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27.11.24

In piazza Duomo a Firenze la bottega dei colori che resiste al mangificio., Il negozio di vinili che dice no al Black Friday: «Clienti da tutta la Toscana, il nostro segreto è la roba popolare»

 Corriere della Sera
In piazza Duomo la bottega dei colori che resiste al mangificio


In questi anni hanno visto la città intorno cambiare, gli artigiani chiudere, le botteghe trasformarsi in locali e store internazionali, ma loro sono rimasti fedeli a se stessi: la bottega di Belle Arti Zecchi. Dopo qualche mese di trasferimento in un magazzino a pochi metri di distanza, per consentire i lavori di restauro dell’antico palazzo, di proprietà dell’Opera del Duomo, la bottega è tornata nei locali storici di via dello Studio 19 rosso. 
Oggi come un tempo qui si possono trovare colori, pigmenti, strumenti usati da pittori, artisti, decoratori, artigiani. «Sopravviviamo perché abbiamo prodotti particolari, molto di nicchia, e un marchio nostro che spediamo in tutto il mondo», spiega Sandro Zecchi, che insieme al fratello Massimo porta avanti l’attività di famiglia. «Abbiamo creato un punto di incontro tra tecniche antiche, medievali e rinascimentali e quelle dei nostri giorni».
Nell’edifico aveva sede nel Trecento lo Studio Fiorentino, la prima università di Firenze. 
Era già presente fin da tempi antichi una bottega dei colori, centro di riferimento per artisti e professionisti, dai pittori famosi agli artigiani fiorentini fino ai giovani studenti dell’Accademia di Belle Arti. La presenza di un negozio di colori chiamato «Colorificio Toscano» in questa via risale alla seconda metà dell’800.
Nel 1920 il fiorentino Ugo Ercoli rilevò la bottega d’arte trasformandola in un punto vendita di colori. Adolfo Zecchi, padre degli attuali proprietari, entrò a lavorare nella mesticheria durante la Seconda Guerra Mondiale e dopo pochi anni rilevò l’attività. Negli anni 70 i figli Sandro e Massimo incrementarono la rivendita di colori e materiali per le Belle Arti recuperando le antiche tecniche pittoriche ed artigianali della tradizione fiorentina, guidati dal trattato trecentesco di Cennino Cennini «Il Libro d’Arte». 
Nel corso degli anni Zecchi ha fornito materiali all’Opera House di Sidney, al Paul Getty Museum di Los Angeles, per accademie in Giappone, Stati Uniti, Brasile, Cipro, Israele, per la cappella Brancacci, per la basilica di Assisi ed il Duomo di Firenze. Qui si possono ancora trovare la tempera all’uovo «Cennini» o il preziosissimo Blu Oltremarino di Lapislazzuli, ma anche colori a olio, gli acrilici e le tempere, tele a metraggio e tavolette a gesso, gomme e resine naturali, materiali per doratura, carte a mano e pergamene, cere solide e paste adesive. 
«Da bambini dopo la scuola venivamo qui a curiosare,
 siamo cresciuti in bottega», racconta Sandro. Ricorda la Firenze di allora e vede quella di oggi. «È stata stravolta. Prima nel centro storico c’erano magazzini e grossisti, era un centro distributivo. E c’erano tanti artigiani, che erano la spina dorsale della città. Ora gli artigiani non ci sono più, e i giovani non hanno interesse a continuare i mestieri, che pure potrebbero rendere». Sandro e Massimo per fortuna hanno i due figli a cui poter lasciare l’attività. «Sono in bottega con noi. Poi ci sono i dipendenti: siamo una buona squadra». 

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  non ricordo  la fonte



Il negozio di vinili che dice no al Black Friday: «Clienti da tutta la Toscana, il nostro segreto è la roba popolare»



CECINA. «Nel mio negozio non si fa il Black Friday, sono fuori da queste dinamiche». È contro tendenza Alessio Cruschelli, titolare di Slow Record Shop di Cecina, negozio che vende i vinili e tutto ciò che è collegato a questi oggetti, tornati in voga da una decina d’anni.

Cruschelli, da Slow Record Shop non si trovano le offerte targate Black Friday. Come mai?

«Ho un’area in negozio dedicata al materiale sottocosto, che ha un costo minore rispetto agli altri pezzi per varie ragioni. A livello commerciale capisco il senso del Black Friday, ma lo vedo utile soprattutto online».

Voi vendete anche online i vostri prodotti?

«Abbiamo il sito e i profili Instagram e Facebook, ci si deve muovere con più canali. Ma per noi l’online è solo una parte del negozio, ma non è decisiva».

Gli affari vanno meglio nel negozio fisico quindi.

«Chi entra non trova solo il vinile, ma tutto ciò che riguarda il mondo di questi dischi: giradischi, amplificatori, casse. Il negozio va bene. Abbiamo aperto nel 2013, fino a sette anni fa eravamo in 38 metri quadri, ora siamo in uno spazio che di metri quadri ne ha 235, con un grande open space».

Perché scegliere di venire in negozio e non comprare online?

«In negozio ti puoi interfacciare con una persona, e se hai qualche problema la persona è pronta a risolvertelo. Con i grossi competitor online, questo è impossibile. Chi viene da me e ha un problema con il giradischi, io sono in grado di trovare una soluzione. Però nei negozi fisici c’è un gap al rialzo nei confronti del web, ci sono dei passaggi in più del materiale che si vende. Quindi chi viene qui deve essere disposto a spendere di più che sui siti»

I vostri clienti sono solo cecinesi?

«Con il nuovo negozio vengono da tutta la provincia di Livorno, e anzi, da tutta la Toscana. Non dico da tutta Italia, ma quasi».

Vi siete fatti pubblicità online?

«Online abbiamo sempre fatto poca pubblicità. Si è sempre contato sulla bontà del passaparola. Per me i dischi sono un’opera d’arte, ne ho una visione un po’ naif. E invece in questo mondo (nel mercato, ndr) devi essere uno squalo. Infatti io metto il prezzo dietro la copertina, e in una piccola etichetta, per non sciupare la bellezza del disco. Ma un po’ mi sono dovuto adeguare, ora tengo anche Claudio Villa».

Vendete tutti i tipi di vinili...

«Vendo sia la stampa originale, del periodo di uscita del vinile, che le altre versioni. I grandi classici servono a catalizzare l’attenzione: i Beatles, i Rolling Stones, i Led Zeppelin. Ma vanno tanto anche i più contemporanei: Nirvana, Pearl Jam, Artic Monkeys».

E tra gli italiani?

«Va il cantautorato: Dalla, Battisti, De André, De Gregori, Paolo Conte. La musica super contemporanea invece va meno. Per arrivare fin qui, sono partito da roba popolare e prezzi accessibili».

