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30.11.21

Un irriducibile di Cosa nostra recluso al 41 bis ha chiesto al presidente del tribunale per i minorenni Di Bella di allontanare il primogenito

è un gesto talmente potente e bello che la domanda elucubratoria : << lo fa per opportunismo cioè paura che gli lo uccidano le cosche rivali oppure perchè vuole evitare che il figlio segua le sue orme >> passa in secondo piano

da repubblica online

 
la  periferia  di catania 
CATANIA - Quando si è ritrovato davanti al giudice, collegato in videoconferenza, il capomafia al 41 bis ha sussurrato: «Dottore, la prego, tenga lontano mio figlio da quel maledetto quartiere». Il figlio quattordicenne, il primogenito, che si era già candidato a prendere il posto del padre nell’organizzazione. Adesso, è lontano da Catania, con il progetto “Liberi di scegliere”. E il padre gli ha mandato una lettera qualche giorno fa: «Ha scritto: “Rispetta tutte le indicazioni che ti danno in comunità — racconta
Roberto Di Bella, il presidente del tribunale per i minorenni di Catania — E, soprattutto, non mi considerare un mito, ma un fallimento».
Non era mai accaduto dentro Cosa nostra. Un padrino irriducibile, che si è sempre rifiutato di collaborare, chiede aiuto alla giustizia per provare a riscrivere il destino già segnato del figlio.nte il colloquio, mi ha parlato della sua sofferenza — dice il presidente Di Bella, che in Calabria ha sottratto ottanta figli di ‘ndrangheta al contesto di appartenenza — mi ha raccontato del dolore che prova nel non potere abbracciare i suoi figli, può incontrarli esclusivamente dietro al vetro blindato del 41 bis». Il giudice ha rilanciato: «Gli ho proposto un patto educativo. Nel corso del corso del colloquio ho detto:
“Mi aiuti ad evitare a suo figlio la sofferenza che sta provando lei”».
Dal settembre 2020, da quando è tornato nella sua città, Roberto Di Bella ha già adottato un ventina di provvedimenti che prevedono la decadenza della responsabilità genitoriale per mafiosi e trafficanti di droga. Ora, i ragazzi sono in strutture di accoglienza. A Palermo, la procura per i minorenni vuole intraprendere lo stesso percorso per i figli degli spacciatori del quartiere Sperone.
«A Catania, si sono fatte avanti anche due madri — spiega il giudice — erano rimaste coinvolte in inchieste giudiziarie e per questo erano destinatarie di misure cautelari. Hanno chiesto di essere aiutate a lasciare con i figli i contesti di origine. E così è scattato il protocollo “Liberi di scegliere”, che prevede un percorso di accompagnamento e sostegno da parte dell’associazione Libera, per un nuovo inserimento, anche lavorativo». C’è un gran fermento attorno alle famiglie criminali catanesi. Un tam tam si sta diffondendo anche nelle carceri, la prospettiva di salvare i figli con un percorso concreto sta aprendo crepe importanti nel mondo criminale. «Ci ha scritto un detenuto per traffico di droga — racconta ancora il giudice Di Bella — ha detto che appena finirà di scontare la condanna vuole andare via da Catania, con la moglie e i figli».
Si aprono spiragli importanti nelle zone franche in mano ai clan. «Per questo è importante fare un lavoro costante sul territorio — dice il presidente del tribunale per i minorenni — un lavoro che deve vedere presenti insieme istituzioni e società civile». Roberto Di Bella auspica il tempo prolungato nelle scuole: «Aperto alle associazioni, per animare il quartiere». E anche un impegno maggiore dei oratori: «La Conferenza episcopale italiana è peraltro partner del progetto “Liberi di scegliere”». Primo obiettivo: «Abbattere la dispersione scolastica, che a Catania ha livelli preoccupanti — spiega il magistrato — in alcuni quartieri raggiunge il 22 per cento dei minori fra i 6 e i 16 anni. Per questa ragione è stato istituito un osservatorio metropolitano sulla questione minorile, che ha sede in prefettura, ha fatto già diversi incontri nei quartieri».
La parola chiave resta una sola: «Rete». Per coordinare tutti i soggetti che operano in campo. Da Catania sta partendo anche un’iniziativa: chi non manda i figli a scuola perderà il reddito di cittadinanza. Il tribunale ha già fatto le prime segnalazioni all’Inps.

