E' vero che nessuno\a di noi è immune dal cinismo , sottoscritto compreso , ma arrivare a tale livello come i casi sotto ripresi è da bastardi dentro .
Gioele muore schiacciato da una porta di calcio: e intanto la festa con Fedezva avanti.
«Non vi fermate! È l'unico figlio che ho!». Il grido straziante di una madre si alza dal campo di calcio Raimondo Meledina, quartiere di San Nicola, Ozieri.
Medici e sanitari stanno tentando di rianimare con il defibrillatore la sua creatura, Gioele Putzu, 10 anni, che 40 minuti dopo smette di respirare, schiacciato da una porta di calcetto. Sono le 18.30, a distanza ormai di quasi un'ora dal principio della tragedia che nella serata di ieri ha sconvolto due comunità, la logudorese, scenario della vicenda, e quella di Olbia, dove il piccolo, che era appassionato di judo, viveva con la mamma, Antonella Casula, e il padre Ivan Putzu, noto barman.
Gioele è entrato con gli amichetti nel campo di calcio, una superficie regolamentare per i grandi che si può restringere, a favore dei più piccoli, con due porte di dimensioni ridotte. E lì il dramma: il piccolo, per cause da accertare, è stato travolto dalla struttura e colpito sul petto. L'allarme è scattato subito con medicalizzata ed elisoccorso, che è atterrata in campo mentre l'area verde si riempiva di carabinieri, di parenti, conoscenti e poi il
parroco, il sindaco Marco Peralta. Ma per il bimbo non c’è stato nulla da fare.Sul posto anche gli operatori dello Spresal per la valutazione dell'accaduto su cui indagano i carabinieri su disposizione della pm, Maria Paola Asara. La magistrata potrebbe ordinare già da domani l'autopsia in modo da far luce sulle cause del decesso.Intanto è polemica sui social perché il dramma non ha spento la festa organizzata dall'associazione Beata Vergine del Rimedio, a cui ha partecipato Fedez. Solo un minuto di silenzio a ricordare l'accaduto e, oggi, un ridimensionamento di quanto programmato che si limiterà a messa e processione.Stridono, in questo contesto, le parole del sindaco che ha parlato sui social di «momento del silenzio, del rispetto del dolore altrui e della riflessione». Ma nella serata di ieri, mentre in molti piangevano la morte di un bimbo di appena dieci anni, a pochi metri risuonavano le note della festa. E a molti la giustificazione dei motivi «di ordine pubblico» non è andata giù: «Avrebbero dovuto annullare tutto, le persone avrebbero capito».Invece Nonostante l’evento funesto, i festeggiamenti per la 131esima festa della “Beata Vergine del Rimedio” sono continuati e il concerto con protagonista Fedez si è svolto comunque, innescando un’ondata di indignazione tra i cittadini. La protesta è esplosa anche sui social dopo le decisioni prese da chi ha organizzato la festa. Cosa è successo? Per la morte del bimbo di 9 anni, nella serata di sabato 14 settembre, è stato stabilito solamente che venisse rispettato un minuto di silenzio a ricordare l’accaduto. Per i festeggiamenti di domenica 15 settembre, invece, si è optato per un ridimensionamento di quanto programmato: ci sarà solamente la processione.