4.3.24

Franco Dente A Berchidda ha imparato a intrecciare dall’anziano padre. Dopo 41 anni in Germania è tornato nel suo paese, a berchidda , e tiene viva la tradizione

da la  nuova  sardegna  del 2\3\2024 



A Berchidda ha imparato a intrecciare dall’anziano
padre. Dopo 41 anni in Germania è tornato nel suo paese e tiene viva la tradizione


Inviata a Berchidda Le mani esperte si muovono con grazia mentre tessono fili di salice, olivastro, canna. La campagna di Berchidda è la silenziosa quinta naturale che Franco Dente sceglie per creare i suoi cestini. Tradizionali ma con un tocco personale sul manico. Il cinguettio degli uccelli, interrotto solo dall’abbaiare di qualche cane, è la melodia che accompagna il lento movimento dell’intreccio.  Custode di un ritmo antico imparato dal padre, contadino e poeta, Franco mentre intreccia geometrie libera i pensieri negativi nell’aria. Una terapia dell’anima. A 64 anni, dopo 41 da emigrato in Germania, torna nella sua Berchidda e complice il lockdown da Covid, comincia a fare cestini con il padre, allora quasi centenario.I primi lavori sono imperfetti ma intrisi di passione. Li pubblica sul suo profilo Facebook per testare il gradimento dei compaesani. Arrivano i primi like, i complimenti, le richieste di acquisto, gli inviti a proseguire quella attività in estinzione. Franco perfeziona la sua arte, ogni cestino diventa un racconto di emozioni che sanno di Sardegna, di storia, di cose semplici. Ora cerca qualche giovane a cui insegnare questa arte antica. «Non dico che possa essere un vero lavoro, di certo è un hobby piacevole, una tradizione da tenere viva e perché no, con dei bei lavori, qualche soldino si può anche fare».

Dalla Germania a Berchidda: Franco Dente custode dell'arte dei cestini

Franco lascia Berchidda a 24 anni. «Era il 6 gennaio 1981, lo ricordo bene – racconta –. Subito dopo la terza media mi ero messo a lavorare come falegname. Mi piaceva, ma non avevo la possibilità di mettermi in proprio. Allora servivano 50milioni di lire. Non volevo restare dipendente a vita. In Germania c’erano alcuni miei cugini, tramite loro partii e trovai subito lavoro».
Per 12 anni Franco lavora in una fabbrica della zona della Rhur in cui si producevano turbine per centrali nucleari. «Arrivai senza conoscere il tedesco e all’inizio fu difficile. A farmi sentire a casa ci pensava però la bella comunità sarda e il circolo dei sardi. Avevamo anche una squadra di calcio».Il legame con il paese resta sempre forte. Franco torna a trovare i genitori ogni anno. Nel 1993 lascia la fabbrica e compra una gelateria, «un’attività che in Germania funziona benissimo, ancora di più con una gestione italiana – spiega –. L’ho tenuta fino al 2002. Negli ultimi 20 anni ho fatto il rappresentante di prodotti per gelati. Un lavoro che mi permetteva di tornare al paese anche due volte all’anno. Negli ultimi cinque lavoravo a casa, da Berchidda, da ottobre fino a febbraio».Il periodo del Covid Franco lo trascorre nel paese gallurese, insieme al padre quasi centenario. «Il lockdown natalizio del 2021 ci imponeva di non uscire per quattro giorni. Quindi dissi a mio padre: cosa facciamo chiusi a casa per tutto questo tempo? Vado in campagna a prendere un po’ di vimini e mi insegni a fare cestini».La campagna della famiglia Dente è a un chilometro dal paese. «È allora che ho cominciato a intrecciare, con papà. Lui non aveva più tanta forza nelle dita e faceva cestini piccolini. Ma mi ha insegnato come fare il fondo fino ad arrivare al manico» racconta. Una tradizione di famiglia: il nonno materno di Franco e lo zio, erano gli unici artigiani di cestini a Berchidda. «Papà era contadino, aveva cominciato a intrecciare quando era andato in pensione, come passatempo, senza che qualcuno glielo avesse mai insegnato. Anche io ho cominciato così, un po’ guardando lui, un po’ andando a tentativi». Il primo esperimento di cestino fallisce. Franco riprova con un secondo. «Il terzo era venuto abbastanza bene così decisi di pubblicare la foto sul mio profilo Fb. Incredibilmente ricevetti tanti consensi. Da allora è diventato un hobby, una passione che mi aiuta a meditare».


Franco Dente intreccia secondo l’antica tradizione. Utilizza olivastro, salice a volte sbucciato, canna mediterranea, midollino. «A volte uso anche il mirto che dona ai cestini un profumo che dura negli anni. Col tempo ho cercato di migliorarmi e dare una mia impronta personale. Il manico, che per tradizione viene fatto a treccia, io lo faccio a due fili. Lo considero un po’ la mia firma». Un lavoro che richiede pazienza e la giusta dose di forza. Quattro ore il tempo medio per realizzare un cestino. Nessuna bozza su carta. La mente disegna i contorni dell’oggetto che deve creare. Le mani e le dita diventano la naturale continuità del pensiero. «Devo solo sapere se il cestino dovrà essere grande o piccolo, ovale o tondo. Non mi serve nient’altro. Dal materiale che resta faccio portapane e portafrutta».

Creazioni bio 100% e a chilometro zero. «Il materiale lo trovo nella mia campagna – conclude Franco, sui social come Franco cestini artigianali –. Il salice lo prendo al fiume. Per non fare danni alla natura bisogna sapere quando va colto, da ottobre a febbraio. L’olivastro invece anche tutto l’anno. Non ho mirto nel mio terreno, quando mi occorre chiedo il permesso di entrare in qualche campagna. Con la canna bisogna fare grande attenzione. Sa essere tagliente come un rasoio. Piano piano intreccio, serve forza ma anche delicatezza. E nel frattempo i pensieri cattivi volano via e dentro mi resta solo una grande pace».

