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2.1.25

Sopravvissuta all'Olocausto, ha vinto 10 medaglie alle Olimpiadi: Agnes Keleti si è spenta a 103 anni

  fonti  corriere dela sera tramite msn.it  e https://www.thesocialpost.it/ e https://www.ilmessaggero.it/video/sport/ per il video

Agnes Keleti, una delle più grandi atlete ebree della storia, è morta a 103 anni in Ungheria. Sopravvissuta all’Olocausto, era la campionessa olimpica vivente più anziana, con 10 medaglie conquistate nella ginnastica . “Avrebbe compiuto 104 anni giovedì prossimo”, un traguardo che avrebbe celebrato con lo stesso spirito indomabile che l’ha sempre contraddistinta.Nata Agnes Klein nel 1921, la sua carriera fu drammaticamente interrotta dalla Seconda guerra mondiale e dalla cancellazione delle Olimpiadi del 1940 e 1944. Nel 1941, a causa delle leggi razziali, fu costretta ad abbandonare la squadra di ginnastica e a nascondersi nella campagna ungherese sotto una falsa identità, lavorando come domestica. La madre e la sorella sopravvissero grazie al diplomatico svedese Raoul Wallenberg, ma il padre e altri familiari furono deportati e morirono ad Auschwitz.
Dopo la guerra, Keleti tornò ad allenarsi con determinazione. Sebbene un infortunio le avesse impedito di partecipare alle Olimpiadi di Londra del 1948, il debutto a Helsinki nel 1952 la vide brillare: un oro, un argento e due bronzi negli esercizi a corpo libero. La consacrazione definitiva arrivò alle Olimpiadi del 1956 a Melbourne, dove conquistò 4 ori e 2 argenti.
Agnes è rimasta un’icona anche dopo il ritiro. Nel 2017 ha ricevuto il prestigioso Premio Israele, mentre l’Ungheria l’aveva già insignita del titolo di “Atleta della Nazione” nel 2004. Sorprendentemente, ha continuato a eseguire spaccate fino ai 90 anni, dimostrando che la sua forza andava ben oltre il tempo . i.
Keleti conquistò le medaglie olimpiche in due edizioni dei Giochi: Helsinki 1952 e Melbourne 1956, dove batté la leggendaria ginnasta sovietica Laris Latynina. Ha dovuto aspettare, dopo un mucchio di occasioni sfuggite: prima a causa della guerra, poi per un infortunio che l'ha costretta a rinunciare ai Giochi del 1948 a Londra. Era sopravvissuta agli orrori dell'Olocausto, aveva dovuto lasciare la ginnastica e superare il dolore per la scomparsa del padre e di diversi parenti, uccisi dalla ferocia nazista nel campo di concentramento di Auschwitz. Agnes si è salvata e con lei anche mamma e sorella.
 


Keleti è considerata una delle più grandi atlete ebree di sempre ed era la campionessa olimpica vivente più anziana: era nata a Budapest il 9 gennaio 1921 e giovedì prossimo avrebbe compiuto 104 anni. Agnes ha ottenuto anche successi importanti in Italia: ai Campionati del Mondo di Roma 1954 si è laureata Campionessa del Mondo alle parallele asimmetriche. Keleti ha lasciato l'Ungheria a causa della rivoluzione scoppiata nel '56, proprio durante le Olimpiadi di Melbourne: dopo aver chiesto asilo politico in Australia, si è trasferita in Israele. In un'intervista di tre anni fa, disse: «Ho 100 anni, ma ne sento 60. Amo la vita». Lo sport piange una donna che è stata più forte di tutto.

1.9.24

Perché Olimpiadi e Paralimpiadi non si fanno in contemporanea ed altre storie paraolimpiche



Oggi quarto giorno di Paralimpiadi .
Chi vince una medaglia può fare due cose, quando passa da un metal detector: togliersela, per non farlo suonare, oppure approfittarne per pavoneggiarsi un po'  come  il  caso  dell'italiano Antonino Bossolo, bronzo nel taekwondo -63 kg . 




Ma  veniamo     al  quesito che   si pongono  molti  ( compreso il sottoscritto ) Perché Olimpiadi e Paralimpiadi non si fanno in contemporanea  ? 

Le Olimpiadi e le Paralimpiadi non si svolgono contemporaneamente per diverse ragioni storiche, logistiche e organizzative.  Infatti   se  si legge   la storia  delle  parolimpiadi   è  dal 2001,   che  il Comitato Olimpico Internazionale (CIO) e il Comitato Paralimpico Internazionale (IPC) hanno firmato un accordo che stabilisce che la città ospitante delle Olimpiadi deve anche organizzare le Paralimpiadi1. Questo accordo è stato pensato per garantire che entrambe le manifestazioni abbiano la giusta attenzione e risorse, utilizzando le stesse strutture e infrastrutture
Inoltre, tenere i due eventi separati permette di dare maggiore visibilità agli atleti paralimpici e di celebrare le loro imprese senza che vengano oscurate dalle Olimpiadi3. Questo approccio aiuta a promuovere l’inclusione e a sensibilizzare il pubblico sulle capacità e i successi degli atleti con disabilità  .  Infati  
 

  dalla     NW  di paris   di ilpost.it

Quando la città di Boston provò ad aggiudicarsi l'organizzazione dei Giochi del 2024 – ritirò la candidatura nel 2015 – propose di invertire l'ordine dei due eventi: prima le Paralimpiadi, poi le Olimpiadi. L'idea era che le Paralimpiadi ne avrebbero guadagnato in visibilità, e allo stesso tempo le Olimpiadi avrebbero avuto un evento per “testare” su scala ridotta la macchina organizzativa. Fu una proposta presto respinta, come avviene tutte le volte in cui ciclicamente si parla della possibilità che Olimpiadi e Paralimpiadi vengano fatte nello stesso periodo, in teoria con la speranza di dare più visibilità alle Paralimpiadi: fu una questione molto dibattuta prima delle Paralimpiadi di Rio 2016, quando il comitato organizzatore ebbe molti problemi a vendere i biglietti per le gare (ma poi ci riuscì).
Secondo entrambi i Comitati internazionali, olimpico e paralimpico, queste proposte non solo non funzionerebbero, ma non sarebbero nemmeno praticabili: organizzare i due eventi in contemporanea richiederebbe uno sforzo logistico enorme e rischierebbe di produrre l'effetto opposto sul pubblico, cioè di togliere attenzione alle Paralimpiadi. Per Andrew Parsons, presidente del Comitato paralimpico internazionale, è invece un bene che ci sia «un momento unico per celebrare gli atleti paralimpici». Parsons rifiuta anche la proposta di anticipare le Paralimpiadi, che secondo lui non dovrebbero in alcun modo «essere viste come un test per le Olimpiadi».
Ecco quind  che   , semre  secondo  la   Nw , nel 2001 i due comitati firmarono un accordo per tutelare i Giochi paralimpici, stabilendo che da Pechino 2008 in poi dovessero tenersi sempre poco dopo quelli olimpici, usando lo stesso villaggio, facendo le gare negli stessi posti (più o meno) e coprendo le spese di entrambi gli eventi con lo stesso budget.


