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4.4.20

AVVENTURA A MILANO AL TEMPO DEL CORONAVIRUS di Rita Brundu

Non sempre   gli ospedali    come  è  successo   e come sta  succedendo  qui in sardegna  con il  corona  virus  o  covid 19 . La storia  della   tempiese (   che  ringrazio per   avermene permesso la pubblicazione  ) Rita Brundu  lo do,mostra  .
Ma  ora bado alle ciancie  ed  eccovi la  storia   , foto  comprese    concessemi    dalla  protagonista


Antonio, a sorpresa, ha anticipato questo mio scritto. Ovviamente, come da lui ipotizzato, ho intenzione di picchiarlo…anche per l’esagerata apologia fatta nei miei confronti !Tramite un amico di Facebook scopro, a Milano, un Centro d’eccellenza nella riabilitazione motoria. Non ho dubbi, compilo immediatamente la domanda ed…eccomi a Milano.

 L’edificio è mastodontico, ed è situato praticamente di fronte al famoso stadio di San Siro. 


Non ho difficoltà ad ambientarmi e, comunque, non perdo il vizio di scrivere indirizzando una lettera alla Direzione dell’ospedale volta a smussare determinate criticità che rilevo all’interno della struttura. Sono soddisfatta poiché viene accolta con entusiasmo dai medici, dagli infermieri e ovviamente, dagli altri degenti. La vita si svolge tranquillamente, come in un normale centro di questo tipo. Finchè, il 21 Febbraio risuona la preoccupazione di un focolaio a Codrogno. Dov’è Codrogno, mi chiedo?? Ma i tanti milanesi vicino a me fugano subito i miei dubbi: vicinissimo a Milano. Erano le prime avvisaglie dell’espansione, qui in Italia, del coronavirus. Fino a questo momento, aveva preoccupato solo la Cina. Ma i primi focolai, guarda caso, si hanno proprio in Lombardia, tanto che dieci comuni vengono dichiarati zona rossa. Anche qui al Centro comincia ad esserci fibrillazione e cominciano ad essere bandite le persone provenienti da tali paesi. Nei reparti vengono affissi dei cartelli con i nomi dei dieci Comuni  “incriminati”, tutti non molto lontani da Milano. Ma la situazione sembra interessare solo quelle zone, e a Milano si continua a condurre la vita frenetica e attiva di sempre.
Dopo alcuni giorni, però, si denunciano due casi di Coronavirus nell’ospedale Sacco di Milano e la situazione inizia a mettere in allarme. Ma non più di tanto; infatti il Centro continua la propria vita di routine. Dopo pochi giorni la situazione comincia a precipitare e anche in ospedale cominciano le prime restrizioni: se prima le visite erano permesse la domenica dalle 10,30 alle 18,30 e i giorni feriali dalle 16 alle 18…adesso è concesso entrare solo un’ora al mattino e un’ora di sera. Ma è, comunque, ancora una situazione abbastanza tranquilla, anche se fastidiosa, e la città di Milano continua la vita di sempre. Questo si nota anche dall’ospedale, che ha proprio di fronte lo Stadio di San Siro, dove c’è tanta vita e afflusso di persone. Quest’ ultimo , di notte, è bellissimo…illuminato come un presepe e con un video enorme che si vede perfettamente anche a distanza. La notte del derby un elicottero controlla per almeno un’ora l’impeto dei tifosi, mentre passa e ripassa in un giro vorticoso che ha sempre lo stesso tragitto e fa tremare i vetri dell’Ospedale.Ma passa appena qualche giorno e gli infettati del coronavirus aumentano anche in questa città, apparentemente intoccabile. I provvedimenti al Centro continuano ad essere sempre più restrittivi e, a questo punto, al suo interno può entrare solo una persona per paziente in tutto il giorno. San Siro resta sempre illuminato, ma scompaiono gli spettatori e…le sue luci stridono sempre di più con il buio che si prospetta per l’arrivo del misterioso virus.

