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21.11.22

[ primo giorno senza mondiali ] Radice o Seme ?

  Cercando     di mantenere  quanto ho  detto   nel post    : << [ Anteprima ] Io personalmente   poi  gli altri  utenti facciano  come credano    non parlero   o  almeno ci provo   dei  mondiali  di calcio  del Qatar  >>  e  nella  prima  giornata  senza  mondiali     ne  approfitto per   farmi un  po'  di auto  analisi    ed  condividere  con  voi  il mi  dubbio     espresso  nel  titolo di  questo  post  . Inizialmente  influenzato  sia   dai dischi  : 1) Le radici e le ali dei Gang   .,  2)  radici   di Guccini   ed  altre  letture  di libri   e racconti  familiari appartenenti alle ideologie  della  guerra  fredda  (   comunismo liberale  e   marxista ,   fascismo , cattolicesimo  sia quello pre  conclio  vaticano  II   sia  quello post   concilio  )  ma    la ecisoione  \ l'arrivo  è stato  autonmamente  mio  optai per  le radici   .Qualche    anno dopo  ,  non ricordo se un libro  o intervista  di Melissa  Panariello ( la  famosa      di cento  colpi di spazzolla  prim  di andare  a  dormire    )  o qualche  altro  autore  \  ice  che  dissero  parlardo d'identità    di sentirsi più  semi che  radici   . e  da  questa  Parabola    :  Il seme che cresce e porta frutto Ez 17,22-24; 2Cor 5,6-10; Mc 4,26-34 


  
comentata  qui  su   https://www.paroladivita.org/ Entrai  in  crisi .  Fin   quando  quando  partecipai  nel  2009\2010  alla presentazione    del libro  


2008, TAGLIATO PER L’ESILIO  di  Karim Metref, 
Ed. Mangrovie

Scritto tra l’Algeria e l’Italia, “Tagliato per l’esilio” è una raccolta di racconti. Il filo conduttore che lega questi racconti brevi molto diversi tra di loro è l’esilio. Ma l’esilio non è inteso soltanto come quello di chi prende, se ne va, e lascia la terra natia. L’esilio è raccontato in tutte le sue sfacettature. E’ innanzitutto di chi si sente in esilio a casa propria che si tratta.
La prima parte -autobiografica- comincia con quest parole: “Il 25 novembre 1967 nascevo in esilio sulla terra dei miei avi. …” .

In cui chiesi  all'autore  ,   purtroppo  il dialogo  originale   è andato perso nella  formattazione  del pc   e  nella  perdita  della  scheda  usb   della video camera    in cui avevo  impresso  tale  risposta  ,   ti senti  più  seme  o radice  ?    Ricordo    che  mi disse  , motivandole  entrambe  . 
 Smisi   alllora di  farmi  la  domanda  fin quando  ieri ho letto  su questa  intervista ad  andrea  Pennacchi  



in particolatre quando dice :   [...] ma attenzione: la purezza delle radici è una balla colossale. Le radici sono sempre storte, al buio, si nutrono di putrefazione. Le hai, non le puoi rinnegare ma sei scemo se pensi che siano pure. Non mi si venga a raccontare la favoletta. Spero non sia questa l’idea di fondo. Oltre a essere falsa, porta a finali pessimi ».[....] .
Ed  ecco che rincomincio  con  un' altra  auto   analisi   . Attraverso  la  quale    ho  fatto  la scelto , almeno spero quella definitiva perchè  non si può andare  sempre  avanti ed  indietro   finsce   che ti blocchi  e  in concludi niente     ,  di entrambe  .   Infatti  mi sento  SEME in  quanto   si ha  ho  qualcosa  da  dare    o  lasciare  agli altri (  non solo  figli e  nipoti  ) . RADICE .perchè  ripensando alla ai miei nonni e ai miei prozii\e ( almebno quelli che ho conoscoiuto in prima persona ) suoi nonni gli considero fulcro dei miei valori : onesta , rispetto , coerenza mi rivolgo come Giuccini nel'omonimo album esponendoli i miei dubbi, poiché : « ha visto nascere e morire gli antenati miei/ lentamente, giorno dopo giorno ».
Ma poi, intuendo che non potro avere una risposta definitiva alle mie domande ( tòpos comune di chi s'auto analizza e si mette indiscussione e fa autocritica ed  nel  cd  di Guggini  citato    ) capisce che la « casa è come un punto di memoria/le tue radici danno la saggezza/e proprio questa è forse la risposta/e provi un grande senso di dolcezza ». Infatti nella vita o creazione d'opera  d'arte  non  si può sempre  stare  ad elucubrare  o cercare  certezze  . Ma  bisogna  avere  , anche se  non sempre  è possibile  visto  che    come   ho già  detto  : << la vita è anche trasfornazione perchè “Nulla si crea,nulla si distrugge,tutto si trasforma”  >> avere  un centro  di gravità   permanente   per  dirla  come l'omonima   canzone di Battiato   ma  soprattutto  perchè  nella vita   niente è per  sempre  come   anch'essa  amonima  canzone  di  Danilo sacco   contenuta    nell' album   Minoranza Rumorosa
 che  ho usato  nella  colonna  sonora e  di cui   si  sentono nell'aria le  prime  note  .      

