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11.6.09

Lettera agli amici

I tempi della profezia sono maturi

Nella Bibbia quando Dio vuole mandare un castigo al suo popolo, gli toglie «la Parola» e la siccità diventa sinonimo di mancanza di profeti e profezia. Quando invece vuole benedire il suo popolo, manda i profeti e la Parola scorre come la pioggia e ne impregna tutta la terra. Il profeta Gioele (sec. IV a.C.) annuncia che l’era messianica vedrà una abbondanza straordinaria di profezia: «Sopra ogni carne effonderò il mio Spirito. I vostri figli e le vostre figlie profeteranno, i vostri vecchi avranno dei sogni, i vostri giovani vedranno visioni»(Gl 3,1). Questo testo  non distingue tra Israeliti e non Israeliti (credenti e atei), ma afferma che lo spirito di profezia sarà effuso su tutti: «su ogni carne».
Pensavo a queste parole profetiche, quando lessi l’e-mail di Maurizio Chierici il quale mi comunicava che oltre tre mila persone in quattro giorni avevano letto la mia «Lettera aperta al cardinale Angelo Bagnasco: “Senza la profezia rimane la complicità”». Sono rimasto colpito dalla valanga di adesioni e ho sentito immediatamente la mia responsabilità aumentare. Oltre al sito del settimanale «Domani», (http://domani.arcoiris.tv/?p=602) , la lettera è stata ripresa dal sito di Paolo Moiola (http://www.paolomoiola.it/) e del Tafanus (http://iltafano.typepad.com/il_tafano/) e so che moltissimi l’hanno mandata ai loro contatti e conoscenti. Veramente la rete è uno strumento di democrazia e di libertà.
Con la mia lettera aperta non ho compiuto un atto di coraggio, né ho voluto cercare consensi a buon mercato, ma ho adempiuto un voto di coscienza, cioè un obbligo interiore che mi deriva dal mio essere cittadino di uno stato democratico e laico e di essere al tempo stesso un credente che svolge la funzione di prete nella Chiesa Cattolica. Parlare di coraggio e di paura è fuorviante, oggi è sufficiente essere solo se stessi per emergere in un oceano di servilismo e di omertà. Io non rappresento la Chiesa e non intendo essere un capo popolo, ma nello stesso tempo non posso rinunciare ad essere me stesso e solo me stesso: perché valgo soltanto per il grado di autenticità nella verità che sono capace di dare con la mia vita, la mia dirittura e il mio disinteresse. Non temo le conseguenze di alcun genere perché non ho mai avuto mire di carriera, e oggi sono parroco di una parrocchia senza territorio e senza parrocchiani, mentre don Milani stava meglio: era parroco di 40 persone.
Credo in Dio e il mio Dio ha il volto di Gesù Cristo che ha sempre preso le distanze da ogni forma di potere, che ha messo in guardia dall’esercizio del potere, basato sullo sfruttamento e ha imposto ai suoi discepoli un comportamento e scelte diametralmente opposti. Gesù non ha cercato il compromesso con l’esistente, non è venuto a patti con il potere, né civile né religioso, ma ha indicato le responsabilità e le connivenze, additandole al disprezzo della coscienza illuminata dalla Parola di Dio a favore del principio invalicabile che è la persona umana. A questo scopo non ha esitato a schierarsi contro «il sabato», come dire che ha negato la ragione stessa dell’esistenza della religione. Davanti ai nostri occhi, gli atei travestiti da laici e gli psudo-credenti, travestiti anche da vescovi e cardinali, stanno facendo scempio delle regole della convivenza sociale e umana, basata sui bisogni dei più piccoli e incapaci di badare a se stessi. Costoro contrabbandano i principi e i cosiddetti «valori» con gli affari e le convenienze, con gli intrallazzi e i tornaconti.
E’ tempo della Parola e delle parole di senso: in un mondo seppellito da «morte parole», facciamo sentire il suono e la musica della Parola che libera la coscienza e impegna la volontà per fare argine davanti al degrado politico, sociale,  istituzione e religioso in cui stiamo affondando perché abbiamo permesso che un pazzo «malato» di egotismo andasse al governo per guidare l’intera Nazione verso l’abisso della decadenza. Non si può più restare muti senza diventare complici. E’ l’ora che i credenti non chierici e i laici custodi dell’autonomia dello Stato, sorgano dalle loro comode poltrone, e rompano il silenzio di rassegnazione di fronte all’emergenza educativa che sta attanagliando il nostro Paese, divenuto zimbello del mondo intero a causa di un presidente del consiglio che si comporta e agisce come un malato mentale assetato di narcisismo auto celebrativo. I cattolici e in modo particolare i vescovi non possono tacere di fronte a questa deriva che ha toccato livelli da sub-basso impero, senza sentire la colpa di essere responsabili «in solido» di quanto sta accadendo.
I vescovi possono parlare di  «emergenza educativa», ma solo se ammettono la loro responsabilità di avere sostenuto un uomo indegno di governare il nostro popolo e a condizione che si assumano la responsabilità piena delle conseguenze del loro sostegno. Il governo sta compiendo scelte scellerate nel più totale disinteresse rassegnato: il decreto sicurezza che ripropone le schedature dei bambini, dei senza fissa dimora, ecc., riportandoci indietro alle schedatura di stampo nazifascista che credevamo finita per sempre con l’avvento della democrazia e la costituzione dell’Europa. Non possiamo tacere di fronte ai poveri che affrontano l’esodo della salvezza verso la Terra Promessa del benessere, senza dimenticare che l’occidente, mèta dei diseredati, è colpevole dello sfruttamento dei paesi da cui essi scappano. Abbiamo depredato l’Africa da oltre due secoli per il nostro benessere (materie prime) e per il sollazzo di pochi imbecilli (safari), stiamo ammazzando l’Africa con le scorie radioattive, vendiamo armi alle bande in permanente guerra, succhiando l’anima all’intero continente e abbiamo anche il coraggio di respingere il barconi della disperazione. L’aggravante sta nel fatto che tutto avviene anche per opera di un governo che si dichiara ispirato ai principi cattolici, appoggiato dal mondo cattolico e sostenuto dai vescovi, i quali di fronte all’immoralità dilagante si girano dall’altra parte come il prete e il sacrestano della parabola del Samaritano (Lc 10,30-33).
Il segretario di Stato vaticano, cardinale Tarcisio Bertone, in occasione dell’80° anniversario del Patti Lateranensi (11 febbraio 2009) ebbe a dire che mai le relazione con un governo in Italia erano state così eccellenti come con l’attuale governo. Dopo i fatti degli ultimi mesi, dopo le accuse della moglie, dopo gli eventi di Casoria, su cui il capo del governo ha giurato sulla testa dei figli, dando nei giorni successivi quattro versioni differenti dello stesso fatto, commettendo così uno spergiuro imperdonabile per la morale cattolica, di fronte alle bugie sistematiche ammannite come verità, il cardinale segretario di Stato e il presidente della Cei, a mio avviso, se avessero avuto un minimo pudore evangelico, avrebbero dovuto parlare apertamente e dire: noi come Chiesa rescindiamo unilateralmente il concordato per indegnità morale di un governo che opera palesemente l’ingiustizia, per un presidente del consiglio dichiarato da un tribunale «colpevole di corruzione di testimoni» e responsabile attivo del degrado morale dell’intera nazione con i suoi comportamenti privati, con il suo esempio tracotante, con le sue bugie manovrate come verità, per il suo disprezzo delle istituzioni statuali, per lo spergiuro con cui ha condannato se stesso e i suoi figli: un uomo che spergiura sulla testa dei suoi figli non è degno né della paternità né tanto meno del governo della nazione perché sta scritto: «Non giurate: né per il cielo né per la terra né con qualunque altra forma di giuramento, ma il vostro sì sia sì, il vostro no sia no, in modo da non cadere nel giudizio » (Giacomo 5,12). I vescovi avrebbero dovuto chiedere ad una sola voce le dimissione del governo e avrebbero dovuto dire ai cattolici che non è loro lecito sostenere un megalomane del genere che tutto deforma e inquina a proprio vantaggio, incurante del bene comune dell’intera nazione.
La gerarchia, se vuole proporsi come guida morale, deve distinguersi dai sistemi immorali di governo e ancora di più dalla politica amorale e senza alcun riferimento etico che invece di educare il popolo prospettando la complessità degli eventi e proponendo le soluzioni ragionevoli.
Vediamo minori che compiono «delitti» contro la persona «per noia», che ricattano i coetanei per avere cellulari e denaro, minori che si spostano da una città all’altra per delinquere senza alcun problema … madri che offrono le figlie per lo «jus primae noctis», pur di vederle apparire nude in tv e avere una particina in qualche reality per individui complessati e senza speranza. Non è questa una emergenza educativa?
E’ tempo della profezia. Torni la profezia, ma non la voce esile di un singolo che conta poco, ma torni la voce di un popolo, la voce del popolo del concilio Vaticano II, abortito appena nato,  torni il laicato che è la spina dorsale della Chiesa e nessuno abdichi dal proprio servizio, dal proprio compito, dal proprio identità. In questo momento in tutta Italia stano sorgendo gruppi che celebrano il concilio come contrasto alla deriva fondamentalista di una gerarchia e di un papato che invece di guardare avanti, si voltano indietro, rimpiangendo le cipolle d’Egitto. Credo che bisogna assumersi la responsabilità in prima persona. Credo che sia urgente che i credenti e i non credenti prendano penna carta e calamaio e scrivano al Cardinale Bagnasco e al proprio vescovo, facendo sentire la propria voce. Se qualcuno non riesce ad esprimere i suoi sentimenti, copi la mia lettera, vi scriva due parole di accettazione o di rifiuto, di condivisione o di contestazione e la spedisca a titolo personale. Se duemila contatti scrivessero duemila lettere sono duemila segni e duemila parole, autentici sassi che rompono il virus «tacere», autentico strumento di connivenza e di malaffare.
Verrà un giorno in cui la Storia ci chiederà conto se c’eravamo e se abbiamo avuto sentore dei «segni dei tempi» e se siamo stati capaci di viverli e di difenderli con la nostra vita e con le nostre parole del cuore. In caso contrario ci additerà ai posteri come complici indegni del nostro tempo.