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La saltatrice in lungo Tara Davis e il velocista paralimpico Hunter Woodhall, che sono sposati e si allenano spesso insieme (AP Photo/Michael Woods)

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Il rugby in carrozzina è uno sport in cui scontri, contatti fisici al limite e ribaltamenti delle carrozzine stesse sono talmente frequenti che è stato soprannominato murderball: e non vi sfuggirà che “murder” in inglese significa “omicidio”. È in effetti uno sport all'apparenza piuttosto violento, anche se i giocatori sembrano impassibili a qualsiasi cosa gli capiti: appena ci si abitua, comunque, diventa molto divertente perché è estremamente rapido e dinamico.
È uno sport che mischia elementi del rugby ad altri del basket e della pallamano, e come nel rugby i punti si fanno oltrepassando una linea di meta in fondo al campo. La palla però è rotonda. Si gioca su un campo al chiuso grande quanto quello da basket, e infatti fu inventato negli anni Settanta proprio come alternativa al basket in carrozzina. È uno sport misto, in cui uomini e donne giocano insieme: ogni squadra ha 4 giocatori e giocatrici a cui viene assegnato un coefficiente da 0,5 a 3,5 in base al livello di limitazione fisica o della capacità di gioco dovuto alla disabilità, e la somma dei coefficienti in campo non può superare 8 (per ogni donna in campo però si ha uno 0,5 in più).
Il rugby in carrozzina sta avendo un crescente successo negli ultimi 10 anni soprattutto grazie a una regola che dal 2008 lo ha reso più intenso e spettacolare: quella per cui ogni squadra ha al massimo 40 secondi per un'azione d'attacco (ogni giocatore, poi, non può tenere la palla per più di 10 secondi senza passarla o palleggiare).
Le carrozzine sono diverse a seconda del tipo di giocatori: quelli di difesa ne hanno una con una sporgenza davanti per permettere di contrastare gli avversari (gli vanno proprio addosso alla massima velocità), mentre quelli d'attacco ne hanno una più adatta all'agilità di manovra in spazi stretti. La fisicità è una delle cose che giocatori e giocatrici preferiscono di questo sport, e ciascuno ha le sue storie di cicatrici, dita maciullate e ossa rotte durante le partite da raccontare con fierezza. Le carrozzine si ribaltano spesso, sì: e altrettanto spesso sono da aggiustare.


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Anche nelle paraolimpiadi ci sono donne incinte che hano scelto di gareggiare


Sette mesi


Non sono molte nella storia delle Olimpiadi le atlete che hanno gareggiato mentre erano incinte, e fino a questa edizione non ce n'era mai stata nemmeno una alle Paralimpiadi (o almeno non che si sapesse): poi è arrivata l'arciera britannica Jodie Grinham, che si è presentata a Parigi 2024 al settimo mese di gravidanza. Se in un certo senso il tiro con l'arco può sembrare uno sport più adatto di altri a essere praticato anche in gravidanza, perché richiede meno movimenti, per altri versi non lo è affatto. Nel momento del tiro le arciere hanno bisogno del massimo della concentrazione, di abbassare il proprio battito cardiaco e di
controllare la respirazione in modo da scoccare la freccia solo quando sono completamente ferme: ecco, pensate dover fare tutto questo con un feto di sette mesi in pancia.
Ieri Grinham (  foto  a  sinistra  ) ha vinto la medaglia di bronzo nel torneo individuale dell'arco compound (un tipo di arco che ha alcuni accorgimenti per limitare gli sforzi fisici), ed è stata in qualche modo storica. Durante la gara «il bambino non ha smesso di muoversi», ha detto Grinham, che ha spiegato di aver fatto allenamenti specifici per controllare quella situazione. Sarà difficile dopo di lei vedere alle Paralimpiadi atlete con gravidanze più avanzate. Nella storia delle Olimpiadi moderne si ha notizia di 25 atlete che hanno gareggiato incinte, ma nessuna al settimo mese.


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La più giovane di tutta la delegazione italiana


Dei 141 atleti e atlete italiani a queste Paralimpiadi, la più giovane in assoluto è Giuliana Chiara Filippi  ( foto  a   destra )  , che è del 2005 e deve ancora compiere 19 anni. Gareggia nei 100 metri e nel salto in lungo della categoria T64, per atlete con disabilità a un arto inferiore sotto al ginocchio: a Filippi manca il piede destro dalla nascita.
Nonostante sia molto giovane, quest'anno ha già fissato i record nazionali praticamente in tutte le sue specialità: 60, 100 e 200 metri, oltre al salto in lungo. Ieri è arrivata nona nella finale di salto in lungo e il 5 settembre tornerà a gareggiare nei 100 metri. Qualche settimana fa lei stessa aveva detto di andare a queste Paralimpiadi «senza aspettative», perché «comunque sono ancora giovane»: ma è una di quelle atlete da cominciare a tenere d'occhio.




Infatti    è  leggendo  le  sue  dichiarazioni    che non vedo  una  grande   sostanziale     differenza , in qiuanto  lo  spirito olimpico   è lo stesso  ,   tra  i  giochi olimpici  e  paraolimpici 

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Un'altra medaglia per Carlotta Gilli, una delle atlete di punta della nazionale italiana a queste Paralimpiadi: è la terza, e nei prossimi giorni gareggerà ancora.


Un'altra medaglia per Carlotta Gilli, una delle atlete di punta della nazionale italiana a queste Paralimpiadi: è la terza, e nei prossimi giorni gareggerà ancora.

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Gli esseri umani fanno ricorso a protesi di vario tipo fin dall'antichità, ma per molto tempo il loro scopo è stato più che altro quello di nascondere la mancanza di un arto. Affinché siano utili e funzionali, invece, in tempi più recenti si è capito che le protesi non devono per forza assomigliare agli arti umani.











 



15.8.24

Giochi proibiti (e squallidi) sulla pelle degli olimpionici LA PERVERSIONE DEI SOCIAL Mai come a Parigi gli atleti sono finiti vittime di una grottesca sessualizzazione, tra spettatori onanisti e bufale mediatiche

 

N.B
Chi ha  già letto  i miei post  qui sul  blog  o  sulle  appendici  social  (  facebook  account  e  pagina , twitter ora  x  ,  linkedin, threads  )   può anche non leggere  la  seconda  parte  del post   ovvero    l'articolo    della  famosa  blogger      sul  il  fatto del 15\8\2024  da me  riportato 

