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22.10.21

Le sentinelle dei maremoti che controllano le coste , Gli ultimi maestri d'ascia nella terra di Verga ed altre storie

canzoni consigliate
  • la storia - Francesco de Gregori
  • Viva l'Italia - Francesco de Gregori

aveva ragione il poeta lo so che un termine improprio per definire un cantante , un canta autore in questo caso , nonostante l'origine comune ovvero la letteratura , un poeta . Ma certi versi eccome se fossero poesia . Infatti esso dice un una sua famosa ancora oggi canzone : << [...] E poi la gente, perché è la gente che fa la storia\ Quando si tratta di scegliere e di andare \Te la ritrovi tutta con gli occhi aperti\Che sanno benissimo cosa fare[ ...]>>
Ecco quindi che l'italia ( è ancora sua la seconda canzone della play list d'oggi ) è piena di storie di gente che resiste e lotta , che non s'omologa , cerca di coesistere ed convivere con l'ambiente e non solo . Ecco cosa ho trovato questa settimana in giro per la rete


Le sentinelle dei maremoti che controllano le coste
A Capo Teulada si raccolgono 24 ore al giorno i dati sul livello del mare: è la prima delle 6 nuove stazioni di monitoraggio allestite per prevenire il rischio di tsunami
                                        di Ilenia Mura

Il primo mareografo d'Italia è stato installato nel porticciolo di un paese del sud Sardegna, a Teulada, e reso operativo dall'Ispra a supporto operativo della Protezione civile nell'ambito della Rete di sorveglianza operativa, parte fondamentale del sistema di allertamento nazionale per i maremoti generati da sisma (Siam), di cui fa parte anche l'Ingv.


Grazie a questa postazione (la prima di altre sei stazioni presto operative in alte Regioni) si è riusciti a monitorare il terremoto avvenuto il 18 marzo 2021 al largo dell'Algeria che ha causato un'onda anomala che avrebbe potuto provocare gravi danni alle strutture e mettere in pericolo la vita di chi, in quel momento, si trovava nelle acque coinvolte dal sisma. La nuova stazione di capo Teulada segna l'avvio della nuova rete di osservazione del livello del mare nel Mediterraneo







Gli ultimi maestri d'ascia nella terra di Verga
Salvatore Rodolico ha 84 anni: insieme a suo figlio Giovanni costruisce ancora le barche da pesca in legno. Un’antica tradizione che Acitrezza non vuole perdere
                               di Salvo Catalano


Da cinque generazioni la famiglia Rodolico costruisce barche. Maestri d'ascia sin dall'800, oggi a conservare la tradizione sono Salvatore (84 anni) e il figlio Giovanni. Fino agli anni '90 si trattava di pescherecci grandi diverse decine di metri. Oggi il mercato è cambiato e il lavoro scarseggia. Qualche anno fa anche il Comune si è messo di traverso con un verbale da 25mila euro. Ma quando tutto sembrava destinato a fallire, è arrivato l'aiuto di alcuni artisti. Alice Valenti è una di queste e l'ultimo suo progetto a supporto dei Rodolico è una linea di abiti a tema.



Nella riserva dei lupi che non sanno cacciare Dopo lunghe convalescenze, gli animali non possono tornare in natura: a Entracque c'è un centro faunistico che si prende cura di loro di Francesco Doglio


Ad Entracque, in valle Gesso, si trova uno tra i pochissimi posti in Europa dove si può vedere da vicino ll lupo e dove si può conoscere meglio questo animale, spesso mitizzato, quasi estinto a fine '800, ma che dagli anni '90 ha iniziato a ricolonizzare le Alpi italane. Il Centro "Uomini e Lupi" nasce all'interno del Parco Naturale Alpi Marittime proprio con l'intento di dare tutte quelle informazioni e quegli strumenti al visitatore perché si possa formare un'opinione supportata da fatti e scienza sul grande predatore, e abbia maggiore consapevolezza sulla possibilità di un equilibrio tra attività umane e la sua presenza nelle valli.

Il centro, visitabile da chiunque, è diviso in due sezioni. Ad Entracque, in centro paese, c'è un percorso "culturale" dove, attraverso storie e istallazioni, si racconta di come il lupo sia una presenza costante nella cultura alpina e di come è stato raccontato nel tempo. La seconda parte, che abbiamo vistitato insieme al direttore del Parco, è invece un grande recinto faunistico dove vivono alcuni lupi che, vittime di traumi o incidenti, non possono più, per legge, essere rilasciati in natura.