Video correlato: Fedez a Ozieri, il concerto la sera poche ore dopo la morte del piccolo Gioele (RaiNews multimedia)
Le parole del sindaco di Ozieri e le storie di Fedez “Visto il gran flusso di persone, gli organi di pubblica sicurezza hanno ritenuto di non dover sospendere l’evento in programma per ragioni di ordine pubblico”, ha spiegato il sindaco di Ozieri Marco Peralta. “La perdita di una giovane vita è un dolore incommensurabile. Le parole servono a poco. È il momento del silenzio, del rispetto del dolore altrui e della riflessione. La nostra comunità è stata colpita da un’immane tragedia: un piccolo angelo non è più tra noi. Il pensiero va alla famiglia che, in questo momento, sta vivendo il dolore più grande che si possa provare: la perdita di un figlio. L’amministrazione comunale si stringe intorno alla famiglia, che non ha più il suo piccolo angelo”, ha concluso il primo cittadino. Quanto dichiarato dal primo cittadino non è servito però a placare la rabbia di molti cittadini che anzi hanno protestato con ancor più piglio dopo l’intervento del sindaco: “È una vergogna, è morto un bambino e qui si festeggia. Avrebbero dovuto annullare tutto”, il pensiero di una persona condiviso da molte altre. Tornando all’esibizione di Fedez, il concerto non è appunto stato annullato e si è svolto come da programma. Il rapper ha anche postato sul suo profilo Instagram diverse storie della serata, senza fare alcun accenno alla tragedia della morte del piccolo di 9 anni.
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secondo caso
Capisco , per averlo provato con il mio cane , un pastore fonense di 15 ani , a cui a malincuore abbiamo dovuto dargli l'eutanasia era troppo sofferente . Ma arrivare fino a questo punto è da infami .
“Siamo stanchi di aspettare che muoia”, a 16 anni il cane Nasa viene abbandonato in un rifugio. Ma lui è più forte dell’indifferenza
l cane Nasa è stato abbandonato dalla sua famiglia. Lasciato in un rifugio dopo 16 anni trascorsi insieme. Il motivo? “Siamo stanchi di aspettare che muoia”. Parole pesanti, piene di malvagità, vuote di qualunque tipo di sentimento. I volontari del Mac’s Mission sono rimasti così turbati da non aver avuto neanche le parole per commentare: hanno preso l’anziano Chihuahua e hanno deciso di prendersi cura di lui.
Per Nasa non sono stati giorni facili. Subito dopo l’abbandono ha avuto delle crisi epilettiche: separarsi dalla sua famiglia, in qualunque modo sia stato trattato, è stato qualcosa di troppo pesante da superare. Basta guardarlo negli occhi e leggere tutta la sua tristezza, tutta la sua delusione per essere stato abbandonato proprio nel periodo in cui probabilmente avrebbe avuto più bisogno non solo delle cure,
ma anche dell’amore di chi conosceva da una vita.
Superate le crisi della prime ore, Nasa ha iniziato a dare segnali di ripresa: mangia benissimo e ama essere coccolato quasi come se fosse un gatto che fa le fusa. Ha dei problemi di salute – è ipovedente e un po’ sordo –, ma nonostante questo e la sua età avanzata, si è dimostrato un cane ancora attivo: al mattino presto ama uscire in giardino e usare il suo tartufo per esplorare i vari angoli dello spazio che ha a disposizione.
La sua storia ha commosso centinaia di persone e alcune proposte di adozione sono già pervenute al rifugio, ora saranno i volontari a vagliare la soluzione migliore per lui. Tanti anche i commenti su questa storia: "La gente non smette mai di stupirmi con la sua stupidità. Sei in ottime mani, piccolo amico. Pregherò per te" ha scritto un utente, mentre un altro: "È una storia straziante! Grazie per aver aiutato questo povero cane. Grazie alla persona che si prende cura di questo prezioso piccoletto!". E ancora: "Non riesco a capirlo. Questo cane ha amato i suoi proprietari per 16 anni e loro lo abbandonano al rifugio perché non vuole morire. È assolutamente una situazione malata e disgustosa" .
Infatti i cani ( e i gatti secondo la mia esperienza personale ) purtroppo, i cani amano fedelmente, con tutto il cuore, con tutta l'anima e non sono in grado di capire che l'amore umano ( ovviamente senza generalizzare ) di solito ha una data di scadenza... A volte dura un anno, a volte a causa di trasloco, malattia, vecchiaia...meritano persone migliori. come questo qua sotto , perchè a volte basta un po' d'affetto per tirarti su
Aveva 14 anni. La sua famiglia, che ha amato per tutta la vita, l'ha presa, con il suo libretto delle vaccinazioni, un guinzaglio, un collare e le sue cose e l'ha lasciata al rifugio Baldwin Park .