23.6.13

Il parigino che divenne Gristolu di Gavoi

conoscevo già in parte questa storia in quanto  la persona  in questione insegna   francese  ala facoltà di lingue  di Sassari   e ne  avevo sentito parlare in una  trasmissione rai  ( non ricordo se meditteraneo  o pass partout  )




dall'unione sarda  del 23\6\2013
Cambiare nome a qualcuno non è una cosa piccola: significa riconoscere un'essenza della sua personalità che non era compresa nel battesimo originario. Per questo mettere a qualcuno un nomignolo affettuoso o un malevolo soprannome è una confidenza che si possono permettere solo gli amici e i nemici, facce contrapposte della stessa intimità. Questo rapporto con i nomi è un retaggio di antiche civiltà convinte che nei nomi risiedesse l'essenza dell'anima delle persone e che il nome vero dovesse essere svelato agli amici e nascosto agli avversari. Avere due nomi, uno segreto e uno pubblico, era una cosa comune.Oggi di questa sacralità rimane poco, ma Christophe Thibaudeau quel poco sa cos'è. Il suo è un nome difficile da pronunciare per chi francese non è, infatti a Gavoi e a Siniscola, dove vive da trentacinque anni, nessuno lo chiama così: nel cuore dell'isola questo parigino dalla risata sismica è conosciuto semplicemente come Gristolu. La sua vicenda infrange il falso storico della costante resistenziale, quella dell'impenetrabilità culturale barbaricina, e ci racconta che siamo una nazione dall'identità aperta, dove un uomo di Parigi può ricevere il dono nobile di un nuovo battesimo e diventare persino assessore alla Cultura.

17.6.12

è necessario un nuovo concilio di trento ? la chiesa allo sbando .



mi sa   che  quest'articolo  ha  ragione  è la stessa impressione   che  ho  avuto  anch'io ,ma  non riuscivo a trovare le parole per  dirlo . Quando questo bellissimo articolo mi  è venuto  incontro  


IL CONCILIO DI TRENTO È FINITO. DOPO 5 SECOLI
giugno 17, 2012

Corriere della Sera La Lettura 17 giugno 2012



Prospettive
II problema non sono i corvi vaticani ma il ribaltamento delle pratiche devozionali
Il Concilio di Trento è finito. Dopo 5 secoli
Non regge più il modello organizzativo centralistico e parrocchiale definito nel ’500
Ora la Chiesa rischia di diventare una confederazione di movimenti in lotta tra loro

di Marco Rizzi

. . .