6.6.13

toto riina nel nuovo carcere di sassari ? la sardegna ancora una volta come destinazione di feccia

leggendo  online  sia  lanuovasardegna (  da cui  ho tratto foto ed  asrtticolo  )  sia  l'unione sarda  la  news  in questione

Mi viene  in mente   tale  scena,  del  film cento passi     :<<  (  ... )   diciamolo  una volta per tutte che noi siciliani [ sardi ] la mafia la vogliamo. Ma non perché ci fa paura, perché ci dà sicurezza, perché ci identifica, perché ci piace. Noi siamo la mafia >>  dal film  , eccetto  la  frasi  tra parentesi  (  qui il resto del  monologo ) oppure   chi non ha  voglia  o tempo  d'andare   a vedere l'url  la  trova  qui sotto




 Scusate  questa  mio sfogo  .  Eccovi la news 
CAGLIARI. «Occorre fermare immediatamente l’arrivo di Riina e di metà di Cosa Nostra in Sardegna e a Sassari. Bisogna opporsi con tutte le forze ad una decisione dissennata che rischia di provocare un danno gravissimo all’isola sia sul piano sociale, che economico e d’immagine. È un errore sotto ogni punto di vista, tecnico e politico. Significa considerare la Sardegna una colonia dove tutto è consentito». Lo ha detto oggi in una conferenza stampa radiofonica su Radiolina in collegamento da Bruxelles il professor Pino Arlacchi, esperto sul contrasto alla mafia, assieme al deputato Mauro Pili (Pdl) da tempo in prima linea nel contrasto della decisione di trasferire in Sardegna oltre 600 mafiosi di cui 300 del regime 41 bis. Arlacchi, una delle massime autorità mondiali in tema di sicurezza umana, presidente dell’Associazione per lo studio della criminalità organizzata, amico dei giudici Falcone e Borsellino, è stato presidente onorario della Fondazione Falcone, tra gli architetti della strategia antimafia italiana negli anni novanta del XX secolo e consigliere del Ministro degli Interni. Ha redatto il progetto esecutivo della DIA, la Direzione investigativa antimafia (Dia), agenzia interforze coordinata a livello centrale. Arlacchi è quindi sceso in campo a sostegno di una mobilitazione bipartisan intrapresa da Pili il quale ha annunciato che «è dato per scontato negli ambienti penitenziari il trasferimento in Sardegna del boss dei boss Totò Riina, che dovrebbe arrivare entro il mese nel carcere di Bancali a Sassari». Arlacchi ha quindi lanciato un appello alle forze istituzionali: «Serve una posizione netta del Consiglio regionale e della Giunta. Occorre far valere davanti al Ministro e al Governo le ragioni di un’isola che non può essere trattata in questo modo. A Roma non possono pensare che i sardi strilleranno e poi si adatteranno. Significherebbe far vincere la politica coloniale dello Stato verso la Sardegna. Questo muro deve essere eretto immediatamente. Se a Sassari e Cagliari non ci saranno resistenze sarà difficile impedire che anche la Sardegna finisca nelle mani di cosa nostra».
Il presidente della Provincia di Sassari, Alessandra Giudici, interviene a proposito delle rivelazioni fatte da Pino Arlacchi, delegato Onu per la lotta contro le mafie ed espero mondiale di sicurezza, secondo cui sarebbe imminente l’arrivo nel nuovo carcere di Sassari di Totò Riina e di altri boss mafiosi. «L’annuncio di un esperto autorevole come Arlacchi rispetto all’imminente arrivo nel nuovo carcere di Bancali dei boss mafiosi e camorristi, a iniziare da Totò Riina, purtroppo non ci sorprende ma ci rammarica molto - commenta Giudici - perché è l’ennesimo schiaffo che subiamo da Roma». «Abbiamo manifestato apertamente la nostra opposizione sin dal momento in cui si progettava il carcere e si ipotizzava la realizzazione di un braccio destinato al 41 bis - spiega la presidente della Provincia di Sassari - ma la tardiva e laconica risposta avuta dal ministero di Grazia e Giustizia era stata la palese dimostrazione che la volontà della comunità locale, che immaginiamo sempre di rappresentare e tutelare quando ci rivolgiamo alle altre istituzioni, non viene mai tenuta nella minima considerazione».
«Il fatto che il finale di questa vicenda non sia affatto sorprendente, non ci impedisce comunque di continuare a batterci e a denunciare che si sta commettendo un errore gravissimo, rischiando di mettere a repentaglio la salute di un territorio che finora non ha mai avuto a che fare con la mafia, spiega il presidente della Provincia. Chi ha preso questa decisione deve essere messo nelle condizioni di tornare sui suoi passi - conclude Alessandra Giudici - o di assumersi pubblicamente le responsabilità delle proprie scelte e di spiegarne le motivazioni».

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