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5.10.25
IL GRANDE RINCOGLIONIMENTO😊 di © Carmen Cascone
3 ottobre alle ore 16:06 ·
IL GRANDE RINCOGLIONIMENTO😊
Al bar chiedi l’acqua naturale. Arriva la frizzante. Sempre.🤔 Al ristorante c’è chi fotografa la cena come se fosse l’Ultima Cena: quattro angolazioni, tre filtri, due stories. Quando finalmente mangia… è fredda...ma tanto su Instagram sembra calda. Per strada, ragazzi con le cuffie: occhi persi nel vuoto, testa che dondola. Non stanno pensando, stanno solo aspettando il drop della playlist. E quelli che parlano da soli? Auricolari invisibili. Ma sembrano pazzi lo stesso. Famiglie al ristorante: cinque persone, cinque cellulari. Silenzio assoluto. L’unico dialogo è: “Papà, mi passi il Wi-Fi?”. Piccoli episodi sparsi... Ma messi insieme raccontano una verità enorme: stiamo vivendo nell’era del Grande Rincoglionimento. Scorriamo, scorriamo, scorriamo... Non solo i telefoni. Scorriamo la vita stessa. Gatti, influencer, complotti assurdi, tutorial improbabili. La mente va in fumo. Il cervello si spegne in attesa della prossima notifica. Anch’io scorro. Anch’io rido. Anch'io mi indigno. Poi mi accorgo che sto diventando un vegetale tecnologico. Allora provo a fermarmi. Respiro... Guardo il vento negli alberi. Seguo un cane che cammina piano... Osservo il cielo che cambia colore. E per un attimo… ritorno viva. Platone ci aveva avvertiti con la caverna. Seneca diceva che non è poco il tempo che abbiamo, ma molto quello che sprechiamo. Noi oggi lo sprechiamo guardando reels di gente che taglia saponi colorati. La vera resistenza non è armata. È leggere un libro senza controllare il telefono ogni sei secondi. È camminare senza cuffie, accettando di ascoltare… i propri pensieri. Ogni gesto cosciente diventa eroico: guardare un volto negli occhi senza sembrare Hannibal Lecter, ascoltare una voce senza dire “scusa, ero su WhatsApp”, mangiare un piatto di pasta senza fotografarlo come fosse un’eclissi totale. Piccole rivoluzioni quotidiane... Fermiamoci. Guardiamo. Respiriamo... Ogni respiro consapevole è un antidoto al Grande Rincoglionimento. E forse, un giorno, quando chiederemo l’acqua naturale…ci porteranno davvero la naturale. Ma su questo non facciamoci illusioni: sarebbe troppo rivoluzionario. ⭐️Carmen Cascone
27.3.24
il crepuscolo anzi meglio il tramonto dei quotidiani cartacei
Il Fatto Quotidiano, 23 marzo 2024
Con un documentato articolo sul Fatto Nicola Borzi ha confermato, dati alla mano, quel fenomeno che per la verità tutti noi sperimentiamo ogni giorno ictu oculi: la crisi delle edicole. Nell’ultimo quadriennio le edicole sono scese da 16mila a 13.500 circa, ma il fenomeno ha radici molto più lontane, nel 2002 i punti vendita in Italia erano 43mila, ora sono scesi a 23mila.
Nella mia zona, piazza Repubblica e dintorni a Milano, fino a una decina d’anni fa c’erano cinque edicole. Oggi ne sono rimaste due. Una proprio accanto a casa mia è gestita da un bangla che per tenersi in piedi lavora dal primissimo mattino a mezzanotte, ma è ugualmente in grave difficoltà perché da lui molti giornali non si trovano o perché non glieli mandano o per qualche altro motivo. L’edicola più importante della zona sta in via Vittor Pisani, ma se la cava vendendo gadget, giocattoli, biglietti tramviari.
