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5.7.22

“Oggi di superficialità nella sanità si muore fisicamente e psicologicamente” Il racconto di un dolore, nella speranza che “nessun altro possa mai dover vivere di nuovo una simile esperienza”

 Cara Unione,

La mia e quella della mia famiglia è una storia di dolore, che voglio raccontare per unire le persone che come noi hanno dovuto affrontare un vero e proprio calvario. Sardi isolati è un’espressione fin troppo usata ma che rappresenta bene la nostra quotidianità, non possiamo decidere di partire quando vogliamo, dipendiamo sempre da navi o aerei, da giorni e da orari. E da costi.Mio marito, qualche settimana fa, si è sottoposto a una serie di esami che hanno fatto pensare a un tumore al pancreas. Siamo andati in ospedale, io avevo le lacrime agli occhi, mi sono presentata con tutta la mia disperazione, conscia del fatto che quell’organo sia tanto particolare. La prima ipotesi è stata quella della pancreatite. Pochi giorni dopo è peggiorato e siamo andati al pronto soccorso dove lo hanno trattenuto. Era anche risultato positivo al Covid, poi ci hanno detto che era stato un errore, ma questo non è stato un problema quanto il fatto che lo abbiano poi praticamente abbandonato, a consumarsi come un cerino. E invece il fattore tempo, nelle malattie, è fondamentale. In breve, dopo le dimissioni senza una diagnosi, abbiamo deciso di rivolgerci a un altro medico in Emilia Romagna, attraverso l’interessamento di nostri familiari. E tanto ha fatto per noi l’associazione Codice Viola di Milano, con la quale siamo sempre in contatto.Sulla base degli esami che avevamo portato da casa, il medico nuovo si è detto ottimista su un possibile intervento, ma che non si doveva aspettare molto, mi ha dato la mano e mi ha detto ‘tornate in Sardegna, poi ci sentiamo e ci teniamo aggiornati’. Ho pensato che fino a quel momento eravamo stati solamente sfortunati, capitati con persone sbagliate.Purtroppo la tac fatta in quella struttura ha cambiato le carte in tavola: erano comparse metastasi al fegato e ai linfonodi, l’unica soluzione era la chemioterapia. Il mondo ci è cascato addosso. La cosa insopportabile era che tutto intorno fosse andato a ritmo troppo lento nonostante questa mia disperazione io la rappresentassi di continuo, ogni giorno.Una volta a casa abbiamo organizzato subito le cure. E qui ci siamo trovati di fronte un'altra orribile esperienza. Non voglio fare nomi né luoghi, ma siamo stati accolti da una dottoressa che ha esordito - senza buongiorno né ‘come sta?’, che è la prima cosa che un dottore chiede - rivolgendosi a mio marito con ‘lei è depresso, con una diagnosi del genere non si può che essere depressi’. E ancora: ‘Del resto lei sa che l’intervento non lo farà mai’. In quel momento avrei voluto a

iun ospedale Ansa
lzarmi dalla sedia e andarmene, ma non volevo peggiorare la situazione, dovevo pensare a mio marito, a come curarlo al meglio. E quella dottoressa non si è fermata: ‘Se fosse capitato a me, avrei dato di matto’. Purtroppo ho potuto dire poche cose, quello che penso. Ognuno di noi ha un biglietto per lasciare questa vita. Ma nessuno conosce la data. Ecco il nostro destino. Tutta questa storia l’ho voluta raccontare perché vorrei far sapere che nella sanità ci sono anche medici e personale senza un briciolo di umanità e tatto, con nessun orientamento all’utenza. Chi lavora a contatto con malati oncologici non può essere superficiale perché oggi di superficialità si muore fisicamente e psicologicamente. Mio marito, che può essere il ‘signor nessuno’ per molti, non lo è per noi, per me e per i suoi figli. Avrò un sacco di colpe, ma l’ho accompagnato per mano in questa dura esperienza e vorrei riunire chi ha vissuto difficoltà simili. In tanti possiamo meglio rappresentare lo stato della sanità alla Regione, all’assessorato, non arriveremo mai ad avere centri di eccellenza se non abbiamo persone che curano non solo i pazienti ma anche la propria crescita professionale.E vorrei tanto, anche, evitare che situazioni simili passino sulla pelle di altri pazienti e di altre famiglie.

Grazie”. 
Lettera firmata*

N.B
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28.11.21

storie di mafia e di andrangheta la storia di Fabrizio Miccoli ex giocatore del Palermo e la sanità in Calabria

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di Salvo Palazzolo24 Novembre 2021


Miccoli, ascesa e caduta di una stella del calcio dalle amicizie criminali L'attaccante pugliese ha militato nel Palermo dal 2007 al 2013 ed è il giocatore rosanero che ha realizzato il maggior numero di gol
di Massimo Norrito





Sei anni di magie con la maglia rosanero, ma anche inchieste giudiziarie, sdegno per le frasi ingiuriose nei confronti di Giovanni Falcone sino alla condanna per estorsione resa definitiva dalla Cassazione. La storia a Palermo di Fabrizio Miccoli è una storia di grandi successi sul campo finita nel peggiore dei modi. Miccoli ha indossato la maglia rosanero dal 2007 al 2013 ed è ad oggi il giocatore del Palermo che ha realizzato il maggior numero di gol. Sono 81: 74 dei quali in serie A, nelle 179 partite disputate. Con Miccoli in campo il Palermo ha raggiunto alcuni dei traguardi più importanti della gestione di Maurizio Zamparini quando la squadra teneva testa e batteva le grandi del calcio italiano in un susseguirsi di successi e di partite che hanno fatto la storia del calcio rosanero. Ultima, prima dell'avvio del declino che poi ha portato al fallimento della società, la finale di Coppa Italia giocata e persa contro l'Inter in uno stadio Olimpico colorato di rosanero. Miccoli arrivava dal Benfica dove aveva giocato per due stagioni. Zamparini lo volle a Palermo per formare la coppia d'attacco insieme ad Amauri. E fu una scelta vincente perché Miccoli entrò subito nel cuore dei tifosi rosanero e a suon di gol portò il Palermo alla soglia della qualificazione in Champions.
Un traguardo che la squadra rosanero fallì in una sorta di spareggio contro la Sampdoria finito 1 a 1 nel quale Miccoli segnò un calcio di rigore con il legamento crociato del ginocchio rotto. Una epopea calcistica con la quale però troppo spesso si sono intrecciate le vicende giudiziarie che hanno visto coinvolto l'attaccante pugliese. Miccoli arrivò tra i cori dei tifosi che lo accolsero in un hotel di Mondello ed è andato via tra le lacrime dopo una conferenza stampa in un altro albergo cittadino. Allora il Miccoli protagonista negli stadi aveva già lasciato il posto al Miccoli protagonista a palazzo di giustizia.