Hanno detto di essere stufi di vivere con un cane anziano.
Firmarono delle carte e se ne andarono, senza nemmeno guardarla...
Quando un volontario del rifugio la prese in braccio, lei si appoggiò su di lui, probabilmente desiderando che fosse tutto solo un brutto sogno.
Il momento è stato catturato dal fotografo John Hwang, che in quel momento si trovava nel rifugio.
Purtroppo, i cani amano fedelmente, con tutto il cuore, con tutta l'anima e non sono in grado di capire che l'amore umano di solito ha una data di scadenza... A volte dura un anno, a volte a causa di trasloco, malattia, vecchiaia...
In viaggio ricerco sempre un equilibrio diverso. Mi trovo spesso a contatto con culture e tradizioni differenti dalla mia e da quando ho iniziato a giudicare il meno possibile, mi sono trovato a ottenere in cambio insegnamenti preziosi.
Vivere ai piedi del Monte Meru nella zona arida significa faticare per avere acqua, compito che spetta spesso o quasi sempre alle donne. Durante la giornata di carico si parte con gli asinelli per raggiungere la fonte pulita più vicina, quando ce n’è una. Ovviamente l’utilizzo di acqua durante la giornata è razionato e l’igiene dei bambini è per forza di cose relativo al contesto, alle loro abitudini. La regina comunica con gli occhi e con il cuore. E ride spesso, emana energia e amore e sogna una lavatrice. Tra un mese avrà il terzo figlio e per farla ridere le ripeto sempre : Philipo 3 Stefano 0.
Lo so che ormai il boicottaggio è venuto meno e che quindi potevo vedere le due finali ( Francia -Argentina e Marocco - Croazia ) live ma non l''ho fatto lo fatto se non in dufferitapet via di una scommessa con un anicoitalo francese ma soprattutto per aver qualcosa di cui parlare al bar o in edicola con quelli che hanno seguito le partite di questi mondiale . Perché ho voluto provare ad essere coerente con quel che ho detto all'inizio di questo diario e che è confermato da : 1) : << Infantino: "Il miglior mondiale di sempre. I diritti? Viene prima chi vuole godersi il calcio" Il presidente della Fifa ha lodato il Qatar: "Il mondo intero ha capito che i pregiudizi non avevano ragione di essere". Poi sul delicato tema dei diritti: "Dobbiamo pensare ai tifosi". Sui lavoratori morti: "Dramma per tutti, ma sui numeri bisogna essere precisi". >> dal quotidiano la repubblica 16\12\2022 e come a dare un contentino al Marocco per aver perso o a pensare male perso di proposito contro la Francia in semifinale ovvero L'annuncio: "Mondiale per club 2023 si terrà in Marocco . 2 ) Ma soprattutto perchè da essi il Qatar, ordine e culto del lusso. I soldi hanno ribaltato il calcio . Forte del successo organizzativo la petrolmonarchia continuerà a usare lo sport per legittimarsi Emanuela Audisio su repubblica del 17 DICEMBRE 2022 ( articolo a pagamento purtroppo ) .
Ecco che ho avuto un rigurgito di coerenza e do coscienza con quanto ho detto nel corso del diario che ho tenuto in questo mondiale . Quindi non ho visto ne una ne l'altra . ho visto : 1) in replica u il film su Pio La Torre (Palermo, 24 dicembre 1927 – Palermo, 30 aprile 1982) politico del Pci ucciso dalla mafia ., la parte di Atlantide sul ruolo della banda della magliana nel caso Manuela Orlandi il resto l'ho saltato perché era una replica sulle origini della famigerata banda., 2 ) le mostre fotografiche di cui ho parlato in uno degli ultimi post del diario di resistenza ai mondiali
La prima inaugurata il 10 Dicembre allo Spazio Faber a Tempio Pausania, organizzata in collaborazione con l’Associazione Culturale "La Sardegna Vista da Vicino", verrà La mostra fotografica "Routes of Sardinia" a cura del fotografo, Franco Sanguinetti che espone per la prima volta a Tempio Pausania.Un emozionante percorso fotografico della Sardegna, finalizzato alla riscoperta ed alla valorizzazione di volti, tradizioni popolari e momenti di vita quotidiana. La mostra sarà visitabile fino al 24 Dicembre.
