Parigi, se la parola “donna” fa paura: mostra di ritratti femminili vandalizzata dalle transfemministe
Dobbiamo essere libere. Sono gli aggressori a non doverlo essere, sono le loro azioni a dover essere condannate, non la nostra libertà di essere e di esistere. La paura deve cambiare fronte”. Sguardo dritto verso l’obiettivo. Mani incrociate o appoggiate sui fianchi. Dietro, il buio della notte. In primo piano, la fierezza di essere, di esistere. Senza paura.
Si chiama proprio Women are not afraid, la mostra fotografica dell’artista Pauline Makoveitchoux.
Circa 150 ritratti di donne che non posano ma si stagliano in quel buio che per molte ha significato aggressione, violenza di strada, paura, stupro. L’artista ne ha scelti sessanta per l’esposizione cominciata l’8 marzo scorso a Vitry-sur-Seine, comune a sud di Parigi. Non è questo il primo lavoro dedicato alle donne per Makoveitchoux. Intenso e quasi ancestrale il suo lavoro Les Sorcières, le streghe, sul sapere antico e guaritrice delle donne e il valore della sorellanza, o ancora sulla compagnia Les Clameuses, in periferia. Nasce invece dal movimento dei collage (affissioni) contro il femminicidio la serie Les Colleuses. Sono diverse, diversissime le donne di Makoveitchoux, ma nonostante tutto la sola parola “women” è ormai offensiva per l’attivismo transfemminista locale che non ha tardato a reagire, affiancando ai collage di Makoveitchoux altre affissioni, esigendo una maggiore rappresentanza di trans e “sex worker”. Un intervento quanto mai inopportuno, semplicemente perché i soli ritratti non identificano le donne né dal punto di vista del genere, né della professione. “Non abbiamo vandalizzato, ma completato” è stata la loro unica spiegazione sull’account instagram di Collage Féministes Vitry. Intorno al movimento dei collage femministi a Parigi e dintorni si assiste a una vera e propria spaccatura. Pioniera e iniziatrice dei collage contro il femminicidio è stata Marguerite Stern, autrice del volume Héroines de la rue letteralmente “eroine della strada”, che ha progressivamente preso le distanze da numerosi collettivi di collage soprattutto dopo la deriva transattivista di questi ultimi e gli atti vandalici presso l’edificio L’Amazone, a Parigi, casa rifugio per donne vittime di violenza, oltraggiato con falli e altri insulti.
Quella all’esposizione di Makoveitchoux è cronologicamente solo l’ultima ingerenza di un attivismo che anziché costruire e lottare per un proprio spazio distrugge e invade quello degli altri. Il preludio a tale atto di vandalismo è stata l‘agguato alla manifestazione del Collettivo abolizionista Anti Prostituzione CAPP a Place de la République del 7 marzo. Un manipolo di adolescenti ha assalito le donne che manifestavano contro la prostituzione con insulti, lanci di uova, minacce, cartelli stracciati e aggressioni fisiche. Le stesse scene sono state viste in Italia, a Firenze. L’episodio ha creato sconcerto sui social e non solo, coinvolgendo numerose associazioni e collettivi femministi.
Makoveitchoux ha chiuso le discussioni rilasciando una potente dichiarazione su Instagram:
“Io Pauline Makoveitchoux, residente in periferia, figlia di immigrati poveri, attivista femminista e fotografa autodidatta, rivendico la maternità e il rispetto della mia serie fotografica Women are not afraid.
Noi, donne, siamo il 52 per cento della popolazione francese e la metà dell’umanità, e subiamo le violenze sistematiche, misogine, universali e millenarie. La mia serie fotografica Women are not afraid mette in prospettiva la legittimità delle donne a essere nello spazio pubblico e denuncia le aggressioni sessuali e sessiste quotidiane, commesse nell’indifferenza generale.
Da un anno e mezzo realizzo gratuitamente questi scatti e diffondo il mio lavoro con l’intenzione di offrire alle donne il potere di riappropriarsi degli spazi e di interpellare gli uomini sui loro comportamenti da aggressori o da testimoni passivi.
Dopo aver posato, tutte le donne hanno manifestato le emozioni forti e potenti che hanno provato durante le sedute fotografiche.
Alcune mi scrivono ancora adesso, mesi dopo, per dirmi che quando si sentono male tornano a guardare il loro ritratto per ritrovare forza.
Ho realizzato due mostre gratuite, la prima a Ivry-sur-Seine (periferia sud di Parigi), a ottobre scorso, pagata da me stessa. La seconda a Vitry-sur-Seine, lunedì 8 marzo 2021, con il sostegno economico della municipalità di Vitry, che è anche il mio comune d’origine.
Queste mostre mirano a offrire gratuitamente il mio lavoro a tutte le ragazze e a tutte le donne attraverso spazi accessibili a tutte e lontani dai musei e dalle gallerie d’élite.
Oggi, la mia esposizione a Vitry-sur-Seine è stata vandalizzata. Questo atto di vandalismo è stato rivendicato da un gruppo di donne dissimulate dietro uno pseudonimo.
Durante tutta la mia vita, gli uomini mi hanno spiegato come dovevo agire, in quanto donna, inferiore. Come dovevo parlare, perché venivo dalla periferia, senza educazione né linguaggio appropriato.
Oggi, rifiuto le invasioni sui miei pensieri, le mie azioni, il mio linguaggio.
Queste persone hanno scritto numerose frasi, uscite dalla propoaganda liberale alla moda e lontana dalla realtà:
- il femminismo deve essere inclusivo: vi sfido a trovare un’altra serie fotografica che rappresenta tante donne differenti quanto la mia
- le donne trans sono nostre sorelle: le donne trans non sono donne, le mie sorelle non hanno il pene
- non esiste femminismo senza sex worker: non conosco sex worker, conosco solo la mia storia violenta di prostituzione e quelle delle sopravvissute alla prostituzione, con le quali lotto ogni per esigere diritti e mezzi perché le donne possano uscire da questo inferno.
Un promemoria: le statistiche mostrano che più del 90 per cento delle donne in prostituzione (soprattutto donne) vogliono uscirne. La media delle età d’entrata nelle maglie della prostituzione in Francia è di 14 anni, e questo unico dato è sufficiente a dimostrare che questo non è un “lavoro”, un’attività come le altre. La speranza di vita per le persone in situazione di prostituzione è di 39 anni, e il tasso di suicidio tra le persone che si prostituiscono è 9 volte più alto che nel resto della popolazione”.
Valeria Nicoletti
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