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1.9.24

Perché Olimpiadi e Paralimpiadi non si fanno in contemporanea ed altre storie paraolimpiche



Oggi quarto giorno di Paralimpiadi .
Chi vince una medaglia può fare due cose, quando passa da un metal detector: togliersela, per non farlo suonare, oppure approfittarne per pavoneggiarsi un po'  come  il  caso  dell'italiano Antonino Bossolo, bronzo nel taekwondo -63 kg . 




Ma  veniamo     al  quesito che   si pongono  molti  ( compreso il sottoscritto ) Perché Olimpiadi e Paralimpiadi non si fanno in contemporanea  ? 

Le Olimpiadi e le Paralimpiadi non si svolgono contemporaneamente per diverse ragioni storiche, logistiche e organizzative.  Infatti   se  si legge   la storia  delle  parolimpiadi   è  dal 2001,   che  il Comitato Olimpico Internazionale (CIO) e il Comitato Paralimpico Internazionale (IPC) hanno firmato un accordo che stabilisce che la città ospitante delle Olimpiadi deve anche organizzare le Paralimpiadi1. Questo accordo è stato pensato per garantire che entrambe le manifestazioni abbiano la giusta attenzione e risorse, utilizzando le stesse strutture e infrastrutture
Inoltre, tenere i due eventi separati permette di dare maggiore visibilità agli atleti paralimpici e di celebrare le loro imprese senza che vengano oscurate dalle Olimpiadi3. Questo approccio aiuta a promuovere l’inclusione e a sensibilizzare il pubblico sulle capacità e i successi degli atleti con disabilità  .  Infati  
 

  dalla     NW  di paris   di ilpost.it

Quando la città di Boston provò ad aggiudicarsi l'organizzazione dei Giochi del 2024 – ritirò la candidatura nel 2015 – propose di invertire l'ordine dei due eventi: prima le Paralimpiadi, poi le Olimpiadi. L'idea era che le Paralimpiadi ne avrebbero guadagnato in visibilità, e allo stesso tempo le Olimpiadi avrebbero avuto un evento per “testare” su scala ridotta la macchina organizzativa. Fu una proposta presto respinta, come avviene tutte le volte in cui ciclicamente si parla della possibilità che Olimpiadi e Paralimpiadi vengano fatte nello stesso periodo, in teoria con la speranza di dare più visibilità alle Paralimpiadi: fu una questione molto dibattuta prima delle Paralimpiadi di Rio 2016, quando il comitato organizzatore ebbe molti problemi a vendere i biglietti per le gare (ma poi ci riuscì).
Secondo entrambi i Comitati internazionali, olimpico e paralimpico, queste proposte non solo non funzionerebbero, ma non sarebbero nemmeno praticabili: organizzare i due eventi in contemporanea richiederebbe uno sforzo logistico enorme e rischierebbe di produrre l'effetto opposto sul pubblico, cioè di togliere attenzione alle Paralimpiadi. Per Andrew Parsons, presidente del Comitato paralimpico internazionale, è invece un bene che ci sia «un momento unico per celebrare gli atleti paralimpici». Parsons rifiuta anche la proposta di anticipare le Paralimpiadi, che secondo lui non dovrebbero in alcun modo «essere viste come un test per le Olimpiadi».
Ecco quind  che   , semre  secondo  la   Nw , nel 2001 i due comitati firmarono un accordo per tutelare i Giochi paralimpici, stabilendo che da Pechino 2008 in poi dovessero tenersi sempre poco dopo quelli olimpici, usando lo stesso villaggio, facendo le gare negli stessi posti (più o meno) e coprendo le spese di entrambi gli eventi con lo stesso budget.