Genova, 7 giugno 2009
Paolo Farinella, prete



5.6.09

LA CHIESA E I REGIMI DI DESTRA


La componente del mondo cattolico italiano più sensibile ai valori democratici prova, e in alcuni casi esprime a chiare lettere, un sincero sgomento per l'assordante silenzio delle gerarchie vaticane di fronte al pericolo costituito per la legalità democratica dalla destra italiana. Per la verità, mi pare che questo stupore sia del tutto immotivato: l'atteggiamento attuale è, infatti, assolutamente coerente con quello tenuto di solito dal Vaticano nei confronti dei regimi autoritari di destra. Di seguito, qualche esempio tratto dalla storia del secolo scorso, cominciando col fascismo che, riguardandoci più da vicino, merita un'attenzione particolare.



In Italia nel 1922 Mussolini è appena arrivato al potere e mostra subito le sue intenzioni autoritarie proclamando alla Camera che poteva "fare di quest'aula sorda e grigia un bivacco di manipoli". La cosa non allarma il Vaticano, anzi il cardinale Gasparri, segretario di Stato, trova motivi per compiacersene e confida all'ambasciatore del Belgio presso la Santa Sede: "avvertire la Camera che resterà in funzione due anni, o solo due giorni, a seconda che si mostrerà ubbidiente o indisciplinata, è il colmo dell'audacia. Ma Mussolini ha terminato il suo discorso pregando Dio di assisterlo per portare a buon termine il suo arduo compito. Dal 1870 non si era più intesa, dalla bocca di un sovrano o di un ministro italiano, alcuna invocazione alla Divina Provvidenza. I liberali ... non si curavano della religione ... ed è un rivoluzionario convertito a dare l'esempio di un ritorno alle pratiche religiose. La Provvidenza si serve di strani strumenti per fare la felicità dell'Italia. Da parte mia, non rimpiango certo il parlamentarismo italiano, quando vedo Mussolini tendere risolutamente verso un governo conservatore".


Pochi mesi dopo, nella sua prima enciclica, Ubi arcano Dei, Pio XI, mettendo in guardia contro le agitazioni sociali e le ribellioni alle legittime autorità, sente il bisogno di sottolineare che esse sono più frequenti nei Paesi in cui è in vigore un regime basato sulla rappresentanza popolare, per il quale il papa pare non nutra particolare simpatia: "le forme di governo rappresentative, sebbene non condannate dalla dottrina della Chiesa (come non ne è condannata forma alcuna di regime giusto e ragionevole), pure è a tutti noto quanto facilmente siano esposte alla malvagità delle passioni". Non si può certo dire che con queste parole il papa abbia incoraggiato le forze politiche che si opponevano alla nascente dittatura.


Quando nel 1924, dopo l'assassinio di Matteotti, il fascismo sembra sul punto di crollare travolto dall'indignazione dell'opinione pubblica, tra i parlamentari popolari (privi del loro segretario, don Sturzo, già nel 1923 costretto dalle pressioni vaticane a dimettersi a causa della sua opposizione al nuovo ministero) e quelli socialisti si intavolano trattative per la formazione di un governo che possa succedere a Mussolini. Ma Pio XI coglie l'occasione di un Discorso agli studenti universitari cattolici per deplorare il possibile accordo: con una simile innaturale alleanza, infatti, i cattolici popolari porterebbero al potere il partito socialista, dichiaratamente favorevole alla detestabile separazione tra Stato e Chiesa, contrapponendosi per di più ai cattolici che si riconoscono nel partito fascista, e sarebbe "davvero penoso al cuore del Padre vedere buoni figli e buoni cattolici dividersi e combattersi a vicenda".


L'anno seguente, nell'enciclica Quas primas, Pio XI afferma che i governanti legittimi comandano per mandato di Cristo Re e conclude che, quanto più i cittadini saranno consapevoli che l'autorità viene dall'alto tanto più saranno pronti ad obbedire, e quindi si consoliderà una società ordinata e pacifica: "ancorché, infatti, il cittadino riscontri nei principi e nei capi di Stato uomini simili a lui, o per qualche ragione indegni e vituperevoli, non si sottrarrà tuttavia al loro comando qualora egli riconosca in essi l'immagine e l'autorità di Cristo". É appena il caso di ricordare che questo richiamo all'obbedienza valeva anche per quei cattolici italiani che ritenevano indegno e spregevole un capo di governo come Mussolini, che alcuni mesi prima in un discorso alla Camera si era assunto la responsabilità politica, morale e storica del delitto Matteotti.