Una mostra molto bella , un sintesi dei suoi lavori ( vedere i suoi social : flickrFacebook in particolare ) commento azzeccato quello di Folco Mileto lasciato sul suo Facebook << Luci, pochissime, minuscole e silenziose attenuano il nero di una notte fredda e solitaria. Unico compagno di silhouette, il selciato umido e lucido, che sa ancora di antico: Il passo lento e cadenzato sostiene d'abitudine i viandanti che pensano di essere soli. >> Un viaggio , anche se sintetico rispetto ai suoi social , tra passato e presente , per non perdere la direzione . Ma soprattutto conferma che Fotografare: il modo più creativo per ricordare .
La seconda mostra che sarà visitabile fino al 6 gennaio 2023 è costituita dalla collezione del fotografo Vittorio Ruggero .Sono foto della mia tempio fra il 1900 e il 1950 . Una tempio che ormai in gran parte non c'è più distrutta da costruzioni moderne e le campagne ed il panorama da nuovi quartieri . Foto bellissime come tutte quelle antiche . Anche se molte foto le avevo già viste in account o gruppi Facebook di persone nostalgiche di bei tempi andati o appassionati \ cultori di foto storiche ed antiche ., o su " fogli " locali ., nel baue familiare . ma è sempre bello rivederle e tornare un po' al passato si scoprono nuovi particolari e dettagli . Una mostra bellissima . anche se ti viene un po' dimagone e frustrazione nel vedere come le amministrazioni dal secondo dopo guerra in particolare quelle del boom economico hanno lasciato distruggere e snaturare un centro storico ( che ancora , quel poco rimasto in tatto anche se non più panoramico ha il suo fascino ) e il suo panorama , le sue vigne ed i suoi orti ed vallate , spopolando il centro storico trasferendo la quasi totalità della gente in periferia con tutto quello che ne consegue .
Ecco quindi che le due mostre siano un viaggio nel passato con un occhio al futuro senza dimenticare chi siamo ed siamo stati , da dove veniamo e dove andiamo .
E poi l'ultima giornata, ma di questo ne ho parlato dettagliatamente sul mio facebook a cui vi rimando se vi va , del festival letterario sardo editori indipendenti .
premetto che ho un altra idea sulla prostituzione dev'essere lasciata libertà alla donnao anche se minoritaria quella maschile se vuole esercitarla in proprio o unendosi facendo una cooperativa se maggiorenne e non sotto pappone \ magniaccia magari pagando le tasse ed avendo una pensione . Ma un conto è una discussione( come quella avvenuta sui social fra me ed alcune femministe ) anche dura con qualche insulto da parte delle femministe dure e pure , ma arrivare come è successo recentemente , vedere per ulteriore approffondimento articolo sotto , proprio non ci sto . Questo è un attivismo che anziché costruire e lottare per un proprio spazio, condivisibile o meno che sia distrugge e invade quello degli altri. Il preludio a tale atto di vandalismo è stata l‘agguato alla manifestazione del Collettivo abolizionista Anti Prostituzione CAPP a Place de la République del 7 marzo. Un manipolo di adolescenti ha assalito le donne che manifestavano contro la prostituzione con insulti, lanci di uova, minacce, cartelli stracciati e aggressioni fisiche. Le stesse scene sono state viste in Italia, a Firenze. L’episodio ha creato sconcerto sui social e non solo, coinvolgendo numerose associazioni e collettivi femministi.
