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20.9.17

Parlare o non Parlare di stupro e di femminicido ? si ma bene non in modo sessista e strumentale


  • https://it.wikipedia.org/wiki/Processo_per_stupro film del 1979 diretto da Loredana Dordi Fu il primo documentario su un processo per stupro mandato in onda dalla RAI. Ebbe una vastissima eco nell'opinione pubblica relativamente al dibattito sulla legge contro la violenza sessuale.
  • https://it.wikipedia.org/wiki/Il_branco_(film_1994)  è un film del 1994, diretto da Marco Risi, tratto dall'omonimo romanzo di Andrea Carraro che ha partecipato alla sceneggiatura, presentato in concorso alla 51ª Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia.
  • https://www.youtube.com/watch?v=zzh7FmmNDAM
    monologo sul suo stupro di Franca Rame uno dei monologhi più drammatici chje ho sentiti.



Come  da  titolomi  chiedo Parlare  o non Parlare di stupro e di  femminicido ? Secondo un  mia  amica fb , intervengto che ha  ispirato il mio post    domanda  e  risposta

Rosa Di Carlo
16 hVorrei che fosse chiaro a tutti, visto che abbocchiamo con enorme facilità, che gli stupri non sono affatto aumentati, e nemmeno le denunce. Solo che i media hanno strumentalizzato la cosa per creare allarmismo, quindi destare attenzione, quindi vendere o indurre il telespettatore a seguire tg e programmi che trattano l'argomento in questione.
Ciclicamente c'è sempre qualche evento atto a creare psicosi collettive, in quanto il sensazionalismo è l'arma vincente del giornalismo. C'è tutta una regia per catturare l'attenzione del fruitore, che viene indirizzato a sentire e pensare ciò che è stato deciso a priori. Statisticamente gli stupri sono addirittura diminuiti rispetto agli anni precedenti; solo che adesso se ne parla in continuazione.

c'è  , come non biasimala  , c'è   un terrorismo  mediatico  in ambito  a questo  triste  e doloroso   , e  per  giunta  , come dicevo dal titolo  se  ne parla male   e in maiera  strumentale  i e  maschilista  . Infatti   sempre  rosa  dice  che  






Rosa Di Carlo Non se ne parla nel modo giusto : comunque si punta l'attenzione sullo stupratore per strumentalizzare la cosa, e quando si parla di donne dobbiamo assistere agli squallidi consigli del maschilismo più becero di alcuni giornali e esponenti politici.

ecco una interessnte discussione   all'interno   del post  di Rosa  

Giovanni Platania
Giovanni Platania
Oggi è più difficile "fare notizia". Quando ero un giovanissimo fotoreporter bastava un incidente con più di un ferito, col morto ce n'era d'avanzo. Fai bene Rosa a sottolineare la nostra condizione di fruitori di un'informazione pilotata, perché ci siamo abituati; mettiamo a riposo il senso critico e percepiamo una realtà fittizia. Comunque, pur essendo vero che violenze e stupri sono diminuiti, è interessante che se ne parli e che se ne cerchino le ragioni con un'attenzione maggiore di quella del passato.


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Gestire

Rosa Di Carlo Bravissimo, ma non se ne parla nel modo giusto, però. Sono addirittura offensivi per le donne i vari vademecum di giornali di bassa lega, come non mi aspettavo fosse IL MESSAGGERO.

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1
3 hModificato


Giovanni Platania Si faceva un cambio d'iniziale per il Messaggero.... F al posto di M...
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Marco Leonardi pur essendo d'accordo con voi e soprattutto aborrendo in ogni caso l'idea che delle circostanze invitanti possano dare il diritto ad un uomo di compiere violenza su una donna, ho notato a volte cose che ho ritenuto quanto meno pericolose; ad esempio lungo le strade romagnole delle discoteche, tra le 3 e le 4 del mattino, mentre io passavo di li per lavoro, incorciavo delle ragazzine molto poco vestite che facevano autostop. Ebbe ne avevano pienamente diritto, però coglievo anche un esporsi al pericolo di brutti incontri. In questo senso anch'io sostengo che dovrebbero stare un pochino più attente, visto che in giro ci sono troppi maschi incivili e violenti. Almeno finchè quest'ultimi non vengano spazzati via dalla società.