Superato, quindi, il momento critico e messe definitivamente a tacere le opposizioni, Mussolini intensifica i rapporti col Vaticano, riuscendo nel 1929 a chiudere la questione romana. La Conciliazione tra Stato e Chiesa è indubbiamente un grosso successo per le due parti: da un lato rafforza il regime e dall'altro riconosce al cattolicesimo uno statuto privilegiato. Tralasciando gli aspetti più noti dell'accordo, può essere utile soffermarsi su quello economico. Da anni le finanze vaticane erano ridotte in condizioni disastrose e Mussolini aveva sempre mostrato grande sensibilità per questo problema: già nel 1924, e di nuovo nel 1925, aveva considerevolmente aumentate la rendita dei vescovi e la congrua dei parroci. Ma ora l'Italia versa alla Chiesa addirittura un miliardo in titoli e 750 milioni in contanti, e inoltre restituisce alcuni edifici ecclesiastici di enorme valore da tempo incamerati, esenta da ogni tributo le retribuzioni dovute a salariati e impiegati della Santa Sede e rinuncia ad imporre dazi doganali sulle merci importate dalla Città del Vaticano.


Non è necessario essere volgari seguaci di una concezione materialistica della storia per supporre che anche queste vantaggiose clausole finanziarie abbiano influito sull'entusiastico giudizio che sul Concordato appena firmato Pio XI espresse parlando ai professori e agli studenti dell'Università cattolica del Sacro Cuore: "Forse ci voleva anche un uomo come quello che la Provvidenza ci ha fatto incontrare, un uomo che non avesse le preoccupazioni della scuola liberale, per gli uomini della quale tutte quelle leggi ... erano altrettanti feticci ... tanto più intangibili e venerandi quanto più brutti e deformi. ... [Con lui siamo riusciti] a concludere un Concordato che, se non è il migliore di quanti ce ne possano essere, è certo tra i migliori".


In effetti, che Mussolini sia libero da scrupoli di tipo liberale è certo, e infatti ha già instaurato in Italia un regime totalitario, che ora si può consolidare con le elezioni plebiscitarie tenute proprio poche settimane dopo la firma dei Patti Lateranensi. Difficile negare che l'atteggiamento del Vaticano abbia aiutato il fascismo a mettere radici in Italia, tanto più che è un fatto riconosciuto dallo stesso Pio XI quando, in seguito alle violenze di stampo squadristico scatenate contro le associazioni dell'Azione cattolica, nell'enciclica Non abbiamo bisogno del 1931 accusa Mussolini di scarsa riconoscenza: anzi, vera ingratitudine "rimane quella usata verso la Santa Sede da un partito e da un regime che, a giudizio del mondo intero, trasse dagli amichevoli rapporti con la Santa Sede, in paese e fuori, un aumento di prestigio e di credito che ad alcuni in Italia e all'estero parvero eccessivi, come troppo largo il favore e troppo larga la fiducia da parte Nostra".


E tuttavia, neanche nel corso di questa crisi, che costituisce il momento di massima tensione col regime, e con questo documento, che è considerato la più chiara presa di distanza da esso, il papa ha intenzione di rompere col fascismo. Infatti dichiara che le sue critiche riguardano singole scelte, certamente gravi e detestabili ma che possono e debbono essere corrette, e conclude l'enciclica con la rassicurazione che "con tutto quello che siamo venuti finora dicendo, Noi non abbiamo voluto condannare il partito e il regime come tali".


In effetti, i buoni rapporti permangono anche quando nel 1935 Mussolini inizia la conquista dell'Etiopia. Si tratta con ogni evidenza di una guerra coloniale, e quindi ingiusta per la morale cattolica. All'estero tutti la giudicano così, ma Pio XI sembra dar credito alla propaganda governativa che la presenta come una guerra difensiva e, rivolgendosi a duemila infermiere, afferma: "Noi non crediamo, non vogliamo credere a una guerra ingiusta. In Italia si dice trattarsi di una guerra giusta: infatti, una guerra di difesa per assicurare le frontiere contro i pericoli continui e incessanti, una guerra divenuta necessaria per l'espansione di una popolazione che aumenta di giorno in giorno, una guerra intrapresa per difendere o assicurare la sicurezza materiale a un Paese, una tale guerra si giustificherebbe da sola". Così, quando gli Italiani, facendo uso anche di gas asfissianti, conquistano Addis Abeba e Mussolini proclama Vittorio Emanuele III imperatore d'Etiopia, in tutte le chiese si canta un Te Deum di ringraziamento.


E persino nel 1938, quando sono appena state approvate le leggi razziali, fortemente discriminatorie nei confronti degli ebrei, Pio XI sembra ritenere che il merito di aver approvato i Patti Lateranensi, di cui è ormai prossimo il decennale, possa coprire tutti i demeriti di Mussolini, a cui esprime sincera gratitudine in occasione di un discorso al Sacro Collegio: "Occorre appena dire, ma pur diciamo ad alta voce, che dopo che a Dio, la Nostra riconoscenza e i Nostri ringraziamenti vanno alle eccelse persone - cioè il nobilissimo Sovrano e il suo incomparabile Ministro - cui si deve se l'opera tanto importante, e tanto benefica, ha potuto essere coronata da buon fine e felice successo". Del resto la Chiesa, se rifiuta un antisemitismo di carattere razziale, ha per secoli coltivato un antigiudaismo di carattere religioso. Nel 1924, per citare un solo ma significativo esempio, padre Agostino Gemelli, fondatore e rettore dell'Università cattolica del Sacro Cuore, scriveva: "se morissero tutti i giudei che continuano l'opera dei giudei che hanno crocifisso Nostro Signore, non è vero che al mondo si starebbe meglio?".


Con la Conciliazione Mussolini ha acquistato un merito indelebile anche per il nuovo papa. Nella Summi pontificatus del 1939, la sua prima enciclica, Pio XII infatti ricorda ancora con animo grato che dai Patti Lateranensi "ebbe felice inizio, come aurora di tranquilla e fraterna unione di animi innanzi ai sacri altari e nel consorzio civile, la pace di Cristo restituita all'Italia".


Della politica concordataria papa Pacelli è in effetti un convinto sostenitore, e già nel 1933, come segretario di Stato, aveva firmato il concordato con Hitler. Le trattative avviate dal Vaticano col governo tedesco inducono i vescovi, che avevano in precedenza espresso un giudizio fortemente negativo nei confronti del regime nazista, a modificare il proprio atteggiamento. Essi ricordano ora ai loro fedeli che debbono "adempiere con coscienza i propri doveri di cittadini, rifiutando per principio ogni comportamento illegale o sovversivo". La politica di Pacelli, letta in Germania come un avallo dato al nazismo, ha quindi provocato il disorientamento di milioni di cattolici tedeschi, che rinunciano ad ogni forma di opposizione, e la crisi del Partito del Centro Cattolico, che addirittura arriva all'autoscioglimento.


Deludendo le aspettative del Vaticano, Hitler non rinunzia però alle violenze contro i cattolici ma le proteste della Chiesa sono ormai inefficaci. L'enciclica di Pio XI del 1937, la Mit brennender Sorge, in cui il papa, accusando il governo tedesco di tollerare e addirittura favorire gli attacchi alla religione cristiana per sostituirla con la deificazione della razza e dello Stato, ribadisce che "il credente ha un diritto inalienabile di professare la sua fede e di praticarla in quella forma che a essa conviene" ma dichiara tuttavia di non avere perduto la speranza che finalmente il concordato possa trovare attuazione, può tutt'al più irritare Hitler ma non può certo mettere in difficoltà il regime. Del resto, il tono deciso delle parole del papa poco si accorda con l'atteggiamento conciliante mostrato nei mesi successivi in privato dal suo segretario di Stato, tanto che l'ambasciatore tedesco presso il Vaticano può comunicare al suo governo: "Pacelli mi ha ricevuto in modo decisamente amichevole e mi ha enfaticamente assicurato, nel corso della conversazione, che relazioni amichevoli e normali si sarebbero ristabilite il prima possibile".