Purtroppo il fenomeno dell'infiltrazione mafiosa non riguarda solo lo sport ma anche la sanità ed le sue strutture , " fortunatamente " solo in poche regioni , ma se si continua cosi , s'estenderà a tutto il paese .


Un'emergenza circoscritta  , come dice  questa inchiesta di repubblica ( purtroppo  il link  è  a pagamento  o  scaricabile    free   con il codice  QR  )   da  cui ho tratto la  cartina  sotto  , a Campania e Calabria, con ripercussioni sui costi e sulla qualità del servizio sanitario nazionale. Oltre agli interessi economici, perseguita l'assunzione di persone legate ai clan locali per accrescere il consenso della popolazione intorno alle organizzazioni criminali  

14.8.19

primo evento dell'associazione rendiamovisibiigliinvisibili ricevo ed inoltro : concerto benefico 21.9.2019 al teatro pime via Mosè bianchi 94 milano

                          
L'immagine può contenere: una o più persone e testo

      Noi ci siamo perché…
 Un giorno, Tiziano Capitaneo, amministratore di un gruppo chiuso Facebook “Ho la sclerosi multipla......e adesso", che oggi è il nostro Presidente , ha esternato, tramite post, il suo dispiacere nel leggere e sentire le difficoltà che noi disabili dobbiamo quotidianamente affrontare. Ha quindi pensato di creare un Movimento politico, senza colore, un movimento di “ribellione” per far valere i diritti di tutte le persone che hanno disabilità. Il gruppo Facebook vanta più di 3000 iscritti e, tra tante, sono state scelte sei/sette persone da inserire nel futuro Movimento; tra queste c’è anche Sabina Cabrini la nostra attuale vicepresidente. Quest’ultima conoscendo personalmente Simona Rainieri, la nostra tesoriera, le propone di entrare a far parte di questo team chiedendole, nel frattempo, se anche lei sarebbe stata presente all’udienza di maggio con il Papa. Non sapendo nulla, né del gruppo Facebook, né dell’udienza col Santo Padre, ma attratta da entrambe le iniziative, Simona acconsente, si iscrive al gruppo Facebook ed entra anche in quello WhatsApp, creato appositamente per il futuro Movimento. Sulla carta appare tutto estremamente positivo e interessante ma nella realtà, vista la difficoltà di misurarsi con la politica, tutto è più complesso. Dopo un confronto costruttivo e l’ascolto di altri pareri, che ci consigliavano di creare un’Associazione- che sarebbe stata più visibile rispetto a un movimento- intraprendiamo finalmente la strada corretta, strada che sembra più percorribile per raggiungere il nostro obiettivo. Arriva il giorno dell’udienza in Vaticano. Finalmente, visto che proveniamo da città diverse, ci conosciamo di persona, e la nostra alchimia “social” si dimostra tale anche vis à vis. Carichi di bellissime emozioni, abbiamo pranzato insieme ed iniziato a porre le basi per la nostra Associazione; ci siamo raccontati le nostre storie, le difficoltà quotidiane nell'affrontare la malattia e la fatica di dover combattere con le ATS, con gli ospedali, con la burocrazia, per avere ciò che ci spetterebbe di diritto. E’ assurdo e paradossale ma, di questi tempi, essere un disabile, è un lusso. In quello stesso giorno abbiamo avuto il piacere di conoscere Stefania De Vito , la nostra segretaria, che come tutti noi ha manifestato grande interesse. Poiché la tecnologia è un valido supporto, nell’attesa del prossimo incontro , ascoltiamo le idee di tutti e redigiamo, tramite video chiamate, il nostro Statuto. Nel frattempo, alcune persone, rendendosi conto che ciò che stiamo creando implica un impegno concreto e costante, impegno che necessita molto tempo, decidono, per vari motivi personali , di lasciare il gruppo ma di continuare ad appoggiarci. Gente che va ma anche gente che viene. Dopo alcune defezioni infatti, nel nostro gruppo di lavoro, entrano Paola Sebastianelli ,la nostra addetta stampa, scelta dal nostro Presidente anche per la “carica” che è riuscita sempre a trasmettergli, la Sig.ra Rita Scopece mamma del Presidente ed Alessandro Benassi, figlio della tesoriera; questi ultimi non sono disabili ma poiché vivono tutti i giorni sulla propria pelle la disabilità sono felici di unirsi a noi. Mentre stiamo definendo lo statuto e le fasi burocratiche, leggiamo sui social storie che , usando un eufemismo, potremmo definire assurde. Alcuni esempi? Una mamma marchigiana, alla quale la sua ATS di competenza non vuole riconoscerle un ausilio per spostarsi, perché già in possesso da un anno di altro supporto; peccato che per lei questo sia troppo grosso e faticoso da maneggiare e quindi inutile. Ad una signora di Milano, l’ATS di sua competenza le comunica che, non essendoci la giunta per poter decidere, l’ausilio a lei necessario del costo di 3.500,00 euro verrà rimanda a data da destinare. Di fronte a tale situazione decidiamo di muoverci, e nel nostro percorso incontriamo un fornitore di ausili che capisce e appoggia la nostra causa; ci aiuta , come una manna scesa dal cielo, donandoci gli ausili necessari a prezzi stracciati e ci mostra come l’impossibile possa divenire realtà: siamo solo all’inizio e siamo già riusciti a fare degli aiuti concreti, facendoci sentire senza urlare a chi di dovere , e a chi invece acquistando concretamente degli ausili. L’aspetto più complesso è, come sempre, quello economico. Siamo tutte persone semplici, che fanno già fatica a gestire il loro bilancio familiare, pertanto come possiamo pensare di anticipare dei soldi? La Provvidenza, per fortuna, ci vede lungo e interviene un altro angelo che ci aiuta anche su questo fronte. Il 14 luglio riusciamo a definire lo Statuto, ma per problemi di salute della tesoriera e della vicepresidente, le uniche due persone residenti a Milano, sede dell’Associazione , riusciamo a depositarlo ed avere il codice fiscale solo il 31 luglio 2019. Felicità allo stato puro: finalmente siamo riusciti a creare la NOSTRA ASSOCIAZIONE il cui scopo è quello di organizzare eventi ed attività diverse. Il ricavato verrà interamente devoluto a persone disabili come noi. Vogliamo acquistare ausili come carrozzine, deambulatori, cateteri ed altri materiali, vogliamo chiedere convenzioni con studi medici per poter fornire ai malati assistenza a prezzo contenuto, come sedute di fisioterapia e altro ancora, in una parola vogliamo subentrare laddove il servizio regionale, per una serie di motivi, non riesce a fornire tali materiali e/o assistenze mediche. Sono trascorsi pochi giorni dalla nascita di “RENDIAMO VISIBILI GLI INVISIBILI”, altre storie di disabili da aiutare compaiono sui social e noi, con grinta e determinazione, non perdiamo tempo, contattiamo i giornali, ci facciamo sentire e richiediamo altre carrozzine. I fondi sono sempre “l’ostacolo” da superare e, visto che servono per supportare le nostre iniziative benefiche, abbiamo progettato uno SPETTACOLO, che si preannuncia un evento “super” non solo per gli ospiti, ma soprattutto per la sua finalità. Mettete in agenda questa data: 21 settembre 2019. A Milano, al Teatro “Pime” in via Mosè Bianchi 94, nel corso di una serata costellata da personaggi noti e non, renderemo finalmente VISIBILI GLI INVISIBILI. Crediamo fermamente che questa serata sarà un ottimo contributo alla nostra causa, al nostro reale impegno e speriamo che tutte le nostre energie spese per contattare gli ospiti, cercare fornitori che ci diano una mano, ottenere convezioni e aiuti, vengano ricompensate. Di una cosa siamo sicuri: il nostro scopo è quello di RENDERE VISIBILI GLI INVISIBILI.
Non esitate a contattarci per prenotare il vostro posto in prima fila.