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Evi Caldarola Quegli ovvi inviti alla prudenza hanno un valore generale, valgono per uomini e donne. Ma i decaloghi antistupro come quello del Messaggero non solo non servono a nessuno ma sono un contributo ad una cultura sessista ed indirettamente proprio alla cultura dello stupro.
Cerco di spiegare perché lo penso.
La giornalista parla apertamente di "delirio di onnipotenza" delle donne che "credono di poterfar tutto", e come messaggio discriminatorio mi sembra significativo.
Inoltre il suo decalogo è sotteso da un'idea di come effettivamente avvengano gli stupri lontana dalla realtà.
O meglio, i giornalisti e la maggior parte delle persone immagina lo stupratore sconosciuto per strada di notte con bella ragazza discinta.
Ma gli aggressori estranei, e in genere senza allegra donnina discinta, sono pochissimi, sono quelli che hanno probabilità di essere innalzati agli onori delle cronache.
La gran parte invece avviene in ben altri contesti, tra conoscenti e in situazioni che la vittima ritiene sicure.
Sono quelli che compongono in larga misura l'enorme sommerso mai denunciato


 fenomeno   che  crea problemi a chi lo ha  subito  

20/09/2017

“Io, stuprata dal mio fidanzato non riesco più a innamorarmi”Il dramma di Marianna: “Avevo 22 anni, mi fidavo di quel ragazzo. Ho ricominciato a vivere quando ne ho parlato con le mie amiche”



Manifestanti in corteo  per manifestare contro la violenza  e per i diritti delle donne
Manifestanti in corteo per manifestare contro la violenza e per i diritti delle donne
                                           

 


                                            




LINDA LAURA SABBADINI





ROMA
È difficile per una donna parlare di violenze subite, soprattutto se stupri. Marianna mi ha chiesto di farlo, vuole parlarne perchè la sua esperienza possa aiutare altre donne. Marianna ha subito uno stupro dal suo fidanzato. Aveva 22 anni, era felice, solare come tante ragazze della sua età. Studiava all’Università, amava molto l’architettura.  
Conosce un ragazzo, si fida di lui, comincia una storia d’amore, almeno così lei credeva. All’inizio tutto sembra andare per il meglio, ma con il passar del tempo la situazione peggiora. «Non voleva che mi vestissi con le gonne corte. Poi mi vietava di frequentare alcuni amici». Tu sei mia diceva. La storia degenera un giorno, quando Marianna si rifiuta di avere un rapporto sessuale, e con sua terribile sorpresa viene stuprata dal suo fidanzato. Una esperienza dolorosissima. «Non sono riuscita a reagire in quel momento. E non potete capire quanta rabbia ho ancora dentro per questo. Ero senza forze, senza energie. E dopo non volevo parlarne con nessuno». Qualche giorno dopo succede di nuovo. E allora, completamente svuotata, distrutta, riesce a trovare la forza di scappare dai suoi fratelli.  