Speriamo   che   con le  paraolimpiadi   che    inizieranno abreve   non  si verifichi quello  che (  anche se  ci  credo poco  visto la mercificazione del sesso   e dei corpi )   si  è   verificato a queste olimpiadi . Ora   capisco   farci  un pensiero erotico  (  nessuno  di noi  è immune  sottoscritto  compreso)  ma     si  esagera  e si scade  nela   volgarità più becera  che   disgusta    persino un porno dipendente  come me  .E'  successo anche   alle  scorse  olimpiadi di tokyo ma   quoi  si  esagerato   .   Infatti  come  dice   anche  l'articolo    da me     sotto riportato  a cadere vittime del fenomeno, sono stati persino gli atleti maschi. L'esempio  più  clamoroso  è   stato qiello  del saltatore con l’asta francese Anthony Ammirati ha fatto cadere il palo con, diciamo, “l’inguine”. Il gesto  ha destato  ilarità (non capita tutti i giorni vedere un palo che si incastra con un pene, seppure sotto i pantaloncini) e invece, tra commenti su misure e fantasie erotiche esplicitate, la vicenda ha preso un piega così pecoreccia che secondo Tmz Sport, ad Ammirati verranno offerti 250 mila dollari per mostrarsi nudo in camera per un’ora da un’azienda che produce contenuti per adulti. Insomma, un atleta olimpico trattato come Rocco Siffredi. Un altrocaso   è stato quello   di Thomas Ceccon. Il nuotatore italiano  , a 23 anni, si aggiudica la medaglia d’oro nei 100 metri dorso diventando il primo italiano a ottenere il titolo olimpico in questa specialità. I meriti sportivi però sono offuscati da quelli estetici al punto che lo stesso atleta, a commento di un suo video diventato virale con titolo “Dio dell’olimpo” (e migliaia di commenti tipo “mi sento incinta”., ecc  ), ha scritto don’t sexualise me, please, “non sessualizzatemi per favore”. Insomma, è proprio un uomo, ---- come  fa anche   notare  la stessa blogger  nell'articolo    sotto  --- sorprendentemente, a utilizzare il verbo “sessualizzare” in queste Olimpiadi. Ed è un particolare non trascurabile ed  importante  , perché è la prima volta che accade, nel mondo dello sport   dove  nessun atleta si era mai lamentato dei commenti sessisti, dell’oggettificazione del corpo maschile, durante una competizione sportiva. Ceccon, ribellandosi al disconoscimento del suo valore sportivo o comunque al fatto che il merito sia in secondo piano rispetto alle sue spalle e ai suoi occhi azzurri, compie il suo miglior gesto atletico: puntare il dito sul cameratismo becero di chi tratta i corpi come oggetti. E nel farlo – forse lui non lo sa – ha dato una grossa mano anche alle donne  che  d'anni conducono tale  battagli   o  ormai  lo accettano   in silenzio  in quanto   si  sono  stufate di ripterlo   ed essere     sole  a  combatterlo  .

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Giochi proibiti (e squallidi) sulla pelle degli olimpionici

LA PERVERSIONE DEI SOCIAL Mai come a Parigi gli atleti sono finiti vittime di una grottesca sessualizzazione, tra spettatori onanisti e bufale mediatiche


Èpassato un anno esatto dalla morte di Michela Murgia e durante le Olimpiadi appena terminate pensavo spesso a lei. Mi chiedevo cosa avrebbe detto dello sdoganamento (mai così volgare) della sessualizzazione degli atleti, dei meme, dei titoli di giornali, di alcune foto fatte girare ad arte per aizzare commenti beceri, dei commenti sui social. Perché non so se ve ne siete accorti, ma oltre al famoso titolo di Repubblica (“Italia oro nella spada squadre. Le 4 regine: l’amica di Diletta Leotta, la francese, la psicologa e la mamma”), in cui le atlete erano definite per “nota di colore” come i Sette nani, si è assistito a un tripudio di squallore che fa dubitare dell’efficacia delle tante battaglie pedagogiche sul tema sessismo combattute negli ultimi anni.

Una delle foto diventate virali è quella di una atleta del nuoto sincronizzato che fa una spaccata in aria, sorretta dalle compagne in acqua. L’immagine (in realtà ritrae la squadra greca ai mondiali di Barcellona 2013) è girata compulsivamente sui social per le ridotte dimensioni del costume (si intravedono le sue parti intime). Mi è impossibile elencare i commenti sotto alla foto del gesto atletico perché il più pulito è “Per quanto è muscolosa la fessa rischi che ti faccia male”. Solo un anno fa, la campionessa di nuoto sincronizzato Linda Cerruti denunciò dodici uomini per i commenti sessisti che avevano lasciato sotto una sua immagine in una posizione molto simile, ma evidentemente la lezione è servita a poco. E non è necessario che ci sia un corpo scoperto, per innescare il cameratismo più becero.

 Claudia Mancinelli (  foto  a destra ), ex atleta e allenatrice di Sofia Raffaeli, bronzo nel concorso

individuale della ginnastica ritmica alle Olimpiadi di Parigi, è finita in una tempesta di commenti sessisti per qualcosa che si fa persino fatica a spiegare, ovvero: il video di lei che si alza dalla panchina e con piglio sicuro va a protestare con i giudici per un punteggio considerato troppo basso assegnato alla sua ginnasta. E quello in cui abbraccia Sofia prima che si esibisca. Una sconcertante pioggia di “Lesbica” “Scopami” “Picchiami”. E comunque, Claudia Mancinelli perlomeno è maggiorenne da un po’. La norvegese Embla Matilde Njerve,( foto   sotto )  



 campionessa di salto con l’asta, ha 17 anni e un viso angelico. Il suo primo piano mentre sta per saltare e stringe concentrata l’asta è diventato forse il video più virale durante le olimpiadi di Parigi.

Viene definita “Barbie” dai commentatori più gentili e ometto i commenti dei meno gentili, ma ripeto, stiamo parlando di una ragazzina di 17 anni. La faccenda tragicomica però è che Embla Matilde Njerve, il sogno erotico di orde di sfigati sul web, non ha mai partecipato alle Olimpiadi di Parigi. Quel video è dei campionati Europei under 18 che si sono tenuti in Slovacchia. Chi invece c’era, alle Olimpiadi è Alica Schmidt, una velocista tedesca di 25 anni molto brava e avvenente. I titoli su di lei di due delle testate sportive più note: “La più bella dei giochi olimpici tra atletica e banana bread in borsa” e “La più bella dei giochi fa flop”.

Inutile dire che la sua foto più virale sui social, con commenti sessisti da rabbrividire, è quella in cui Alica è inginocchiata alla partenza. E a pensarci bene tutte le donne oggetto di sessualizzazione in queste Olimpiadi sono ritratte in posizioni che evocano il sesso: Claudia Mancinelli mentre protesta, in posizione prona, con i giudici. La campionessa di nuoto sincronizzato mentre è a gambe aperte, l’atleta norvegese mentre passa le sue mani sull’asta, Alica Schmidt, appunto, mentre è inginocchiata a terra. Gesti che fanno parte della normalità, nella competizione, vengono trasformati in ammiccamenti erotici, come nelle commediole sexy anni 70. E comunque, a cadere vittime del fenomeno, sono stati persino gli atleti maschi. Il saltatore con l’asta francese Anthony Ammirati ha fatto cadere il palo con, diciamo, “l’inguine”. Il gesto poteva destare ilarità (non capita tutti i giorni vedere un palo che si incastra con un pene, seppure sotto i pantaloncini) e invece, tra commenti su misure e fantasie erotiche esplicitate, la vicenda ha preso un piega così pecoreccia che secondo Tmz Sport, ad Ammirati verranno offerti 250 mila dollari per mostrarsi nudo in camera per un’ora da un’azienda che produce contenuti per adulti. Insomma, un atleta olimpico trattato come Rocco Siffredi. Infine, c’è il caso Thomas Ceccon. Il nuotatore, a 23 anni, si aggiudica la medaglia d’oro nei 100 metri dorso diventando il primo italiano a ottenere il titolo olimpico in questa specialità. I meriti sportivi però sono offuscati da quelli estetici al punto che lo stesso atleta, a commento di un suo video diventato virale con titolo “Dio dell’olimpo” (e migliaia di commenti tipo “mi sento incinta”), ha scritto don’t sexualise me, please, “non sessualizzatemi per favore”. Insomma, è proprio un uomo, sorprendentemente, a utilizzare il verbo “sessualizzare” in queste Olimpiadi. Ed è un particolare non trascurabile, perché è la prima volta che accade, nel mondo dello sport. Nessun atleta si era mai lamentato dei commenti sessisti, dell’oggettificazione del corpo maschile, durante una competizione sportiva. Ceccon, ribellandosi al disconoscimento del suo valore sportivo o comunque al fatto che il merito sia in secondo piano rispetto alle sue spalle e ai suoi occhi azzurri, compie il suo miglior gesto atletico: puntare il dito sul cameratismo becero di chi tratta i corpi come oggetti. E nel farlo – forse lui non lo sa – ha dato una grossa mano anche alle donne.