19.12.22

Da fan a liutaio di fiducia: la passione diventa un lavoro Stefano Mura 36 anni, algherese, realizza le chitarre per le band death metal «I miei idoli sono diventati clienti e sul palco suonano con i miei strumenti»

 

Quando aveva dieci anni e andava alle sue prime lezioni di chitarra, cercando di imitare le band metal che vedeva in televisione all’una di notte, mai avrebbe immaginato che quelli che erano diventati i suoi idoli, un giorno, sarebbero andati nel suo laboratorio di Sassari e avrebbero usato le chitarre create con le sue stesse mani. Stefano Mura, algherese di 36 anni, quando ha iniziato a costruire la sua prima chitarra, non conosceva neppure il termine liutaio. Poi, studiando su libri ordinati dagli Stati Uniti, facendo le prime ricerche su Internet ai tempi della scuola, e infine facendo tantissima pratica, quell’idea folle di costruire chitarre è diventata il suo mestiere, il lavoro di una vita. Il grande passo Stefano lo ha fatto tredici anni fa: per liberare la sua cameretta invasa dagli strumenti musicali degli

amici, da mettere a punto, da riparare o da migliorare, l’apertura di un laboratorio all’inizio di viale Caprera, a pochi passi dal conservatorio di Sassari, è stata una scelta quasi obbligata, con il forte sostegno della sua famiglia. La svolta a Sassari «Ho scelto Sassari perché questa è una città di musicisti straordinari, molti dei quali hanno collaborazioni a livello nazionale con artisti affermati - racconta Stefano, mentre infila le corde in un basso elettrico che ha appena revisionato –. La cosa curiosa, e forse misteriosa, è che i musicisti più importanti che sono diventati miei clienti, sono proprio figure leggendarie del genere musicale che ho sempre amato. Da ragazzino suonavo le cover degli inventori del genere death metal, per esempio gli americani Obituary, e trent’anni dopo il chitarrista, Trevor Peres, è diventato un mio amico e addirittura la Fender che lui suonava nei videoclip che vedevo negli Anni 90, ora è qui nel mio laboratorio: me l’ha regalata l’ultima volta che è venuto a trovarmi. E sul palco ora porta la chitarra che ho costruito per lui e che lui stesso ha scelto di chiamare “black death”». Death metal Stefano, oltre a costruire chitarre classiche, sarde, elettriche, bassi, è un chitarrista straordinario. Specializzato proprio nel death metal, un genere musicale molto duro, che richiede tecnicismi e competenze enormi. Come per il mestiere del liutaio: «È fondamentale aggiornarsi continuamente, sia dal punto di vista tecnico ma anche delle attrezzature – racconta Stefano mentre mostra il corpo di una chitarra che sta realizzando per un celebre chitarrista di origini sarde, Patrick Mameli, fondatore della band olandese Pestilence –. Oggi questa sede, con tutti gli apparecchi elettronici che ho acquistato negli anni, sembra più il laboratorio di uno scienziato, che quello di un liutaio. Ma la liuteria moderna è anche questo, richiede competenze matematiche, fisiche e chimiche. Mai, da ragazzino, quando non amavo tanto studiare la matematica, avrei immaginato che avrei avuto così tanto bisogno di conoscerla, per fare un mestiere all’apparenza artigianale, ma che è estremamente tecnico». L’Alchimede Il laboratorio di Stefano Mura si chiama L’Alchimede, un nome che è diventato anche il suo marchio, nato quando suonava con la sua band, i Pure Assault. Essendo capace di aggiustare tutto in un attimo, dagli strumenti musicali alle attrezzature, uno della band lo aveva soprannominato “Archimede”, che detto in sardo suona “Alchimede”. Nomignolo al quale poi Stefano è rimasto legato. «Attualmente sono l’unico liutaio professionista a realizzare le chitarre sarde, usate per il canto a chiterra. Una l’ho addirittura venduta in Israele – spiega l’artigiano davanti alla prima chitarra sarda da lui realizzata 15 anni fa, praticamente tutta a mano –. Ma ci tengo a precisare che la chitarra sarda altro non è che una chitarra baritonale. In Sardegna furono importante dalla Sicilia negli Anni 60, infatti i decori floreali che molte riportano non hanno nulla di sardo». Stefano Mura nel corso della sua carriera di liutaio ha costruito oltre 60 strumenti, che sono ormai sparsi in tutto il mondo. Ma la sua attività è anche quella delle riparazioni, delle messe a punto, delle regolazioni. Il suo tempo nel laboratorio, quindi, il liutaio algherese lo passa dividendosi tra la progettazione e costruzione dei nuovi strumenti, e il set-up di quelli dei clienti. Un lavoro che lo impegna così tanto che le uniche due settimane di ferie in tredici anni le ha prese la scorsa estate. Musica in pandemia Un altro periodo in cui ha fatto una pausa, ma in questo caso forzata, è stato quello della pandemia. «Sono stati due mesi e mezzo surreali - ricorda Stefano -.Dal punto di vista economico drammatici, ma l’aspetto curioso e forse anche molto positivo, è che tantissimi musicisti che avevano smesso di suonare da tanti anni, durante il lock down hanno rispolverato le vecchie chitarre o i vecchi bassi, ritrovando la passione per la musica. Moltissimi di loro hanno portato da me i loro strumenti perché li rimettessi in ordine. Oggi, molti di questi musicisti stanno suonando così tanto, che sembra stiano cercando di recuperare il tempo perduto». Il laboratorio L’Alchimede di viale Caprera 1N, a Sassari, è un concentrato di tecnologia. Le attrezzature sono all’avanguardia e consentono di fare lavorazioni specifiche e messe a punto per ogni strumento della liuteria. Questo ha comportato grandi investimenti, ma consente a Stefano Mura di garantire qualsiasi tipo di intervento. Non è un caso che il liutaio abbia richieste da ogni parte d’Italia e, ormai, anche del mondo (dalla Georgia agli Stati Uniti, da Israele all’Olanda). Attualmente, l’Alchimede è uno dei soli due laboratori, in Italia, in cui si facciano lavorazioni sul carbonio. La creazione di una chitarra o di un basso può richiedere tempi di lavorazione molto vari, da un minimo di tre mesi per uno strumento elettrico a un massimo di due anni e mezzo, per una chitarra acustica. Tutto dipende dal tipo di lavorazione che si esegue e dal tipo di strumento che si va a costruire. I legni più utilizzati sono l’acero, il mogano, lo ziricote, il padouk, il palissandro, l’ebano, lo zebrano, il cocobolo e l’ontano. Ultimamente i prezzi delle materie prime sono aumentati parecchio e la reperibilità è bassa per via della scarsità di materia prima in generale. I prezzi variano da un minimo per uno strumento elettrico, di circa 1800 euro, a salire per quelli acustici che possono arrivare fino a 6mila euro. Nel laboratorio sono presenti anche amplificatori di altissima qualità che servono al liutaio per fare tutte le prove, ma anche ai suoi stessi clienti per testare il loro nuovo strumento prima di portarlo a casa.