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La saltatrice in lungo Tara Davis e il velocista paralimpico Hunter Woodhall, che sono sposati e si allenano spesso insieme (AP Photo/Michael Woods)

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Il rugby in carrozzina è uno sport in cui scontri, contatti fisici al limite e ribaltamenti delle carrozzine stesse sono talmente frequenti che è stato soprannominato murderball: e non vi sfuggirà che “murder” in inglese significa “omicidio”. È in effetti uno sport all'apparenza piuttosto violento, anche se i giocatori sembrano impassibili a qualsiasi cosa gli capiti: appena ci si abitua, comunque, diventa molto divertente perché è estremamente rapido e dinamico.
È uno sport che mischia elementi del rugby ad altri del basket e della pallamano, e come nel rugby i punti si fanno oltrepassando una linea di meta in fondo al campo. La palla però è rotonda. Si gioca su un campo al chiuso grande quanto quello da basket, e infatti fu inventato negli anni Settanta proprio come alternativa al basket in carrozzina. È uno sport misto, in cui uomini e donne giocano insieme: ogni squadra ha 4 giocatori e giocatrici a cui viene assegnato un coefficiente da 0,5 a 3,5 in base al livello di limitazione fisica o della capacità di gioco dovuto alla disabilità, e la somma dei coefficienti in campo non può superare 8 (per ogni donna in campo però si ha uno 0,5 in più).
Il rugby in carrozzina sta avendo un crescente successo negli ultimi 10 anni soprattutto grazie a una regola che dal 2008 lo ha reso più intenso e spettacolare: quella per cui ogni squadra ha al massimo 40 secondi per un'azione d'attacco (ogni giocatore, poi, non può tenere la palla per più di 10 secondi senza passarla o palleggiare).
Le carrozzine sono diverse a seconda del tipo di giocatori: quelli di difesa ne hanno una con una sporgenza davanti per permettere di contrastare gli avversari (gli vanno proprio addosso alla massima velocità), mentre quelli d'attacco ne hanno una più adatta all'agilità di manovra in spazi stretti. La fisicità è una delle cose che giocatori e giocatrici preferiscono di questo sport, e ciascuno ha le sue storie di cicatrici, dita maciullate e ossa rotte durante le partite da raccontare con fierezza. Le carrozzine si ribaltano spesso, sì: e altrettanto spesso sono da aggiustare.


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Anche nelle paraolimpiadi ci sono donne incinte che hano scelto di gareggiare


Sette mesi


Non sono molte nella storia delle Olimpiadi le atlete che hanno gareggiato mentre erano incinte, e fino a questa edizione non ce n'era mai stata nemmeno una alle Paralimpiadi (o almeno non che si sapesse): poi è arrivata l'arciera britannica Jodie Grinham, che si è presentata a Parigi 2024 al settimo mese di gravidanza. Se in un certo senso il tiro con l'arco può sembrare uno sport più adatto di altri a essere praticato anche in gravidanza, perché richiede meno movimenti, per altri versi non lo è affatto. Nel momento del tiro le arciere hanno bisogno del massimo della concentrazione, di abbassare il proprio battito cardiaco e di
controllare la respirazione in modo da scoccare la freccia solo quando sono completamente ferme: ecco, pensate dover fare tutto questo con un feto di sette mesi in pancia.
Ieri Grinham (  foto  a  sinistra  ) ha vinto la medaglia di bronzo nel torneo individuale dell'arco compound (un tipo di arco che ha alcuni accorgimenti per limitare gli sforzi fisici), ed è stata in qualche modo storica. Durante la gara «il bambino non ha smesso di muoversi», ha detto Grinham, che ha spiegato di aver fatto allenamenti specifici per controllare quella situazione. Sarà difficile dopo di lei vedere alle Paralimpiadi atlete con gravidanze più avanzate. Nella storia delle Olimpiadi moderne si ha notizia di 25 atlete che hanno gareggiato incinte, ma nessuna al settimo mese.