Per la serata del 21 abbiamo dei Pullman in partenza da più regioni   
Da Torino con pernottamento a Milano il 21 sera in albergo vicino al teatro.Partenza dalla Stazione di Porta Nuova alle 14 .del 21 settembre rientro il.22 settembre alle 16.
.Il 21 ore 17.00 partira' dalla stazione di Bergamo un pullman per Milano

 Da Nizza con possibilita' di salita a Ventimiglia, Imperia e Genova.

Partira' anche  un pullman da Lecco  per Milano per partecipare allo spettacolo al Teatro Pime.
Contattateci per informazion scrivete a 


Telefonare al 3479866838 o 

3806568383

14.11.18

SASSARI buone notizie Annullato il funerale: l'anziana data per morta è ancora viva

  questa  esuberante  storia  viene  dalla nuova  sardegna  online del  15\11\2018

Una  stoiria  che     non si  sà  se piangere  o ridere 😒🙄🤫

Ai familiari di un'ottantenne di Uri ricoverata a Sassari in gravissime condizioni è stata comunicata erroneamente la notizia del decesso

SASSARI. A Uri, paese in cui vive, avantieri 12 novembre le campane avevano già suonato a morto. E i familiari, ormai rassegnati, si erano già accordati col parroco per celebrare il funerale. Tutto pronto: bara acquistata e trafila burocratica conclusa per il loculo. Solo che la donna di 80 anni protagonista di questa singolare vicenda è ancora viva: è in condizioni gravi, ricoverata nel reparto di Rianimazione dell'ospedale Santissima Annunziata di Sassari, ma ancora lotta e la sua prognosi è riservata.Lunedì mattina la figlia l'ha trovata nel bagno di casa, in terra, in stato di semi-incoscienza, colpita da un ictus. L'anziana è stata trasportata in ospedale a bordo di un'ambulanza dell'associazione di volontariato e ricoverata in terapia d'urgenza. Qualche ora dopo i parenti sono tornati in ospedale per sapere le sue condizioni. «È morta cerebralmente, ormai non c'è più nulla da fare - avrebbe detto loro un medico del reparto - Se volete potete firmare l'autorizzazione all'espianto degli organi», sarebbe stato il suggerimento.Rientrati in paese, si sono dedicati ai preparativi per il funerale della congiunta. Ma ieri mattina, tornati in ospedale, hanno scoperto che la vecchina è ancora viva: trasferita in Rianimazione, dove si trova tutt'ora, grave ma ancora viva
 be  almeno se  nuore    non devono spendere  soldi per  bare e  loculi .Ora capisco che  tutti  anche i medici  possano sbagliare  \ fare  degli errori    ma  alla faccia  degli sbagli   su certe  cose  ,  non ha  tutti i torti il mio vecchio  mio padre , non si  può sbagliare 

29.1.16

Policlinico San Matteo, viaggio nel reparto fantasma Pavia. Al quinto piano del Dea 8 stanze, 16 posti letto, ambulatori: attrezzati e pronti da due anni e mai utilizzati