La crisi delle edicole è uno dei segnali, forse il più indicativo, della corrispondente crisi dei giornali. Era abitudine, un tempo, vedere gente al bar che leggeva i giornali o altri che passeggiavano con il giornale in mano. Mi capita, a volte, che qualcuno che non mi ha riconosciuto mi fermi e mi dica fra l’ammirato e il meravigliato: “ma lei è uno che legge ancora i giornali?”. Il Corriere della Sera e la Repubblica vendevano, fino a non molti anni fa, mezzo milione di copie. Oggi sono attestati intorno alle 200mila copie o poco più, e molte di queste te le sbattono in faccia, gratuitamente, nei grandi alberghi o sui Frecciarossa, e il motivo è che per farsi pagare la pubblicità devono mantenere, sia pure in modo artificioso, un certo livello.
Come la tv finì per spazzar via, in un periodo che va da metà degli anni Sessanta ai primi Novanta, i quotidiani del pomeriggio, il Corriere Lombardo, la Notte, il Corriere d’Informazione, così l’avvento del digitale sta spazzando via i giornali. Il lettore, giovane ma non solo giovane, è abituato a un’informazione immediata e molto più stringata. Non ci sono più i grandi reportage del tempo che fu. Il Diario di Enrico Deaglio (1996-2009) ha tentato coraggiosamente di riprendere quella formula, ma alla fine ha dovuto cedere. Gli editori, tutti tesi a risparmiare, riluttano a mandare in giro inviati che molto spesso sono free lance pagati niente. Il Corriere di Cairo, tanto per fare un esempio, a un collaboratore che ha scritto magari un’intera pagina dà dai 30 ai 50 euro. Quando lavoravo all’Europeo negli anni Settanta noi giornalisti, oltre a prendere un ottimo stipendio (nel mio caso un milione e passa, che corrisponde a diecimila euro attuali) potevamo contare su un borderò praticamente illimitato. Ogni spesa che fosse destinata a rendere il pezzo migliore era legittima (che poi molti colleghi su quei borderò si siano comprati la seconda o la terza casa è un altro discorso, fa parte del malvezzo italiano di fare la cresta sulle note spese che vediamo oggi in piena azione non solo nei giornalisti - Minzolini docet - ma nei politici e in qualsiasi amministratore pubblico). Alberto Ongaro, che si occupava di viaggi esotici, affittò per un milione di allora una baleniera, un altro che doveva intervistare Farah Diba le fece arrivare un cesto di tremila rose.
Nel giornalismo di carta stampata non ci sono più i grandi personaggi, i Bocca, i Montanelli o, per tornare un poco più indietro, i Curzio Malaparte che con i suoi reportage, i suoi libri (La pelle, Kaputt, Tecnica di un colpo di Stato) o i suoi commenti (Battibecco) ha influenzato buona parte del giornalismo a lui contemporaneo o successivo (vedi Oriana Fallaci) o, per tornare ancora più indietro, Edoardo Scarfoglio. Oggi, in linea di massima, se un giornalista è noto lo è per le sue apparizioni nei talk, che si sono moltiplicati nel tempo ma sono anch’essi in caduta libera negli ascolti. I giornalisti fra i 30 e i 40 anni hanno capito come si fa: di base certo ci dev’essere un giornale, poi si partecipa a quanti più talk possibile, infine si scrive un libro, molto probabilmente una cazzata, di cui comunque i colleghi parleranno. Che questo sia un esempio di buon giornalismo ho molti dubbi. Gli influencer hanno preso il posto dei giornalisti, sono loro le star. Chiara Ferragni ha quindici milioni di follower, Marco Travaglio, che è forse il giornalista più noto oggi in Italia, mi pare due o tre. I giornali sono fatti male? Sì, sono fatti male. C’è una prevalenza dei commenti, quorum ego, sulla cronaca, intendo la cronaca in presa diretta, che era abitudine, anzi obbligo, per la mia generazione e alcune successive. Desolanti sono gli spazi dedicati alla cultura, tanto che capita spesso che i direttori, non sapendo a che altro santo