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La più giovane di tutta la delegazione italiana


Dei 141 atleti e atlete italiani a queste Paralimpiadi, la più giovane in assoluto è Giuliana Chiara Filippi  ( foto  a   destra )  , che è del 2005 e deve ancora compiere 19 anni. Gareggia nei 100 metri e nel salto in lungo della categoria T64, per atlete con disabilità a un arto inferiore sotto al ginocchio: a Filippi manca il piede destro dalla nascita.
Nonostante sia molto giovane, quest'anno ha già fissato i record nazionali praticamente in tutte le sue specialità: 60, 100 e 200 metri, oltre al salto in lungo. Ieri è arrivata nona nella finale di salto in lungo e il 5 settembre tornerà a gareggiare nei 100 metri. Qualche settimana fa lei stessa aveva detto di andare a queste Paralimpiadi «senza aspettative», perché «comunque sono ancora giovane»: ma è una di quelle atlete da cominciare a tenere d'occhio.




Infatti    è  leggendo  le  sue  dichiarazioni    che non vedo  una  grande   sostanziale     differenza , in qiuanto  lo  spirito olimpico   è lo stesso  ,   tra  i  giochi olimpici  e  paraolimpici 

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Un'altra medaglia per Carlotta Gilli, una delle atlete di punta della nazionale italiana a queste Paralimpiadi: è la terza, e nei prossimi giorni gareggerà ancora.


Un'altra medaglia per Carlotta Gilli, una delle atlete di punta della nazionale italiana a queste Paralimpiadi: è la terza, e nei prossimi giorni gareggerà ancora.

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Gli esseri umani fanno ricorso a protesi di vario tipo fin dall'antichità, ma per molto tempo il loro scopo è stato più che altro quello di nascondere la mancanza di un arto. Affinché siano utili e funzionali, invece, in tempi più recenti si è capito che le protesi non devono per forza assomigliare agli arti umani.











 



21.7.22

Lei, lui e l'altro ma senza segreti: con il poliamore la coppia dimentica la monogamia di Francesco Cro Psichiatra, Dipartimento di Salute Mentale, Viterbo

leggi prima




Una relazione stabile con più di un partner in cui tutti sono al corrente della presenza dell'altro. Secondo una ricerca internazionale una persona su cinque sperimenta questo tipo di rapporto nella propria vita
21 LUGLIO 2022 ALLE 07:30 