Così il governo nazista continua a proclamare la religione del sangue, a perseguitare sacerdoti e sciogliere organizzazioni cattoliche, a imprigionare e uccidere ebrei, distruggendone case e sinagoghe: tutto ciò non induce il Vaticano a una condanna ufficiale. Anzi, divenuto papa nel 1939, nel comunicare a Hitler la propria elezione, Pacelli dà l'impressione che tutto in Germania vada per il meglio: "Noi stimiamo dovere del nostro ufficio dare notizia a Lei, come Capo dello Stato, dell'avvenuta nostra elezione. Al contempo Noi desideriamo assicurarla, fin dall'inizio del nostro pontificato, che restiamo legati da intima benevolenza al popolo tedesco affidato alle sue cure ... Nella cara memoria dei lunghi anni durante i quali, come nunzio apostolico in Germania, tutto abbiamo messo in opera per ordinare le relazioni tra Chiesa e Stato in mutuo accordo ed efficace collaborazione a vantaggio delle due parti ... Noi indirizziamo particolarmente in quest'ora al raggiungimento di tal fine l'ardente aspirazione che ci ispira e ci rende possibile la responsabilità del nostro ufficio".


Le atrocità commesse dal regime hitleriano negli anni successivi non sono sufficienti a convincere il papa ad abbandonare le ambiguità del linguaggio diplomatico. Solo nel giugno del 1945, quando la Germania sarà stata definitivamente sconfitta, Pio XII formulerà, in un'allocuzione al Sacro Collegio, quella chiara condanna che invano tante vittime della barbarie nazista avevano atteso nel corso della guerra: "Nutriamo fiducia che il popolo tedesco possa risollevarsi a nuova dignità e a nuova vita, dopo avere respinto lo spettro satanico esibito dal nazional-socialismo ". Peccato che queste parole siano state pronunziate con tanto ritardo!


Del resto, è ovvio che per il Vaticano non era facile rompere con i regimi fascista e nazista, di cui aveva negli anni precedenti appoggiata l'azione volta ad instaurare una dittatura di destra in Spagna. Nel 1936, infatti, il generale Franco, sostenuto da Germania e Italia, aveva dato inizio a una rivolta militare contro il Fronte Popolare che aveva vinto le elezioni. Ricevendo un gruppo di preti fuggiti dalla Spagna, Pio XI chiarisce subito da che parte sta la Santa Sede, mettendoli in guardia contro il pericolo di una possibile collaborazione dei cattolici con le sinistre, e invia la sua speciale benedizione "a quanti si erano assunti il difficile e rischioso compito di difendere e restaurare i diritti e l'onore di Dio e della religione", e cioè a coloro che si erano ribellati al governo legittimo.


É vero che in Spagna molti preti erano stati massacrati ad opera delle sinistre ma non pochi erano quelli massacrati dai militari ribelli. Eppure di questi ultimi Pio XI non sembra preoccuparsi, mentre nell'enciclica del 1937, la Divini Redemptoris, condanna senza mezzi termini il comunismo e le stragi perpetrate dai comunisti: "Il furore comunista non si è limitato a uccidere vescovi, migliaia di sacerdoti, di religiosi e di religiose ... Non vi può essere uomo privato che pensi saggiamente, né uomo di Stato consapevole della sua responsabilità , che non rabbrividisca al pensiero che quanto accade oggi in Spagna possa ripetersi domani in altre Nazioni civili".


Quando poi nel 1939 i legionari di Franco riportano la vittoria, Pio XII non perde tempo per esprimere con un radiomessaggio il suo entusiasmo e la sua fiducia nel nuovo governo: "Con immensa gioia ci rivolgiamo a voi, figli dilettissimi della cattolica Spagna, per esprimervi le paterne Nostre felicitazioni per il dono della pace e della vittoria ... I disegni della Provvidenza, amatissimi figlioli, si sono manifestati una volta ancora sopra l'eroica Spagna ... [Esortiamo i Governanti e i Pastori a insegnare i principi di giustizia contenuti nel Vangelo e] non dubitiamo che ciò avverrà: di questa Nostra ferma speranza sono garanti i nobilissimi sentimenti cristiani di cui hanno dato sicure prove il Capo dello Stato e tanti suoi fedeli collaboratori con la protezione legale accordata ai supremi interessi religiosi e sociali, in conformità agli insegnamenti della Sede Apostolica". Nelle carceri spagnole si trovavano allora oltre duecentomila prigionieri politici ma quei “nobilissimi sentimenti cristiani” non impedirono che ogni giorno a centinaia essi venissero portati davanti al plotone di esecuzione.


Anche in anni recenti l'opposizione al comunismo sembra agli occhi delle gerarchie vaticane un valore tale da permettere di chiudere gli occhi su illegalità, violenza e dittatura. Nel 1973, rovesciato il legittimo governo del socialista Allende, il generale Pinochet instaura in Cile la sua dittatura. Si tratta di un regime universalmente condannato per la sua ferocia dall'opinione pubblica democratica, eppure il papa Giovanni Paolo II non ha difficoltà, nel corso del suo viaggio in Cile del 1987, a presentarsi in pubblico a fianco di Pinochet, che dichiara che quando ha assunto la guida del Paese ha affidato "il successo della nostra missione a Dio e alla santissima Vergine del Carmelo". E nel 1993, in occasione del cinquantesimo anniversario del matrimonio del generale, il papa invia una sua foto con la seguente dedica: "Al generale Augusto Pinochet Ugarte e alla sua distinta sposa, signora Lucia Hiriarde Pinochet, in occasione delle loro nozze d'oro matrimoniali e come pegno di abbondanti grazie divine, con grande piacere impartisco, così come ai loro figli e nipoti, una benedizione apostolica speciale. Giovanni Paolo II". Ancor più calorosa la lettera del cardinale Sodano, segretario di Stato, che riconosceva negli sposi una coppia cristiana esemplare e rinnovava al generale "l'espressione della più alta e distinta considerazione". Come stupirsi quindi dell'intervento vaticano a favore di Pinochet presso le autorità inglesi e spagnole quando nel 1998 il sanguinario dittatore cattolico rischia di essere processato per i crimini commessi?