Parigi, se la parola “donna” fa paura: mostra di ritratti femminili vandalizzata dalle transfemministe
“Il tempo è arrivato, per le donne, di riprendere il loro posto nello spazio pubblico.Non dobbiamo più avere paura negli spazi comuni. Dobbiamo vivere senza la paura di uscire, di giorno come di notte. Dobbiamo essere libere di vestirci come vogliamo, frequentare i luoghi che ci piacciono, senza imporci coprifuoco. Lo spazio pubblico deve essere condiviso, tra donne e uomini.
Dobbiamo essere libere.Sono gli aggressori a non doverlo essere, sono le loro azioni a dover essere condannate, non la nostra libertà di essere e di esistere.La paura deve cambiare fronte”. Sguardo dritto verso l’obiettivo. Mani incrociate o appoggiate sui fianchi. Dietro, il buio della notte. In primo piano, la fierezza di essere, di esistere. Senza paura. Si chiama proprioWomen are not afraid, la mostra fotografica dell’artista Pauline Makoveitchoux. Circa 150 ritratti di donne che non posano ma si stagliano in quel buio che per molte ha significato aggressione, violenza di strada, paura, stupro. L’artista ne ha scelti sessanta perl’esposizione cominciata l’8 marzo scorso a Vitry-sur-Seine, comune a sud diParigi. Non è questo il primo lavoro dedicato alle donne per Makoveitchoux. Intenso e quasi ancestrale il suo lavoroLes Sorcières, le streghe,sul sapere antico e guaritrice delle donne e il valore della sorellanza, o ancora sulla compagniaLes Clameuses,in periferia. Nasce invece dal movimento dei collage (affissioni) contro il femminicidio la serieLes Colleuses. Sono diverse, diversissime le donne di Makoveitchoux, ma nonostante tuttola sola parola “women” è ormai offensiva per l’attivismo transfemminista locale che non ha tardato a reagire,affiancando ai collage di Makoveitchoux altre affissioni,esigendo una maggiore rappresentanza di trans e “sex worker”.Un intervento quanto mai inopportuno, semplicemente perché i soli ritratti non identificano le donne né dal punto di vista del genere, né della professione. “Non abbiamo vandalizzato, ma completato” è stata la loro unica spiegazione sull’account instagram di Collage Féministes Vitry. Intorno al movimento dei collage femministi a Parigi e dintorni si assiste a una vera e propria spaccatura. Pioniera e iniziatrice dei collage contro il femminicidio è stata Marguerite Stern, autrice del volumeHéroines de la rueletteralmente “eroine della strada”, che ha progressivamente preso le distanze da numerosi collettivi di collage soprattutto dopo la deriva transattivista di questi ultimi e gliatti vandalici presso l’edificio L’Amazone, a Parigi,casa rifugio per donne vittime di violenza, oltraggiato con falli e altri insulti. Quella all’esposizione di Makoveitchoux è cronologicamente solo l’ultima ingerenza di un attivismo che anziché costruire e lottare per un proprio spazio distrugge e invade quello degli altri. Il preludio a tale atto di vandalismo è stata l‘agguato alla manifestazione del Collettivo abolizionista Anti Prostituzione CAPPa Place de la République del 7 marzo. Un manipolo di adolescenti ha assalito le donne che manifestavano contro la prostituzione con insulti, lanci di uova, minacce, cartelli stracciati e aggressioni fisiche.Le stesse scene sono state viste in Italia, a Firenze. L’episodio ha creato sconcerto sui social e non solo, coinvolgendo numerose associazioni e collettivi femministi.
Makoveitchoux ha chiuso le discussioni rilasciando una potente dichiarazione su Instagram:
“Io Pauline Makoveitchoux, residente in periferia, figlia di immigrati poveri, attivista femminista e fotografa autodidatta, rivendico la maternità e il rispetto della mia serie fotografica Women are not afraid.