La monogamia è la forma di rapporto amoroso più diffusa nelle società occidentali e in generale in tutto il mondo. Tuttavia una quota crescente di coppie sta sperimentando altri modi di essere consensualmente in relazione con più di un partner. Parliamo di poliamore, la possibilità di avere relazioni stabili con più persone. In genere c'è un partner principale e un secondo, il cosiddetto 'amante'. Ma la differenza è che tutti sono al corrente della situazione e l'hanno accettata. Non ci sono segreti. Un'utopia? Non sembrerebbe.
Secondo la psicologa americana Rhonda Balzarini, che ha coordinato una ricerca effettuata dai dipartimenti di Psicologia di varie università statunitensi e canadesi su oltre 1.300 persone impegnate in relazioni non monogame consensuali, fino a una persona su cinque sperimenta una situazione del genere nella propria vita.
Le coppie non monogame risultano ugualmente soddisfatte e coinvolte dal loro partner rispetto a quelle monogame e anche alcuni parametri come la gelosia, la frequenza dei rapporti sessuali, la longevità della coppia, il grado di felicità o di depressione non sembrano variare significativamente.
Come cambia la monogamia
Il poliamore è una forma particolare di non monogamia, nella quale i membri della coppia non sono genericamente 'aperti' ad altre esperienze sentimentali e sessuali, ma stabilmente e intensamente coinvolti in una vera e propria relazione amorosa con più di un partner, in genere due.
Talvolta i due partner vengono percepiti diversamente: c'è quello 'primario', con cui si convive (spesso è il coniuge), si condividono progetti e finanze ed eventualmente la cura dei figli, e un partner "secondario", con il quale c'è minor coinvolgimento per quanto riguarda la vita quotidiana ma c'è una maggiore intesa sessuale.
SALUTE AMORE
La gelosia tuttavia sembrerebbe essere più spiccata verso il partner primario, soprattutto per le donne, che tendono maggiormente a pensare che il loro partner primario non le ingannerebbe mai. Non tutte le situazioni di poliamore prevedono questa sorta di gerarchia tra i diversi partner, e il sesso non è sempre centrale nella costruzione di nuovi legami sentimentali fuori dal matrimonio.
Coppie stabili
La monogamia è una questione sociale e culturale ma anche biologica: alcune specie animali sono portate a formare coppie stabili che durano anche oltre l'allevamento della prole e altre no. La biologa Sue Carter, docente emerita di biologia presso l'Università dell'Indiana a Bloomington, ritiene che il comportamento monogamico delle singole persone non abbia tanto a che fare con l'amore ma più con alcuni fattori neuro ormonali specifici, in particolare variazioni individuali nella sensibilità all'azione dell'ossitocina, ormone prodotto in occasione degli stimoli affettuosi che favorisce l'attaccamento a un partner, della vasopressina, prodotta durante i rapporti sessuali e che favorisce l'aggressività maschile verso i rivali in amore, del testosterone e dei glucocorticoidi, ormoni dello stress che riducono la mascolinizzazione e favoriscono il comportamento sociale accudente.
Il conflitto interiore
La consuetudine monogamica, fondata su basi biologiche, sociali, culturali ed etiche, può rappresentare un motivo di grande conflittualità interiore per le persone coinvolte in una relazione poliamorosa e diventare una sfida anche per i terapeuti di coppia, le cui convinzioni morali potrebbero interferire con la valutazione e il trattamento psicologico delle persone impegnate in relazioni non monogamiche.
La maggior parte delle ricerche sul tema dimostra che le coppie non monogamiche possono essere altrettanto stabili e soddisfatte di quelle monogamiche. La comunicazione sincera e il consenso reciproco sono però fattori decisivi perché tutti i componenti della relazione possano raggiungere benessere e soddisfazione. In questo modo anche il problema della gelosia potrebbe essere attenuato o superato: in un'ulteriore ricerca su oltre 3800 persone coinvolte in una relazione monogama o poliamorosa Balzarini ha notato che le reazioni all'interesse del proprio partner per un'altra persona possono anche essere positive, soprattutto quando la coppia ha già attraversato un'esperienza di poliamore.
Amore mi sono innamorata di un altro
Comunicare al proprio partner 'primario' la presenza di un'altra persona può essere molto difficile, soprattutto quando la coppia è partita da una relazione monogamica e il desiderio di aprirsi ad altri rapporti riguarda solo uno dei due membri. A ricordarcelo anche il divertente film del 1969: 'Amore mio aiutami' con Alberto Sordi e Monica Vitti. Sono passati anni dall'uscita di quella pellicola, ma le cose non sono molto cambiate: in amore non accettiamo facilmente la condivisione. Vogliamo essere "gli unici", ma qualcuno però è di opinione diversa e sceglie il poliamore.
I consigli
Ma cosa fare se vogliamo prendere questa strada e temiamo di ferire chi ci sta accanto? Sarebbe opportuno comunicare quanto prima al partner il proprio coinvolgimento emotivo o sessuale in un'altra relazione, perché quanto più dura la clandestinità di un amore tanto più è difficile superare il risentimento del partner per essere stato ingannato, soprattutto se è lui a scoprirlo. La fedeltà, poi, non è esclusa dalle relazioni poliamorose: esiste infatti il concetto di 'polifedeltà', secondo il quale i membri del rapporto di poliamore sono fedeli tra di loro, differenziandosi così dalle coppie aperte e da quelle che cercano al di fuori del matrimonio gratificazioni sessuali.
La morale tradizionale non aiuta, perché la riprovazione genera sensi di colpa e può spingere a nascondere o a negare il fatto che a volte si possono realmente amare due persone contemporaneamente e che, molto più spesso di quanto vogliamo ammettere, un solo amore non ci basta.