Non meno feroce la dittatura militare instaurata in Argentina nel 1976. Ma appena tre mesi dopo il golpe arriva la benedizione dell'allora nunzio apostolico Pio Laghi: "Il Paese ha un'ideologia tradizionale e quando qualcuno pretende di imporre altre idee diverse ed estranee, la Nazione reagisce come un organismo, con anticorpi di fronte ai germi, e nasce così la violenza. I soldati adempiono il loro dovere primario di amare Dio e la Patria che si trova in pericolo. Non solo si può parlare di invasione di stranieri, ma anche di invasione di idee che mettono a repentaglio i valori fondamentali. Questo provoca una situazione di emergenza e, in queste circostanze, si può applicare il pensiero di san Tommaso d'Aquino, il quale insegna che in casi del genere l'amore per la Patria si equipara all'amore per Dio". I generali colpevoli di genocidio, come Videla, Viola, Galtieri e Massera, tutti poi amnistiati dal presidente Menem, vengono ovviamente invitati dal nunzio apostolico Calabresi ai festeggiamenti ufficiali del 1991 per il tredicesimo anniversario dell'elezione di Giovanni Paolo II. E mentre Roma abbandona alla loro sorte vescovi come Angelelli, Gerardi o Romero, trucidati perché schieratisi con gli oppressi, gli ecclesiastici che per anni hanno mantenuto ottimi rapporti con gli aguzzini sono considerati in Vaticano degni di promozione: così monsignor Medina diventa vescovo castrense, monsignor Quarracino cardinale arcivescovo di Buenos Aires, e monsignor Laghi cardinale prefetto della Congregazione per l'educazione cattolica.Se questa è stata la politica della dirigenza ecclesiastica nel secolo scorso, non si capisce per quale ragione ci si dovrebbe attendere oggi una particolare sensibilità per i pericoli che corre la democrazia in Italia. Penso che i cattolici democratici farebbero bene, quindi, a proseguire nel loro impegno di difesa della legalità costituzionale senza preoccuparsi delle posizioni delle gerarchie vaticane, che hanno fermamente condannato i regimi totalitari comunisti ma non quelli fascisti. Se delle immani sofferenze provocate dai primi, da sempre combattuti, i responsabili della politica vaticana non portano il peso, di quelle provocate dai regimi autoritari di destra, di norma legittimati, essi sono senza dubbio oggettivamente corresponsabili. Somigliando, per quanto riguarda il campo politico, a ciechi che pretendono di guidare altri ciechi, questi uomini sono perciò da affidare alla misericordia del Padre, dato che spesso non sanno quello che dicono e che fanno.





Elio Rindone




22.5.09

I pupi, i papy e il puparo senza arte

1. Sulla preside di Genova, Giovanna Cipollina, che scrive le liste di proscrizione, mercoledì prossimo spedirò il mio articolo per la Repubblica/Il Lavoro che verrà pubblicato domenica prossima.

2. Ci mancava questa! Il Corruttore (sic! «C» Maiuscola per dire che rappresenta un modo d’essere irreversibile) di testimoni perché dicano il falso, il papino bugiardo preoccupato della sua «bambina», ora appena maggiorenne, l’«uomo malato» che si crede Napoleone, Gesù Cristo, il Padre eterno, si trucca di nascosto al raduno della Confindustria: il trucco nascosto nel fazzoletto e lui, il papino delicato, che fa finta di asciugarsi il sudore, mentre invece si sta stuccando per «venire meglio in tv». Anche nelle frivolezze è falso. Anche quando agisce di nascosto è finto.

3. La scena raccapricciante però non è lui, ma quelli che gli stavano davanti: il gotha dell’intellighenzia italiota, la classe nobile del Paese, che ascolta in silenzio le fregnacce di un uomo malato (parola di moglie) e alla fine metà dei presenti applaudono e metà stanno zitti. E’ l’immagine amara dell’Italia, trasformata in un immenso teatro finto, dove il puparo muove le file agita i pupi come vuole e quando vuole.


4. Di fronte alle rivelazioni, ormai accertate da la Repubblica che ha dimostrato che Berluglioni ha mentito sul caso di Noemi la ex-minorenne [qui sotto, l'"artistico" book fotografico realizzato quando la ragazza non aveva ancora 18 anni, n.d.r.], di fronte alle accuse atroci di una moglie che lo accusa di pederastìa e di essere uomo malato di paranoia narcisistica, di fronte al vuoto che regna sul terremoto di Abruzzo, trasformato in un palcoscenico tra i ruderi (che romantico!!!), di fronte all’esercito italiano, comandato da La Russa, che dichiara guerra a due barconi bucati di clandestini, di fronte al governo che dichiara guerra all’Unione Europea e all’Onu, ci sarebbe stata bene una presa di posizione della gerarchia cattolica, dal momento che sono in ballo questioni di etica, di giustizia internazionale, di protezione di poveri, emarginati e quindi prediletti da Dio. Sarebbe stato bello!


5. Ci dobbiamo accontentare di piccoli colpi di spillo, dati con stile diplomatico, con linguaggio asettico e, perdinci, non offensivo. Gli interventi del Vaticano e della Cei, che pure ci sono stati e anche tempestivi, sono stati del tutto inadeguati, minimalisti, quasi pudichi.


a. Nulla hanno detto sul caso «del marito che va con le minorenni», non rilevando nel comportamento dalla massima autorità di governo, nemmeno una traccia di disdoro etico. Non sarebbe stato il caso che la Cei chiedesse formalmente le dimissioni di un corruttore di tribunali e di minorenni?



b. Non sarebbe stato il caso che il papa, nel suo candore teologico, affacciandosi alla finestra, avesse detto: non abbiamo niente da spartire con un uomo del genere che mentre manda l’esercito contro le carrette del diritto negato e mentre la gente di Abruzzo cuoce nelle tende militari, egli fotte le minorenni con il plauso della sua maggioranza cattolica?



c. Non sarebbe stato straordinario se il papa o il Bertone o l’Angelo Bagnasco avessero detto pubblicamente che non è lecito ai cattolici collaborare con un uomo del genere sia dal punto di vista etico che politico e civile? Non avrebbero dovuto smentire la clack plaudente del mondo cattolico che pare goda e si diverte e giustifica e approva? Secondo la morale cattolica, non tanto ladro chi ruba che chi para il sacco?



6. Non abbiamo assistito a nulla di tutto questo, ma abbiamo appena sentito un sussurro, quasi un bisbiglio: l’invito ad una «maggiore sobrietà», come dire ad uno stupratore che invece di quattro donne al giorno, se ne faccia soltanto due o tre. Finché non passa la buriana. E’ la morale dell’elastico. Eppure siamo sempre convinti che dalla gerarchia che si appella a Dio e pretende di parlare in nome di Dio, dovessero venire parole e comportamento di fuoco, parole e comportamenti profetici. Se in Italia regna l’omertà, l’accondiscendenza e il servilismo, in Vaticano e in Cei regna l’opportunismo e la convenienza. Non è più il criterio della verità che dirige la vita, ma quello mercantile dell’utilità.





Paolo Farinella, prete - Genova

7.1.09

BUIO LONTANO


malgiorno ogni giorno


oggi


nel dovunque estremo di striscia


pestato da battente


tagliavita


 


irreligioso affacciarsi


d’un puntino echeggiante


in bianco e rosso


lontano-lontano-lontano


mentre nel ventre della terra


antica sembianza ha fatto causa


a generosa purezza *impura*


 


il non avere colpa


la fuga


la colpa


nelle mani tese


ad un anello di preghiera


che si copre


di fronte alla povertà


dinanzi alle paure


al cospetto d’una voce


(di dio)


che lo creò


a sua immagine e somiglianza


 


buio nel lontano


dove l’eco della moralità


s’abbraccia alla mortalità


dei corpi


 


e la somiglianza prende forma


nella luce


di mille morti innocenti


 


malgiorno in ogni risveglio


d’una striscia


strisciante al suolo....


 


(e l’eco d’una mano


sotto lenzuola


papale)


 


 

16.3.08

Senza titolo 331












Collabora a Wikiquote « Noi viviamo insieme, agiamo e reagiamo gli uni agli altri; ma sempre, in tutte le circostanze, siamo soli. I martiri quando entrano nell'arena si tengono per mano; ma vengono crocifissi soli. »

(Aldous Huxley, Le porte della percezione)

28.2.07

Senza titolo 1667

dedico  a  tutti , indipendentemente  dal loro schieramento politico  ( destra  o sinistra   o  che non si riconoscono in essa )  quelli che Berlusquoni  ops  Berlusconi  chiama   COGLIONI  questa  ballata  presa  da questa  bellissima web comunity  www.lagrandefamiglia.it



La ballata dei coglioni

Se l'ha detto Berlusconi
di sicuro siam coglioni.
Gente misera e meschina
che si alza ogni mattina
e s'avvia verso il lavoro
con il senso del decoro.