27.2.22

la squadra degli Insuperabili e la break dance alle olimpiadi

 Insuperabili è una scuola calcio per ragazzi con disabilità, nata a Torino 10 anni fa ed oggi diffusa su
tutto il territorio nazionale con 650 atleti che giocano in 17 sedi. In occasione dell'annuncio della partnership con Intesa Sanpaolo, Davide Leonardi, Co-founder Insuperabili, ci ha raccontato del loro Metodo, il sistema costituito da molteplici figure professionali che insieme costituiscono l'equipe di lavoro che quotidianamente segue e allena tutti gli atleti.



"Vogliamo raccontare il nostro Metodo tramite una storia concreta, quella di un nostro atleta: Alessio.



Scopriremo insieme il suo percorso, la sua stagione e soprattutto come vive e come affronta quotidianamente lo sport. Il finale è tutto da scoprire, perchè proprio come nello sport, non abbiamo un finale già scritto". Il sogno di Alessio, atleta della squadra Pre Agonistica, è quello di difendere i valori ed i colori di questa realtà con la maglia della Prima Squadra.

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Inizialmente   pensavo che  la  black  dance  pur essendo      spettacolare  per  certi versi  liberatoria      come  dimostrano  questo video  



sia questa la voce break dance di https://it.wikipedia.org ma se avevo qualche dubbio su farne un sport olimpico ritenendolo inopportuno ed inappropriato . Poi leggendo

 quanto dice    https://www.federdanza.it/area-sport/street-e-pop-dance/break-dance/la-disciplina-break

 [---]  Oggi il breaking è presente anche in TV, nella cultura popolare, così come negli spettacoli teatrali. In conclusione il breaking si è evoluto in una forma d'arte a livello globale, al cui interno sono presenti alcuni elementi sportivi che gli conferiscono una natura atletica. Ciò ha di certo influito nella decisione nel 2016 del Comitato Internazionale Olimpico (CIO) di aggiungere il breaking ai Giochi Olimpici Giovanili del 2018 a Buenos Aires e dell'edizione 2022 di Dakar.
[... ]

Infatti : [.. ] "Ci vogliono anni di sudore, sangue e lacrime per creare dei movimenti, delle coreografie, ci racconta Fabiano Lopes uno dei campioni di breakdance --- su quest   articolodi   https://it.euronews.com/--- Penso che la società abbia bisogno di capire un po’ di più questa forma d'arte che è sorprendente proprio come il calcio, o il basket.”
Il breaking è una specialità ricca di stimoli culturali e di contaminazioni, che ruota attorno a quattro elementi fondamentali per la creazione delle esibizioni, Le origini risalgono ai primi anni '70, quando nel South Bronx, a New York, si diffonde per la prima volta la cultura di strada Hip Hop.
"Questa forma d'arte è spirituale, fisica e mentale. Noi non stiamo solo facendo movimenti strani, come girare la testa o il corpo. Costruiamo delle geometrie che sono sacre”, prosegue Lopes. “Dobbiamo ruotare la tesa con una forza che arriva da tutto il corpo. E’ come generare potere. Una specie di guarigione, Alla fine della giornata siamo esausti. E poi è un ritorno alle origini. Bisogna possedere le basi di questa forma d'arte per poter creare un milione di passi. Dal passato bisogna portare sulla scena qualcosa di nuovo. Queste basi sono fondamentali. Io dallo stile newyorkese posso passare alla versione brasiliana, un mix di innovazione.”[... ]

11.8.21

perchè dire si allo ius soli sportivo


 rileggendo   quanto      scritto in  <<  La nazione multietnica è già una vibrante realtà,e le  olimpiadi  di  tokyo lo  dimostrano   >> e   leggendo le storie    che  troverete  sotto  mi    venuta    di getto   questa  breve lettera     a  sovranisti  

Cari sovranisti  e salvinisti
voi  e la vostra cloche mediatica che  siete  contro lo ius solis  non lamentatevi se l'Italia  non dovesse vincere  medaglie perché atleti che ne hanno la possibilità  non ci posso andare perché  pur presenti d'anni su suolo italiano  non hanno la cittadinanza  o devono aspettare le calende greche per averla . non lamentatevi se l'italia sarà  come l'Africa saccheggiata dei suoi talenti  e quell'atleta sarà reclutato  da uno stato straniero e vincerà  per lui un olimpiade e quello stato sfrutterà la sua vittoria ed il suo talento politicamente .infatti sembra,  mi auguro come tutti voi , che  Jacobs ,( Oro nei 100 m e nella 4×100 ) voglia lasciare l'italia ed andarsene negli Usa

Il suo nome è Hakim Elliasmine, è un ragazzo 22enne di Bergamo nato da genitori marocchini, da 15 anni vive in Italia, dove ha vinto la bellezza di 10 titoli nazionali nel mezzofondo (tra cross e pista).È uno dei più forti atleti europei in attività, con un personale sugli 800 metri da finale olimpica.Eppure a Tokyo nessuno lo ha visto, perché Hakim per lo Stato non è italiano, non può correre per gli azzurri né iscriversi a un “gruppo militare”, che per lui rappresenterebbe la svolta.Corre da anni come “italiano equiparato”, una definizione che fa venire i brividi.Al compimento dei 18 anni, suo padre ha richiesto la cittadinanza, ma la domanda è stata respinta perché - sentite qui - al reddito familiare mancavano 300 euro. Hakim Elliasmine non può dirsi cittadino italiano per 300 euro!Dietro le imprese di Jacobs e la favola di Desalu, c’è un pezzo di Italia invisibile che lotta, corre, sacrifica tutto per lo sport, che parla italiano, pensa in italiano e si sente italiana, costretta a vivere nell’ombra di un Paese che gli nega un semplice pezzo di carta.E lo stesso vale anche per le migliaia di ragazzi che magari non sono e non saranno mai campioni, ma che hanno lo stesso identico diritto di essere cittadini del Paese in cui sono nati o cresciuti, l’unico che hanno mai conosciuto davvero.Non abbiamo bisogno dello Ius soli sportivo. Abbiamo bisogno dello Ius soli e basta, dello Ius culturae e di ogni diritto di cittadinanza oggi negato. Solo allora potremmo dirci davvero, una volta per tutte, un Paese civile.
Potrebbe essere un'immagine raffigurante 1 persona e il seguente testo "CAM M ITALIA"