La fuga  
«Ma non me la sentivo di denunciarlo, troppo doloroso raccontare, troppo pesante spiegare tutto,dimostrare che non ero consenziente». Chiede ai fratelli di tenere lontano il fidanzato, «Lo lascio per telefono, lui urla, strepita, piange, si dispera, ma io non accetto l’ultimo appuntamento e dopo pochi giorni me ne vado distrutta in un’altra città, ospite di una mia lontana parente, per evitare di incontrarlo. Ma non ero più la stessa». Violata nel profondo,violata nell’anima, nel cuore, violata nella più profonda intimità. Si sentiva annullata. «L’ansia mi assaliva continuamente, pianti disperati, incubi la notte, l’insonnia, la nausea permanente, la rabbia dentro di me, i tremori , avevo paura di tutto e poi, non mi fidavo più di nessuno. Sembra non ti interessi più nulla della vita... Tu sei il nulla». Lei, con un carattere sempre aperto al mondo, si rinchiude in se stessa, diventa timorosa, fragile. Non si apre con nessuno, chiusa nel suo guscio. «Volevo dimenticare. All’inizio pensavo che fosse la cosa migliore, ma più stavo in silenzio, più stavo male, il silenzio mi isolava dagli altri. Ho incontrato anche ragazzi carini, gentili, ma non riuscivo più a fidarmi di loro. E ancora non riesco a innamorarmi. Ho paura». A un certo punto decide di tornare nella sua città, si sentiva troppo sola, e di raccontare tutto alle sue amiche con cui non aveva più avuto contatti.  
La rinascita  
«E’ stato l’inizio della mia rinascita. Trovare loro così vicine, così comprensive, così piene di complicità e di umanità, è stata la cosa più bella della mia vita. Mi ha dato tanta forza per ricominciare. Loro mi hanno convinto ad andare da una psicologa, con loro ho cominciato a rivivere momenti spensierati, anche se lo stupro ti lascia un segno indelebile di morte nel cuore». La vicinanza di altre donne è fondamentale dopo uno stupro. Ridà la forza di vivere quando tutto sembra finito, Per questo i Centri antiviolenza tengono molto a questo aspetto. Marianna non ha denunciato il suo ex fidanzato. «Non ce l’ho fatta, mi sono risparmiata il doloroso iter delle denunce, delle pressioni che una donna subisce anche dalla famiglia per ritirarle, dei processi. Lo so, così il mio fidanzato non è stato né denunciato, né condannato. Ma non potevo soffrire ulteriormente». E mi racconta di Adele, che lei ha conosciuto dalla psicologa ed è diventata sua amica: «Quando si è recata al commissariato del suo paese per denunciare gli stupri ripetuti di suo marito non è stato facile per lei. La sua famiglia la pressava per non denunciare, per rimettersi insieme a lui. L’appuntato le chiedeva se era proprio sicura di quello che diceva, che in fondo era il marito. Adele si sentiva sola contro tutti. E il processo… i dettagli, le domande indiscrete, gli ammiccamenti… le pressioni a ritirare la denuncia... un vero incubo. Ecco perché io non ho denunciato. Perché si riaprono continuamente le tue gravi ferite. Nessuno può capire realmente quanto tu possa soffrire».  
Parlare, parlarne, in continuazione, fra donne, con gli uomini, tanto con i figli e con le figlie, senza paure, senza vergogna, parlare anche se non e’ toccato a te, né alla tua famiglia, ma ad una che non conosci. Tessere una rete di solidarietà femminile, di valori condivisi, di stigmatizzazione sociale inappellabile, di ogni per quanto piccolo atto di sopraffazione del bimbo sulla bimba, del ragazzo sulla ragazza, dell’uomo sulla donna. Dai piccoli atti di prevaricazione, di non rispetto dell’altra, quelli su cui in genere si soprassiede germina e si ramifica la subcultura della pretesa superiorità maschile, e della donna come sua proprietà, quella che porta molti ad oltrepassare la soglia della violenza, e alcuni dello stupro. Su questo terreno siamo indietro uomini e donne, ed è ora che a partire dalle donne il nostro sguardo esprima con chiarezza la nostra collera. Marianna e le donne colpite ce lo chiedono. 


ma anche difficoltà a parlarne   sopratutto  in un processo  , ecco perchè  molte donne  non lo  denunciano 