Psichiatra, Dipartimento di Salute Mentale, Viterbo

4.5.20

Fruttero & Lucentini non erano “congiunti”, tanto meno “affini” e neppure “affetti stabili”, stando all’ultima interpretazione del decreto eppure la vicinanza era tutto L’amico è più di un affetto

Una  storia   che  dimostra   che  l'affetto non è solo qualcosa  di  burocratico  .  Leggoi e  riporto    sotto   , su repubblica  d'oggi 4\5\2020 



Carlotta Fruttero: "Mio padre e Lucentini non erano congiunti, ma un'amicizia così non si può tradurre nella lingua della burocrazia"
Parla la figlia dello scrittore che diede vita, insieme all'amico Franco, alla più celebre coppia letteraria italiana: "Avevano bisogno di stare vicini, camminare anche in silenzio. Era il loro modo di recuperare una dimensione intima e alimentare l'ispirazione che li teneva uniti"




Fruttero & Lucentini non erano "congiunti", né di primo né  di sesto grado, tanto meno "affini" e neppure "affetti stabili", stando all'ultima interpretazione del decreto presidenziale che espunge dalla categoria l'amicizia. Sicuramente non potevano fare a meno l'uno dell'altro, nella vita come
nella letteratura. A pensarli nel distanziamento sociale imposto dal Coronavirus, viene in mente un possibile titolo a quattro mani: "La prevalenza del congiunto".
"Mio padre Carlo Fruttero collegato a Lucentini via Skype? Inimmaginabile. Non tanto per papà quanto per Franco, che non aveva la Tv, figurarsi lo smartphone. E poi entrambi guardavano con sospetto alle minime invenzioni tecnologiche, fossero anche una lametta da barba o un cavatappi di nuova concezione".  Dalla più celebre coppia letteraria italiana, Carlotta Fruttero ha ereditato ironia e tenerezza. "No, non avrebbero mai potuto resistere lontani. Avevano bisogno di parlare, vedersi e stare insieme almeno un paio d'ore al giorno".