23.2.22

Sul Pollino ho imparato a sopravvivere in Alaska., Petali che curano: il prezioso zafferano., Una vita per il flipper, 50 anni di passione vintage.,



Sul Pollino ho imparato a sopravvivere in Alaska
Ha trionfato in tutto il mondo nelle maratone estreme sui ghiacci.   come  riporta  quest  articolo di http://www.abmreport.it/sport/

TERRANOVA DEL POLLINO - La storia di Pasquale La Rocca è quella di un sognatore, innamorato della montagna, dalla quale è stato "generato", che lo ha portato a trionfare in un ambiente ostile e solitario per la maratona invernale tra le più difficili ed estreme che l'uomo possa affrontare. E' lui il trionfatore della Iditasport, la ultramatarona tra le nevi dell'Alaska, sui sentieri della corsa per cani da slitta più famosa al mondo, la Iditarod. In solitaria per 160 miglia, oltre 257 chilometri, tra neve, ghiaccio e vento giorno e notte, a decine di gradi sotto lo zero, con gli sci ai piedi e trainando una slitta. Una impresa epica che lo sportivo di Terranova del Pollino ha compiuto tra laghi e fiumi ghiacciati, senza fermarsi se non poche ore per riscaldarsi, riposare e alimentarsi in uno dei diversi check-point lungo il percorso. Una gara estrema, dove è sufficiente perdere l’orientamento, avere un piccolo imprevisto (anche piccolissimo) per restare all’agghiaccio e rischiare seriamente la pelle. Scelta dei materiali, dispositivi elettronici per l'orientamento, ma anche alimentazione, gestione delle proprie forze e tanta tanta forza di volontà per arrivare al traguardo da primo assoluto. Una traversata infinita che è il risultato anche di tanto allenamento, una grande preparazione fisica e una determinazione eroica hanno commentato i suoi amici. Lo scorso anno stravinse anche in Svezia la Arctic Winter Race Rovaniemi 150, travalichi di molto l’ambito tecnico sportivo. Ciò che regala a tutto il Pollino l'avventura sportiva di Pasquale La Rocca è che le imprese sono alla portata di tutti, basta crederci, stringere i denti, essere pronti con umiltà a continui sacrifici, lavorare giorno e notte. Una storia che qualcuno già spera sia raccontata, come esempio virtuoso del Sud, ai ragazzi delle scuole.

Il suo segreto? Gli allenamenti sulla montagna dove è cresciuto. E dove ha scelto di restare a lavorare





Petali che curano: il prezioso zafferano
 

Lo si conosce per gli usi alimentari, ora in Abruzzo si sperimentano le sua proprietà antinfiammatorie per le malattie croniche intestinali. Sfruttando gli scarti

 
Una vita per il flipper, 50 anni di passione vintage Due generazioni di artigiani milanesi portano avanti un'impresa che resiste al boom delle console.
E si godono la rinascita di un gioco che conserva il suo fascino 

6.2.22

L'artigiano che produce gli skate per le dita: "I miei fingerboard richiesti in tutto il mondo

I più ricorderanno quando qualche anno fa si potevano acquistare in edicola. E da lì è cominciata la
passione di Giacomo Dionisio, 23enne di Bari, per i fingerboard, le tavole da skate in miniatura. Sì perché anziché le gambe, per provare trick e farle correre si usano le dita. E non è un passatempo ma una vera e propria disciplina: nelle altre regioni d’Italia si organizzano gare e raduni. Giacomo, però, oltre a esercitarsi insistentemente sulle rampe (anche queste su misura), i piccoli skate li produce



 Un vero e proprio lavoro artigianale che porta avanti nel laboratorio di falegnameria allestito a Spazio 13, nel quartiere Libertà: realizza in particolare due pezzi, sia la tavola vera e propria in legno, pure decorata, sia le ruote. E vengono venduti, eccome: le richieste, online, arrivano persino da Usa e Australia. Il prossimo passo per il giovane barese è assemblarli e vendere il set completo, con il truck (la struttura in metallo che unisce ruote e tavole). Attualmente, una tavola artigianale completa arriva a costare anche più di 100 euro. "Non è un hobby, il finger skate apre nuovi orizzonti"

8.12.21

Tra i robot di Mutonia nella comune steampunk ., La realtà aumentata a scuola non è virtuale

  adesso anche l'occidente  ed  il nord   del mondo    si  moltiplicano  le  iniziative  di creazioni   dagli

scarti   e di  riciclo


Vivere riciclando i rifiuti? Trasformare in arte quello che la società chiama scarti? A Mutonia si può. "Qui diamo al rifiuto una seconda vita fino a farlo diventare opera d'arte".






Siamo in Romagna, a pochi passi da Rimini, nella ridente Santarcangelo di Romagna, dove 30 anni fa arrivò la Mutoid Waste company, fondata a Londra nel 1986 e formata da un gruppo di ragazzi che sembravano usciti dalla serie distopica Mad Max. Riciclatori, ma anche artisti ecclettici e autori di fortunati spettacoli itineranti. Dopo il bando imposto dalla Tatcher in Inghilterra parte della compagnia, per sua natura nomade, decise di stabilirsi in Italia. "Riciclare i rifiuti non è soltanto una scelta ecologica, le auto non durano solo tre anni, la nostra è una scelta critica contro la società del consumismo votata al capitale"


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Un mondo fantastico, un giardiniere che coltiva parole, i bambini che apprendono con tutti e cinque i sensi. L'esperienza del teatro immersivo entra per la prima volta a scuola, sbarcando presso l'istituto Comprensivo Largo Dino Buzzanti. Si chiama Project XX1, da un'idea del Team creativo, Silvia Ferrante, Riccardo Brunetti, Anna Maria Avella, Sandra Albanese e con due interpreti, il giardiniere (Dario Biancone) e la bidella (Anna Maria Avella), che hanno portato i piccoli alunni in un'esperienza straordinaria.



6.12.21

Ostuni, l'albero di Natale di 12 metri è fatto all'uncinetto: l'impresa di 50 nonne

Chi lo dice  che  gli alberelli  di natale  debbano essere  solo  quelli  classici  sintetici o naturali  ? 

Ostuni  . 
Un lavoro di comunità nel quale ogni mattonella, ogni colore, ogni trama racconta una storia. Come quella di Nina, settantottenne che ha lavorato come magliaia e ha ripreso in mano ferri e gomitolo per rinascere. 

Filomena, settantenne con la passione per l’uncinetto, che ispirato il progetto. Maria, ex bracciante agricola che a 67 anni si è avvicinata per la prima volta al lavoro a maglia. Con una cinquantina di signore, ma anche giovani, nel centro per anziani Il filo d’Arianna di Ostuni, gestito dall’associazione Le radici del Sud, hanno dato vita a un’impresa: realizzare un albero di Natale all’uncinetto alto 12 metri, nel giro di due mesi. Probabilmente un record almeno italiano. Così da ottobre hanno lavorato incessantemente per riuscirci. “Per forza”, aveva sottolineato Maria. E ora quell’albero è lì, in piazza Italia, dove tutti possono ammirarlo in tutta la sua bellezza, con le sue quattromila mattonelle dai mille colori.