Marta Serafini
10 settembre alle ore 23:27 ·




Tina Lagostena Bassi, 1978, Processo per stupro
"Presidente, Giudici, credo che innanzitutto io debba spiegare una cosa: perché noi donne siamo presenti a questo processo Per donne intendo prima di tutto Fiorella, poi le compagne presenti in aula, ed io, che sono qui prima di tutto come donna e poi come avvocato. Che significa questa nostra presenza? Ecco, noi chiediamo giustizia. Non vi chiediamo una condanna severa, pesante, esemplare, non c’interessa la condanna. Noi vogliamo che in questa aula ci sia resa giustizia, ed è una cosa diversa. […] Vi assicuro, questo è l’ennesimo processo che io faccio, ed è come al solito la solita difesa che io sento: vi diranno gli imputati, svolgeranno quella difesa che a grandi linee già abbiamo capito. Io mi auguro di avere la forza di sentirli, non sempre ce l’ho, lo confesso, la forza di sentirli, e di non dovermi vergognare, come donna e come avvocato, per la toga che tutti insieme portiamo. Perché la difesa è sacra, ed inviolabile, è vero. Ma nessuno di noi avvocati—e qui parlo come avvocato—si sognerebbe d’impostare una difesa per rapina come s’imposta un processo per violenza carnale. Nessuno degli avvocati direbbe nel caso di quattro rapinatori che con la violenza entrano in una gioielleria e portano via le gioie, i beni patrimoniali da difendere, ebbene nessun avvocato si sognerebbe di cominciare la difesa, che comincia attraverso i primi suggerimenti dati agli imputati, di dire ai rapinatori «Vabbè, dite che però il gioielliere ha un passato poco chiaro, dite che il gioielliere in fondo ha ricettato, ha commesso reati di ricettazione, dite che il gioielliere è un usuraio, che specula, che guadagna, che evade le tasse!» Ecco, nessuno si sognerebbe di fare una difesa di questo genere, infangando la parte lesa soltanto. […] Ed allora io mi chiedo, perché se invece che quattro oggetti d’oro, l’oggetto del reato è una donna in carne ed ossa, perché ci si permette di fare un processo alla ragazza? E questa è una prassi costante: il processo alla donna. La vera imputata è la donna. E scusatemi la franchezza, se si fa così, è solidarietà maschilista, perché solo se la donna viene trasformata in un’imputata, solo così si ottiene che non si facciano denunce per violenza carnale. Io non voglio parlare di Fiorella, secondo me è umiliare venire qui a dire «non è una puttana». Una donna ha il diritto di essere quello che vuole, senza bisogno di difensori. Io non sono il difensore della donna Fiorella. Io sono l’accusatore di un certo modo di fare processi per violenza.”
Via Cecilia Dalla Negra



Esse   sono  violentate  due volte. La prima da uomini che definere tali è già troppo, in quanto sono il peggio che l'umanità abbia creato. La seconda dall'ignoranza, dal  il maschilismo ,dalla stupidità .Ecco  perchè dico  che  bisogna   parlarne  