Great Nnachi, italiana per l’atletica ma non per lo Stato: ecco perché lo ius soli è necessario non solo per lo sport Open 10 AGOSTO 2021 - 05:31

Grana/FIDAL

di Alessandro D’Amato

Non ha ancora 17 anni, è una baby campionessa di salto in alto e non può vestire l’azzurro fino al compimento della maggior età. Ma nella sua condizione ci sono più di un milione di minorenni italiani di fatto ma non di diritto. Per questo ci vuole una legge per tutti, non solo per gli atleti

Si chiama Great NNachi, compirà 17 anni il 15 settembre, è nata a Torino ed è una baby campionessa di salto in alto, speranza italiana nell’atletica. Ma per ora non può vestire l’azzurro perché pur essendo italiana per la Iaaf grazie a un cambio di regolamento della Fidal non lo è per lo Stato. E quindi finché non compirà 18 anni non potrà gareggiare con i pari età di tutto il mondo. E questo nonostante il presidente Sergio Mattarella l’abbia nominata Alfiere della Repubblica. Great Nnachi per due volte ha conquistato il tricolore cadette di salto con l’asta, nel 2018 e anche nel 2019. Ma non potrà partecipare né agli Europei né ai mondiali giovanili. Proprio perché, come spiega in un’intervista a La Stampa, non ha la cittadinanza.
Great Nnachi, italiana per l’atletica ma non per lo Stato
Eppure Mattarella le ha dato l’attestato d’onore per i giovani che si sono distinti per il loro impegno e le loro azioni coraggiose e solidali «per le sue qualità di atleta, affinate pur tra difficoltà, e per la disponibilità che mostra nell’aiutare i compagni e nel collaborare alla formazione e all’allenamento dei più piccoli». Nel 2019 ha conseguito la migliore prestazione nazionale under 16 all’aperto superando la quota di 3,80. Ma è riuscita a farlo solo grazie a una norma deliberata dal Consiglio Federale in base alla quale «gli atleti stranieri cadetti e allievi possono concorrere all’ottenimento delle migliori prestazioni italiane di categoria, ove siano tesserati per una società affiliata, siano residenti in Italia e nel nostro Paese frequentino gli istituti scolastici». L’anno scorso si è aggiudicata anche il titolo italiano allieve nei 60 metri indoor.
Ma oggi è esclusa dalle competizioni internazionali mentre quelle nazionali sono troppo “facili” per lei: «In Italia, quando gareggio con le mie coetanee entro dopo, perché come misura valgo di più. Il problema è che a volte faccio un solo salto e la gara è finita, mentre nelle competizioni internazionali potrei fare di più. Basti pensare che in gara ho un personale di 4,07, mentre in allenamento salto 4,40». Lo ius soli sportivo sbloccherebbe almeno per lei e gli altri atleti che si trovano in questa condizione una situazione che ha dell’assurdo, ma soltanto a partire dai 18 anni: «Proprio non riesco a capire perché, pur essendo italiana a tutti gli effetti, non posso rappresentare il mio Paese nello sport. E vorrei tanto farlo in giro per il mondo. Sono campionessa italiana, ma non posso dimostrarlo fuori confine».
La campionessa, il razzismo e lo ius soli sportivo
Se tutto rimanesse com’è «perderei tutte le gare estive non solo di quest’estate, ma anche della prossima. Luciano Gemello, il mio allenatore nel Cus Torino, si sta battendo tantissimo perché diventa difficile se non posso avere confronti internazionali. Ad esempio, agli Europei Under 18 di metà luglio a Tallinn è andata Giulia Gelmotto, seconda agli Italiani, e mi sarebbe piaciuto condividere l’esperienza con lei». Great rivela anche di vivere quotidianamente sulla sua pelle la piaga del razzismo: «A volte quando sul bus sono seduta vicino a un adulto che magari si alza, mi guarda male o fa il gesto di chiudere lo zaino. Quando sono con gli amici italiani, invece, non succede e coi miei coetanei non mi sento discriminata, ma molto amata».
Ma, come ha spiegato ieri la ministra dell’Interno Luciana Lamorgese, del tema dello ius soli non bisogna ricordarsi soltanto quando gli atleti vincono medaglie: «È importante pensare all’inclusione per questi ragazzi. Loro si sentono già italiani». Attualmente sono un milione e centomila i minorenni italiani di fatto ma non di diritto. Non sono tutti atleti, anche se l’iter per loro è uguale. E, come dice oggi a Repubblica Mauro Berruto, ex ct della nazionale di pallavolo maschile e responsabile sport del Partito Democratico, «il tema prescinde dal contesto sportivo, ma le Olimpiadi ce lo hanno fatto ricordare, perché lo sport anticipa. Chiunque si trovi in un campo di pallavolo, di calcio, di basket e di qualsiasi altra disciplina sportiva soprattutto nei settori giovanile, vede la società di domani che è già oggi, e non guarda certo al colore della pelle, alla provenienza geografica, all’appartenenza religiosa».
Cos’è lo ius soli sportivo
Berruto fa notare che la questione dello ius soli è antecedente a quella dello ius soli sportivo. Le proposte di legge per riformare la cittadinanza sono ferme in commissione Affari costituzionali a Montecitorio. Tutte queste prevedono la concessione della cittadinanza italiana tramite un percorso di studi: Ius soli temperato o Ius culturae. Il relatore è il presidente grillino della commissione Giuseppe Brescia. Che ora si dice pronto a far ripartire l’iter. «Le Olimpiadi non hanno fatto altro che confermare quanto il Pd ripete da tempo: lo Ius soli è già nei fatti, è nella società, è nelle scuole, è tra i nostri ragazzi. Adesso la politica e le istituzioni hanno il dovere di adeguarsi a queste trasformazioni», hanno fatto sapere ieri fonti del Nazareno.
Una forma di ius soli sportivo, ovvero la possibilità che giovani non in possesso della cittadinanza italiana partecipino a competizioni sotto la bandiera tricolore, esiste già. Lo ius soli sportivo è stato introdotto con la legge 1 febbraio 2016 «Disposizioni per favorire l’integrazione sociale dei minori stranieri residenti in Italia mediante l’ammissione nelle società sportive appartenenti alle federazioni nazionali, alle discipline associate o agli enti di promozione sportiva». Secondo la norma un ragazzo che abita in Italia può essere tesserato e partecipare alle competizioni. Ma c’è una limitazione: i minori devono essere regolarmente residenti in Italia «almeno dal compimento del decimo anno di età». Proprio in virtù dello Ius soli sportivo attualmente un cittadino di un altro paese non può gareggiare con la maglia azzurra fino al compimento del diciottesimo anno di età e alla richiesta della cittadinanza. Il cui iter può durare fino a quattro anni.





 mi piace  co cludere  con  questa frase     chje  è  anche  una  risposta    a  chi  dice  :  Aspetta e spera, siamo in italia. Verrà un tempo in cui gli uomini impazziranno, ed al vedere uno che non sia pazzo, gli si avventeranno contro dicendo:  Tu sei pazzo!  (Sant'Antonio abate)