votarsi, ripubblichino estratti di scrittori o giornalisti del passato più o meno immediato, Buzzati, Montanelli la stessa Fallaci. La crisi dei giornali non investe in egual misura i libri. Il libro è un prodotto fisico, tattile, come i giornali certo, ma pensato per una più lunga durata. Puoi fare note e osservazioni anche lunghe a margine (le potresti fare anche sugli e-book, ma viene molto meno spontaneo) e comunque, in ogni caso, ci puoi arredare la tua libreria. Anche se nel disastro generale vediamo in certe biblioteche private libri che del libro hanno solo la copertina. Poi nell’editoria libraria accade una cosa curiosa: non c’è praticamente italiano che non abbia scritto un libro. Spesso mi arrivano a casa libri di autori sconosciutissimi che sperano in una recensione. Grandi case editrici, come la Mondadori, si sono ridotte a far pagare gli aspiranti autori, cosa che facevano un tempo case editrici infime e spesso truffaldine. Se aumentano gli autori, diminuiscono però i lettori. I “lettori forti”, quelli da cento libri l’anno, sono in estinzione per ragioni d’età. Come se la cavano allora gli editori? Sperando che fra la pletora di libri che caccian fuori uno diventi un best seller, e con questo si ripagano gli altri, o pubblicando per la scolastica o cartoni animati per bambini che vanno sempre forte.Ma qui di giornalismo non resta davvero più nulla. Spesso vengono da me dei giovani (io ho in genere un pubblico giovane, a parte dei fanatici pleistocenici che mi seguono dai tempi dell’Europeo) che mi chiedono come si fa a entrare in giornalismo. Io li gelo subito dicendo loro che mancano del primo requisito del giornalista: il fiuto. Se lo avessero non vorrebbero entrare in un mestiere morente.
22.4.22
MAESTRO MANZI DOVE SEI . a 80 anni esclusi dalla tecnocrazia
É vero che bisogna aggiornarsi ed rimanere al passo con i tempi per non rimanere isolati Le cose nuove che non si conoscono e fanno sempre paura e noi esseri umani tendiamo ad attaccarle, sminuirle o ignorarle. Ma solo se siamo aperti al nuovo possiamo evolvere ed rimanere isolati
23.9.18
effetti collaterali della modernità L’onnipresenza delle fotografie sta spegnendo la nostra immaginazione
le google news ho trovato quresto interessantissimo articolo de www.lastampa.it del 23\9\2018. Da fotogafo insicuro
A maggior ragione se hai fotografi professionisti come amici devi pubblicare le foto valide....
Ma ora bado ale ciancie e veniamo all'articolo
LEGGI ANCHE:
L’onnipresenza delle fotografie sta spegnendo la nostra immaginazione
Intervista allo psicoanalista Luigi Zoja, autore del libro “Vedere il vero e il falso” sulla manipolazione delle immagini
. Nel suo saggio, “un libro sulla fotografia, non di fotografia”, Zoja sfida il lettore a sapere oltre che a vedere. Lo fa attraverso l’analisi delle immagini-icona del XX secolo, quattro legate alla guerra e quattro che vedono protagonisti dei bambini in conflitti o tragedie umanitarie. Uno studio puntuale, ricco, coinvolgente. Soprattutto: una lettura necessaria per chi non vuole subire il ciclone delle immagini che ci circondano.
Lo scatto Raising the Flag on Iwo Jima di Joe Rosenthal, diventata uno dei simboli dello scontro tra Stati Uniti e Giappone nella Seconda guerra mondiale. Per molti anni è stata criticata per sembrare “finta”, ma è stata scattata proprio nei giorni della conquistaNell’epoca delle fake news, il libro sembra uscire nel momento giusto. Da cosa nasce questo suo saggio?
«Ammetto che ci avevo pensato prima dell’arrivo di Trump. Avevo iniziato a raccogliere materiali durante la scrittura di Paranoia (Bollati Boringheri, 2011). Lavoravo al tema delle alterazioni dei messaggi nei mezzi di comunicazione, analizzando alcune fotografie note per capire i gradi di manipolazione che avevano subito».

