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30.4.19

La storia di Milena Zambon, internata in Germania per aver provato a salvare ebrei e perseguitati. Ma è proprio nell'inferno che è cambiata (per sempre) la sua vit

dalla resistenza    molti uscirono cambiati  \  trasformati  ed è il caso    che  voglio raccontare  oggi  ,  un po' distante  dalla melassa ( la maggior  parte  ) retorica    \  strumentale  ormai diventato  solo derby   fascisti  - comunisti    quando    come potete  leggere  nel  post e  nei link riportati in esso    qui sotto   tale   periodo (  1943-1945  )    di guerra  civile   \ lotta  di liberazione non   fu solo quello .


Partigiana a 20 anni, sopravvissuta al temuto lager di Ravensbrück, sperimentando la vicinanza di Dio, poi monaca benedettina di clausura. «Mi sono salvata solo grazie al Rosario», diceva Milena Zambon (1922-2005), poi diventata per tutti Suor Rosaria (Avvenire, 27 aprile).
Nata a Malo (Vicenza) nel 1922 e ultima di otto fratelli, nel 1944 viene arrestata a Padova per aver favorito l’espatrio di ex prigionieri alleati e perseguitati politici e destinata ai campi di Ravensbrùck e Wittenberg.

Perché fu arrestata

Quando le amiche sorelle Martini (oggi nomi noti della Resistenza) le chiedono aiuto per la rete clandestina di padre Placido Cortese, la “Catena di salvezza”, Milena dice sì: «la proposta mi entusiasmò oltre ogni dire», scrive nelle sue “Memorie”. Scorta in treno al confine di Como ex prigionieri alleati, ebrei e perseguitati politici «nonostante la caccia delle Ss tedesche. Mi ero messa in quell’impresa pericolosa per carità cristiana. Mi affidavo alla Madonna, ricorrendo a lei con cieca fiducia in ogni mio bisogno», chiedendo salvezza non per sé ma per i profughi.
Arrestata, torturata nelle carceri di Venezia e Bolzano, non rivelerà i nomi della rete. Fa lo stesso anche padre Cortese, che verrà trucidato. Nel giardino dei Giusti di Padova sono ricordati entrambi con i giovani della Catena. La condanna alla fucilazione verrà commutata in lager a Ravensbrück (123mila prigioniere da 20 nazioni), poi a Wittemberg, a 100 chilometri da Berlino.

La liberazione dal lager

Nel 1944 le truppe dell’Armata rossa liberano il campo e anche lei fugge, curandosi nelle infermerie militari. A Wittemberg, durante il saccheggio della città, prenderà per sé pane nero e un Rosario. Nel 1945 torna in Italia gravemente malata; trascorre due anni in case di cura.
E’ fidanzata, ma le cose vanno male. Il 12 maggio 1948 avverte che la sua vita deve volgersi in un’altra direzione: entra nel monastero benedettine di Sant’Antonio in Polesine a Ferrara dove, col nome di suor Rosaria, ha vissuto la sua vita di monaca di clausura.

“Come fossimo in due…”

Nel silenzio di un ex deportata solo Dio può guardare: «nei continui terrori avevo sentito sempre il Signore accanto come fossimo in due», annota, «come un aiuto soprannaturale a non spegnere la voce della coscienza e a non perdermi».
Prenderà il nome di suor Rosaria e per obbedienza scriverà le sue Memorie. E andata in cielo il 23 ottobre 2005 (eventa.it, 2017).

8.1.16

“Sì” a via Nencioni, la doppia intitolazione batte la burocrazia La strada di Fucecchio porterà il nome di Nedo, sopravvissuto a Mauthausen e del padre Giuseppe che morì nel lager: il 27 l’inaugurazione. Il Comune strappa l’ok due anni dopo la prima istanza bocciata dalla Prefettura perché erano trascorsi meno di 10 anni dalla morte



quando la storia e la memoria batte la burocrazia MEMORIA

“Sì” a via Nencioni, la doppia intitolazione batte la burocrazia

Fucecchio: la memoria di Nedo Nencioni è nascosta da quella brutta plastica nera dei sacchi della spazzatura. A 70 anni dalla fine della guerra quest'uomo speciale non avrà una strada a suo nome.

 finalmente  dopo  una tenace  battaglia    vedi articolo     sopra si è  arrivati   all'epilogo della vicenda 
  da   http://iltirreno.gelocal.it/empoli/cronaca/  del  8\1\2016 

La strada di Fucecchio porterà il nome di Nedo, sopravvissuto a Mauthausen e del padre Giuseppe che morì nel lager: il 27 l’inaugurazione. Il Comune strappa l’ok due anni dopo la prima istanza bocciata dalla Prefettura perché erano trascorsi meno di 10 anni dalla morte
di Marco Sabia
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FUCECCHIO. Nedo Nencioni, l'ex deportato a Mauthausen e morto nel 2012, avrà finalmente la “sua” strada nel Comune di Fucecchio. L'amministrazione fucecchiese, infatti, ha ottenuto il nulla osta da parte della prefettura di Firenze, che ha accettato la proposta di intitolare la via (in zona Samo) a Nedo e Giuseppe Nencioni, il padre del superstite che morì di stenti nel campo di Ebensee-Mauthausen, pochi giorni prima che la guerra - almeno in Europa - finisse.