 Oltre ai cittadini di Ostuni, al progetto hanno contribuito donne anche da Vieste, Foggia, Lecce, Bari. “Questo è l’albero della Puglia, non è solo nostro”, dice Michele Conenna, giovane curatore artistico dell’associazione Le radici del Sud e ideatore del progetto. “Ci ricorda anche che gli anziani non devono essere lasciati soli, né a Natale né mai. Sono il nostro tesoro”

28.11.21

Il fabbro-musicista che ama i Beatles e i Rolling Stones «In laboratorio le mie passioni: jam session tra morse e saldatrici»



    da  https://www.unionesarda.it/carta/

Nel cuore della Marina, in via Dettori, spunta il laboratorio di Giovanni Polla, uno degli ultimi fabbri rimasti a Cagliari. Infanzia trascorsa a Laconi sino ai 12 anni, da trent'anni è uno dei volti riconoscibili del rione anche perché è un musicista. Il suo laboratorio è illuminato da una luce fioca, contraddistinto da due archi a mattoni e in pietra, oltre che da un soffitto in legno costituito da tronchi di zinnibiri. Tutto parla del suo mestiere e al suo interno sembra che il tempo si sia fermato: trapani a colonna, ercoline per

piegare i tubi, piegatrici per le lamiere, troncatrici, saldatrici a filo continuo, forgia a propano, pinze, punzonatrici, forbici, taglia tubi, morsetti, soffietti sono alcuni dei macchinari che usa giornalmente per le sue creazioni. «Per me il fabbro non è mai stato solo una professione ma una passione ereditata da mio nonno Efisio che mi regalò il suo martello che ancora conservo, il primo da me usato, un cimelio».
Il lavoro
«Realizzo scale a chiocciola, cancelli, grate, mensole, tettoie, porte, ringhiere, balconi. Mediamente per realizzare un cancello impiego 15 giorni mentre le grandi multinazionali due ma il ferro che io uso è più spesso, circa due millimetri, quindi più resistente. C’è una cura maggiore». Occhiali in volto, ventaglio in pelle per proteggersi dalle scintille della forgia e dai raggi della saldatrice, non manca l’occasione per dare spazio al proprio estro. «Creo anche lampadari con decorazioni naturali, dove si gioca con i dettagli realizzando geometrie perfette. Oppure soli a specchio, pavoncelle per bastoni da tenda, insomma la fantasia non manca». 
 Dalle pinze alla chitarra
Fantasia che riversa nell’altra sua grande passione, la musica. «Suono la chitarra e il basso, sono cresciuto ascoltando Jimmy Hendrix, i Beatles, i Rolling Stones. Tra una pausa e un’altra scrivo canzoni, mi raggiunge qualche amico con cui suono e diamo vita a jam sessions. Negli anni Settanta formai una band chiamata “I Diavoli Rossi” con cui abbiamo girato la Sardegna suonando in vari locali e feste». Marito, padre di due figli e nonno di quattro nipoti, come conciliare i suoi due grandi amori? «Lavorare il ferro e suonare sono due aspetti complementari della mia vita», conclude. «Non c’è differenza: in entrambi i contesti faccio uscire la poesia che ho dentro di me. Non sono né un poeta né voglio essere ritenuto un esempio ma un uomo semplice che affronta la quotidianità con il sorriso».

22.10.21

Le sentinelle dei maremoti che controllano le coste , Gli ultimi maestri d'ascia nella terra di Verga ed altre storie

canzoni consigliate
  • la storia - Francesco de Gregori
  • Viva l'Italia - Francesco de Gregori

aveva ragione il poeta lo so che un termine improprio per definire un cantante , un canta autore in questo caso , nonostante l'origine comune ovvero la letteratura , un poeta . Ma certi versi eccome se fossero poesia . Infatti esso dice un una sua famosa ancora oggi canzone : << [...] E poi la gente, perché è la gente che fa la storia\ Quando si tratta di scegliere e di andare \Te la ritrovi tutta con gli occhi aperti\Che sanno benissimo cosa fare[ ...]>>
Ecco quindi che l'italia ( è ancora sua la seconda canzone della play list d'oggi ) è piena di storie di gente che resiste e lotta , che non s'omologa , cerca di coesistere ed convivere con l'ambiente e non solo . Ecco cosa ho trovato questa settimana in giro per la rete


Le sentinelle dei maremoti che controllano le coste
A Capo Teulada si raccolgono 24 ore al giorno i dati sul livello del mare: è la prima delle 6 nuove stazioni di monitoraggio allestite per prevenire il rischio di tsunami
                                        di Ilenia Mura

Il primo mareografo d'Italia è stato installato nel porticciolo di un paese del sud Sardegna, a Teulada, e reso operativo dall'Ispra a supporto operativo della Protezione civile nell'ambito della Rete di sorveglianza operativa, parte fondamentale del sistema di allertamento nazionale per i maremoti generati da sisma (Siam), di cui fa parte anche l'Ingv.


Grazie a questa postazione (la prima di altre sei stazioni presto operative in alte Regioni) si è riusciti a monitorare il terremoto avvenuto il 18 marzo 2021 al largo dell'Algeria che ha causato un'onda anomala che avrebbe potuto provocare gravi danni alle strutture e mettere in pericolo la vita di chi, in quel momento, si trovava nelle acque coinvolte dal sisma. La nuova stazione di capo Teulada segna l'avvio della nuova rete di osservazione del livello del mare nel Mediterraneo







Gli ultimi maestri d'ascia nella terra di Verga
Salvatore Rodolico ha 84 anni: insieme a suo figlio Giovanni costruisce ancora le barche da pesca in legno. Un’antica tradizione che Acitrezza non vuole perdere
                               di Salvo Catalano


Da cinque generazioni la famiglia Rodolico costruisce barche. Maestri d'ascia sin dall'800, oggi a conservare la tradizione sono Salvatore (84 anni) e il figlio Giovanni. Fino agli anni '90 si trattava di pescherecci grandi diverse decine di metri. Oggi il mercato è cambiato e il lavoro scarseggia. Qualche anno fa anche il Comune si è messo di traverso con un verbale da 25mila euro. Ma quando tutto sembrava destinato a fallire, è arrivato l'aiuto di alcuni artisti. Alice Valenti è una di queste e l'ultimo suo progetto a supporto dei Rodolico è una linea di abiti a tema.



Nella riserva dei lupi che non sanno cacciare Dopo lunghe convalescenze, gli animali non possono tornare in natura: a Entracque c'è un centro faunistico che si prende cura di loro di Francesco Doglio


Ad Entracque, in valle Gesso, si trova uno tra i pochissimi posti in Europa dove si può vedere da vicino ll lupo e dove si può conoscere meglio questo animale, spesso mitizzato, quasi estinto a fine '800, ma che dagli anni '90 ha iniziato a ricolonizzare le Alpi italane. Il Centro "Uomini e Lupi" nasce all'interno del Parco Naturale Alpi Marittime proprio con l'intento di dare tutte quelle informazioni e quegli strumenti al visitatore perché si possa formare un'opinione supportata da fatti e scienza sul grande predatore, e abbia maggiore consapevolezza sulla possibilità di un equilibrio tra attività umane e la sua presenza nelle valli.