Era un'amicizia anche "fisica" che contemplava lunghe passeggiate.
"Sì, avevano bisogno di stare vicini, camminare anche in silenzio, a Torino lungo il fiume Po ai Murazzi, o in Francia vicino al canale del Loing, tra Fontainebleau e Nemours, dov'era la casupola di pietra di Franco. Avevano l'abitudine di ritirarsi da quelle parti ad agosto per lavorare. E papà mi raccontava le passeggiate notturne, misteriose, che era il loro modo di recuperare una dimensione intima e alimentare l'ispirazione che li teneva uniti. Potevano parlare per ore d'un dettaglio della trama oppure stare in silenzio: la loro amicizia non aveva bisogno di parole. Per decifrarsi l'un l'altro, bastavano uno sguardo, la postura delle spalle o il modo di camminare".
Come definirebbe il loro sodalizio?
"Un'amicizia assoluta. Inscindibile. Papà si sarebbe gettato nel fuoco per Franco, e viceversa. Era anche un'amicizia spirituale nel senso della coincidenza dei loro spiriti, e del sentire sul mondo".
Un'amicizia che fonde caratteri diversi.
"Sì, mio padre era quello che leggeva i quotidiani, s'informava, guardava la Tv: una costante immersione nella realtà, sostenuta da curiosità inesauribile. Franco era l'uomo dalle grandi visioni, letture alte tra filosofia e arte, conoscenza approfondita dei classici greci e latini, padronanza di almeno diciassette lingue. Papà mi diceva sempre: quello veramente bravo è lui, non io. Se non ci fosse stato Franco, non sarei riuscito e mettere in piedi la struttura del romanzo. In realtà non era così. Il suo libro Donne informate dei fatti ha dimostrato che poteva farcela da solo. Ma questo era il suo sentimento verso l'amico".
Non esisteva competizione.
"Si completavano vicendevolmente, senza ombre. Ed evitavano con accuratezza ogni discussione sterile. Potevano avere punti di vista differenti, ma il confronto era sempre limpido e amichevole".
Non hanno mai litigato?
"Mai. Erano capaci di stare in silenzio per molte ore, ma non li ho mai sentiti alzare la voce. C'era una cosa che creava tra loro tensione: l'uscita da casa in macchina per andare al cinema. Ansiosissimo per il parcheggio, Franco fissava la partenza un'ora prima; di temperamento più quieto, mio padre spostava più avanti l'appuntamento, con l'effetto comico di stare a discutere per ore sul minuto esatto dell'uscita. E mia madre sempre dalla parte di Franco".
Fruttero ha dovuto convivere per una vita con le malinconie della moglie e con la stessa attitudine saturnina del suo migliore amico.
 "Sì, Franco poteva avere momenti di depressione e in questo senso lui e la mamma erano lo specchio l'uno dell'altra. Mio padre non poteva certo appoggiarsi sulla spalla dell'amico, perché sapeva che Franco viveva la difficile condizione di mia madre con grande angoscia. Per tutta una vita ha dovuto alleggerire le situazioni, invitandoci sempre a godere del dettaglio minimo del quotidiano. Non puoi guardare i problemi tutti insieme  - mi diceva - perché c'è il rischio di restarne paralizzata. Bisogna guardare la vita un pezzo per volta. E lui riuscì a sopravvivere a una esistenza cupa rifugiandosi nella scrittura e nelle trame dei suoi romanzi".
Anche per questo aveva bisogno di stare con Lucentini. Per entrambi la letteratura era un rifugio.
"Sì, un'officina in cui non smettevano di progettare, inventare nuovi generi, lanciarsi in una sfida letteraria senza fine. La fantascienza, i fumetti, i classici rivisitati, i drammi e i radiodrammi, gli adattamenti televisivi. Li chiamavano Bouvard et Pécuchet, come i personaggi di Flaubert: loro li lasciavano dire, ma in realtà di quella strana coppia non condividevano la fede nel progresso, però l'ansia di fare sì. E ne hanno fatte tante insieme".
Lucentini più ansioso, anche nel progetto.
"La famosa scaletta: Franco esigeva un 'preromanzo', una traccia dettagliatissima, mentre mio padre  preferiva lanciarsi in un percorso gravido di sorprese. E allora discutevano. "Sei schizofrenico" gli diceva papà. 'Vuoi scrivere sul serio, fingendo di scrivere per prova'. E lui replicava: 'No, schizofrenico sei tu che vuoi scrivere fingendo di non sapere dove stai andando'".
Come capirono di essere amici?
"Nei primi anni Sessanta, quando dalla Einaudi passarono alla Mondadori, con l'incarico di curare Urania, la collana di fantascienza. Non ne sapevano granché ma erano molto curiosi. Così andarono a fare incetta di racconti fantascientifici in lingua inglese nelle bancarelle di libri usati in corso Valdocco, a Torino. Poi se li dividevano per blocchi di sessanta titoli a testa; ognuno doveva fare la sua scelta. E successivamente si scambiavano i blocchi di libri, per un'ulteriore verifica. Alla fine scoprirono che i libri scelti erano gli stessi".
Si erano conosciuti a Parigi, nel 1953. Suo padre aveva 27 anni, Lucentini 33.
"Papà era rimasto colpito dal suo sorriso: ironico ma mai feroce, provvisto di un punto di vista preciso ma sempre indulgente. Come se fosse animato da un fondo di sconfinata tenerezza verso ogni minima cosa che poi si traduceva in compassione per ogni debolezza, follia, bassezza. Seppur ammirandone moltissimo l'indole, lui si sentiva diverso, più giudicante e tranchant".
Poi, nella vecchiaia, da dinamici Bouvard et Pécuchet divennero statici come i personaggi di Beckett paralizzati dall'attesa di Godot: lo racconta Fruttero in una bellissima pagina dedicata all'amico.
"Si incontravano al caffè o su una panchina di Piazza Maria Teresa o in ospedale per caso tra un ricovero e un altro: mi ricordo una volta in ascensore, Franco seduto sulla sedia a rotelle - era malato di tumore - e papà in attesa di una serie di controlli. Si guardarono con infinita tenerezza. Franco diceva di non starci con la testa, ma era lucidissimo: aveva paura della malattia, sentiva venir meno le forze. E non sopportava l'idea di non essere più autonomo".
È stata lei a dire suo padre del suicidio?
"Eravamo nella casa estiva di Roccamare, vicino a Grosseto, e presi la telefonata di Mauro Lucentini, il fratello. Entrai nello studio e glielo dissi. Non fece scenate, immobile, fedele alla sua educazione sabauda. Mi guardò con dolcezza e rassegnazione, come se in fondo se l'aspettasse. Negli ultimi mesi Franco non aveva voluto vedere nessun altro che lui. Mi chiese solo: come? Ed è stato il modo che l'ha straziato, il fatto che Franco sia stato costretto a fare tutto da sé, spingersi faticosamente sul pianerottolo, trovare un varco nella tromba delle scale. Se avesse avuto un medico pietoso al suo fianco, si sarebbe potuto risparmiare questa ultima crudeltà. Lo disse ai funerali, con quel termine inconsueto di 'suicida bricoleur'. E mentre parlava non riusciva a staccare la mano dal legno della bara".
Carlotta, suo padre e Lucentini non erano congiunti, forse qualcosa di più.
"Mi è appena arrivata la notizia della morte di Mauro Lucentini, il fratello novantaseienne che viveva a New York. Per me è un dolore acuto, come se fosse venuto a mancare l'ultimo legame con quella che per molti è una coppia letteraria ma per me resta un universo affettivo intimo, una bussola sentimentale, un padre e un secondo padre. Non so come tradurlo nella lingua della burocrazia".
       