Il                                 cartello con il fazzoletto dell’Aned, a destra Nedo Nencioni

Quella dell'intitolazione della strada è una storia che ha avuto un percorso a dir poco travagliato, visto che fu l'ex sindaco Claudio Toni - a inizio 2014 - a proporre di intitolare una strada al "guardiano della memoria " Nencioni: cartello che fu fisicamente installato in piazza Boncristiani a Fucecchio, coperto con un sacco nero nell'attesa che la prefettura desse l'ok per l'intitolazione della strada. Un ok che, tuttavia, non arrivò, perché non erano passati i dieci anni necessari dalla scomparsa, fattore a cui si deroga soltanto se si tratta di un personaggio di caratura nazionale, come successo - ad esempio - con Aldo Moro e Enzo Biagi.
L’allora prefetto Varratta quindi respinse il progetto fucecchiese ma l'amministrazione non si arrese: grazie anche alla collaborazione dell'Aned (con una corposa documentazione) nell'autunno 2015 fu inoltrata una seconda proposta alla prefettura fiorentina, con l'opzione dell'intitolazione congiunta padre-figlio per bypassare il vincolo dei dieci anni dalla morte. Toni, nel frattempo, in merito al diniego della prefettura aveva parlato di «burocrazia che uccide i sentimenti». Nell’attesa di un parere positivo della prefettura l'amministrazione - insieme all'Aned - affisse il fazzoletto dell'associazione deportati sul cartello. Nedo Nencioni, che era nato a Livorno, aveva, per tutta la sua "seconda vita", raccontato nelle scuole dell'Empolese Valdelsa gli orrori vissuti nei lager nazisti. Lui e suo padre finirono a lavorare in una galleria dove venivano costruiti i tremendi razzi V2 di Werner Von Braun, che il Terzo Reich lanciava su Londra per sfiancare gli indomiti inglesi. Ai tipici pigiami a righe bianconere i nazisti appesero il triangolo rosso, quello che contraddistingueva i prigionieri politici.
Nedo fu anche costretto a vedere il padre spegnersi lentamente: nonostante fosse relativamente giovane (40 anni) i devastanti carichi di lavoro e le angherie infami delle guardie finirono per uccidere l'ex operaio delle vetrerie Taddei, la cui unica "colpa" era quella di aver scioperato. Oggi - che tutti e due sono venuti a mancare - per loro è arrivato un riconoscimento di pace e conforto, verrebbe da dire, perché da quando la strada verrà inaugurata (presumibilmente il 27 gennaio, nel “Giorno della memoria”) padre e figlio avranno un simbolo che riconosce loro quanto hanno dovuto passare in quegli anni così sempre. All'amministrazione fucecchiese va riconosciuto di non aver mollato dopo il no iniziale della prefettura.
Una vittoria, dopo due anni di travaglio: «Questa intitolazione - sottolinea l'assessore Alessio Sabatini - è una dovuta riconoscenza verso la famiglia Nencioni, per ciò che Nedo è riuscito a trasmettere, con passione e chiarezza, in decenni di costante impegno soprattutto con i giovani e le scuole».
«Lo scorso anno - continua il sindaco Alessio Spinelli - nel “Giorno della memoria”, rendemmo omaggio a Nedo ponendo il fazzoletto dell’Aned, a lui tanto caro, sul cartello installato ormai due anni fa al Samo, in attesa dell’autorizzazione prefettizia. L’autorizzazione è finalmente arrivata e di questo sono veramente felice perché personalmente mi sono incontrato più volte col nuovo prefetto di Firenze Alessio Giuffrida per sostenere la nostra causa. Ora spero che l'inaugurazione si possa fare proprio per la prossima giornata della Memoria».

LA COMMOZIONE DEI FIGLI

Se l'amministrazione fucecchiese non ha gettato la spugna dopo il primo rifiuto da parte della prefettura, c'è da dire anche che i figli di Nencioni - Vasco e Luciano - hanno fatto di tutto per far capire che il loro padre avesse i meriti sufficienti per l'intitolazione della strada.
I due - nel gennaio dello scorso anno - si recarono nella nostra redazione, per raccontare la vita "straordinaria" del loro genitore, che dopo essere sopravvissuto era tornato a fare il vetraio, utilizzando il tempo libero per andare nelle scuole a spiegare la triste epopea nazista, vissuta in prima persona.

                                   Luciano e Vasco Nencioni (Foto Agenzia Carlo Sestini)



In quei giorni - dopo il no della prefettura - c'era comprensibile delusione: «Nostro padre - raccontarono - è andato per 60 anni nelle scuole a raccontare la sua prigionia, ma a noi non diceva niente. Andò in prigionia che era vetraio e tornò dalla guerra a fare il vetraio. Altri usarono quello che era successo per fare carriera. Lui no. Passava il tempo libero a incontrare gli studenti, gli operai. Senza mai mancare ad un pellegrinaggio nei lager». Oggi, invece, c'è commozione nelle parole dei figli, che hanno ricevuto la bella notizia mercoledì sera, a Epifania quasi conclusa: «Non ho pianto - racconta Luciano - per pudore ma ho provato una grandissima emozione quanto il sindaco Spinelli mi ha detto che la prefettura aveva accettato. Mio padre ha passato anni a raccontare la sua esperienza mentre nostro nonno non l'abbiamo nemmeno potuto conoscere, perché nei lager ha trovato la morte. Quanto siamo contenti? Da uno a dieci almeno venti. Fucecchio ci ha fatto trovare un fantastico regalo nella calza della befana: vogliamo ringraziare tutti quelli che ci hanno aiutato e li aspettiamo il 27 gennaio per l'inaugurazione».

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