Sperando che news come queste non si limitino a creare solo indignazioni e post commenti incazzosi che poi sfoceranno ( nessuno , sottoscritto compreso n'è immune ) da populismo e qualunquismo .Ma portino ad agire e a usare l'unica arma che abbiamo per chi ancora ci crede il non votare e rivotare politici idioti e fare gruppo di pressione onde evitare simili sprechi e quindi debiti per i quali bisogna poi tagliare anziché sui rami secchi e non sulle cause dello spreco

  da  http://laprovinciapavese.gelocal.it/pavia/cronaca del  29\1\2016

Policlinico San Matteo, viaggio nel reparto fantasma
Pavia. Al quinto piano del Dea 8 stanze, 16 posti letto, ambulatori: attrezzati e pronti da due anni e mai utilizzati
di Donatella Zorzetto




PAVIA. È un reparto pronto da due anni, ma non funziona. O meglio: non è mai stato fatto funzionare. È un reparto “fantasma” con posti letto, attrezzature, ambulatori, spazi comuni. Peccato che tutto questo non abbia mai accolto un solo paziente, perchè la direzione generale del San Matteonon ha garantito ad esso alcuna operatività.

Il “reparto fantasma” si trova al quinto piano del Dea. Oltrepassata la divisione di Urologia, è sufficiente fare pochi passi per trovarsi di fronte ad una porta spalancata e ad un corridoio vuoto. Metri e metri sotto le luci a neon, senza un paziente, un infermiere o un medico. A destra le camere da letto: sono otto in tutto, con 16 posti complessivi. Camere nuove, come del resto in tutto il Dea, in stile americano: due letti, altrettanti tavolini, un bagno, attrezzature moderne e all’avanguardia. Ma tutte rigorosamente chiuse a chiave. Al di là delle tendine abbassate si intravedono i letti e le sedie ancora avvolte dal cellophane. Sono stanze fotocopia; qua e là un po’ di disordine perchè qualcuno, da altri reparti, si è preso qualche seduta perchè ne aveva bisogno. Solo una camera, rimasta aperta, a luci accese svela tutta la sua desolante assurdità: i due letti supermoderni sistemati al centro, il resto allestito tutt’intorno, il bagno che sa ancora di pittura. Tutto pronto per nessuno.

Ogni tanto all’imbocco del corridoio sbuca una figura in camice bianco: sono soprattutto tirocinanti per i quali in una stanza è stato allestito uno spogliatoio. Quello è l’unico spazio utilizzato da due anni. Il resto è lì, aspetta che qualcuno decida. E mentre nelle altre divisioni del Dea le liste d’attesa si allungano perchè i posti letto non sono sufficienti, al quinto piano c’è un’ala che nessuno fino ad ora ha occupato. Eppure i pretendenti ci sarebbero: attualmente sono ancora fuori dal Dea i reparti di Otorinolaringoiatria, Ematologia, Oculistica, Cardiochirurgia. Ma mentre per quest’ultima sembra si sia arrivati alla decisione del trasloco, per le restanti divisioni è ancora buio fitto.

I sindacati sull’argomento non spendono molte parole. E per ora non fanno barricate. Gli unici a prendere posizione sono gli esponenti della Uil. Marco Grignani, responsabile Uil San Matteo, sottolinea: «Non escludiamo che quell’ala sia destinata a Cardiochirurgia, ma di certo i trasferimenti dei reparti andavano completati. Abbiamo aperto un ospedale nuovo e non c’è ancora una clinica vecchia completamente vuota». Per la Uil, che nelle prossime settimane incontrerà il nuovo direttore generale Nunzio Del Sorbo, insieme ai colleghi delle altre sigle sindacali, sono diverse le cose da chiarire. «Gli sprechi si moltiplicano – prosegue Grignani –, e un trasferimento un po’ più oculato e veloce certo non farebbe male. Siamo preoccupati soprattutto
perchè l’assistenza che si presta all’interno di diverse unità operative è al limite». E conclude: «Il 3 febbraio, come abbiamo convenuto nell’ultimo incontro tenuto in Prefettura, cominceremo ad analizzare quanto personale serva per organizzare i nuovi turni di lavoro. Noi ci saremo».


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15.1.14

Lettera aperta a Davide Parenti delle iene sul caso vanoni By Gianluca Neri - Presadiretta e Le Iene, come si parla di Stamina in tv Da una parte la chiarezza delle prove, dall’altro la pressione emotiva: due modi opposti di raccontare il fantomatico metodo a base di staminali sul piccolo schermo



Avrei voluto commentare  la  puntata  di presa diretta  di rai3   sul caso stamina  che trovate  sotto 




ma   questi due  articoli  il  primo di  http://www.wired.it/scienza/medicina/  e  il secondo di  http://www.macchianera.net/2014  che ritrovate  sotto   mi  hanno anticipato e credo  lo abbiano fatto meglio  di  me 






Il primo



Presadiretta e Le Iene, come si parla di Stamina in tv.
Da una parte la chiarezza delle prove, dall’altro la pressione emotiva: due modi opposti di raccontare il fantomatico metodo a base di staminali sul piccolo schermo.