Noi, donne, siamo il 52 per cento della popolazione francese e la metà dell’umanità, e subiamo le violenze sistematiche, misogine, universali e millenarie. La mia serie fotografica Women are not afraid mette in prospettiva la legittimità delle donne a essere nello spazio pubblico e denuncia le aggressioni sessuali e sessiste quotidiane, commesse nell’indifferenza generale. Da un anno e mezzo realizzo gratuitamente questi scatti e diffondo il mio lavoro con l’intenzione di offrire alle donne il potere di riappropriarsi degli spazi e di interpellare gli uomini sui loro comportamenti da aggressori o da testimoni passivi. Dopo aver posato, tutte le donne hanno manifestato le emozioni forti e potenti che hanno provato durante le sedute fotografiche.
Alcune mi scrivono ancora adesso, mesi dopo, per dirmi che quando si sentono male tornano a guardare il loro ritratto per ritrovare forza. Ho realizzato due mostre gratuite, la prima a Ivry-sur-Seine (periferia sud di Parigi), a ottobre scorso, pagata da me stessa. La seconda a Vitry-sur-Seine, lunedì 8 marzo 2021, con il sostegno economico della municipalità di Vitry, che è anche il mio comune d’origine. Queste mostre mirano a offrire gratuitamente il mio lavoro a tutte le ragazze e a tutte le donne attraverso spazi accessibili a tutte e lontani dai musei e dalle gallerie d’élite. Oggi, la mia esposizione a Vitry-sur-Seine è stata vandalizzata. Questo atto di vandalismo è stato rivendicato da un gruppo di donne dissimulate dietro uno pseudonimo. Durante tutta la mia vita, gli uomini mi hanno spiegato come dovevo agire, in quanto donna, inferiore. Come dovevo parlare, perché venivo dalla periferia, senza educazione né linguaggio appropriato. Oggi, rifiuto le invasioni sui miei pensieri, le mie azioni, il mio linguaggio. Queste persone hanno scritto numerose frasi, uscite dalla propoaganda liberale alla moda e lontana dalla realtà:
il femminismo deve essere inclusivo: vi sfido a trovare un’altra serie fotografica che rappresenta tante donne differenti quanto la mia
le donne trans sono nostre sorelle: le donne trans non sono donne, le mie sorelle non hanno il pene
non esiste femminismo senza sex worker: non conosco sex worker, conosco solo la mia storia violenta di prostituzione e quelle delle sopravvissute alla prostituzione, con le quali lotto ogni per esigere diritti e mezzi perché le donne possano uscire da questo inferno.
Un promemoria: le statistiche mostrano che più del 90 per cento delle donne in prostituzione (soprattutto donne) vogliono uscirne. La media delle età d’entrata nelle maglie della prostituzione in Francia è di 14 anni, e questo unico dato è sufficiente a dimostrare che questo non è un “lavoro”, un’attività come le altre. La speranza di vita per le persone in situazione di prostituzione è di 39 anni, e il tasso di suicidio tra le persone che si prostituiscono è 9 volte più alto che nel resto della popolazione”.
Fra le tante storie lette o sentite ( video e podcast ) durante questo periodo eccovene una molto bella . Essa descrive benissimo il tipo di quelle di cui ho parlato nel precedente post .
Lo so che non è mia , cioè raccontata da me ma d'altri . Ma è grazie a persone come colui che ha fatto l'articolo e l'ha raccolta che tali vicende rinascono riemergono dalle nebbie del tempo e dall'oblio in cui i media maistream e i politicanti le hanno fatte finire
Ci sono foto che nella vita non si dimenticano mai, che ci accompagnano, che formano il nostro immaginario e segnano la nostra memoria. Di questa ricordo i volti dei bambini, nove o dieci bambini pigiati in una dispensa sotterranea, tra barattoli di conserve, marmellate, pomodori, peperoni e cetrioli sottaceto. Li avevano stipati in questa cantina, a cui si accedeva attraverso una piccola botola, per proteggerli dai bombardamenti. Alcuni erano orfani, tutti erano stati raccolti e ospitati da una famiglia che provava a salvarli.