La situazione precipita, il Centro vieta qualsiasi visita; medici, infermieri, tutte le persone giunte dall’esterno devono dotarsi di mascherina e guanti. Anche a noi degenti è vietato uscire fuori dalla Struttura; la sensazione è di essere in tempo di guerra, anzi peggio, perché dobbiamo tenere la distanza anche tra di noi. Quindi, anche socialmente ci sentiamo soli. Anche Milano comincia a fermarsi poiché il suggerimento del Premier Conte è “Stare a casa”. Il piazzale di fronte all’Ospedale comincia a svuotarsi, mentre prima pullulava di auto e di gente. La mia compagna di camera, milanese, mi dice che il figlio tassista ormai sta a casa per mancanza di clienti. Anche altri suoi concittadini, in contatto con parenti e amici, mi dicono che la città si è svuotata; noto nelle loro parole angoscia e smarrimento nel descrivere una visione del tutto inconsueta della loro città così attiva e laboriosa. Infatti Milano, con la chiusura della maggior parte dei negozi e attività, è sempre più spettrale: un paradosso per la capitale dell’economia italiana.A me, intanto, comunicano le dimissioni, e prenoto il primo volo per la Sardegna. Lo trovo e sono contenta di tornare a casa.  In Ospedale c’è panico: il personale riferisce di persone care decedute; il bar all’interno della struttura chiude; le infermiere passano per il controllo e la temperatura dei pazienti due volte al giorno; gli addetti alle pulizie passano e ripassano per disinfettare…compare un’angoscia palpabile che assorbo anch’io.  Come se non bastasse mi arriva dall’aeroporto il messaggio che…il mio volo è stato annullato! Anzi, sono stati annullati i voli di tutta la settimana. E il mio cellulare, improvvisamente, non dà più segni di vita!! Cosa può capitarmi ancora?!? Erano 40 anni che non facevo visita a Milano, e quand’è che mi viene in mente di tornarci? Ma sì… al tempo del coronavirus!! Devo attingere a tutte le mie nozioni di psicologia per restare calma e, con molta ironia e con un fondo di speranzosa verità, chiedo al Primario del reparto di procurarmi il numero di telefono di Berlusconi perché possa, col suo aereo privato, portarmi in Sardegna…in fondo siamo vicini di casa. Il Primario mi risponde, con altrettanta ironia, che potrei approfittare del Centro Velico della Maddalena per tornare in Sardegna… a barca a vela! Comunque sono nervosa…voglio il mio cellulare!! Ne ordino un altro, ma tarda ad arrivare…allora ne ordino un altro ancora da Amazon. Dato il mio carattere estroverso ed esplosivo, tutto l’ospedale viene a conoscenza della mia situazione e trovo conforto in ognuno dei suoi componenti, che fanno a gara per darmi un aiuto.Intanto, le restrizioni aumentano in modo esponenziale e anche in camera da pranzo veniamo allontanati sempre di più l’uno dall’altro, e qualcuno è costretto a mangiare da solo in camera. Penso che, probabilmente, non saremo contagiati dal coronavirus ma, sicuramente, soffriremo di depressione. Ma anche in questo caso bisogna rilevarne, sarcasticamente, l’aspetto positivo: ci sarà tanto lavoro da fare per psicologi, psicoterapeuti, psichiatri…La mia situazione comincia a diventare incandescente, anche se dall’ospedale fanno di tutto per cercarmi una soluzione per il rientro. Ma invano, e io mi sento prigioniera a Milano. l’Assistente Sociale dell’ospedale si attiva per contattare  la regione Lombardia. Ma io sono dell’avviso che si debbano sfruttare tutte le possibilità e le chiedo di chiamare anche la Farnesina. Voglio tornare a casa! L’ultima possibilità sarebbe attraversare a nuoto il Mar Tirreno…ma la vedo dura!!E’ passato un altro giorno e l’emergenza in Lombardia si fa sempre più pressante. All’ospedale cercano frettolosamente di dimettere i pazienti e di riconvertire i medici in altri ruoli. Una neurologa è furibonda perché la vogliono trasferire anche in cardiologia. In tutti i reparti regna il caos organizzativo, mentre noi pazienti siamo terrorizzati dalle voci che si rincorrono per la presenza di malati di coronavirus all’interno del Centro.Voglio tornare a casa! L’Assistente telefona alla Presidenza della Regione Sardegna ma non ottiene risposta, e prende in considerazione la possibilità di chiamare anche il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti. Nel pieno della disperazione, mi faccio prestare un cellulare per telefonare ad Antonio; è l’ultimo grido d’aiuto, e lui l’accoglie alla grande. Infatti mi fa prendere