“Dedicheremo la puntata a un argomento controverso: il metodo Stamina, quello di Vannoni e della Stamina Foundation, della comunità scientifica nazionale e internazionale che ha attaccato ferocemente questo metodo considerandolo alla stregua di una truffa, dell’inchiesta della procura di Torino coordinata da Guariniello sull’attività della Stamina Foundation, della politica e delle decisioni del ministero della Salute. Ma anche dell’attesa enorme che questo metodo, pubblicizzato da tantissime televisioni, ha creato nei malati e nei parenti dei malati”. Ha esordito così Riccardo Iacona, nell’introdurre l’ultima puntata diPresadiretta, in onda ieri in prima serata su Rai Tre, interamente dedicata a un’inchiesta attorno al discusso trattamento a base dicellule staminali promosso da Davide Vannoni e dal medico Marino Andolina. Si è discusso del metodo, della sua fondazione, delle inchieste che ne oscurano la reputazione, di scienza e dipolitica, pur senza trascurare gli aspetti umani della vicenda, con testimonianze dirette di pazienti che chiedono l’accesso alle cure, ma anche di famiglie che si dichiarano tradite e che ne portano in superficie i lati più oscuri: quello delle richieste di denaro e delle promesse di guarigione mai mantenute.
C’è già chi ne esalta il giornalismo televisivo d’inchiesta, anche se da parte di Vannoni e dei suoi sostenitori la trasmissione è stata bollata da subito come pseudogiornalismo fazioso. Su questo, saranno i risultati delle inchieste della procura, ormai quasi al termine, a rendere conto. Ma per quanto riguarda il discorso giornalistico, ci sentiamo di riconoscere che forse per la prima volta il caso Stamina è stato rappresentato sul piccolo schermo in tutta la sua complessità e con il visibile intento di fornire un servizio pubblico di informazione. Impossibile non rilevare un confronto impietoso tra due intere stagioni di servizi in prima serata de Le Iene Show, che abbiamo più volte criticato, e le due ore di trasmissione che abbiamo seguito ieri sera. Presadiretta ha raccontato una storia definita, quella di Stamina, comprensiva di fatti e responsabilità. E lo ha fatto in modo chiaro, preciso, documentato e comprensivo di contraddittorio.
Ecco una rassegna di quanto le due redazioni abbiano raccontato l’intera vicenda in modo differente. Perché la televisione ricopre ancora un ruolo forte nel formare l’opinione pubblica nel nostro Paese. E non può essere gestita con superficialità.

Le famiglie dei malati
Quelle in piazza Montecitorio, le loro proteste e la loro esasperazione creano l’apertura della puntata di Presadiretta, con tanto di intervista ai fratelli Biviano, ormai da sei mesi alloggiati all’addiaccio in attesa di poter accedere al trattamento in qualità di cura compassionevole. C’è lo smarrimento e c’è la disperazione, proprio come hanno mostrato anche Le Iene. Il problema è che il programma di Italia 1 si ferma qui, mentre ieri sera la trasmissione di Iacona porta ben oltre.
Va da quelle famiglie e quei pazienti di cui finora avevamo letto solo sui giornali. Primo tra tutti Carmine Vona, affetto da una forma di paralisi, che ha ricostruito tutta la trafila di operazioni necessarie per accedere al trattamento di Vannoni quando ancoraStamina faceva la spola tra Torino, Carmagnola e un centro estetico in San Marino. E che ha raccontato in prima persona dei gravi effetti collaterali subiti dopo la sua unica infusione così come del totale abbandono da parte di Vannoni e Andolina, nonostante le promesse di recupero del 100%, mai avvenuto in alcun modo.
E assieme a lui diversi altri in carne e ossa, a testimoniare la desolazione delle aspettative tradite, lo smarrimento dinanzi a infusioni nel midollo spinale senza anestesia, nemmeno nei bambini, degli effetti collaterali inaspettati nascosti dentro alle infusioni e dell’incubo delle ripercussioni del duo Vannoni e Andolina nel caso di accuse e denunce. Un unico appunto: era davvero necessario mostrare i bambini malati, seppur con il consenso dei genitori?
I leader di Stamina Foundation
Per chi si fosse informato sul caso Stamina guardando solamenteLe Iene Show, probabilmente Vannoni e Andolina non sono altro che due personaggi parimenti estrosi e geniali con una grande idea ostacolata dai poteri forti e dalle lobby del farmaco. Questo perché Golia e i suoi collaboratori tacciono su tutti i loro aspetti più controversi, con ripetute interviste in cui ogni parola viene presa come oro colato, in totale assenza di una controparte. Anzi, ai due viene addirittura chiesto di descriversi e commentarsi a vicenda, in una sorta di celebrazione reciproca tra soci. Un contraddittorio che di fatto non può reggere.
Presadiretta invece li incalza, li provoca e va in cerca di qualcuno a cui chiedere se le dichiarazioni rappresentano il vero o il falso. Nel caso di Andolina, a cui viene chiesto perché le infusioni di staminali venivano praticate all’ospedale di Trieste esclusivamente la domenica pomeriggio, i giornalisti della trasmissione vanno a cercare conferme e spiegazioni anche oltre ai membri di Stamina, fino a incontrare di persona l’allora direttore sanitario della struttura, Mauro Delendi. “Non c’era nessun accordo con l’ospedale” chiarisce Delendi, in opposizione a quanto sempre affermato da Andolina: “Anziché attività di ricerca, venivano fatti trattamenti sui malati, e scoprirlo è stata proprio la procura della Repubblica”.



