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8.1.16

“Sì” a via Nencioni, la doppia intitolazione batte la burocrazia La strada di Fucecchio porterà il nome di Nedo, sopravvissuto a Mauthausen e del padre Giuseppe che morì nel lager: il 27 l’inaugurazione. Il Comune strappa l’ok due anni dopo la prima istanza bocciata dalla Prefettura perché erano trascorsi meno di 10 anni dalla morte



quando la storia e la memoria batte la burocrazia MEMORIA

“Sì” a via Nencioni, la doppia intitolazione batte la burocrazia

Fucecchio: la memoria di Nedo Nencioni è nascosta da quella brutta plastica nera dei sacchi della spazzatura. A 70 anni dalla fine della guerra quest'uomo speciale non avrà una strada a suo nome.

 finalmente  dopo  una tenace  battaglia    vedi articolo     sopra si è  arrivati   all'epilogo della vicenda 
  da   http://iltirreno.gelocal.it/empoli/cronaca/  del  8\1\2016 

La strada di Fucecchio porterà il nome di Nedo, sopravvissuto a Mauthausen e del padre Giuseppe che morì nel lager: il 27 l’inaugurazione. Il Comune strappa l’ok due anni dopo la prima istanza bocciata dalla Prefettura perché erano trascorsi meno di 10 anni dalla morte
di Marco Sabia
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FUCECCHIO. Nedo Nencioni, l'ex deportato a Mauthausen e morto nel 2012, avrà finalmente la “sua” strada nel Comune di Fucecchio. L'amministrazione fucecchiese, infatti, ha ottenuto il nulla osta da parte della prefettura di Firenze, che ha accettato la proposta di intitolare la via (in zona Samo) a Nedo e Giuseppe Nencioni, il padre del superstite che morì di stenti nel campo di Ebensee-Mauthausen, pochi giorni prima che la guerra - almeno in Europa - finisse.

Il                                 cartello con il fazzoletto dell’Aned, a destra Nedo Nencioni

Quella dell'intitolazione della strada è una storia che ha avuto un percorso a dir poco travagliato, visto che fu l'ex sindaco Claudio Toni - a inizio 2014 - a proporre di intitolare una strada al "guardiano della memoria " Nencioni: cartello che fu fisicamente installato in piazza Boncristiani a Fucecchio, coperto con un sacco nero nell'attesa che la prefettura desse l'ok per l'intitolazione della strada. Un ok che, tuttavia, non arrivò, perché non erano passati i dieci anni necessari dalla scomparsa, fattore a cui si deroga soltanto se si tratta di un personaggio di caratura nazionale, come successo - ad esempio - con Aldo Moro e Enzo Biagi.
L’allora prefetto Varratta quindi respinse il progetto fucecchiese ma l'amministrazione non si arrese: grazie anche alla collaborazione dell'Aned (con una corposa documentazione) nell'autunno 2015 fu inoltrata una seconda proposta alla prefettura fiorentina, con l'opzione dell'intitolazione congiunta padre-figlio per bypassare il vincolo dei dieci anni dalla morte. Toni, nel frattempo, in merito al diniego della prefettura aveva parlato di «burocrazia che uccide i sentimenti». Nell’attesa di un parere positivo della prefettura l'amministrazione - insieme all'Aned - affisse il fazzoletto dell'associazione deportati sul cartello. Nedo Nencioni, che era nato a Livorno, aveva, per tutta la sua "seconda vita", raccontato nelle scuole dell'Empolese Valdelsa gli orrori vissuti nei lager nazisti. Lui e suo padre finirono a lavorare in una galleria dove venivano costruiti i tremendi razzi V2 di Werner Von Braun, che il Terzo Reich lanciava su Londra per sfiancare gli indomiti inglesi. Ai tipici pigiami a righe bianconere i nazisti appesero il triangolo rosso, quello che contraddistingueva i prigionieri politici.
Nedo fu anche costretto a vedere il padre spegnersi lentamente: nonostante fosse relativamente giovane (40 anni) i devastanti carichi di lavoro e le angherie infami delle guardie finirono per uccidere l'ex operaio delle vetrerie Taddei, la cui unica "colpa" era quella di aver scioperato. Oggi - che tutti e due sono venuti a mancare - per loro è arrivato un riconoscimento di pace e conforto, verrebbe da dire, perché da quando la strada verrà inaugurata (presumibilmente il 27 gennaio, nel “Giorno della memoria”) padre e figlio avranno un simbolo che riconosce loro quanto hanno dovuto passare in quegli anni così sempre. All'amministrazione fucecchiese va riconosciuto di non aver mollato dopo il no iniziale della prefettura.
Una vittoria, dopo due anni di travaglio: «Questa intitolazione - sottolinea l'assessore Alessio Sabatini - è una dovuta riconoscenza verso la famiglia Nencioni, per ciò che Nedo è riuscito a trasmettere, con passione e chiarezza, in decenni di costante impegno soprattutto con i giovani e le scuole».
«Lo scorso anno - continua il sindaco Alessio Spinelli - nel “Giorno della memoria”, rendemmo omaggio a Nedo ponendo il fazzoletto dell’Aned, a lui tanto caro, sul cartello installato ormai due anni fa al Samo, in attesa dell’autorizzazione prefettizia. L’autorizzazione è finalmente arrivata e di questo sono veramente felice perché personalmente mi sono incontrato più volte col nuovo prefetto di Firenze Alessio Giuffrida per sostenere la nostra causa. Ora spero che l'inaugurazione si possa fare proprio per la prossima giornata della Memoria».