contatto con un Consigliere Regionale sardo e mi suggerisce la possibilità di una nave in partenza da Livorno. Da allora, tutto diventa più semplice perché il Don Gnocchi entra in sincronia con il Consiglio Regionale Sardo e si attiva per organizzarmi il viaggio da Milano a Livorno . Quasi contemporaneamente, vedo un gruppo d’infermieri esultare ed uno correre verso di me…finalmente è arrivato uno dei cellulari! Tutti mi fanno festa e mi danno un aiuto per supplire alle mie carenze tecnologiche e informatiche, dato che non saprei come fare per farlo funzionare. E’ un venerdi fortunato e l’Assistente mi chiede qualche giorno per poter organizzare il viaggio. Nel frattempo, altri amici vengono dimessi e li saluto con nostalgia…il reparto si svuota sempre di più, forse per accogliere malati di coronavirus. Il terrore s’impossessa di noi. Mi viene in mente lo scenario descritto dal Manzoni nei Promessi sposi riguardo la peste del 1600 (anche perché sto pure a Milano!) e penso a quante persone come Lucia, Renzo, Agnese, Don Abbondio, Don Rodrigo, il Griso, e tanti altri stanno affrontando, con lo stesso sentimento, questo terribile periodo. Io tiro, comunque, un sospiro di sollievo poiché la partenza è stata programmata per martedì.IL VIAGGIO FINALE. L’infermiera, del turno di notte, mi sveglia alla 4,30. Mi sento tramortita, ma quando arriva Nicoletta (l’Assistente Sociale che mi accompagna) sono pronta per la partenza. Il medico, come da prassi, mi misura temperatura e pressione e mi consegna il foglio delle dimissioni. Partiamo. Durante il tragitto osservo Milano, città fantasma completamente spoglia. La saluto con un pizzico di nostalgia, poiché mi ha ospitata per quasi 2 mesi. La lasciamo per immetterci nell’autostrada, dove il traffico è insolito; non si scorgono auto ma file di camion, TIR e furgoncini. Passiamo vicini a Lodi… Parma… Pisa e, finalmente, eccoci a Livorno. Veniamo fermati dalla Polizia e, saputo che dovevo imbarcarmi, chiedono i documenti e mi misurano la temperatura. Ci allontaniamo per un breve tratto e veniamo nuovamente fermati da una pattuglia: ci richiedono i documenti. La nave, bellissima e imponente, sta ormai di fronte a noi ma…veniamo per l’ennesima volta fermati dalla Polizia, stavolta in compagnia di un medico. Quest’ultimo mi misura ancora la temperatura. E allora il mio senso dell’umorismo prevale, condiviso dal medico, nel constatare come nel giro di poche ore il mio “grado di calore” sia stato misurato per ben 3 volte! Finalmente è possibile entrare all’interno della nave Grimaldi; la delegazione del Don Gnocchi mi saluta e mi lascia nelle mani dell’Assistenza. Mi ritrovo in un salotto meraviglioso, ma completamente vuoto, con l’equipaggio che mi chiede notizie di ciò che avviene sulla terra ferma, come se  queste persone fossero in un piccolo pianeta distante e non li riguardasse.
IL personale dell’assistenza non mi perde di vista un attimo e tutti, compreso il Commissario, sono estremamente gentili con me. Provo a telefonare, ma mi avvertono che in mare non c’è connessione. Pazienza, proverò più tardi.
Durante il lungo tragitto osservo il Mar Tirreno, e mi sembra così vasto, anche troppo, perché mi separa dalla mia Sardegna. Manca, ormai, circa mezz’ora per l’attracco e posso finalmente telefonare anche ad Antonio. Mi sgrida perché avrei dovuto farlo prima, dato che avrebbe dovuto avvertire la protezione Civile del mio arrivo. Ma erano secoli che non viaggiavo con la nave, e non sapevo della mancanza di connessione in alto mare. Finalmente attracchiamo, e l’Assistente della Grimaldi mi lascia con la Protezione Civile di Tempio. Non prima che un altro blocco della Polizia m’avesse di nuovo misurato la temperatura!! Con questa sono 4 volte nel giro di una giornata. Arriviamo in città, e i solerti e gentili ragazzi che mi accompagnano mi lasciano (finalmente!) a casa. Sono già le 22 e sono esausta. Con un filo di voce telefono ad Antonio per avvertirlo del mio arrivo.Ma perché volevo picchiare Antonio? Devo invece ringraziarlo, di cuore, perché il suo intervento è stato determinante affinchè io potessi tornare a casa. Quindi grazie ad Antonio; a Nicoletta e tutto il personale del Don Gnocchi; all’Assistenza e l’equipaggio della Grimaldi; ai ragazzi della Protezione Civile. Infine grazie a Roberto, Salvina e, in particolare, ad Adriana che mi ha permesso di ritrovare una casa confortevole e funzionale.