 





8.8.21

storie olimpiche 8 ( fine ) olimpiadi vince l'oro a 14 anni per pagare le cure alla madre malata , "Finestre sigillate, poco cibo, solitudine": ecco il Covid Hotel degli atleti, dove muoiono i sogni olimpici e altre storie


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Una delle storie più belle di queste Olimpiadi, forse la più bella e commovente, arriva dai tuffi e da questa ragazza qui.Quan Hongchan è un’atleta cinese, una tuffatrice di 14 anni e 130 giorni. Poco più che una bambina.Due settimane fa è partita per Tokyo per coronare il sogno di partecipare alle Olimpiadi e un obiettivo molto piu intimo e personale: racimolare abbastanza soldi da poter pagare le cure della madre, malata. Quan Hongchan non si è limitata a partecipare. Non si è limitata neppure a vincere. Oggi è entrata nella Storia dello sport dalla porta principale portando a casa un clamoroso oro olimpico dalla piattaforma dei 10 metri con un puntegggio da record (466.20 punti totali) e addirittura tre tuffi semplicemente sublimi che hanno ottenuto 10 da tutti i giudici. La perfezione tecnica ed estetica. Mica male per una ragazza adolescente che si affacciava per la prima volta a una grande competizione internazionale e che era arrivata a Tokyo per un atto d’amore. Favole che solo le Olimpiadi sanno regalare.
Infatti secondo https://www.nextquotidiano.it/ eccetto il video

a favola di Quan Hongchan: va alle Olimpiadi per pagare le cure alla mamma e vince l’oro a 14 anni 

La giovanissima tuffatrice cinese ha vinto la finale di tuffi dalla piattaforma (10 metri). Uno dei suoi tuffi ha raccolto il punteggio massimo

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Quan Hongchan
Ogni atleta ha il suo sogno olimpico. In tanti, quasi tutti, gareggiano per tentare di vincere una medaglia per scrivere il proprio nome nella storia. Altri, invece, lo fanno perché il palcoscenico a Cinque Cerchi è quello che si sogna fin da bambini. A prescindere dal risultato finale. Poi c’è Quan Hongchan, partita dalla Cina in direzione Tokyo solamente per un motivo: cercare di pagare le cure alla mamma malata. Lei è giovanissima (14 anni e 130 giorni) e oggi è entrata nella storia dello sport. La gara era quella di tuffi femminili dalla piattaforma 10 metri. Partita in sordina, fuori dai radar delle favorite, la giovanissima atleta cinese ha sorpreso tutti. Con n punteggio da record (466.20 punti totali) – con uno dei tuffi che ha fatto l’en plein di 10 da parte dei giudici – la 14enne ha sbaragliato la concorrenza di tutte le sue “rivali” sportive partite con i favori dei pronostici. Una prestazione sublime che porta con sé un grande messaggio.Non solo per l’età. Quan Hongchan, infatti, si era aggregata alla compagine cinese. Ma era lontana dai riflettori, nonostante la grande tradizione della Cina nei tuffi (sia al maschile che al femminile, sia dal trampolino che dalla piattaforma). Lei era lì con un obiettivo che poco aveva a che vedere con le medaglie e il podio olimpico: tentare di ottenere il miglior risultato possibile per racimolare un po’ di soldi e pagare le cure alla mamma malata. Una spinta emotiva che l’ha guidata, leggiadra come una campionessa, fino all’oro olimpico.

 

Non male per una giovanissima atleta alla prima apparizione internazionale. Non male per un’adolescente salita su quella piattaforma senza pensare a una medaglia. Perché le storie olimpiche sono anche queste e possono trasformarsi in favole.

"Finestre sigillate, poco cibo, solitudine": ecco il Covid Hotel degli atleti, dove muoiono i sogni olimpici dal nostro inviato Fabio Tonacci





Cinque anni di allenamenti, la gara negata dalla positività, come è successo al canottiere Bruno Rosetti, si finisce a Koto city. E gli atleti protestano per le pessime condizioni in cui sono costretti durante l'isolamento


TOKYO - Una macchia arancione appare dietro l'unica finestra semi-aperta. A occhio, è uno del team olandese. Il ragazzo si sporge per respirare la brezza di Tokyo, e non si può dire che sia una boccata di aria fresca: già a metà mattina in città si superano i 33 gradi. La finestra è al terzo di dodici piani di cemento, vetro e piastrelle. Un parallelepipedo rovente e sigillato che affaccia sul canale del Sumida, uno dei tre fiumi che sfociano nella baia. Sulla facciata, in alto, l'insegna recita: "Day Nice Hotel". Siamo a Koto City, a venti minuti di macchina dal Villaggio Olimpico. Qui vengono rinchiusi gli atleti trovati positivi al tampone, come il canottiere italiano Bruno Rosetti. Soggiorno gratis e forzato al Covid hotel. Su ordine delle autorità sanitarie giapponesi, devono rimanere in quarantena una decina di giorni, anche di più se non si negativizzano. Sono arrivati fino a Tokyo dopo cinque anni di allenamenti, ma le Olimpiadi le guardano sul tablet.
La macchia arancione sta parlando al telefono. Ci vede e ne approfittiamo. "Come stiamo?", risponde con quel poco di inglese che mastica. "Male. Stanze piccole, le finestre sono bloccate, il cibo fa schifo e ci sentiamo abbandonati". Un mezzo sorriso di sarcasmo. Poi con le braccia mima il gesto delle manette. "Tra poco esco, sono stanco di sentire l'altoparlante che alle sette di mattina ci sveglia per ricordarci di sputare nella provetta". Il Nice Day hotel è un albergo a tre stelle chiuso da settimane. Il Cio e il Comitato Tokyo 2020 non forniscono dettagli sulla sua ubicazione, e adesso si capisce perché. All'ingresso un poliziotto controlla che nessuno esca e nessuno entri. La porta girevole non gira. All'esterno ci sono tavolini messi uno sopra l'altro. In fondo al marciapiede che conduce sul retro, una tenda bianca per la raccolta dei campioni salivari e due giapponesi che siedono in silenzio.