2.6.13

La compagna



Hanno già scritto e detto tanto su di lei, ma io Franca Rame voglio ricordarla innanzi tutto con questa fotografia: giovane, sexyssima, d'una sensualità schietta e aperta. Bionda e solare. Giustamente esibita, perché non era una colpa, men che meno un peccato, come pure qualche miserabile le ha rinfacciato in questi giorni. Era una donna a tutto tondo, nelle sue infinite declinazioni. Ma era, soprattutto, una compagna. Cum-panis, cioè colei che divideva volentieri il pane con chiunque le sembrasse averne bisogno. A partire dal compagno per eccellenza, quel Dario Fo che lei stessa corteggiò per prima, dopo le prove in teatro. Lui si vergognava ad accettare l'invito: "Non ho un soldo". Ma lei: "Mi fa piacere, adoro nutrire randagi, gatti abbandonati e disoccupati affamati".
Non era un vezzo aristocratico, il suo. Lo sappiamo bene. Franca Rame ha fatto della sua arte una battaglia, una coralità. A fianco di mille lotte, in mezzo ai disoccupati, ai cassintegrati, agli operai, a favore della pace e del disarmo (si dimise da senatrice dell'Idv nel 2008 in polemica contro il rifinanziamento delle missioni militari). E delle donne, naturalmente. Sempre, e pagando in prima persona.
E va bene. Lo stupro. Basterebbe questo monologo a rendere immortale Franca. Lo scempio, dell'anima prima che del corpo, da lei subito nel 1973 per mano di fascisti con la complicità di carabinieri collusi, ha racchiuso in sé tutta la mostruosità di un odio inveterato, primordiale, per il genere femminile da parte del maschio selvaggio e ferito. Ferito nel suo frainteso senso dell'onore e del potere. Era più che ucciderla, lo stupro. Era una relegazione al silenzio, all'accartocciamento su sé stessa. Non avrebbe dovuto più parlare. Tornare mera forma, senza sostanza. Rendersi invisibile con la sua presenza disarmata e dolente. E invece no. Franca ne uscì con la parola vomitata, urlata e susurrata. Ne uscì da compagna, cioè davanti al suo pubblico. Con un titolo che non lasciava alcuno spazio all'immaginazione. Lo stupro era solo quello. Nient'altro. La sua psicoanalisi fu la platea, la coralità. Ancora una volta. Insieme. Cum-panis. In questo caso il pane del dolore, l'offerta del dolore. Sacrificio, sì, se per sacrificio s'intende non un'immolazione volontaria in nome di qualche divinità crudele, ma racconto del proprio travaglio. Il sacrificio di Franca è stato testimoniare la sopravvivenza, la strada da proseguire "oltre" e "dopo", non lo scatto finale di una vita. Franca ha saputo superarsi. Ha attraversato l'annullamento e ha vinto, ancor più bella e forte di prima.
Compagna politicamente, senza dubbio. Una storia a sinistra, si direbbe, volendo essere un po' volgari. Una scelta orgogliosamente di parte, la sua, e anche, talora, orgogliosamente sbagliata - frequentazioni, personaggi -. Ma, del resto, anche una scelta inclusiva e universale, volendo Franca comprendere tutti quegli emarginati, abbandonati ecc. cui alludeva durante il suo primo incontro con Dario.
Ma ecco, appunto, di là da tutti i meriti artistici, da quell'impasto d'arte e vita di cui lei fu probabilmente l'ultima interprete, è proprio il suo essere moglie che, forse, è stato poco sottolineato. Comprensibile, da un verso, per tutte le ambiguità che comporta. La donna come eterna seconda, la donna che trova significato solo nel e col marito. Ma noi affronteremo questo rischio, perché Franca la vedevamo originaria: compagna, anche in questo. La compagna dell'uomo nel giardino dell'Eden, non seconda, ma "a fianco" (letteralmente: "quella che sta di fronte"). Del tutto logico pertanto che Franca "la laica" concludesse il suo viaggio terreno scrivendo un altro monologo, su Dio, anzi su Eva, anzi su Eva-Dio: "Siamo nel paradiso terrestre. Dio è alle prese con la creazione del primo essere umano. Che non è uomo ma donna. La modella con argilla fine e delicata. Adamo verrà dopo, per tenerle compagnia. Ed Eva, che subito lo adocchia, si esibisce per lui in una danza selvatica...". E ancora: "Dio sicuramente c'è ed è comunista. Ma non è solo comunista, è anche femmina".
Qui il "cum-panis" è diventato l'uomo, in una Creazione rovesciata. Ma solo all'apparenza. Perché nella compagnia, nell'essere di fronte, non esiste gerarchia. Non esiste un primo e un gregario. Tutti siamo pari nella diversità.
Ma la prima compagnia di Franca è stata Dario, e viceversa. E' stata feconda e si è moltiplicata, quella coppia divisa e unita, turbolenta sempre (molti gli abbandoni, tra cui uno ancora una volta dichiarato in pubblico, e i ricongiungimenti). Non è stato un narcisismo a due. La vita di Franca (e di Dario) sarebbe stata una grande vita anche da sola, ma così, a fianco, anzi di fronte a lui, ha generato milioni di figli, una prole immensa, di arte, di esperienza, di battaglie.
Al termine, Franca ha ricordato che Dio è innanzi tutto Altro. Quell'Altro cercato fin dall'inizio, nel povero, nel diverso, nella donna, in una visione dell'umanità senza pregiudizio, razzismo, violenza (in questo senso "Dio è femmina e comunista", cioè a dire comunità). Quell'Altro ritrovato al funerale: rito senza chiesa perché chiesa originaria: che non era tempio ma assemblea, dove si spezzava il pane (cum panis) assieme. La chiesa dei primordi era costituita solo da individui, non da edifici, non da preti, non da simboli. Empirismo eretico? Forse. Franca era senza dubbio un'eretica (eresia=scelta). E, come tutte le eretiche ed eretici veri, interpella, disturba, scuote la nostra ortodossia.
Il Dio di Franca è stato laico, cioè del popolo. E' stato presente quanto meno lo si è invocato, o nominato in quel modo strano, balbettante e fuori sede. E' stato un Dio compagno che la compagna ha cercato con buona, indefessa volontà. Questa ricerca solitaria e all'unisono, questa continua tensione verso qualcosa che resti, è già traguardo.

emergenza femminicidi non basta una legge che aumenti le pene ma serve una campaga educativa altrimenti è come svuotare il mare con un secchiello

Apro l'email  e tovo  queste  "lettere "   di  alcuni haters  \odiatori  ,  tralasciando  gli  insulti  e le  solite  litanie ...