24.3.20

Da Olbia al resto d’Italia sul camion per garantire la merce nei nostri supermercati al tempo de coronavirus


da  https://www.galluraoggi.it/cronaca  24\3\2020 



Da Olbia al resto d’Italia sul camion per garantire la merce nei nostri supermercati


Il racconto di Massimo alla guida del suo tir.

Il coronavirus ha modificato la vita di molti. L’unico modo per sconfiggerlo, come si sa, è fermarsi, stando in casa e uscendo solo in caso di vera necessità. Ci sono però alcuni che non hanno la possibilità di fermarsi, di stare a casa con le proprie famiglie, ma devono sacrificarsi per il bene comune, come i medici, gli infermieri, le forze dell’ordine.O per non far mancare i cosiddetti beni di prima necessità. Questi sono gli autotrasportatori, che ogni giorno sono sulle strade facendo centinaia e centinaia di chilometri per permettere che i banchi dei supermercati siano sempre riforniti.Come si vive questo delicato momento sulle strade ce lo racconta Massimo, un autotrasportatore che, come molti altri suoi colleghi viaggia con il suo tir avanti e indietro dalla Sardegna fino alla Penisola.”In questo periodo particolare il nostro lavoro è indispensabile per andare avanti e garantire che ogni giorno i supermercati vengano riforniti e non manchino i beni essenziali. La mobilità, il cercare di rendersi utili e far star bene gli altri mi appaga, sono contento di lavorare, nonostante mi piacerebbe passare più tempo con la mia famiglia che non vedo da giorni”, ci dice Massimo, che ci espone le sue preoccupazioni nel mondo del suo lavoro in questo periodo: ”Cerco di seguire al meglio le regole di prevenzione fornite per tutelarmi e tutelare la mia famiglia quando torno a casa dopo esser venuto a contatto con tanta gente per via del lavoro. Non nego che sono preoccupato perché io so di me, ma non posso sapere se dall’altra parte anche le altre persone seguono le regole in maniera corretta”.Massimo, stando fuori per giorni dorme all’interno del suo tir, la sua seconda casa e prende tutte le precauzioni necessarie per tutelarsi. ”Utilizzo i guanti e la mascherina agli scarichi della merce e quando entro a contatto con le altre persone mantengo le distanze di sicurezza – prosegue Massimo -. Quando mi trovo all’imbarco al porto mi richiedono sempre l’autocertificazione, che dichiara il motivo dei miei spostamenti e in molti stabilimenti dove vado a caricare o scaricare la merce con il termometro mi misurano la temperatura corporea”.                                           Massimo ci espone anche le difficoltà che molte volte un autotrasportatore riscontra mentre percorre lunghe tratte e ha bisogno di fare una sosta. ”Quando posso cerco di non fermarmi nelle aree di servizio per entrare il meno possibile a contatto con le altre persone, però ho notato che in tante aree di sosta molti servizi sono ormai chiusi, come i bagni dove poter lavarsi le mani, la faccia, lasciandoci completamente abbandonati noi stessi”, raccontaPoi lascia un ultimo messaggio: ‘State a casa, noi autotrasportatori garantiamo il necessario per poter farvi vivere in maniera serena senza farvi mancare nulla dello stretto necessario”.