Ancora più efficace l’intervista di Iacona a Vannoni, che viene incalzato sul lato medico-scientifico, sulle sue qualifiche, sul suo comportamento coi pazienti, sulle promesse di guarigione, sulgiro d’affari attorno a Stamina Foundation e sui propositi futuri della società, che prevede di commercializzare le staminali in Cina a mezzo della farmaceutica Medestea, così come di sfruttare i fondi di una cooperativa di pazienti disperati per insediarsi in una clinica a Capo Verde. Riassumendo: al termine dell’intervista l’immagine di Vannoni ne esce praticamente massacrata. La sua incompetenza in materia medica e nelle dinamiche della ricerca scientifica, così come i suoi scopi commerciali, vengono alla luce.
La scienza e gli scienziati
Grandi assenti per la maggior parte dei servizi delle Iene, aspetti scientifici ed esperti di cellule staminali sono invece il vero filo conduttore della puntata di Presadiretta. Come dovrebbe d’altronde essere quando si tratta una tematica che ruota attorno a fuochi come la salute pubblica, gli investimenti per la ricerca clinica e le prove di efficacia di un trattamento che viene millantato come potenziale salvavita per più di cento malattie incurabili del sistema nervoso.
Cosa sono le staminali e come funziona la ricerca biomedica non viene chiesto, come nel caso delle Iene, a Vannoni (che ricordiamo non è né medico né biologo, bensì docente di psicologia della comunicazione e laureato in materie letterarie). La parola sulla scienza è data agli scienziati, e in particolare a tre eccellenze della ricerca sulle cellule staminali in Italia e a livello internazionale. Vediamo una Elena Cattaneo impegnatissima a chiarire le perplessità della comunità scientifica sul metodo Stamina, unMichele De Luca che spiega come i risultati dei trattamenti non siano nemmeno lontanamente compatibili con gli standard di una pubblicazione ufficiale, un Paolo Bianco intento a sottolineare lapericolosità di un’apertura verso trattamenti privi di evidenze scientifiche per i cittadini. Troppo difficile, per Le Iene, far entrare in uno dei loro servizi anche il parere dei nostri massimi esperti in materia, anziché focalizzarsi solamente su ipotetici miglioramenti mai certificati da alcuna documentazione?
Le inchieste
Taciute nel corso delle venti puntate della trasmissione di Mediaset, le inchieste che vertono su Stamina Foundation e sugliSpedali Civili di Brescia, dove le infusioni di Vannoni sono diventate ufficialmente a carico del Sistema sanitario nazionale, vengono invece spiegate e approfondite da Presadiretta. La prima, per tentata truffa ai danni della Regione Piemonte, con un tentativo di richiesta fondi di 500mila euro; la seconda, persomministrazione di farmaci guasti e potenzialmente pericolosi per la salute, manipolati oltretutto in laboratori non idonei. Vengono letti documenti e relazioni ufficiali delle ispezioni dei Nas e intervistati i responsabili, e ne esce un quadro totalmente diverso a quello a cui Le Iene ci avevano abituato, ricco di dettagli e in cui nulla può essere lasciato al caso. Dal modo con cui vengono conservati i campioni biologici alla mancanza di certificazioni di qualità di prodotto cellulare e dei reattivi per il loro trattamento, passando per l’assenza di documenti sulla vitalità e l’attività biologica delle cellule da iniettare nei pazienti, tutto riconduce a un grosso, pesantissimo, punto di domanda: cosa c’è nelle infusioni di Brescia? Nessuno all’interno dell’ospedale lo sa e nessuno, in trasmissione, si sogna di comunicarlo come una questione di poco conto. Si stratta di fatto di un precedente gravissimo, segno di una totale mancanza di trasparenza e dell’assenza di qualsiasi tipo di consenso informatonei pazienti.
Donazioni o pagamenti?
Presadiretta porta in tv anche la questione dei soldi: quelli che i pazienti avrebbero versato, certificati di bonifico alla mano, sui diversi conti correnti associati a Vannoni e alle sue società. Mentre la tv ci aveva abituato finora a sentir parlare il patron di Stamina di donazioni per la sua società senza fini di lucro e a favore dei malati, appare dalle testimonianze un lato molto più oscuro: visite, prelievi, e infusioni (prima dell’ingresso di Stamina agli Spedali di Brescia) sono completamente a carico delle famiglie dei pazienti, che pagano in anticipo, profumatamente e in assenza di qualsiasi garanzia. Un singolo trattamento supera da listino i 25 mila euro, e a chi fa fatica a pagare il dottor Andolina si permette di rispondere telefonicamente: “La sera mandi sua moglie a battere”, come recita una dichiarazione sconvolgente da parte di una delle famiglie intervistate ieri sera.
Fuori discussione l’importanza dell’inchiesta di Iacona e dei suoi collaboratori. L’appunto è alla tempistica e al palinsesto: la televisione avrebbe dovuto lasciare uno spiraglio a servizi di questo tipo molto prima, anziché abbandonare gli spettatori in balìa di un’unica (e schierata) trasmissione. La prossima volta (e speriamo non ce ne siano), ci auguriamo che il giornalismo televisivo d’inchiesta possa accendere i propri riflettori prima. Facendo da spalla alla Rete, che si è resa conto del caso Stamina  con molto anticipo







Ciao, Davide Parenti, piacere. Non ci conosciamo. A dire la verità una volta un amico comune dovrebbe averci presentati, ma era una di quelle presentazioni di sfuggita che si fanno perché è educato farle, quindi quella volta non conta. Lo dico nel caso tu ti stessi legittimamente chiedendo “È questo mo’ chi cazzo è?”: appunto, nessuno, tranquillo.
Tu, invece, sei – lo specifico per quelli che stanno leggendo queste righe e non fossero pratici del sottobosco televisivo – il capo autore de “Le Iene”.