Il centro, visitabile da chiunque, è diviso in due sezioni. Ad Entracque, in centro paese, c'è un percorso "culturale" dove, attraverso storie e istallazioni, si racconta di come il lupo sia una presenza costante nella cultura alpina e di come è stato raccontato nel tempo. La seconda parte, che abbiamo vistitato insieme al direttore del Parco, è invece un grande recinto faunistico dove vivono alcuni lupi che, vittime di traumi o incidenti, non possono più, per legge, essere rilasciati in natura.

15.4.21

forme poetiche di resistenza a questa società che va troppo di fretta !! le creazioni di Marta Nadile



dall'amica https://www.facebook.com/giulia.acerba


In un angolo splendido e nascosto di Genova, c'è una donna splendida che con le sue mani crea delle meraviglie!
Vi consiglio di visitare il suo laboratorio perché è veramente una delle forme più poetiche di resistenza a questa società che va troppo di fretta!!!



 

 

 

 

 

 

poiché fab non me lo fa incorporare lo trovate qui  https://www.facebook.com/lagiuggiola.genova/videos/5293876070683627   ma  trovate  sora  a destra  una  siua  crerazione  estrapolata  dal video in  questione

25.10.17

riflessioni sull cambio d'orario da legale a solare ed Adrian Rodriguez Cozzani Artista, artigiano e un po’ filosofo: l’ultimo costruttore di clessidre







In sottofondo 
"Un altro giorno è andato - Francesco Guccini 


Dovrei lasciare perdere  , ma non ne posso più   di  stare zitto  o mandare  a  fncl  , chji i dice  perch+ metto   la musica  nei miei  post  .Ecco la risposta  : <<. Senza la musica che lo accompagna il tempo è solo sfilza di scadenze e date entro cui vsanno pagate le bollette . >>   Frank Vincent Zappa ( 1940 –1993)

Un ultima  precisazione    primsa  d'iniziare  : il post   d'oggi  èdeliberamente  tratto ed  rielaborato   da  http://www.topolino.it/archivio-post/topo-3231/


  Adesso  andiamo ad iniziae   .

Mi piacerebbe che il tempo scorresse lento come la polvere nella clessidra - che poi è sempre lo stesso tempo ma lì, osservandolo, sembra andare alla velocità giusta, nella clessidra il tempo sembra prendersi... il giusto tempo  - e invece, siamo già incredibilmente arrivati al "cambio dell'ora": il 29 ottobre infatti si torna a quella solare e se fossimo animaletti ci meriteremmo tutti di andare in letargo e risvegliarci a  primavera

Invece, è solo un bel sogno  ! Però, pensate, come sarebbe diverso se potessimo fermare il tempo come facciamo quando stoppiamo la sabbia nella clessidra: magari come  quelle create da   di  Adrian Rodriguez Cozzani,  (  vedere il video  e  l'url   sotto    riortastro )  io per esempio, in questo momento vorrei congelare gli attimi per godermi con l'attenzione e l'intensità che si merita la lettura, anzi la rilettura   delle fantastiche alcune solo per i disegni della colana le storie di Sergio bonelli editore Poi cercherei anche di far ruotare vorticosamente la mia clessidra personale all'indietro, per tornare al momento anecedente    ad alcune mie azioni  sconsiderarte  Ricordo i  racconti    dei nonni  niti a quelli   dei genitori   - erano densi di emozioni e mi è davvero spiaciuto di non essere stata lì con loro .....








La notte tra sabato 28 e domenica 29 ottobre ricordate di portare le lancette dell'orolagio indietro di un'ora !




da la  stampa  del 30\9\2017 
Artista, artigiano e un po’ filosofo: l’ultimo costruttore di clessidre
Roma, l’argentino che fuggì dalla dittatura: “Regalo l’illusione di possedere il tempo”






FEDERICO TADDIA

ROMA
«A volte le giro tutte insieme, per il piacere di trovarmi silenziosamente immerso in una cascata di polvere che mi accompagna dall’istante passato all’istante successivo: è il tempo che scorre, che corre, che diventa visibile e tangibile».
Ampolle in vetro che si distinguono in secondi e minuti; sabbie raccolte, lavate e setacciate con dedizione per scivolare senza intoppi; gocce di cera d’api colate con delicatezza per difendersi dall’umidità mantenendo inalterati sofisticati equilibri e millimetriche simmetrie.
Arte, artigianato e filosofia: per Adrian Rodriguez Cozzani la clessidra è la sintesi perfetta di tutto questo, come testimonia nella sua bottega nel cuore di Trastevere. L’ultimo costruttore di orologi a sabbia è un argentino di 70 anni, dallo sguardo penetrante e la battuta mai banale, arrivato a Roma nel 1977 in fuga dalla dittatura con in tasca freschi studi di architettura. «Dopo qualche anno trascorso lavorando tra Italia e Venezuela ho messo in pratica un detto che spesso ripeteva la mia nonna, originaria di Parma: «Meglio avere la testa di topo che una coda di leone». Così ho scelto di seguire l’istinto e la passione, abbandonando il posto sicuro per dedicarmi al mio hobby: i misuratori di tempo. Orologi solari e meridiane prima, clessidre ad acqua e a polvere poi: ho aperto un mio spazio, negozio e laboratorio, che è cresciuto con me, giorno dopo giorno, granello dopo granello: questo luogo è la rappresentazione di me stesso, io sono questo». Piccole, da un paio di minuti appena, o grandi, immense, fino a due ore. E in mezzo le misure standard, compresa quella da 50 minuti pensata per gli psicologi. Disegni classici, in legno e ferro, riproduzioni ispirate a modelli storici dalle linee sobrie e minimaliste. Un migliaio di pezzi all’anno, costruiti con cura e anima. A cui si aggiungono le clessidre artistiche, come quella racchiusa in una rete di corde per trasmettere l’impressione di poter ingabbiare il tempo, o quella a tre ampolle, per misurare contemporaneamente intervalli totali e parziali.
«Le più complicate sono quelle personalizzate: di recente una signora sarda, come memoria di una storia d’amore, ne ha chiesta una con microsfere di diversi colori, che dovevano passare da un’ampolla all’altra ma senza mai mischiarsi. Qualche mese fa ne hanno ordinata una di sabbia nera, completamente piena: inutilizzabile, ma bellissima da guardare. Anche se la più originale e, paradossalmente, quella di più difficile realizzazione, rimane la clessidra da un secondo: una richiesta apparentemente assurda, ma tutti i desideri vanno rispettati. E anche un orologio che fotografa il battito di un attimo ha il suo fascino e la sua dignità». Coni di carta con cui rabboccare le sfere, il tocco del vetro con le dita, secco ma delicato, per far accomodare al meglio ogni particella, la misurazione fatta con un vecchio orologio a pile per calcolare le quantità, la verifica e la controverifica che tutto funzioni al meglio con la consapevolezza che non esiste la misurazione esatta, perché come in una continua partita di Tetris le particelle di sabbia cercano il giusto incastro, che può portare a rallentamenti o accelerazioni della discesa. O, raramente, a fermare la clessidra. «Se è stata costruita con attenzione e buoni materiali è un evento davvero sporadico, ma non impossibile: fa parte del gioco, va messo in conto». Lo dice con sapiente rassegnazione Adrian, diventato involontariamente una piccola star in Cina, Giappone, Russia e Stati Uniti, grazie a programmi televisivi che hanno raccontato la sua storia, portando settimanalmente turisti, cartina alla mano, a perdersi per i vicoli alla ricerca del «Maradona delle clessidre».
E insieme a loro collezionisti e artisti, scenografi e registi, curiosi o i vicini di quartiere che buttano dentro il naso per prendere ispirazione, dar forma a qualche visione o regalarsi una parentesi di ossigeno in una sorta di bolla impermeabile alla frenesia e allo stress della metropoli. «E’ vero, ora c’è molto più interessamento per la clessidra, e credo che aumenterà sempre di più: è uno strumento che ti dà la sensazione di possedere il tempo. Puoi girarla, stopparla, farla ripartire. A differenza di tutte le tecnologie digitali che ci accompagnano e che continuamente ci spiattellano in faccia il passare dei minuti, qui hai un controllo. L’unico vero capitale che ha l’uomo è il tempo: con la clessidra scorre più lento. Te lo fa godere. Assaporare. Respirare. Sì, te lo fa vivere».
ed ecco alcune  sue  opere   altre ne  trovate   qui sulla sua pagina facebook o sul suo    sito www.polvereditempo.com