Nella foto cinque di loro guardano verso l’alto, la bimba piccola con il cappello di jeans ha un’espressione che sembra mescolare stupore e paura, gli altri fissano con fiducia il fotografo. Sono nascosti sotto il fronte: sopra quella casa, in quel momento, passava il confine estremo di un’idea di Europa. Da un lato c’erano gli ucraini che volevano diventare europei, dall’altra quelli che guardavano a Mosca, in mezzo, intrappolati, gli innocenti che avevano la colpa di abitare nel posto sbagliato.Questa foto la pubblicai sulla “Stampa” lunedì 26 maggio 2014. Era stata scattata pochi giorni prima, ma il fotografo non c’era più. Era stato ucciso insieme al suo amico e compagno di viaggio, il dissidente russo Andrej Mironov, proprio su quel fronte. Colpiti da un colpo di mortaio nel pomeriggio di sabato 24. Il fotografo si chiamava Andrea Rocchelli, detto Andy, e aveva 30 anni.
Non seppi più nulla di lui, finché un giorno di inizio aprile del 2017 a Perugia mi si avvicinarono due persone. Un uomo e una donna, marito e moglie. Parlavano quasi sottovoce. Era evidente che avevano paura di disturbare, erano arrivati fin lì per amore. Per amore del loro figlio scomparso senza verità e senza giustizia. Erano Elisa Signori e Rino Rocchelli, i genitori di Andy. Erano venuti a seguire la presentazione di “Nove giorni al Cairo”, il documentario che con “Repubblica” avevamo dedicato al rapimento e all’omicidio di Giulio Regeni. Ero appena sceso dal palco della Sala dei Notari, dove si teneva il Festival internazionale di Giornalismo, quando mi chiesero se potevano raccontarmi di Andy.Mi spiegarono che erano a Perugia per presentare il lavoro del figlio e denunciare le circostanze non chiarite della sua morte. Nonostante il tono pacato si intuivano la frustrazione e il dolore per il fatto che l’inchiesta sull’omicidio non stesse andando da nessuna parte e la sensazione che Andy fosse stato dimenticato. Non mi chiesero nulla in particolare, volevano solo seminare memoria. Alcuni mesi dopo, all’inizio dell’estate, registrai la notizia che un ragazzo italo-ucraino era stato arrestato all’aeroporto di Bologna in relazione alla morte di Rocchelli. Poi più nulla.
Fino ad un pomeriggio di fine luglio dello scorso anno quando sono andato a prendere un caffè con Anna Dichiarante, una giornalista che avevo conosciuto a “Repubblica” durante la mia direzione. Mi voleva raccontare di un processo che aveva seguito a Pavia e che era appena arrivato a sentenza, un processo affollatissimo, teso, pieno di colpi di scena ma che non era mai arrivato sulle prime pagine dei giornali. Era il processo per la morte di Andy Rocchelli e Andrej Mironov. Quella sera, su un treno verso il mare, ho capito che quella storia mi si era impigliata nei pensieri, e che doveva essere raccontata fin dall’inizio.Ho cercato di capire perché fosse scivolata via in silenzio, tra le cose dimenticate e non urgenti. Dopo un po’ di ricerche mi sono fatto l’idea che, in questo frenetico ciclo di notizie, l’Ucraina e le sue storie avessero perso presto importanza in quel 2014 in cui l’Isis stava prendendo piede in Iraq e Siria e nasceva lo Stato Islamico. Per cominciare mi sono procurato “Evidence”, il libro con le foto di Andy, e ho cominciato a sfogliarlo per cercare di entrare in sintonia con il suo sguardo. C’erano le foto della rivolta di Maidan a Kiev, i ragazzi che vanno a combattere contro Gheddafi in Libia, la testimonianza delle violazioni dei diritti umani in luoghi dimenticati come il Kirghizistan e l’Inguscezia.