14.7.14

Navajo e speculazione la doppia minaccia al mito Grand Canyon Progetti per una teleferica e un centro commerciale Il direttore del parco lancia l’allarme: addio panorama

  La  repubblica  del  12.7.2014

PER SAPERNE DI PIÙ
www.nps.org
www.nytimes.com

NEW YORK.
La minaccia è duplice:da una parte gli indiani Navajo,dall’altra un gruppo immobiliare (sostenuto da una finanziaria italiana).Oggetto del contendere una delle sette meraviglie del mondo (naturale), una
delle mete turistiche più affascinanti,emozionanti e battute al mondo:  il Grand Canyon. «È la più grave minaccia della storia», urla (un po’ retoricamente) dalle pagine del Los Angeles Times Dave beruaga, il sovrintendente del Grand Canyon National Park. Dal Mohave Point, il punto di osservazione sul bordo Sud del parco, lì dove ogni giorno si accalcano turisti di ogni risma e paese, in un prossimo futuro si potrebbe in effetti vedere (al posto della meravigliosa vista che si allunga tra le rocce fino al fiume Colorado) uno sciame di costruzioni.
Alberghi, ristoranti e negozi uno in fila all’altro lungo la “mesa”,l’altopiano che porta alla riserva
Navajo. Oppure una moderna teleferica che trasporti i turisti dal basso in alto e viceversa.I progetti su cui è stato lanciato l’allarme sono due, non collegati tra loro né come idea né finanziariamente.
La teleferica nasce dall'immaginazione dei moderni pellerossa di una delle più famose tribù di “nativi americani” (il termine politicamente corretto con cui vengono oggi chiamati gli indiani dei western). La “Grand Canyon Escalade” dovrebbe portare i turisti (sono cinque milioni all’anno) -che oggi si limitano in stragrande maggioranza ai posti di osservazione — fino alla base del Canyon,  facilitando una discesa (e soprattutto una risalita) attualmente possibili solo a piedi o a dorso di mulo. 
A chi li critica i Navajo rispondono portando l’esempio della tribù rivale degli Hualapai, sulla cui terra (nellaparte occidentale del Grand Canyon) è stato costruito un popolare “skywalk” (il sentiero con  vetrate a strapiombo) e che dal 2007 offrono ai turisti un tour in elicottero per atterrare nella loro riserva. Con la teleferica c’è un po’ di differenza, ma l’argomento  non manca di una certa ragione.


Il secondo progetto vede invece protagonista lo Stilo Development Group, una società di costruzioni
(fa capo al Gruppo Percassi di Bergamo) con sedi in Italia e negli Stati Uniti. Che prevede la costruzione di 2.200 abitazioni e circa 300mila metri quadrati di spazi commerciali nel piccolo villaggio di Tusayan (Arizona),una comunità di 558 anime (censimento del 2010), la cui grande fortuna è quella di essere stato costruito proprio all’ingresso sud del Grand Canyon. Tom De Paolo e i suoi partner della Stilo sono più di vent’anni (per l’esattezza dal 1991, quando iniziarono a comprare in modo meticoloso i terreni privati vicino alla Kaibab National Forest) che provano a costruire all’interno del Grand Canyon. Bloccati per due decenni, a causa delle scarse fonti idriche della zona, adesso stanno per vincere la loro battaglia.
Ecco spiegato l’allarme di Dave Uberuaga. I due possibili eventi,messi assieme, rischiano di alterare
il celebre panorama e di mettere in pericolo il fragilissimo ecosistema di una delle meraviglie
del mondo: il tutto mentre la zona sta attraversando la peggior siccità degli ultimi cento anni.


  in sintesi 

1   LA TELEFERICA
Gli indiani Navajo vogliono costruire una teleferica cheporti i turisti su e giù dal canyon, un
percorso duro,soprattutto in salita, che si può fare solo a piedi o a dorso di mulo
2 IL VILLAGGIO
Una società con sedi in Italia e Usa vuole costruire all’ingresso del canyon 2.200 nuove abitazioni
ma soprattutto spazi commerciali per 300 mila metriquadrati
3 L’ALLARME
Per Dave Uberuaga, il sovrintendente del Grand Canyon, i due progetti assieme rischiano di snaturare il panorama e mettere in pericolo  l’ecosistema