Lo confesso: ho rimandato queste lettera di giorno in giorno. Avrei voluto scrivere un articolo lungo e documentato abbastanza da smentire una per una la monumentale quantità di cazzate cui avete fatto da microfono parlando del caso Stamina, ma c’è chi, in rete, l’ha fattoprima e meglio di me.
Non mi metto qui a fare l’elenco anche perché sono convintissimo che tu conosca fino all’ultima virgola ognuna delle obiezioni mosse dalla comunità scientifica al metodo che avete ingenuamente sponsorizzato. E sai perché le conosci, Davide Parenti? Perché, dentro di te, sai benissimo di avere sostenuto una monumentale idiozia.
Lo so, è difficile. La prima volta si può passare per fessi: capita. La seconda volta c’è l’aggravante della recidività ma, comunque, esiste ancora la possibilità che uno sia, semplicemente, un po’ boccalone. Alla terza è giusto iniziare a porsi delle domande. Alla quarta si può dare già per assodata la malafede. Dalla quinta in poi si può già dire eccetera eccetera. Cinque, Davide Parenti: fai cinque con le dita. Cinque grosse cazzate non si perdonano a nessuno, e tu, di servizi ammiccanti sul caso Stamina, ne hai mandati in onda venti.
Io lo so come te la sei cavata fino a oggi: dichiarando che avete “solo raccontato una situazione, un disagio”. Lo dici, forse, anche un po’ per giustificarti con te stesso, e questo lo capisco: è una di quelle cose tristi che si imparano a fare col tempo, riuscire a guardarsi allo specchio e avere il coraggio di chiedersi “Posso essere stato così fesso?”. La risposta, Davide Parenti, non ti piacerà: sì, si può.
A un certo punto succede questo: che diventi Dio. Il tuo intuito è stato premiato e hai avuto ragione così tante volte, che la gente inizia a scriverti. E non lo fa perché pensa tu abbiaraccontato bene delle storie: lo fa perché pensa tu abbia la risposta ai suoi problemi. Perché è rassicurante pensare che qualcuno possa avere la soluzione, anche quando la soluzione non c’è. In quel momento, però, i ricettori che nelle persone normali hanno come unica funzione quella di suonare l’allarme al primo sentore di cazzata, a te sono andati a farsi fottere da mo’.
Arriva un momento in cui, quando già hai fatto tanto e ti sei fatto volere un gran bene, credi di poter fare e meritare ancora di più. È la volta che ti capita la cazzata. Pensi a quanto sarebbe bello se fosse vera, e quanto bravo sembreresti agli occhi di tutti per aver scoperto per primo che era lì, a portata di mano, sotto gli occhi di tutti, che alla fine inizi a crederci.
Poi però te ne accorgi e smetti, Davide Parenti, intorno a un ipotetico servizio numero sei. Toh, al sette. Tu sei arrivato al venti. E ho il sospetto che avessi nasato la bufala già dal numero quattro, ma ormai fosse troppo tardi.
Per venti volte – a esclusivo beneficio dei numeri di audience – hai solleticato l’immaginazione di quelli più scemi di te, conducendoli per mano in un mondo fantastico in cui le cure esistono, tutte, e a scoprirle – tutte assieme, nel contesto di una botta di culo unica nella storia dell’umanità – è lo scappato di casa che più al mondo avrebbe bisogno di uno shampoo. Poi, a intervistare uno che l’ha studiata, quella roba lì, e sostiene che stai facendo da megafono al Gran Mogol dei peracottari, mandi Giulio Golia, uno che ti ascolta ammiccando, con la faccia da “Io non dico niente per non influenzarvi, ma chìste è ‘nu strunz falluto”.
Devi rendermi atto, Davide Parenti che, al di là di quel filo di dovuta presa per il culo, ti sto almeno riconoscendo l’assenza di malafede. Tu però aiutami, e prendi nota delle giustificazioni che nel corso del tempo hai utilizzato e potresti essere tentato di riciclare. Sono quelle in grassetto e tra virgolette. Il resto sono io che parlo.
“Abbiamo solo raccontato una storia“. Ti piacerebbe uscirne con questa facilità, lo immagino. La notizia è che, invece, resti responsabile delle storie che scegli di raccontare e, soprattutto di come scegli di raccontarle. Se la storia che racconti spinge qualcuno a scegliere di non curarsi, se si scopre che non esistono basi scientifiche che provino l’efficacia della cura e quel qualcuno poi muore, ciccio, tu sei responsabile with cherry on top.
“Ma noi non siamo un programma giornalistico“. Bella, ma non è tua. E non ha funzionato nemmeno col primo che l’ha usata. Stai dando una notizia. Se sai che non è vera, si chiama“mentire”. Se sai che non è vera ma lo sa anche la gente che ti sta guardando, si chiama“fiction”.
“Noi abbiamo dato voce alla sofferenza di famiglie e bambini cui nessuno dava ascolto“. E hai fatto una buona cosa, bravo. Poi era tuo dovere spiegare anche che, fuori da quel vortice di emozioni in cui qualsiasi ingenuità è giustificata, la realtà è purtroppo diversa dal mondo perfetto che ci piace immaginare. Nella realtà, decine di migliaia di scienziati e medici lavorano per decine di anni solo per arrivare a identificare correttamente una malattia, e da lì parte un percorso di altre decine di anni per arrivare mettere a punto una strategia di cura che, con un po’ di fortuna, potrebbe concludersi con una cura. Questa è la realtà, Davide Parenti, e fa talmente schifo che non puoi nemmeno metterci le telepromozioni in mezzo.
“Noi abbiamo solo sostenuto la libertà di cura“. Ora ti spiego perché sbagli anche in questo, che a un occhio grillino e/o smaliziato potrebbe sembrare un intento sacrosanto. Ti faccio l’esempio dell’“immunità di gregge”: è il fenomeno per cui i figli di genitori talmente sciroccati da credere che i vaccini causino l’autismo non si ammalano. Non si ammalano perché la maggioranza dei genitori sceglie invece di vaccinare i propri, di figli, facendo in modo che le malattie che abbiamo imparato a domare non si diffondano. Però restano lì, le malattie, a aspettare pazientemente che gli sciroccati diventino maggioranza. “Libertà” resta una bella parola fino a quando non mette a repentaglio l’incolumità altrui: se scegli di non curarti e metti a rischio la salute delle persone che hai attorno io, Stato, ho tutto il diritto e perfino il dovere di dirti “No, col cazzo”.
Ho finito l’elenco, e mi resta questo da dirti: che non c’é nulla di male, ma tanto invece di onorevole nell’andare in onda e dire “Scusate: sappiamo che avete fiducia in noi, ma questa volta abbiamo sbagliato. Potevamo scegliere di fare finta di nulla, o di continuare a battere quel chiodo, e invece abbiamo scelto di dirvi una verità che per noi è scomoda, e cioè che avevamo torto. Sappiamo che, facendo questo, rischiamo che non crediate più a quello che diremo, o che ci crediate un po’ meno, ma dentro di noi speriamo che il fatto di essere stati onesti possa servire a meritare ancora la vostra stima”.
Puoi dire questo, Davide Parenti, e fare qualcosa di davvero rivoluzionario in televisione. Oppure puoi fregartene e continuare a fare una cosa che sappiamo funzionare bene: puoi cominciare non a assomigliare, ma proprio a essere Antonio Ricci e sostenere che le Veline di “Striscia la Notizia“ siano portatrici di un forte messaggio sociale e non stiano invece a sgambettare su quel bancone in quanto – semplicemente, ma legittimamente – due belle fighe.


