamente supera i 540 quintali. La stagione dei funghi da queste parti inizia ad agosto e di solito si conclude ai primi di luglio. Poi sono altri a farla arrivare nelle tavole dei consumatori. Noi serviamo i gruppi principali della grande distribuzione a cui diamo un prodotto fresco che piace e di conseguenza per fortuna si vende». Le tipologie sono diverse. Principalmente qui si producono i pleurotus ostreatus, bianco ostrica, molto apprezzato per la sua consistenza carne e il sapore gradevole. Poi il cardoncello, pioppino e pleurotus cornucopia. «Facciamo anche qualcosa per le aziende che lo commercializzano sott’olio. Insomma, ci si da da fare», commenta anche sul bilancio di una vita da coltivatore, come tutti i commercianti si mantiene molto cauto.
«A volte si perde, altre volte si pareggia e poche altre ancora si fa qualche utile – commenta – Forse sarei già dovuto andare in pensione, ma sono ancora qua. Mi piacerebbe che mio figlio che al momento sta studiando prenda in mano l’attività e gli dia continuità. Un ragioniere in azienda serve sempre, così come braccia e volontà», aggiunge. «È il sogno di ogni belviese avere dei figli che possano rimanere in questi territori. Il passaggio generazionale è importante, così come poter condividere le varie tappe dell’esistenza vicini e non a migliaia di chilometri di distanza». In questi anni non sono mancati anche i finanziamenti e i supporti per piccoli grandi investimenti. «Qui ogni piccolo contributo aiuta non poco ogni impresa, perché viviamo in delle zone dove gli spostamenti sono difficoltosi e i costi anche per i soli spostamenti delle merci lievitano. Basta immaginarsi che noi quando siamo in produzione mediamente produciamo al giorno 5-6 quintali di funghi. Il prodotto che non si può conservare più di tanto deve essere un prodotto giornaliero per non perdere le sue qualità». L’impresa, l’azienda agricola funghi belviesi, e le altre sono un toccasana per il paese e il territorio. «Significano presenza, reddito e vita per le persone e in bosco. Non è poco, è tutto». 



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