Sarebbe un errore collocare le vicende rese pubbliche dai «corvi» vaticani sul ritmo breve della cronaca. Occorre misurarsi con i tempi lunghi propri della Chiesa cattolica; si assiste, infatti, all’esaurirsi del modello di chiesa elaborato dal Concilio di Trento alla metà del XVI secolo, che il Concilio Vaticano II ha cercato di aggiornare ai profondi mutamenti intercorsi nei secoli successivi.
Dottrina e disciplina erano le parole chiave del Tridentino: l’univocità dei contenuti della fede, compendiati nel catechismo emanato nel 1566 da Pio V, si accompagnava alla puntigliosa regolamentazione dell’amministrazione dei sacramenti e di ogni altro aspetto della vita religiosa, sino ad allora segnata dalla varietà delle liturgie, dei culti e delle esperienze (dai pellegrinaggi alle più diverse confraternite laicali), caratteristica dell’epoca medievale. Grazie all’obbligo di osservare in tutte le chiese il calendario e la liturgia romani (fece eccezione solo il rito ambrosiano), il fedele viveva una esperienza totalizzante dello spazio e del tempo: il suo orizzonte immediato era la parrocchia — che non a caso teneva sino alla riforma napoleonica i registri di nascita, matrimonio, morte — ma la partecipazione alla messa domenicale e ai vari periodi dell’anno (Avvento, Quaresima, Pasqua) lo inseriva in un flusso che si allargava a tutto il mondo e all’eternità.
La Curia romana era al centro di questo disegno: da corte di un sovrano territoriale si trasformò in un vero e proprio organismo di governo centrale di una realtà enorme e complessa, dotata di una burocrazia specializzata che estendeva il suo controllo sino all’ultimo dei sacerdoti. Una burocrazia che garantì alla Chiesa cattolica d’instaurare un rapporto dialettico, non subalterno né conflittuale, nella competizione con gli emergenti Stati nazionali per il controllo degli individui, al tempo stesso fedeli e sudditi.
Il modello tridentino è valso per cinque secoli, reggendo anche alla prima ondata di secolarizzazione che nel XVIII secolo seguì all’Illuminismo e alla rivoluzione francese; esso iniziò a mostrare crepe solo nel secondo dopoguerra, con la cultura di massa e la possibilità di sperimentare, accanto a quelli tradizionali, nuovi modelli di vita e di gestione del tempo. Il Vaticano II ha provato a rispondere a questa mutata situazione, conservando l’impianto tradizionale di dottrina e disciplina del culto, cercando però di accorciare la distanza tra centro e periferia, tra esperienza quotidiana del fedele e respiro eterno della fede; vanno intese in questo senso la riforma liturgica con l’uso delle lingue volgari (sempre però nell’ambito di un rito universale), l’attenuazione dell’ideologia gerarchica che aveva sin lì dominato il rapporto tra fedeli e clero (con l’universale chiamata alla santità), la stessa riforma della Curia.
L’aggiornamento si è scontrato con l’accelerazione dei processi di secolarizzazione degli ultimi cinquant’anni; con il «ritorno del sacro» di questi ultimi tempi, è così emersa una religiosità di ascendenza quasi medievale, basata sulla spontaneità e l’eccezionalità dell’esperienza religiosa, coniugata con i caratteri propri dell’epoca tecnologica. Come mostra anche il saggio di Marco Marzano Quel che resta dei cattolici (Feltrinelli), l’ordinata pratica religiosa parrocchiale si è svuotata, sostituita da pellegrinaggi, culti particolari, esperienze legate a personalità carismatiche; la catechesi settimanale è stata sostituita dal flusso ininterrotto delle radio mariane o della televisione dedicata a Padre Pio, e la reliquia del santo è stata rimpiazzata dalla foto scattata col telefonino al santuario. Giovanni Paolo II lo aveva intuito; da lui hanno preso avvio i pellegrinaggi legati alle Giornate mondiali (della famiglia o della gioventù), l’aumento delle canonizzazioni e la riduzione dei tempi richiesti (il grido «santo subito», risuonato al suo funerale, ricorda l’acclamazione popolare che portava all’elevazione agli altari in epoca pre-tridentina), la concentrazione nella sua persona di una valenza carismatica più che istituzionale. In questo quadro, si è pensato che i nuovi movimenti ecclesiali, sganciati dal tradizionale riferimento territoriale, potessero rappresentare una soluzione, rinsaldando i fedeli nella dottrina e nella disciplina, di fronte alla secolarizzazione.
In altri tempi era accaduto qualcosa del genere, basti pensare ai francescani e agli altri ordini mendicanti medievali. Tuttavia, anche se spesso in competizione tra loro, questi apportavano risorse, simboliche e materiali, al Pontefice quale vertice di una Chiesa ancora poco strutturata al centro; ora, invece, in presenza di un governo e di un Pontefice istituzionalmente forti, i movimenti sembrano piuttosto rivaleggiare per appropriarsi di tali risorse, a danno del corpo complessivo della Chiesa; esempi significativi, in ottica ancora tridentina, sono le richieste di liturgie proprie o la creazione di seminari sottratti alle diocesi. In questo modo, la deriva settaria è sempre in agguato. La stessa Curia romana, come ogni burocrazia in difficoltà nell’individuare con esattezza l’oggetto del proprio governo, tende a consumarsi in conflitti interni e a tutelare posizioni particolari, pur affermando di farlo in nome del superiore interesse del Pontefice.

La Chiesa cattolica deve quindi ripensare se stessa. Un po’ brutalmente, si potrebbe dire che può scegliere. Ridursi a una confederazione di sette, come le denominazioni evangeliche anche se su scala ben maggiore, o fare tesoro di una tradizione che l’ha percorsa dall’antichità al Medioevo: comprendere al proprio interno risposte molto diverse alle richieste poste dalla fede e dalla vita cristiana, quasi si trattasse di cerchi concentrici, accogliendole apertamente tutte, senza privilegiarne alcuna e indicando con dolcezza il percorso che dal margine più estremo conduce al cuore dell’annuncio evangelico. L’apertura di Benedetto XVI verso i divorziati, all’incontro delle famiglie a Milano, può essere letta come un passo in questa direzione.

Il Pontefice

Antonio Ghislieri (1504-1572) fu eletto Papa nel 1566 e assunse il nome di Pio V (nel ritratto qui sopra).
Nello stesso 1566 pubblicò il catechismo romano elaborato in seguito al Concilio di Trento (1545-1563)


L’inchiesta Marco Marzano «Quel che resta dei cattolici» (Feltrinelli, pp. 256, € 16)n

emergenza femminicidi non basta una legge che aumenti le pene ma serve una campaga educativa altrimenti è come svuotare il mare con un secchiello

Apro l'email  e tovo  queste  "lettere "   di  alcuni haters  \odiatori  ,  tralasciando  gli  insulti  e le  solite  litanie ...