12.6.13

Olbia Malata di sclerosi multipla, abbandonata dallo Stato

lo  che sono notizie  locali   ed all'ordine del giorno  in uno stato    che non rispetta le persone  e  taglia  ala  c...... per  non toccare  gli inutili  e  arcaici  privilegi  . ma  non riesco a smettere  d'indignarmi  
 dalla nuova  sardegna online  del  12\6\2013 


ARZACHENA. Barbara ha 18 anni, frequenta il liceo artistico di Olbia e da due anni convive con la sclerosi multipla. Al suo fianco la mamma, Anna Rita Demontis e il padre. Una convivenza con la malattia non facile. Un percorso in salita che spesso si scontra con la burocrazia, il sistema sanitario italiano, la freddezza dei numeri. In questi due anni mamma Anna Rita, bidella alla scuola media, ha usufruito dei benefici della legge 104. Per lei il diritto di assentarsi tre giorni al mese dal lavoro per accompagnare la figlia alle visite mediche. L’Inps dopo due anni ha levato questa possibilità alla mamma di Barbara. Secondo la commissione medica superiore che ha visitato la ragazza riconoscendole il 55 per cento di invalidità non ha più diritto al beneficio della legge 104. «Abbiamo scoperto la malattia di Barbara nel 2010 – racconta mamma Anna Rita –. Abbiamo presentato domanda di invalidità all’Inps. Ci è stato spiegato che fino ai 18 anni aveva diritto a un assegno di frequenza e alla legge 104, cioè alla possibilità per un familiare di assentarsi tre giorni al mese dal lavoro per accompagnarla alle visite mediche. Quest’anno ho ripresentato la domanda. Mia figlia è stata visitata prima dalla commissione medica locale che ha confermato purtroppo l’avanzamento della malattia. Barbara ha dei problemi alla vista, alle gambe. Poi dalla commissione medica speciale che ha assegnato a mia figlia una invalidità del 55 per cento e ci ha levato il diritto ai permessi dal lavoro retribuiti. Non le è stata riconosciuta la connotazione di gravità. Ho chiesto spiegazioni all’Inps. Mi hanno risposto che in base ai punteggi loro avevano elaborato quella valutazione».Anna Rita non ne fa una questione di soldi. Chiede solo di poter essere al fianco della figlia tre volte al mese senza rischiare di perdere il posto. «Io e mio marito lavoriamo – aggiunge la donna –. Non ci interessano assegni o contributi. Non è facile stare dietro a tutte le spese ma lo facciamo. L’unica cosa che non paghiamo sono le terapie mensili. Ma non importa. Purtroppo Barbara ha la sclerosi. Combattiamo contro la malattia, ma sappiamo che al momento ci sono solo cure palliative. Non capisco come l’Inps non riconosca la gravità di questa situazione e il diritto di una madre ad accompagnare la figlia alle visite. Già la prossima settimana per cinque giorni non potrò andare al lavoro. Barbara si diploma e ha gli esami. È la conclusione di un percorso non facile. Ma la scuola, i docenti, i compagni del liceo sono stati speciali con mia figlia. A ognuno di loro va il nostro grazie». (se.lu.)

22.1.13

Aggiornamento Infermiere paga il ticket ad una signora indigente: la ASL lo punisce



La vicenda di cui si parla nel titolo e qui nel precedente post oltre   a farmi venire  in mente , per  l'epilogo  che ha  avuto leggi  sotto  ,  questa  famosa  canzone





ha avuto un strascico non proprio felice . Ma mi chiedo te pareva che il potere anzichè ammettere il proprio errori o , ed è questo il caso , un gesto di generosità ti riempisse d'alga ti punisse . ma ora basta perchè due parole sono poche ed una è troppo, lascio che a parlare sia questo articolo di nocensura.com .

C’è un detto siciliano che recita più o meno così: “Faciti beni, ca malu vi veni”, ovvero “fate bene e in cambio riceverete il male”. E’ proprio quello che è successo a Marco Lenzoni (nella foto  a  sinistra  ), infermiere, ma prima ancora filantropo. La sua colpa ?
Essere troppo generoso coi più poveri..Una donna non ha i soldi per pagare le analisi del sangue della figlia: arriva un infermiere, Marco Lenzoni, e senza pensarci due volte, paga per lei il ticket. Accade lo scorso mercoledì al centro prelievi della Asl 1 di Massa. Con la figlia gravemente malata e le analisi prescritte dal medico curante, la signora si era recata al centro di prenotazione Cup senza soldi. Non trattandosi di un nucleo familiare soggetto ad esenzione, però, l’operatore dell’Asl ha comunicato alla madre che le analisi non potevano essere effettuate senza il pagamento immediato del ticket. Ad assistere alla scena un infermiere del centro prelievi. È proprio lui a pagare i 40 euro per le analisi al posto della donna. La storia, una storia bella e brutta allo stesso tempo, potrebbe finire qui. Invece i dirigenti dell’Asl di Massa Carrara intervengono. Vogliono vederci chiaro: forse per capire come aiutare le famiglie in difficoltà? No. L’Asl ha appena deciso di sanzionare l’infermiere. E in una nota spiega perché: “La posizione assunta dall’infermiere nei giorni scorsi discredita in modo subdolo e strumentale l’immagine dell’Azienda, già fortemente lesa dai gravi fatti degli scorsi anni. Per l’uso strumentale dell’accaduto e la grave lesione che ne è conseguita all’immagine dell’Azienda e del Servizio sanitario pubblico, oltre che per le offese personali al Direttore Generale, questa Direzione avvierà i procedimenti disciplinari necessari nei confronti dell’infermiere“.L’infermiere buono ora rischia una multa o una sospensione temporanea. E allora hanno proprio ragione i vecchi siciliani: “Faciti beni, ca malu vi veni”.



emergenza femminicidi non basta una legge che aumenti le pene ma serve una campaga educativa altrimenti è come svuotare il mare con un secchiello

Apro l'email  e tovo  queste  "lettere "   di  alcuni haters  \odiatori  ,  tralasciando  gli  insulti  e le  solite  litanie ...