da www.repubblica.it/cronaca del 16\6\2021
Era del mio vicino. Vi parlo di lui perché le autorità ascoltino pastori ed esperti.
Uno è morto sul lavoro. Gli sono stati fatali la notte, la solitudine e il suo coraggio. Aveva sette anni e Uno era il suo nome. Lavorava in team con altri due pastori maremmani (Due e Serse), custodi di un gregge nella montagna di Piacenza, che è grande, selvatica e abbastanza sconosciuta, come quasi tutto l'Appennino. L'Italia, della lunga spina dorsale che la regge, la nutre e la irriga con l'acqua di cento fiumi, sa veramente molto poco.
Uno, Due e Serse nel pomeriggio avevano messo in fuga tre lupi, a pochi metri dalla fattoria e dal gregge. Tre contro tre, un combattimento breve e dall'esito quasi scontato, l'etica territoriale del cane lo rende, a parità di peso e di numero, praticamente invincibile, se poi deve proteggere il suo gregge le forze raddoppiano. Il lupo rinfodera le zanne, ammaina il pelo ispido sul groppone, abbassa la coda e si allontana, lasciando il campo al suo fratello domesticato, che l'uomo ha trasformato in cane più o meno trentamila anni fa, e torna alla macchia. Ma quei tre lupi sono rimasti nei dintorni, affamati. Di notte Uno ne ha avvertito la presenza. È riuscito a uscire dal recinto, forse da una porta chiusa male, e non è più tornato. Il suo destino era già nel suo nome: uno contro tre, anche se il cane è forte e combattivo, è una partita persa. Le ossa spolpate di Uno saranno in qualche forra, o nel greto di un torrente. La cornacchia grigia le avrà ripulite con cura. La natura non è un pranzo di gala. Racconto questa piccola storia perché conosco bene Uno, Due e Serse, e il loro capobranco umano. Sono miei vicini di casa. E perché ogni occasione per parlare dell'Italia non urbana, quella agricola e quella selvatica (la pastorizia è una sintesi mirabile delle due condizioni), della sua sontuosa bellezza, dei suoi problemi, del suo enorme potenziale e della sua fragilità strutturale, può aiutare la politica, che vive in città, a capirla un poco meglio, o almeno a ricordarsi che esiste. I lupi, in Italia, sono ormai molte migliaia, grazie a un lungo e prezioso lavoro di protezione che ha visto lavorare fianco a fianco, per decenni, istituzioni e volontari, Parchi e naturalisti, scienziati e sottosegretari. Salvare il lupo e rimetterlo al suo posto (in cima alla catena alimentare europea, come l'orso e la lince) è stata, anche, una scelta politica. Meritoria. Confortante. Chi crede nelle regole della natura è sempre felice di riscoprirla intatta, o almeno meno lesa di quanto crediamo. Ma fratello lupo è un predatore. Lo è per ruolo, perché così funziona la natura, una catena di sopraffazione che risplende di vita e anche di morte: se vi fa paura la morte, state lontani dalla natura. Lasciatela perdere, non è per voi. Caprioli e cinghiali, in Italia, ormai sono tantissimi, floride specie, proteine in enorme quantità. Ma sono proteine veloci. Scappano. Meno faticoso, per i branchi di lupi, e ancora di più per i lupi solitari, vecchi corsari ormai fuori allenamento, predare capre, pecore, vitelli. Tacchini, galline, oche. E mangiare i cani. Per i cani alla catena, usanza barbarica che ancora sopravvive nell'Italia rurale, la fine è certa: sono un pasto immobilizzato. Rimane solo la catena. Ma anche altri cani, parecchi, sono finiti male, nella montagna di Piacenza e immagino anche altrove. La notte li si tiene ben chiusi, i cani. È in corso un censimento nazionale dei lupi. Secondo me, a spanne, e a giudicare dal grande numero di branchi nella sola provincia di Piacenza, sono molte migliaia. E il lupo dietro casa, anzi ormai davanti a casa, quando cominciano a sparire i cani, gli asini, i puledri, produce reazioni abbastanza primordiali. Reazioni incattivite ("bisogna farli fuori tutti") che sono antiche come l'uomo, poco incline a lasciar vivere quello che non gli serve, quello che lo disturba. Nessuna notizia di aggressioni del lupo all'uomo, è un animale antropofobo, la nostra puzza gli fa orrore. Ma il cane, sapete, è in molte case una persona di famiglia, e saperlo scannato dal lupo non induce a riflessioni ragionevoli sul grande cerchio della vita. Poi c'è l'opposto estremismo: il lupo non si tocca. C'è un animalismo (non tutto, per fortuna) che non ha capito bene come funzione la natura. Diciamo, anzi, che tende a prescindere dalla natura. "Limitazione del numero" è un concetto inconcepibile, da quelle parti. Anche se provi a spiegare che i grandi predatori, quando in eccesso, sono un elemento di squilibrio: anche per loro stessi. La specie si indebolisce. Dunque bisogna, prima che il lupo diventi una star mediatica per qualche fattaccio, come l'orso del Trentino, che le autorità facciano un passo avanti. I Parchi, le Regioni, il ministero dell'Agricoltura. Serve un Piano Lupo, e serve presto, anzi prestissimo. Noi che viviamo quassù, nei tanti quassù italiani, siamo un avamposto. Ci stanno portando la fibra ottica, abbiamo tutti il Pc e lo smartphone, siamo gente informata e cittadini attivi, mica rudi villici. E anche i pastori, dovreste sentirli parlare, i pastori italiani, giovani e con lo smartphone in tasca, per capire che sono un'avanguardia. Date ascolto alle avanguardie, vedono in anticipo quello che sta arrivando. Non sono un lupologo, ma i lupologhi esistono, e sono bravi, e al Ministero li conoscono. Fateli lavorare, chiedete consiglio, date informazioni e cultura naturalistica a chi vive in mezzo ai lupi, si tratta di milioni di italiani. Tra di loro, Uno non era un accessorio, era un valoroso cane ed è morto sul lavoro, e come lui tanti altri, anche l'asino di Pier, a pochi chilometri, che era un bravissimo asino. Prima che i media facciano un titolo sulla "emergenza lupo", aiutate gli uomini e i lupi a convivere.