LA COMMOZIONE DEI FIGLI

Se l'amministrazione fucecchiese non ha gettato la spugna dopo il primo rifiuto da parte della prefettura, c'è da dire anche che i figli di Nencioni - Vasco e Luciano - hanno fatto di tutto per far capire che il loro padre avesse i meriti sufficienti per l'intitolazione della strada.
I due - nel gennaio dello scorso anno - si recarono nella nostra redazione, per raccontare la vita "straordinaria" del loro genitore, che dopo essere sopravvissuto era tornato a fare il vetraio, utilizzando il tempo libero per andare nelle scuole a spiegare la triste epopea nazista, vissuta in prima persona.

                                   Luciano e Vasco Nencioni (Foto Agenzia Carlo Sestini)



In quei giorni - dopo il no della prefettura - c'era comprensibile delusione: «Nostro padre - raccontarono - è andato per 60 anni nelle scuole a raccontare la sua prigionia, ma a noi non diceva niente. Andò in prigionia che era vetraio e tornò dalla guerra a fare il vetraio. Altri usarono quello che era successo per fare carriera. Lui no. Passava il tempo libero a incontrare gli studenti, gli operai. Senza mai mancare ad un pellegrinaggio nei lager». Oggi, invece, c'è commozione nelle parole dei figli, che hanno ricevuto la bella notizia mercoledì sera, a Epifania quasi conclusa: «Non ho pianto - racconta Luciano - per pudore ma ho provato una grandissima emozione quanto il sindaco Spinelli mi ha detto che la prefettura aveva accettato. Mio padre ha passato anni a raccontare la sua esperienza mentre nostro nonno non l'abbiamo nemmeno potuto conoscere, perché nei lager ha trovato la morte. Quanto siamo contenti? Da uno a dieci almeno venti. Fucecchio ci ha fatto trovare un fantastico regalo nella calza della befana: vogliamo ringraziare tutti quelli che ci hanno aiutato e li aspettiamo il 27 gennaio per l'inaugurazione».