S'incamminano a milioni
questi bolsi pecoroni
allineati e di gran fretta
che la metro non aspetta
e se perdi un minutino
ti s' arrossa il cartellino.

Se sei stato fortunato
e già t'hanno registrato,
che sennò basta un minuto
e ti trovi licenziato...

Tu sei solo un' appendice,
devi far quel che ti dice
il tuo capo onnipotente,
testa bassa ed ossequiente.
Si, lo so dei tuoi diritti:
Quelli lì li puoi far fritti!
Sei del tutto inesistente,
e che t'entri bene in mente!

Come dice il gran mediurgo
sei del popolo lo spurgo,
sei la feccia inconsistente
che non vale quasi niente.
e le tue buone ragioni
sono quelle dei... coglioni!

E allor diamoci una mossa,
su, coglioni, alla riscossa!
Ricordiamo al gran cazzone,
pur tra tanto starnazzare,
che si dia delle ragioni:
senza il seme dei coglioni,
serve solo per pisciare!

 



NB

 L'Abesilist è una lista di discussione di musica, teatro, arte e vita di strada inviata gratuitamente a chiunque ne faccia richiesta. - La si trova tra i 'gruppi' di Yahoo o iscrivendosi dal sito del giullare e suonicista randagio  www.abesibe.it


essa  è un rifaccimento  della   ballata del coglione   di un gruppo di estrema destra  amici del vento  (  www.musicalternativa.com/canzoniere/ ) per  dovere di cromnaca  per  chi volesse  vedere il video  e sentire la base musicale  lo trova   su  il  youtube italiano ovvero  www.tuovideo.it più  precisamente qui

18.2.07

Senza titolo 1647

 Proprio mentre  leggevo l'articolo di repubblica  sotto riportato  e da cui è scaturito il post  d'oggi  mi  è  venuto da canticchiare questa  canzone  di Jovanotti 


o penso positivo
perchè son vivo perchè son vivo,
io penso positivo
perchè son vivo e finchè son vivo.
Niente e nessuno al mondo potrà  fermarmi dal ragionare,
niente e nessuno al mondo potrà  fermare fermare fermare fermare
quest'onda che va,
quest'onda che viene e che va
quest'onda che va
quest'onda che viene e che va.
Io penso positivo ma non vuol dire che non ci vedo,
io penso positivo in quanto credo.
Non credo nelle divise nè tantomeno negli abiti sacri
che più di una volta furono pronti a benedir massacri,
non credo ai fraterni abbracci che si confondon con le catene,
io credo soltanto che fra il male e il bene è più forte il bene.
Bene bene be ne bene.
Io penso positivo perchè son vivo perchè son vivo,
io penso positivo perchè son vivo e finchè son vivo.
Niente e nessuno al mondo potrà  fermarmi dal ragionare,
niente e nessuno al mondo potrà  fermare fermare fermare fer ma re
quest'onda che va, quest'onda che vie ne e che va,
quest'onda che va, quest'onda che viene e che va.
Uscire da un metro quadro dove ogni cosa sembra dovuta,
guardare dentro alle cose: c'è una realtà  sconosciuta
che chiede soltanto un modo per venir fuori a veder le stelle
e vivere le esperienze sulla mia pelle, sulla mia pelle.
Io penso positivo perchè son vivo perchè son vivo,
io penso positivo perchè son vivo e finchè son vivo,
niente e nessuno al mondo potrà  fermarmi dal ragionare,
niente e nessuno al mondo potrà  fermare fermare fermare fermare
quest'onda che va, quest'onda che viene e che va,
quest'onda che va, quest'onda che viene e che va,
quest'onda che va, quest'onda che viene e che va,
quest'onda che va, quest'onda che viene e che va.
Io credo che a questo mondo esista solo una grande chiesa
che passa da Che Guevara e arriva fino a madre Teresa,
passando da Malcom X attraverso Gandhi e San Patrignano
arriva da un prete in periferia che va avanti nonostante il Vaticano.
Io penso positivo perchè son vivo perchè son vivo,
io penso positivo perchè son vivo e finchè son vivo,
Niente e nessuno al mondo potrà  fermarmi dal ragionare,
niente e nessuno al mondo potrà  fermare fermare fermare fermare
quest'onda che va, quest'onda che viene e che va,
quest'onda che va, quest'onda che viene e che va,
quest'onda che va, quest'onda che viene e che va,
quest'onda che va, quest'onda che viene e che va
quest'onda che va, quest'onda che viene e che va,
quest'onda che va, quest'onda che viene e che va.
quest'onda che va, quest'onda che viene e che va,
quest'onda che va, quest'onda...
quest'onda che va, quest'onda...





  repubblica  online  del 18\2\2007



l papa all'Angelus: "Nel mondo c'è troppa violenza e ingiustizia,per questo bisogna sbilanciare il mondo da male verso il bene"

Ratzinger: "Amare il nemico è la rivoluzione cristiana"





CITTA DEL VATICANO


Amando il nemico, il cristiano compie la sua rivoluzione che non si basa su strategie economiche o politiche. E' quanto ha affermato oggi Benedetto XVI in occasione della preghiera dell'Angelus celebrata in Piazza San Pietro.
Il Papa ha voluto spiegare il valore e il significato della non violenza cristiana come messaggio di fede e di amore nel mondo.
"L'amore del nemico - ha affermato Benedetto XVI - costituisce il nucleo della 'rivoluzione cristiana', una rivoluzione non basata su strategie di potere economico, politico o mediatico". "La rivoluzione dell'amore, un amore che non poggia in definitiva sulle risorse umane - ha spiegato il Pontefice - ma è dono di Dio che si ottiene confidando unicamente e senza riserve sulla sua bontà misericordiosa".

"Ecco la novità del Vangelo - ha osservato Benedetto XVI - che cambia il mondo senza far rumore. Ecco  l'eroismo dei 'piccoli', che credono nell'amore di Dio e lo diffondono anche a costo della vita". Nel mondo di oggi c'è troppa violenza e troppa ingiustizia, per questo bisogna "sbilanciare il mondo da male verso il bene a partire dal cuore dell'uomo", ha poi aggiunto Benedetto XVI .

Il Papa ha ricordato che il Vangelo di oggi contiene una delle parole più tipiche e forti della predicazione di Gesù: "Amate i vostri nemici", concetto che si trova sia nel testo di Luca che nelle "Beatitudini" di Matteo,"quasi un manifesto presentato a tutti, sul quale Egli chiede l'adesione dei suoi discepoli, proponendo loro in termini radicali il suo modello di vita".
"Ma qual è il senso di questa sua parola? Perché Gesù chiede di amare i propri nemici, cioè un amore che eccede le capacità umane?" si è domandato il Pontefice rivolgendosi ai fedeli riuniti in Piazza San Pietro.
"In realtà, la proposta di Cristo è realistica - ha aggiunto - perché tiene conto che nel mondo c'è troppa violenza, troppa ingiustizia, e dunque non si può superare questa situazione se non contrapponendo un di più di amore, un di più di bontà". "Questo di più - ha aggiunto ancora Benedetto XVI - viene da Dio: è la sua misericordia, che si è fatta carne in Gesù e che sola può 'sbilanciare' il mondo dal male verso il bene, a partire da quel piccolo e decisivo 'mondo' che è il cuore dell'uomo".