18.8.12

Montana, l' ultima guerra... degli indiani Piedi Neri contro le major del petrolio


a gli altri capi tribù    ascoltate  la  voce  di ancora resiste parafrasi del ritonello di questa  canzone





proprio  leggo l'articolo  di    repubblica  del 17\08\2012  che  trovate  sotto  oltre  a questa  foto che avevo come sfondo   in un vecchio desktop


mi  è  ritornata  in mente  questa  canzone




Ma  ora basta  girare  la  frittata  ed  andiamo all'articolo


Il Glacier National Park, ai confini tra il Montana e il Canada, era la terra dei «Blackfoot», gli indiani Piedi Neri, una delle più famose tribù di native americans. Regione di montagne scoscese, dozzine di laghi, centinaia di animali diversi e mille piante, dove gli eredi di quelli che erano considerati «i più grandi cavallerizzi dell' intera prateria» vivono ancora oggi, sfruttando come possono una delle più belle riserve indiane d' America. Una natura spettacolare, meta degli amanti del trekking che prenotano con mesi di anticipo gli chalet del primo Novecento.
 Terra di grande bellezza e ricco sottosuolo in cui, a mille e passa metri di profondità, si nascondono vene di petrolio. I leader della tribù hanno deciso che è il momento di sfruttare quella ricchezza, dando il via libera alle prime trivellazioni. Una decisione sofferta che ha spaccato i «Piedi Neri» in due fazioni opposte: i pragmatici, che vedono nel nuovo business un modo per assicurare un futuro più decente alle proprie famiglie, gli idealisti, scandalizzati da quei macchinari prontia violare una terra sacra dove vivono gli spiriti di guerrieri indomabili. Una piccola guerra scoppiata lo scorso aprile, quando un gruppo di membri della tribù diedero vita a un evento chiamato «la nostra terra, il nostro futuro», in cui Jack Gladstone, il più famoso cantautore dei Blackfoot lanciò «Fossil Fuel Sinner» (combustibile peccatore), diventato ben presto l' inno della protesta. Diatriba che il New York Times ha rilanciato come news nazionale. Due punti di vista opposti, ognuno con le proprie ragioni. Un boom del petrolio sarebbe una manna finanziaria per una tribù che, come tutti gli indiani d' America, soffre una secolare povertà ed è sempre alla disperata ricerca di NATIVI A destra, un indiano dei Piedi Neri. A sinistra, trivellazioni in Montana nuovi lavori. Gli oppositori, oltre alla violazione della terra sacra, sostengono invece che le trivellazioni rischiano di rovinare l' habitat, con gravi conseguenze sul turismo locale (fonte di guadagni per i membri della tribù). La terra dei piedi neri un tempo era grande come l' intero Montana (l' equivalente della Germania) ed oggi è ridotta a 6mila chilometri quadrati. Ci vivono in 10mila, eredi di quelli che un tempo erano cacciatori, predatori e guerrieri. Chi si oppone alle trivellazioni sottolinea come i Blackfoot siano, tra gli indiani d' America, una delle tribù che meglio si è adattata ai moderni Stati Uniti e che può continuare a vivere tranquillamente senza petrolio. Chi le vuole rinfaccia agli idealisti mancanza di coraggio e di senso della realtà: «per noi il petrolio può essere quello che per altri indiani sono stati i casinò». Sulle case da gioco è in atto un' altra battaglia intertribale, centinaia di miglia più a sud, nelle colline della Sierra Nevada in California. Lì gli indiani Maidu hanno finalmente ottenuto dal governo federale la possibilità di aprire un casinò fuori dalla riserva, ma la potente United Auburn Indian Community, (diverse tribù, compresi altri Maidu), proprietaria del resort «Thunder Valley» - hotel da 300 stanze, anfiteatro e campo da golf, decine di tavoli e 2700 slot machine - e un guadagno annuale di 30mila dollari per ogni membro della comunità si sta opponendo con tutte le forze. E il governatore della California, per ora, ha congelato il progetto.


                         ALBERTO FLORES D' ARCAIS NEW YORK.


      per chi volesse   sotto  trova  degli      approfondimenti    sui tale popolazione 

I Piedi Neri

A cura di Sergio Mura
Tra i moltissimi libri che vi proponiamo qui su Farwest.it, questo è uno di quelli imperdibili. Il suo valore supera largamente il ristretto ambito – i Piedi Neri – a cui è dedicato. In esso, infatti, nel descrivere in maniera impagabile la vita e la storia dei Black Feet, l’autore finisce per regalarci dettagli che valgono per quasi tutti i popoli delle grandi pianure del Nord America e di cui, in Italiano, è difficile trovare notizie parimenti preziose.
Il libro, dicevo, è dedicato ai Piedi Neri, un’autentica potenza militare delle pianure del nord-ovest americano ai tempi storici del bisonte e della sua cultura. Questo libro si rivela una vera e propria miniera di informazioni sulle grandi battaglie tribali tra i Piedi Neri e i loro vicini-nemici, gli Shoshoni, i Flathead e i Kutenai.
Attraverso una grande ricchezza di dettagli ed una prosa semplice (un grande merito va riconosciuto ai traduttori) riusciamo a conoscere moltissimo dei Piegan, dei Blood e dei Siksika, ossia le componenti della nazione dei Piedi Neri. Leggi il resto



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