12.3.20

noi che ci lamentiamo della quarantena per corona virus impariamo dai malati di leucemia e altre malattie che la vivono tutti i giorni

ecco  una  storia   proveniente   dal mio paese


da https://www.galluraoggi.it/tempio-pausania/ d'oggi  


                                         L’appello di un giovane di Tempio.

Un giovane di Tempio lancia un accorato appello invitando a rimanere a casa al fine di tutelare chi, come lui, è più fragile di fronte alla minaccia del virus e il suo appello si diffonde subito sul social.
Era il 9 marzo, quando si invitava tutti a rimanere a casa contro il coronavirus, limitando gli spostamenti non necessari. È in questo momento di assoluta confusione, in cui molte persone rifiutavano di accettare le limitazioni, che irrompe l’appello di un giovane ragazzo di Tempio, per sensibilizzare la comunità a rimanere a casa per tutelare chi, come lui, è più fragile di fronte alla minaccia del coronavirus.
Racconta la sua malattia: la leucemia, scoperta il 13 maggio 2019, i cicli di chemioterapia e le difese immunitarie azzerate e i tanti ricoveri.
“Son rimasto ricoverato in una stanza di 20 metri quadri – racconta – con un altro coinquilino per più di 50 giorni, non potevo vedere più di due persone alla volta, in orari di visite molto ridotti, altroché quarantena”.
“Questi ricoveri di 30 giorni ciascuno sono durati da maggio a novembre, con 10 o 15 giorni di dimissione tra un ricovero e l’altro, ovviamente – continua – anche questi giorni da passare in modo molto riservato evitando luoghi affollati.”
Arriva poi il racconto del ricovero a Cagliari per il trapianto di midollo osseo, iniziato il 4 novembre: “Quaranta lunghi giorni dentro una stanza, dove potevo ricevere visite dietro un vetro spesso e parlando attraverso un citofono e una cornetta. Quarantena mi sembra riduttivo, direi isolamento – continua –. Evito i luoghi affollati da 10 mesi, mi lavo le mani ogni volta che tocco qualcosa di sporco, non bacio sulle labbra la mia ragazza da 10 mesi”.
Infine, dopo il racconto, l’appello: “Fatelo per quelli come me, salvaguardate i nostri sforzi, se sono sopravvissuto io, un ragazzo di 20 anni, dentro una stanza di 20 metri quadri per 10 mesi, riuscite voi a rimanere rinchiusi per 15 giorni dentro la vostra comoda e confortevole casetta? Non fatelo per voi, fatelo per noi”.

Lo so che  è dura     perchè  siamo disabituati   ma  facciamolo  per  entrambi

emergenza femminicidi non basta una legge che aumenti le pene ma serve una campaga educativa altrimenti è come svuotare il mare con un secchiello

Apro l'email  e tovo  queste  "lettere "   di  alcuni haters  \odiatori  ,  tralasciando  gli  insulti  e le  solite  litanie ...