9.7.17

Lui diventa Silvia, lei diventa Alessandro: si incontrano e ora si sposano Doppio cambio di sesso per la coppia che abita e lavora a Padova

  In sottofondo , quella    che  puo' essere considerata   a  tutti glie ffettio  la  colonna sonora per  post    come questi  e  che  è   stata  la canzone  per  il gay pride  a  sassarti  del  8\7\2017


da  http://mattinopadova.gelocal.it/padova/cronaca  del  07 luglio 2017


Lui diventa Silvia, lei diventa Alessandro: si incontrano e ora si sposano
Doppio cambio di sesso per la coppia che abita e lavora a Padova

di Vera Mantengoli

PADOVA. Una volta si chiamavano Gian Luca e Lisa. Lui abitava a Roma, faceva il parrucchiere e frequentava dei ragazzi. Lei invece è sempre rimasta a Padova, lavora ancora nella stessa grande azienda e nel suo passato ha una convivenza di dieci anni con una donna.
La loro vita procedeva come quella di tante altre, ma c’era qualcosa che li tormentava: entrambi si sentivano in un corpo che non era il loro e non potevano più mentire a sé stessi. Oggi quei due sono rispettivamente Silvia e Alessandro, hanno 31 e 44 anni, vivono a Padova e contano i giorni che li separano dal matrimonio, già fissato per il prossimo anno.