Sentivo l’urgenza di raccogliere più elementi possibile, di scavare dentro questa storia. Restava da capire quale fosse la forma più giusta. Mi sono ricordato di una chiacchierata romana con Carlo Annese, uno dei pionieri del podcast in Italia, in cui mi aveva sfidato a sperimentare l’idea di fare inchieste audio. L’ho chiamato e lui ha organizzato, ai primi di settembre, un incontro con Storytel, piattaforma svedese che anche in Italia produce podcast e audiolibri; è bastato poco per capire che valeva la pena provarci.Allora ho telefonato ad Anna e le ho detto che volevo raccontare la storia di Andy, ma a patto che mi aiutasse a raccogliere tutto il materiale e le testimonianze. Mi ha risposto soltanto: «Sapevo che se te l’avessi raccontata tu l’avresti fatta». Così abbiamo cominciato un lungo viaggio tra le carte, gli atti del processo e le voci di colleghi, amici, investigatori, che arriva in porto oggi con questa serie in quattro puntate che si chiama “La Volpe Scapigliata”. È stato il lavoro più lungo che abbia mai fatto, un giornalismo lento, durato più di otto mesi.Ho impiegato molte settimane a convincere Elisa e Rino Rocchelli a rompere il loro riserbo e a parlarmi di Andy, ma piano piano abbiamo costruito un rapporto di fiducia e amicizia che mi onora. Un pomeriggio Rino mi ha aperto il suo computer, dentro ci sono gli audio che Andy raccoglieva intervistando tutti quelli che fotografava. Elisa, che insegna Storia contemporanea all’Università di Pavia, mi ha spiegato meglio di chiunque altro perché quella foto della cantina mi era rimasta negli occhi: «Perché è la più rappresentativa del modo in cui Andrea si poneva nei confronti di chi voleva fotografare, e perché quello scatto presuppone un rapporto di confidenza e di fiducia. Bisogna osservare lo sguardo di questi bambini, nascosti in mezzo alle marmellate e ai sottaceti, si vede che passa qualcosa tra la macchina fotografica e quegli occhi, credo sia solidarietà e condivisione».
Avevo provato a contattare anche Mariachiara Ferrari, la compagna di Andy, che in questi anni ha sempre preferito stare un passo indietro e proteggere Nico, il loro bambino, che proprio nel giorno della morte del padre aveva compiuto tre anni. Un giorno mi ha scritto dicendomi che, se avessi avuto bisogno di aiuto, lei ci sarebbe stata, ma senza registratore. In una giornata tiepida di questo inverno ci siamo trovati sul Ticino e abbiamo camminato a lungo sul greto del fiume fino al tramonto, ha risposto a tutte le mie domande e mi ha spiegato perché gli amici scout chiamarono Andy “Volpe Scapigliata”.
«Una sera Andy mi ha chiesto: “Indovina il nome che mi avevano dato agli scout. È quello di un animale”. Io – racconta Mariachiara – ho risposto subito: volpe. Non ci poteva credere che avessi indovinato al primo colpo e cominciò a dire che lo sapevo già. Quando poi, con un colpo di fortuna, ho aggiunto scapigliata, la sua teoria che me lo avesse suggerito qualche suo vecchio amico divenne una certezza. La verità è che io non lo sapevo. Dissi volpe perché Andy ti dava un’idea di selvatico ma allo stesso tempo di curioso. Di una persona fedele a sé stessa che non scende a compromessi. Non gli avrei mai dato il nome di un animale domestico, lui non poteva che essere un animale del bosco.Scapigliato? Era arruffato, concentrato a seguire il suo fiuto. Ricordo la sua macchina quando ci siamo conosciuti: aveva una vecchia Uno grigia, sempre piena di cose che trovava in giro, di fogli e di rotoli di carta fotografica. Una volta era tornato con un telone di quelli che si usano per coprire i camion. Mi disse: “Teniamolo, chissà che un giorno non possa servire”. A casa ho ancora due vecchie poltroncine rosse di un cinema, venne a sapere che le buttavano via e andò a recuperarle. La sera si sedeva lì e io dicevo che quello era il suo trono. Riusciva a vedere negli oggetti e nelle persone, potenzialità che agli altri sfuggivano. Era questo il suo segreto».