24.3.15

quando si dice morir contento La storia del soldato Stefanelli: il corpo trovato grazie a un articolo del Tirreno. Era in un ossario in Polonia, il fratello è riuscito a riportarlo a casa prima di morire

   da  http://iltirreno.gelocal.it/pontedera/cronaca/  del 17 \3\2015


Dino, dato per disperso ora ha una tomba a Volterra
La storia del soldato Stefanelli: il corpo trovato grazie a un articolo del Tirreno. Era in un ossario in Polonia, il fratello è riuscito a riportarlo a casa prima di morire di Rino Bucci







                                       Una foto di Dino Stefanelli prima della partenza per la guerra

VOLTERRA. La guerra che strappa un figlio ad una madre, il tempo che passa e non lascia speranza, un uomo che prima di morire realizza il suo ultimo desiderio e in una giornata d’ottobre seppellisce in patria il fratello. Sembra la trama di un bellissimo film, invece, è la parabola di una famiglia di Volterra che dopo circa settant’anni è riuscita a regalare un giusto finale ad una vicenda drammatica.
Dino Stefanelli aveva venti anni quando morì, forse di stenti magari di malattia, nel campo di concentramento tedesco di Drewitz. Di lì a qualche mese i russi avrebbero liberato quella nazione flagellata dalla guerra e i prigionieri nei campi di concentramento.
A Drewitz, Dino Stefanelli era arrivato da prigioniero militare. Classe 1923, aveva lasciato la madre Maria Pietrosi, il padre Luigi e il fratello Gino a Volterra. Si era vestito da soldato semplice e non aveva più fatto ritorno sul Colle. Morto il 16 febbraio 1943 e dato, in un primo momento, per disperso.
«La lettera arrivò a mia nonna - racconta la nipote Ortensia Stefanelli, 52 anni e residente a Montopoli - alla vigili di Pasqua del 1943. Fece sprofondare mia nonna nello sconforto». La donna, per tutta la vita, ha custodito insieme al ricordo del figlio maggiore partito in guerra anche un piccolo altare con la sua foto. «Spesso pregava davanti a quell’altarino. E anche mio padre ha sempre cercato e mai abbandonato il ricordo di mio zio», racconta Ortensia.
Ufficialmente, Dino è rimasto negli elenchi degli scomparsi per diversi anni. Non a caso la sua foto si trova ancora a Volterra nel milite ignoto di porta a Selci. «Diversi anni fa, ero una bambina - continua Ortensia - arrivò una lettera col timbro dello Stato dove si metteva definitivamente un punto alle ambiguità». E lo status di Dino Stefanelli passò da disperso a deceduto in guerra. In realtà, per la famiglia fu una formalità anche se rimase forte il desiderio di riportare la salma a casa.
«La svolta è arrivata qualche anno fa - racconta Ortensia - proprio sul Tirreno leggemmo del database “Dimenticati dalla Stato” e ci mettemmo in contatto con il suo ideatore Roberto Zamboni. Grazie al suo aiuto siamo riusciti a rintracciare il luogo di sepoltura di mio zio. Era in un ossario vicino Varsavia. Mio padre era entusiasta».
I contatti con il ministero della Difesa per il rimpatrio dei resti di Dino Stefanelli sono iniziati nel febbraio del 2014. «L’unico ostacolo - racconta la donna - era la sepoltura. Dovevamo verificare se mio zio fosse stato sepolto in un ossario comune e da solo. Quando abbiamo scoperto che i suoi resti non erano in un ossario comune abbiamoattivato tutte le procedure per riprendercelo e riportarlo in Italia a spese nostre».
Il 17 ottobre scorso all’aeroporto di Bologna è atterrato un volo da Varsavia con le spoglie del soldato volterranno morto 70 prima in Polonia. In prima fila, c’era Gino il fratello più giovane di quattro anni, i suoi figli Ortensia e David insieme ad altri partenti.
«Dopo qualche giorno abbiamo seppellito mio zio a casa sua, a Volterra - racconta Ortensia - insieme agli amministratori e ad un prete che ci hanno accolti. E’ stato un momento bellissimo, una giornata da ricordare e che ci ha uniti». Dopo due mesi, Gino il fratello minore di quel soldato si è addormentato per sempre, con la leggerezza nel cuore di aver riportato a casa quel parente che conobbe per soli venti anni.


emergenza femminicidi non basta una legge che aumenti le pene ma serve una campaga educativa altrimenti è come svuotare il mare con un secchiello

Apro l'email  e tovo  queste  "lettere "   di  alcuni haters  \odiatori  ,  tralasciando  gli  insulti  e le  solite  litanie ...