Questa  è la chiesa  che  preferisco  , e questa  è la rivoluzione  che  va fatta  , non quella dela  lotta  armata  predicata dalle  Br  o  gruppi affini   o  di  destra  . Finalmente il pontefice ,   ha  capito che   la  gente   si  è  ....   di sentirlo parlare  sempre  dellla famiglia e di aborto  .Si vede  che deve aver ascoltato la canzone  io pensoi  positivo di Jovanotti   di chi trovate il testo in apertura 







concludo con una strofa della  canzone  Caro padrone  ( qui il resto del testo )   di Paolo Pietrangeli  ( regista dele trasmissioni di Maurizio costanzo ) 

(...)

compagni sia chiaro
che il giorno ventuno
migliore vendetta
sia proprio il perdono
e allora saremo
più grandi e più forti
se tutti i rancori
saranno sepolti

(...)



31.5.06

Senza titolo 1309


In Occidente nessuno sa praticamente nulla della storia del cristianesimo giapponese. Neanche i cristiani e, figurarsi, i cattolici (sebbene il crìstianesimo giapponese coincida quasi interamente col cattolicesimo romano). A parte un lontano libro del 1959 di Jean Monsterleet edito dalle Paoline e uno di lvan Morris (del 1975 ma tradotto in italiano da Guanda nel 1983), nessuno ha mai raccontato quel che andiamo a raccontare.


Nel primo libro (Storia della Chiesa in Giappone) vi si fa un cenno. Il secondo, che parla d'altro (La nobiltà della sconfitta), vi dedica un capitolo (dal quale attingiamo in mancanza d'altro). Ma la storia dei samurai cristiani di Shimabara è una delle più eroiche di tutti i tempi e ancora oggi i giapponesi le tributano la cosiddetta simpatia hoganbijki, che i leali nipponici riservano al valore sfortunato. Negli anni Sessanta un famoso attore del teatro kabuki era convinto di essere la reincarnazione dell'eroe di quella vicenda, Amakusa Shiro, il samurai sedicenne a cui fu dedicata anche una canzone che nel decennio successivo scalò le classifiche.


Nell'immaginario dei giovani, da quelle parti, Amakusa Shiro tiene il posto che fu di Garibaldi per i nonni degli italiani e di Che Guevara per i "libertari" odierni. Il cristianesimo sbarcò in Giappone nel 1549 con s. Francesco Saverio, braccio destro di s. Ignazio di Loyola. Non ancora quarantenne, questo gesuita aveva convertito da solo quasi un milione di persone in Oriente. Accompagnato da un interprete, predicava sulle piazze il Vangelo di Matteo, che aveva imparato a memoria in giapponese. La diffidenza iniziale si tramutò in curiosità quando un astante sputò in faccia al suo compagno. Questi si asciugò rimanendo impassibile. Il fatto colpì i giapponesi, che apprezzavano moltissimo il dominio di sé.


Col tempo, il santo si rese conto che erano i suoi abiti dimessi a destare disprezzo. Così, si procurò un abito più degno e l'avventura cominciò. In pochi anni il cristianesimo in versione cattolica divenne una presenza di tutto rispetto in Giappone. Il Kyushu era interamente kirishitan, cristiano, con epi­centri nelle città di Hiroshima e Nagasaki, e la cosa andava avanti con crescita esponenziale. Fino a quando certi trafficanti europei, protestanti, instillarono nei regnanti della dinastia Togukawa il sospetto che la penetrazione religiosa del cattolicesimo fosse solo il prodromo di qualcosa di peggio, dal punto di vista politico, da parte degli imperi spagnolo e portoghese.


Gli editti persecutori non tardarono e Nagasaki divenne famosa come "la collina dei martiri" per i roghi, le crocifissioni, le morti in acqua gelata e tutto quel che la fantasia orientale, maestra nell'infliggere tormenti, escogitava via via. I cristiani locali entrarono nelle catacombe e continuarono a venerare le loro icone camuffandole sotto immagini di divinità pagane: per esempio, la Madonna divenne la dea Amaterasu. Nel 1640 il cristianesimo giapponese era ufficialmente estinto. Solo nel XIX secolo, sotto la minaccia delle cannoniere americane del commodoro Perry, il Giappone consentì a riaprirsi ai traffici occidentali e all'invio di  missionari.


Molti di questi rimasero stupiti di trovare ancora cristiani. E ancor più si stupirono quando questi li sottoposero a un esame di "cattolicità". Infatti,gli indigeni si erano tramandati di padre in figlio una perfetta distinzione tra cattolicesimo e protestantesimo.


Ma facciamo un passo indietro e torniamo a Nagasaki. A circa settanta chilometri dalla città sta una penisoletta, Shimabara, su cui sorgeva una fortezza chiamata Hara. Nel 1577, sfidando le leggi imperiali, il daimyo locale e tutta la cittadinanza avevano chiesto il battesimo. Erano seguiti vent'anni di mattanza e, alla fine, Shimabara era stata assegnata al nemico giurato del cristianesimo giapponese, Matsukura. Costui si ritrovò a signoreggiare una zona ostile (per questo avevano mandato proprio lui),diventata il punto di confluenza di tutti i cristiani perseguitati altrove.


Soprattutto di ronin. Veniva detto ronin un samurai che non aveva più un signore al cui servizio combattere. Sorta di cavalieri di ventura, vagavano alla ricerca di ingaggio. Quelli di Shimabara erano rimasti disoccupati perché cristiani. Ora, la situazione da quelle parti era, sì, pesante ma non solo per i credenti. In Giappone le tasse gravavano sui soli contadini ed erano una pletora: sulle porte, sulle mensole, su ogni fuoco, perfino sulle nascite e le morti. Il pagamento doveva venire effettuato in riso, cosa che rendeva la semicarestia perenne.


Gli evasori venivano ricoperti da un mantello di fibra vegetale, il mino; poi, legate loro le braccia, si appiccava il fuoco, così che quei disgraziati, saltando e contorcendosi, erano costretti a prodursi nel mino odori, il "ballo del mino". La punizione colpiva anche le famiglie: mogli e figlie, denudate, venivano tenute immerse nell'acqua gelida fino alla morte. Nell'anno 1637 la fame era giunta a livelli insopportabili. Due capi di villaggio (shoya, ex guerrieri ritiratisi all'attività) provarono a protestare ma ebbero, uno, la moglie incinta uccisa col sistema dell'acqua; l'altro, la figlia
esposta nuda e poi marchiata con ferri roventi.


Il giorno precedente alla festa cristiana dell' Ascensione un contadino vide che attorno all'icona che venerava di nascostosi era materializzata una fastosa cornice. Attirati dal miracolo parecchi cristiani si portarono nella sua casa. Ma la notizia si sparse e arrivarono le guardie. Tutti i presenti vennero presi e giustiziati. Era troppo. Il giorno dopo, i cristiani uscirono allo scoperto e piantarono al centro della piazza una grande bandiera bianca con una croce rossa sopra. Anche i pagani si unirono alla protesta perché per la mentalità giapponese le motivazioni religiose erano più nobili di quelle fiscali.


Quando il responsabile dell'ordine pubblico sopraggiunse finì linciato e scoppiò la rivolta. Duecento ronin e parecchi shoya ripresero le armi e dilagarono per i villaggi.Elessero come loro capo il giovane Amakusa Shiro per due motivi. Il primo era questo: era figlio di Masuda Yoshitsegu, grandissimo guerriero diventato famoso al tempo delle guerre che avevano dato il potere ai Togukawa; veniva chiamato col nome leggendario di Amakusa Jinbei. Masuda, che era cristiano, aveva disobbedito agli editti persecutori e si era messo a percorrere il Giappone predicando Cristo. Naturalmente, nessuno osava affrontarlo.