la suia bottega situata a via del moro 59 a Roma  06 588 0704




concludo   con una  foto  presa con il cellulare  tratta  dalla  sua intervista rilasciata  a topolino     , da cui ho preso  l'editoriale  
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1.8.13

GLI ANTICHI MESTIERI Palleddu Calaresu, il signore delle lame L’artigiano che nella sua fucina di Pozzomaggiore crea “resolzas” di pregio, seguendo i dettami della tradizione


la  news  sulla  nuova  d'ieri





la mostra
La resolza di Pattada Se lavorare il ferro diventa arte raffinata Presentata la biennale del coltello Tra le iniziative collaterali S'Iscola de su trabagliu in programma da domani a domenica

di Fabio Canessa 
ALGHERO Presentare una mostra di coltelli in un aeroporto, luogo dove giustamente è massima l’attenzione alla sicurezza, può apparire strano. Ma quei coltelli non sono semplici utensili e possibili armi, sono opere d’arte. Gioielli che hanno reso un piccolo paese della Sardegna - Pattada - famoso nel mondo. 



Così lo scalo di Alghero, una delle porte dell’isola, diventa la prima vetrina per sa resolza, il coltello a serramanico che da strumento indispensabile della vita quotidiana del mondo agro-pastorale è diventato un oggetto simbolo dell’abilità dei fabbri (frailalzos) nella lavorazione delle lame e nella finitura sui manici. Ieri, nell’ufficio turistico dell’area arrivi dell'aeroporto di Alghero, è stata presentata la X edizione della biennale "Frailalzos patadesos" che vede protagonista il rinnovato Museo del coltello e del ferro battuto di Pattada, visitabile fino al 22 settembre.La manifestazione sul coltello, «diventato oggetto di culto, gioiello realizzato da artigiani baciati dagli dei che racchiude la forza di una comunità» come ha sottolineato il sindaco Mario Deiosso, si allarga all'arte del ferro battuto.
  In contemporanea sono infatti in corso altre tre esposizioni dal sapore etnografico che permettono ai visitatori di comprendere meglio la vita quotidiana del passato: “Su fraile e frades Ogana”, antica bottega tipica di fabbri e maniscalchi pattadesi dove, come cristallizzate nel tempo, possono essere osservate le antiche lavorazioni manuali relative al ferro, rendendo appieno l'attività e la figura del fabbro ferraio; “Triulende cascias”,preziosi costumi tradizionali, tutti rigorosamente d'epoca, fatti riemerge rovistando nelle antiche cassapanche delle case del paese; “Ruinzu e puppuine”, esposizione etnografica che fa rivivere un'antica dimora raccontando la vita e il lavoro del mondo agro-pastorale di tanti anni fa. «Offriamo uno spaccato autentico - ha evidenziato l'assessore di Pattada Filippo Corveddu - Non turismo di plastica con cose artificiali, ma ciò che noi siamo». Numerose e varie le iniziative le manifestazioni correlate tra cui spicca dall’1 al 4 agosto, la seconda edizione de S'Iscola de su trabagliu (La scuola del lavoro, illustrata durante la conferenza ad Alghero da Maria Antonietta Mongiu, presidente dall'associazione culturale Lamas. Quest'anno i tema portante sarà il lavoro delle donne.

mi ha  riportato  alla mente  questa storia  non ricordo la fonte se la nuova o l'unione  di fine luglio  

Gli uomini e le idee di paolo pillonca


POZZOMAGGIORE Reduce acclamato della rassegna regionale dei coltelli di luglio a Dorgali, promossa da un altro grande, Tonino Spanu, in memoria di suo figlio Gianfranco e appena smessi i panni dell'organizzatore della mostra delle "resolzas" nel suo paese, Paolo Calaresu noto Palleddu –
poche parole, a voce bassa – accetta di rispondere alle domande più attuali sull’arte dei coltellinai e dice la sua sulle polemiche che accendono la categoria a proposito di concorrenze sleali. Lui è al di sopra delle invidie non solo per l'età -classe 1942- ma per virtù riconosciuta anche dall’interno. «Di fronte a lui, io sono un apprendista – dice ad esempio Antonio Zara, valoroso creatore di resolzas a Thiesi –. Il mio maestro è Paolo Calaresu». Palleddu aveva 13 anni la prima volta che si è avvicinato al ferro. «Terminata la prima avviamento, sa veridade la scuola non mi piaceva e mio padre mi ha portato qui, a su fraile – inizia a raccontare –. Facevo pìtìghes, pinze per il fuoco, attrezzi per il caminetto, tutte quelle cosettine. D'inverno mio padre era impegnato in altri lavori e ai coltelli si dedicava soltanto d'estate». A quindici anni, nel 1957, Palleddu realizza il suo primo coltello. «Quando ho iniziato, non ero sicuro di portarlo a termine. Nelle difficoltà chiedevo a mio padre: e-i como, e adesso cosa faccio? Lui mi rispondeva: ammenta su chi t'apo nadu, ricordati di quello che ti ho detto. Così, pensa e ripensa ci sono riuscito. Quando l'ho finito ero proprio contento perché avevo gustato in pieno il piacere del fare». Quanto tempo puoi avere impiegato?