LAPRESSE Luigi Zoja al Festival di Mantova del 2015
C’è la famosa fotografia di Robert Capa sulla morte del miliziano, la fotografia dei soldati americani che issano la bandiera a Iwo Jima, e quella dei sovietici sopra il Reichstag. Come le ha scelte? »Ho selezionato quattro immagini di guerra e quattro che ritraggono dei bambini, cercando una simmetria tra dramma e speranza. Le fotografie della guerra sono quattro immagini iconiche, ma tutte in qualche modo vittima di manipolazione. Molte foto che noi crediamo istantanee di momenti irripetibili, in realtà sono ricostruzioni fatte in un secondo momento. Buona e mala fede si sovrappongono, a volte trasformando l’immagine in propaganda».
Il fotoritocco esiste da molto prima di Photoshop, insomma. Quand’è che la fotografia ha smesso di essere uno strumento di verità e ha iniziato a essere manipolata?
«La fotografia si è presentata al mondo come un modo per mostrare la realtà in maniera immediata. Per la prima volta si poteva fotografare una battaglia mentre era in corso, mentre prima veniva dipinta e gli artisti dovevano aspettare la fine dello scontro. Se non altro per capire chi avesse vinto. Ma la manipolazione c’è sempre stata anche nelle foto. Fin dai tempi della Guerra di secessione: per scattare erano ancora necessari lunghi tempi di esposizione quindi le scene erano ricreate, sposando soldati e persino cadaveri».

Il miliziano che muore, lo scatto più famoso di Robert Capa
Perché nel libro ha scelto solo immagini del XX secolo?
«Ci sono due ragioni principali. La prima: ho scelto di limitare il campo di studio, come si deve fare quando si affronta un lavoro di ricerca. La seconda: credo sia giusto dare alle nuove generazioni un senso della storia, mostrando loro delle immagini che raccontano un periodo che loro non dovrebbero dimenticare».
Sceglie anche di non mostrare immagini di morte, come mai?
«È vero, nel libro non ci sono immagini che ritraggono vittime e morti. Siamo bombardati da immagini sempre più violente, ma credo che sia necessario un rispetto maggiore per la morte. Lo stesso rispetto che avevano gli antichi: bisogna parlarne, ma non mostrarla direttamente».
Scattiamo più immagini di quante ne possiamo vedere, ne vediamo più di quante possiamo ricordare. Subiamo spesso i messaggi di fotografie manipolate o false. Eppure dopo due secoli dall’arrivo della fotografia dovremmo essere più educati a questo linguaggio. Perché non è così?
«Oggi c’è una vera bulimia dell’immagine. Il consumismo ha trasformato anche il mondo delle immagini: il pubblico sceglie l’immagine più godibile, come scriveva Susan Sontag. E facendo così c’è una costante inflazione, cerchiamo immagini sempre più shockanti. L’onnipresenza delle immagini ci abitua a chiedere sempre di più: nel campo dell’informazione, dei rapporti sociali e d’amore, e anche nella religione».
A cosa può portare questa deriva?
«Sempre di più la nostra immaginazione si sta impoverendo. Quando abbiamo così tanti stimoli che vengono dall’esterno, non sappiamo crearne noi dall’interno. Dobbiamo tornare ad allenare la nostra immaginazione. Da psicoanalista, io uso uno strumento tecnico molto prezioso: l’’immaginazione attiva, di origine junghiana: bisogna prendere un’immagine fissa e concentrarsi su di essa finché non si muove, finché la nostra fantasia riesce a darle un’azione. E se ci impegniamo davvero l’immagine si muove. Ma è sempre più difficile, soprattutto per i più giovani».
Cosa possiamo fare per non essere vittima delle immagini, ma riuscirle a capire e apprezzare? Quali altri strumenti abbiamo?
«Ritorno sul concetto di limite, tanto caro agli antichi greci. C’è una tendenza sempre più forte ad abolire tutti i limiti. E invece i limiti sono necessari. Servono a evitare l’indigestione e la nausea. Un sommelier non può assaggiare 50 vini in una sola serata. Noi dobbiamo guardare di meno e guardare meglio. Conoscere e non solo vedere ciò che ci circonda e ci si presenta davanti».
Destinazioni lontanissime da raggiungere a velocità moderate: viaggiare in scooter è un’esperienza unica, diversa da tutte le altre
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