Cronache dalla quarantena. Il ciclista tedesco Simon Geschke su Instagram ha documentato la sua settimana e mezzo dentro. Giorno 3: "Ci è proibito far arrivare cibo da fuori chiamando i rider. Per colazione mi hanno dato pane secco, devo ringraziare un egiziano che mi ha portato della marmellata". Giorno 4: "Non esiste servizio lavanderia, lavo la biancheria nel lavandino. La finestra non si apre, asciugherò magliette e mutande col phon". Giorno 5: "Buongiorno dall'atrio, l'unico posto che posso vedere oltre la mia stanza. Preleviamo qui il cibo in tre momenti della giornata. Dietro una vetrata c'è un'infermiera con cui possiamo parlare". Giorno 7: "E' la prima volta che perdo peso dopo il Tour the France". Mostra il vassoio del pasto: due cartoni di riso appiccicaticcio e delle verdure lesse. Giorno 8: "La colazione sta migliorando, c'è più frutta oggi. Ma non abbiamo coltelli. Taglierò il pompelmo con la limetta per le unghie". Unico sollievo all'inerzia: nella camera, dove sono sistemati il letto e la scrivania, ha potuto mettere la bicicletta e può allenarsi pedalando a vuoto.
Athleten Deutschland, la federazione tedesca, attacca duramente il Cio. "I nostri atleti denunciano la mancanza di un ricircolo sufficiente d'aria, descrivono condizioni da prigione e si lamentano che il cibo non offre gli apporti nutrizionali necessari per chi gareggia". I medici interni, stando ai loro racconti, non parlano l'inglese. Lo skateboarder olandese Randy Jacobs è arrivato ad usare il termine "inumane" per descrivere le condizioni vissute al Covid hotel.
Il Nice Day è stato scelto per l'isolamento di atleti e allenatori ed è gestito dal Comitato Tokyo 2020. Sono una trentina quelli fermati prima di competere, su un totale di 358 positività riscontrate all'interno del perimetro olimpico: oltre a Jacobs e Geschke, la pallavolista ceca Marketa Nausch-Slukova, due tennisti olandesi, la karateka russa Anna Chernysheva, la cilena del Taekwondo Fernanda Aguirre, mezza squadra greca del nuoto sincronizzato e altri. Il Cio, per i contagio del team greco, è stato costretto ad uscire allo scoperto e a chiamare le cose per quello che sono. "E' il primo cluster dei Giochi". Non si sa dietro quale finestra chiusa sia la stanza di Rosetti, che ha saputo di essere positivo la mattina del 28 luglio nell'imminenza della finale del quattro senza. Il Coni e la Federazione di canottaggio si limitano a riferire che il 33 enne sta bene e non ha sintomi. Dovrebbe uscire tra qualche giorno.
Questo non è l'unico Covid hotel olimpico. Ce n'è un altro a Chuo City, molto più lontano e piccolo. E' riservato al personale delle federazioni internazionali. E' gestito direttamente dal governo giapponese. Le condizioni, dicono, sono anche peggiori



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Lotta, la rabbia di Chamizo: "Il destino ce l'ha con me"

dal nostro inviato Cosimo Cito07 Agosto 2021






Lotta, Conyedo medaglia di bronzo. L'Italia tocca quota 39
dal nostro inviato Cosimo CitoAbraham Conyedo esulta per il bronzo (afp)

L'azzurro sale sul podio nella libera, categoria fino a 97 kg. Battuto in finale il turco Karadeniz per 6-2. "Questa medaglia è la vita per me, ha vinto chi lo desiderava di più"
TOKYO. Arriva dalla lotta libera la 39ª medaglia azzurra ai Giochi di Tokyo. Abraham Conyedo ha avuto la meglio sul turco Karadeniz nella finale per il bronzo nei 97 kg. L'italo-cubano, 27 anni, si è imposto con il punteggio di 6-2: dopo essere stato a lungo in svantaggio, Conyedo ha trovato nei 30" finali la forza per capovolgere il risultato. Decisiva anche la chiamata di un challenge dalla squadra turca, rifiutato però dal collegio arbitrale, con conseguente punto della sicurezza per l'azzurro. La lotta è il 16° sport a salire sul podio ai Tokyo per la spedizione italiana. E per la libera si tratta del terza medaglia di sempre dopo l'oro di Claudio Pollio a Mosca 1980 e il bronzo di Frank Chamizo a Rio 2016. Conyedo proveniva dal tabellone dei ripescati e oggi aveva battuto, prima del turco, anche il canadese Steen. "Questa medaglia significa tutto per me, è la mia vita, ciò per cui ho lavorato negli ultimi cinque anni": è il commento dell'azzurro, "la prima dedica che voglio fare è per il mio allenatore, che per me è come un padre. Il turco Karadeniz lo avevo già affron.tato e per batterlo ho dovuto cambiare strategia e fare un lavoro molto intenso. Alla fine ha vinto chi lo desiderava di più".
Nato a Santa Clara, giunto nel nostro paese nel 2017 con un buon curriculum alle spalle (argento ai Giochi olimpici giovanili nel 2010 e ai Panamericani nel 2015), Conyedo ha ricevuto la cittadinanza italiana "per meriti speciali" nel 2019 dal Ministero dell'Interno grazie ai risultati sportivi ottenuti. In azzurro ha vinto un un bronzo mondiale (2018) e uno europeo (2019). Solo il 6 maggio scorso aveva ottenuto la qualificazione per i Giochi attraverso il torneo Preolimpico di Sofia. Diplomato in educazione fisica presso l'Università dello sport dell'Avana, ha una compagna italiana, Tiziana, è inserito nel gruppo sportivo dell'Esercito, si allena nel centro federale Fijlkam di Ostia con il coach Pietro Piscitelli. La sua medaglia compensa la delusione per il mancato podio di Frank Chamizo, del quale è amico fraterno, nei 74 kg.




Giappone, scuse pubbliche per chi arriva secondo. Ma cresce il fronte del no: "Troppo stress"dal nostro inviato Giampaolo VisettiKiyou Shimizu, argento nel karate (afp)
È tradizione culturale nel paese del Sol Levante scusarsi per aver fallito. Ogni giorno Tokyo si sveglia con trionfi e ammissioni di colpa. Ora c'è chi dice stop: "Ci siamo allenati duramente, non ci si può accusare di tradimento della patria"