Lo ricordi? «Tre-quattro giorni. Intendiamoci, non di seguito: a intervalli. Altri lavori invece a quell'età li facevo bene quanto i fabbri adulti». Per esempio? «La ferratura dei buoi. Con mio padre ci mettevamo insieme sullo stesso animale, lui per gli zoccoli anteriori, io per i posteriori. Ferravo anche i cavalli». La tua prima ferratura, invece? «Ho iniziato con l'asino, prima gli ho costruito i ferri adatti ai suoi zoccoli e poi l'ho calzato. Nelle ferrature ci vuole attenzione, con il martello soprattutto. Il martello del maniscalco all'estremità anteriore ha il ferro, in quella posteriore il legno. Il chiodo deve essere introdotto con colpi dell'estremità lignea: tramite il legno capisci se il chiodo sta entrando nello zoccolo nella maniera giusta». Se picchi con il ferro non riesci a capire? «No, il legno ti dà la situazione esatta del percorso del chiodo». Quando hai fatto il primo tuo coltello, com'era il mercato delle resolzas? «In quel periodo, i coltelli non erano rifiniti come oggi, sa resolza doveva tagliare e basta. Ai pastori che mi chiedevano lumi (si mi nde faghes una ite cheres, cosa vuoi per un coltello?), rispondevo: un'anzone mi das, mi darai un agnello". Uno scambio alla pari? «Sì, con i pastori di pecore un agnello, con i porcari un maialetto. Quanti coltelli ho fatto! Guadagnavo qualcosa per conto mio, la pedagogia del lavoro nella fucina di babbo era questa: si nde cheres ti nde trabaglias, se ne vuoi te ne lavori». Di quale tempo parliamo? «Del periodo tra gli anni Cinquanta e i primi Sessanta». Veniamo alla manualità nella creazione delle resolzas. Superata la prova del fuoco della prima, cosa ti è successo? «Man mano che andavo avanti, i coltelli venivano fuori sempre meglio. Nella crescita, non per vantarmi, ha contato molto la mia tenacia. Quando ho un intento lo perseguo fino a raggiungerlo». In fretta, possibilmente? «No. La fretta non è mai una buona consigliera». Non si vive di soli coltelli: nell'apprendistato quali altri sentieri hai percorso? «Facevamo ringhiere, cancelli, zappe e altri attrezzi di campagna. Il ferro battuto l'ho lavorato soprattutto per richieste esterne». Testiere di letto? «L'ultima l'ho fatta per mia figlia e ora mia moglie ne reclama una per lei». Torniamo ai coltelli. Nei tuoi primi anni quale importanza avevano nel bilancio della fucina? «Minima, quasi trascurabile». Quando è nata la richiesta del coltello su larga scala? «"Negli anni Ottanta ho iniziato a vedere qualche soldo». Questa è la storia di uno di noi, nato in tempo di guerra.


Anche i poeti dialettali cantano la sua arte
Una grande manualità riconosciutagli persino dall’artista del ferro Roberto Ziranu di Orani







POZZOMAGGIORE «La prima volta che ho esposto nella penisola ho avuto una targa come migliore espositore. Dopo quella mostra sono iniziate le richieste. Anche adesso, nonostante l
a crisi, qualcosa la faccio sempre. Sono stato invitato all'estero, perfino negli Stati Uniti, ma non ci sono andato», narra il “faber'”Paolo Calaresu. Per lui non vale il detto secondo cui nessuno è profeta in patria. Il più noto tra i poeti di Pozzomaggiore – Antonio Maria Pinna – già nel 2004 l'aveva sistemato stabilmente sul podio dei suoi personaggi prediletti con due ottave inframmezzate da distici a rima baciata. La prima strofa è una celebrazione in piena regola: "A Palleddu li riet sa fadiga/ cand'intendet s'incùdine tinninde/: che fiza in manos si l''idet naschinde/ sa resolza chi leat ata e liga./ Istat oras e oras pista e friga/ finas chi l''essit che sole lughinde./ S'ispijat in sa lama e un'isteddu/ rilughet in sos ojos de Palleddu" (A Palleddu la fatica sorride/ quando sente l'incudine squillare:/ la vede nascere tra le sue mani come una figlia,/ sa resolza che prende filo e lega./ Sta per ore e ore a pestare e sfregare/ fino a quando non la vede brillare come il sole./ Si specchia nella lama e una stella/ brilla negli occhi di Palleddu). «Adesso esistono le levigatrici, il bello era nel passato anche recente: prima di tutto dovevi forgiare con il martello per limare il meno possibile nella rifinitura terminale – racconta ancora Calaresu –. Ma c'è chi, proprio grazie alle nuove tecnologie, prende tutte le scorciatoie possibili e senza aver mai visto una fucina di fabbro si avventura a produrre coltelli». Osserva Paolo Calaresu: «Forgiare una lama non è facile, occorre un tirocinio lungo nella fucina di un fabbro. Proprio di un faber ferrarius, che tratta il ferro, come diceva Plauto, il famoso commediografo latino di oltre duemila anni fa. Per risparmiare tempo, alcuni pezzi in ferro si possono acquistare già finiti. Io li faccio da me, tutti. Non ne ho mai comprato uno. Ho fatto un tripode per il caminetto, pezzo per pezzo, anche quelli facilmente reperibili sul mercato». Ma oggi per fare un coltello, di quanto tempo ha bisogno? «Facendo tutto a mano come faccio io non è vero che ci si riesce in un giorno. Io impiego dalle 16 alle 20 ore. Certo, se si comprano le lame già pronte ci si può riuscire in una giornata, altrimenti ci vuole il tempo che ti ho detto». A volte neppure essere fabbri è sufficiente.

 La conferma viene da un'eccellenza assoluta e riconosciuta come Roberto Ziranu, ex-enfant prodige di Orani con officina a Nuoro, figlio, nipote e pronipote di fabbri straordinari. autore di vere e proprie creazioni artistiche in materia di ringhiere, cancelli e letti e capace di dar vita a foglie e vele di navi ferree entrambe, mani virtuose: «Per fare coltelli ci vuole arte: non basta la manualità, occorre anche l'anima – premette Roberto –. Io non ne faccio, l'ho sempre detto: se ne facessi mi sentirei uno che di punto in bianco si avventura in campi sconosciuti. Non ho la specializzazione e resto fuori dalla mischia. Occorrerebbe tornare a una concorrenza sana, finalmente», auspica Roberto Ziranu. La concorrenza sleale secondo Palleddu «è destinata a non durare». Come sarebbe giusto.

emergenza femminicidi non basta una legge che aumenti le pene ma serve una campaga educativa altrimenti è come svuotare il mare con un secchiello

Apro l'email  e tovo  queste  "lettere "   di  alcuni haters  \odiatori  ,  tralasciando  gli  insulti  e le  solite  litanie ...