«Eravamo in un locale a Londra», racconta Silvia che da poco si è trasferita a Padova per seguire Alessandro. «Stavamo bevendo un bicchiere di Porto, avevamo chiesto del vino, ma non lo avevano. Alessandro continuava a dirmi di berlo, ma io non ne avevo voglia. Poi ho visto qualcosa luccicare nel fondo: era un brillante. Si è inginocchiato e mi ha chiesto di sposarlo. E ora eccoci qui insieme».
La loro vita ha una svolta quando Gian Luca a 27 anni decide di diventare Silvia e Lisa a 36 diventa Alessandro. Allora non si conoscevano, ma entrambi nel 2012 avevano deciso di fare un passo senza possibilità di ritorno. Purtroppo l’operazione di Silvia non è andata come sperava. «Mi sono accorta che qualcosa non andava in quarta elementare e ne sono sempre stata consapevole», racconta Silvia.
«A un certo punto ho deciso di farmi operare a Roma, ma è stato un disastro perché non mi hanno messo al corrente di tante possibili conseguenze. Ora ho fatto causa con l’avvocatessa Alessandra Gracis e sto valutando se operarmi ancora».
In pratica l’operazione non era riuscita in quanto i tessuti della vulva si erano richiusi. Ieri pomeriggio Silvia è andata a Venezia per incontrare la chirurga americana Marci Bowers, icona mondiale per chi si occupa di operazioni di riassegnazioni di genere e, a sua volta, uomo tantissimi anni fa. L’appuntamento è stato organizzato da Gracis che è diventata donna nel 2013, grazie a Bowers.

L'immagine può contenere: una o più persone e sMS
 DAL GAY PRIDE  DI SASSARI  8\7\2017  DI  www.facebook.com/claudiacrabuzzaofficial/
«Voglio avere una relazione completa con Alessandro», racconta Silvia, «quindi sto pensando se farmi operare ancora». Per Alessandro le cose sono andate in modo diverso e si sono concluse in modo positivo. Lui ha dovuto prima sottoporsi a un intervento per togliere il seno e l’apparato vaginale, realizzato a Bologna. Poi però è arrivata la parte ancora più complicata, quella della ricostruzione del pene.
«Quando ho deciso di fare l’operazione per cambiare sesso», racconta, «sono andato dal presidente della mia azienda a dirglielo. Lui si è dimostrato una persona davvero aperta. Mi ha detto che se la sua azienda si fosse fermata negli anni davanti alle diversità, non sarebbe mai cresciuta. Io ne sono rimasto colpito, soprattutto perché quel giorno ha aspettato che finissi di lavorare e poi ha chiamato tutti i dipendenti dicendo loro che non voleva sentire né battute, né barzellette, né nessun commento a riguardo. Mi ha chiesto però di non dire il nome dell’azienda».
Alessandro si è affidato al Belgio per la falloplastica: «Non mi sarei fidato in Italia», spiega, «ma devo ringraziare l’Asl di Padova perché mi ha aiutato a farmi riconoscere l’operazione che costa circa 70 mila euro e che mi hanno in gran parte rimborsato».
Oggi Alessandro contribuisce a dare supporto al vero ritrovo di chi ha «un disturbo di identità di genere»: la pagina Facebook FTM o MTF &Friends. La questione è attuale: «La biologia stessa insegna che la vita è diversità e non ci si può fermare all’idea che nasci uomo o donna», ha detto Bowers,in viaggio a Venezia.
«Le religioni fanno del bene, ma in questo caso bloccano la scienza impedendo ad alcune persone di diventare se stesse. Tutta la società è cresciuta opponendosi alla natura, tirarla in ballo solo per la  questione sessuale è una mancanza di onestà». 





concludo con le note di




questione sessuale è una mancanza di onestà».

emergenza femminicidi non basta una legge che aumenti le pene ma serve una campaga educativa altrimenti è come svuotare il mare con un secchiello

Apro l'email  e tovo  queste  "lettere "   di  alcuni haters  \odiatori  ,  tralasciando  gli  insulti  e le  solite  litanie ...