TOKYO - "Non sono riuscita a rispondere alle attese del mio Paese e a ripagare i tanti connazionali che hanno fatto sacrifici per organizzare questi Giochi in un momento così difficile. Per questo chiedo scusa a tutti". Kiyou Shimizu aveva ancora la medaglia d'argento al collo quando in diretta tivù ha pregato i giapponesi di perdonarla per non aver trionfato nel karate kata, perdendo l'ultima sfida per l'oro contro la spagnola Sanchez. Tokyo 2020 ha segnato il debutto del karate alle Olimpiadi, proprio nella culla di una tra le più antiche arti marziali, nata sull'isola di Okinawa quasi otto secoli fa. Fuori dal Giappone l'incrocio di opportunità non basta però a spiegare l'urgenza di comprensione collettiva e la sistematicità dei mea culpa pubblici che accomuna gli atleti di casa che non salgono sul gradino più alto del podio.
Per gli stranieri vincere una medaglia alle Olimpiadi è comunque un sogno. Già qualificarsi per la finale, o conseguire un buon risultato, sono gli obbiettivi di una carriera sportiva. Per i giapponesi no: se vinci devi ringraziare, se non ci riesci ti devi scusare. Mai come in questa edizione. "Non ho il coraggio di prendere in mano il telefono - ha detto Kenichiro Fumita, argento nella lotta greco-romana - non so cosa dire a mio padre. Spero solo che lui e la nazione accettino le mie scuse". Il paradosso è che mai nella storia delle Olimpiadi il Giappone ha vinto tante medaglie come quest'anno. Alla vigilia della cerimonia conclusiva, la nazionale ospitante ne ha già conquistate 52: 24 d'oro, 12 d'argento e 16 di bronzo. Battuto il record di 38 medaglie, di cui solo 7 d'oro, stabilito nel 2016 a Rio de Janeiro.
Nel medagliere il Giappone è terzo alle spalle di Cina e Usa, le due superpotenze sia dello sport e che del pianeta. I successi hanno via via ridotto l'ostilità popolare contro i Giochi: rinviati di un anno, tenuti nonostante il riesplodere della pandemia nel Paese e svolti infine a porte chiuse. Non bastano però per sollevare gli atleti giapponesi dall'obbligo di pubbliche scuse, spesso in lacrime, ogni volta che mancano la vittoria assoluta. "Per rendere orgogliosa la gente - ha detto piangendo il climber Tomoa Narasaki, rimasto ai piedi del podio finale - ho rinunciato a tutto, ma non è bastato. Conquistare una medaglia d'oro era un mio dovere: chiedo scusa per questo fallimento".
La cultura occidentale tende a trovare anche nella sconfitta le ragioni di una grandezza. Quella dell'Estremo Oriente insegna invece che perdere significa non aver fatto il necessario per vincere e che tale mancanza impone una piena assunzione di responsabilità. Scusarsi davanti a tutti in Giappone fa parte di educazione e convenzione sociale. Lo fa chi entra in casa d'altri, il taxista che resta imbottigliato nel traffico, il manager che non soddisfa le attese degli azionisti, il politico travolto da uno scandalo, il dipendente che va in ferie, il conducente del treno che arriva con pochi secondi di ritardo. "La richiesta del perdono - spiega la psicologa Shirobu Kitayama - è prevista anche dal cristianesimo, ma in Giappone è rivolta alla società, non alla divinità. Mira ad attenuare le conseguenze di un errore, a dimostrare umiltà e rispetto nei confronti di chi si ritiene di aver deluso, o fatto soffrire".
Alle Olimpiadi di Tokyo per gli atleti di casa tale dovere è moltiplicato dalla pressione popolare che circonda l'evento, dai costi pubblici sostenuti per svolgerlo, dalla depressione indotta dal Covid e dal bisogno politico del governo di trionfi sportivi per risalire nei sondaggi in vista delle elezioni di fine settembre. Perfino la campionessa-star del tennis Naomi Osaka, a cui è stato riservato l'onore di accendere il braciere olimpico nel Nuovo stadio nazionale, non avendo centrato la finale è stata costretta a scuse social "per non essere riuscita a soddisfare le attese di tutti". Proprio i social sono tra le cause dell'escalation di richieste di comprensione che partono dal Villaggio olimpico. Decine di atleti, dopo aver mancato la vittoria, hanno denunciato minacce, insulti e aggressioni in Rete. Chi non ha provveduto a postare subito le proprie scuse sul web è stato subissato dalle accuse di "egoismo, menefreghismo e superbia". Tra questi anche Shochiro Mukai, argento nel judo a squadre. "Sì - ha dovuto infine ammettere - potevo resistere di più e non deludere i miei compagni, privandoli della gioia di vincere". Il capo dell'Unione degli atleti giapponesi, Takuya Yamazaki, ha spiegato che nel Paese "non si compete per se stessi, ma per rendere onore alla nazione". Da bambini si comincia a fare sport a livello agonistico non per divertimento, ma per essere all'altezza delle attese dei genitori, degli adulti, di insegnati e allenatori. L'obbiettivo, come nella vita di ogni giorno è "non perdere la faccia" risultando sconfitti. Scuse pubbliche esprimono allo stesso tempo rimpianto, umiltà, paura, riconoscenza, responsabilità, dispiacere e gratitudine per la comprensione altrui.
"Volevamo vincere a tutti i costi - ha detto il calciatore Yuki Soma dopo la sconfitta ai supplementari contro la Spagna - per rendere felici i giapponesi che causa Covid non hanno potuto sostenerci dal vivo nello stadio. Chiediamo scusa per non aver contribuito a dare forza ed energia al Paese". Mai come oggi il Giappone olimpico si sveglia ogni mattina carico di trionfi e allo stesso tempi di ammissioni di colpa. Il contrasto tra realtà sportiva e convenzioni sociali è tale che i media cominciano a chiedersi se non sia arrivato il momento di "attenuare lo stress che nella nazione pesa su ogni individuo dal giorno della nascita", considerato tra le cause del primato mondiale di suicidi. "Giusto aprire un dibattito sincero - ha detto al New York Times l'ex maratoneta Yoko Arimori, argento e bronzo ai Giochi di Atlanta e di Barcellona, processato pubblicamente per essersi dichiarato fiero di sé - sull'enigma della nostra identità. Ma restando allo sport e alle Olimpiadi, se un atleta si è allenamento duramente e in gara ha dato tutto, oggi non può più essere moralmente obbligato a scusarsi di un secondo posto per sottrarsi all'accusa ipocrita di tradimento della patria".

Tokyo 2020, i record di età dei medagliati: ecco la più giovane e il più anziano a salire sul podio


di Francesco Cofano

In questa edizione delle Olimpiadi sono stati riscritti primati di precocità e anzianità che resistevano da decenni. 

A 12 anni la giapponese Kokona Hiraki ha vinto la medaglia d’argento nello skateboard, sport al debutto assoluto ai Giochi, diventando la più giovane a vincere una medaglia da 73 anni. Il più anziano è invece il cavaliere australiano Andrew James Hoy, che a 62 anni si toglie la soddisfazione di vincere un argento e un bronzo alla sua ottava Olimpiade. Per quanto riguarda l’Italia, invece, tra il più giovane e il più anziano ci sono 23 anni di differenza. Ecco chi sono.





Naifonov, il bronzo del bambino di Beslan



Artur Naifonov (reuters)

Il ventiquattrenne russo, terzo nella lotta libera 86 kg, è uno degli oltre 700 bambini sequestrati diciassette anni fa durante l'assedio della scuola nell'Ossezia Settentrionale, la repubblica autonoma nella regione del Caucaso
Il ventiquattrenne russo Artur Naifonov, tre volte campione europeo e bronzo nella lotta libera 86 kg ai Giochi di Tokyo, è uno degli oltre 700 bambini sequestrati diciassette anni fa durante l’assedio della scuola numero 1 di Beslan, nell’Ossezia Settentrionale, repubblica autonoma nella regione del Caucaso. Lo riferisce il sito della Bild.
Tra il 1° e il 3 settembre 2004, 36 fondamentalisti islamici e separatisti ceceni occuparono l’edificio, sequestrando oltre 1200 persone. Quando intervennero le forze speciali russe, i terroristi uccisero 331 ostaggi, compresi 186 bambini, e ne ferirono 750.
In quell’occasione la mamma di Naifonov perse la vita per cercare di salvare il figlio. La vicenda coinvolge anche un altro lottatore presente ai Giochi: il connazionale Zaurbek Sidakov, oro nella categoria 74 kg ed ex compagno di classe di Naifonov, che per sua fortuna quel giorno non era a scuola. “In quel momento mi sono detto: se mai dovessi ottenere una grande vittoria, la dedicherò a tutti coloro che hanno sofferto a Beslan”, ha dichiarato alla testata Meduza il neocampione olimpico.

emergenza femminicidi non basta una legge che aumenti le pene ma serve una campaga educativa altrimenti è come svuotare il mare con un secchiello

Apro l'email  e tovo  queste  "lettere "   di  alcuni haters  \odiatori  ,  tralasciando  gli  insulti  e le  solite  litanie ...