Girava portandosi dietro il figlioletto dentro una specie di carrozzina di legno (la sua figura ha ispirato una serie di telefilm). Il secondo motivo che indicava Shiro come leader era una strana profezia: un gesuita, espulsodal Giappone venticinque anni prima, aveva lasciato una specie di poesia diventata ben nota fra i cristiani giapponesi: in essa era predetto l'arrivo di un ragazzo ame no tsukai "inviato dal Cielo", che avrebbe riscattato la fede in quelle terre. Infatti, il giovanissimo Shiro aveva seguito le orme paterne come predicatore.


Quando la faccenda si fece seria, il bakufu di Edo (la capitale imperiale, oggi si chiama Tokio) inviò le truppe al comando dello shogun Itakura Shigemasa. Poi fece arrestare e torturare la madre e le sorelle di Shiro. Appena la notizia dell'arrivo degli imperiali giunse al campo dei ribelli, Shiro chiese a tutti quelli che volevano resistere di seguirlo nel castello di Hara. Così, oltre cinquantamila persone, con donnee bambini, si asserragliarono nella fortezza e attesero. Non c'era alternativa: le uniche armi a disposizione erano quelle, leggere, dei ronin, mentre il nemico aveva anche i cannoni. Gli spalti si riempirono di crocifissi, di stendardi bianchi con la croce, di bandiere con Sanchiyago, San fu­ranshisuko, Marya, Yesu (s. Giacomo, s. Francesco, Maria e Gesù).


Ogni tre giorni Shiro riuniva tutti nella piazza d'armi e pronunciava un'esortazione religiosa da omoikiritaru kirishitan ("cristiano devoto") in vista del gosho (la vita eterna). Nel frattempo, i governativi incendiavano tutti i villaggi attorno e ne sterminavano gli abitanti. Quando ebbero fatto terra bruciata attorno ad Hara, cominciò l'assedio vero e proprio.


Centomila soldati, agli ordini di vari signori (tra cui Matsukura), si accamparono attorno mentre venivano apprestate le torri d'assedio. Lo spettacolo era in stile: nel campo degli imperiali, risse, duelli, uccisioni a causa delle rispettive rivalità di appartenenza feudale; in quello assediato si sentivano solo inni e preghiere corali. I cristiani avrebbero potuto fare strage degli operai costretti dalle corvées obbligatorie a scavare ed erigere terrapieni. Invece si limitarono a far piovere nel campo nemico yabumi, frecce con fogli arrotolati attorno, ove spiegavano periscritto le loro ragioni.


Della pietà cristiana nei confronti dei poveracci forzati a lavorare sotto le mura cercarono di trarre profitto gli imperiali: un centinaio di ninjutsukai ("uomini invisibili", gli assassini di professione che il cinema ha mitizzato col nome di ninja) si introdussero, col favore delle tenebre, nel castello. Ma ne tornarono solo due. Non solo. In un paio di riprese gli assediati riuscirono, con sortite micidiali, a portare scompiglio nel campo avversario. A quel punto intervenne Matsudaira Nobutsuma, il luogotenente dell'imperatore, che guidò personalmente i rinforzi. Incredibilmente anche questo nuovo attacco venne respinto.


L'infuriato Shigemasa allora ordinò l'attacco generale che volle condurre in prima fila. Finì ucciso insieme a quattromila dei suoi uomini migliori. Ormai la situazione era grottesca: un esercito sterminato non riusciva ad aver ragione di un pugno di contadini praticamente senza armi. Il disonore era assicurato e tutti gli occhi dell'arcipelago erano puntati su Shimbara.


Per salvare la faccia l'imperatore concesse clemenza e il perdono per chi si fosse arreso. Aggiunse anche la promessa di una generosa distribuzione diriso. Ma quelli fecero sapere che volevano solo una cosa: poter professare liberamente la loro religione così come era permesso ai buddhisti, aitaoisti, ai confuciani e agli shintoisti.


L'imperatore, che non poteva permettersi di rimangiarsi il suo editto, fece tornare le trattative in alto mare. Già, il mare. Proprio da quella parte arrivò il pericolo. I mercanti olandesi, protestanti, furono ingiunti di fornire man forte agli imperiali se volevano continuare a commerciare col Giappone.


Così, il balivo Nicolaus Couckebaker mandò una nave a cannoneggiare Hara per due settimane di fila. Quando gli spalti furono completamente smantellati e gran parte delle mura erano crollate, vennero portate avanti, legate, la madre e le sorelle di Shiro. Era l'ultima offerta. Che fu rifiutata. Partì l'assalto finale, che durò due giorni e due notti. Ormai quasi tutti i ronin erano morti e così gli shoya. Anche il cibo era finito da un pezzo. L'ultima resistenza fu disperata: i cristiani, anche le donne e i feriti, combatterono con quel che avevano sottomano, scodelle, bastoni, sedie.


Nessuno sopravvisse. La spiaggia si ricoprì di undicimila pali su cui stavano conficcate altrettante teste. Le rimanenti vennero ammassate su tre navi, insieme ai nasi tagliati delle donne, per essere portate come trofeo a Edo. Ma gli imperiali avevano perso oltre settantamila uomini armati, addestrati e perfettamente equipaggiati. La penisola venne colonizzata da confuciani e buddhisti mentre il Giappone entrava nel sakoku, la chiusura di due secoli al mondo esterno. Purtroppo, per Nagasaki (e Hiroshima) non sarebbe stato, quello, l'ultimo martirio.


Rino Cammiller

19.1.06

Senza titolo 1102

da quando  nel mio ops  nostro  blog  e nei altri dove sono invitato  e   lascio scrivere di religione  e  di  credere , ricevo molte  email  in cui mi si chiede  come faccio  a conciliare  il mio credere  con la mia  concezione politica  ovvero : << ma  se  sei anarchico \ libertario  -  comunista  come ...  fai a credere in ... di religione  ? >> .  Prima di rispondere    vorrei smentire un luogo comune   non è assolutamente  vero  che   essere  di  sinistra   sia  per  forza ateo  . poi perchè  è questa  è una  interpretazione  fatta mia   del pensiero di marx che  trovate qui (,,,,, )   è l’uomo che fa la religione, e non è la religione che fa l’uomo (...) .La religione è il sospiro della creatura oppressa, è l'anima di un mondo senza cuore, di un mondo che è lo spirito di una condizione senza spirito. Essa è l'oppio del popolo. Eliminare la religione in quanto illusoria felicità del popolo vuol dire esigere la felicità reale. L’esigenza di abbandonare le illusioni sulla sua condizione è l’esigenza di abbandonare una condizione che ha bisogno di illusioni. (...) La critica della religione approda alla teoria che l'uomo è per l'uomo l'essere supremo. In pratica  la religione  in se  oppio dei popoli ma  è il potere  non solo quello politico  ma  anche quello culturale   che  fanno (  e  hanno sempre fatto )  diventare  la religione  \ il credere  quello che dice  Marx  e   jacopo fo  nel " libro nero del  cristianesimo " qui la trama oppio  dei popoli o peggio culto di stato  . Reprimendo  ( torturando ,  scomunicando , bruciando libri ,  sospendendo a divinis   giudicando  eretici  , ecc  )  quella  che  religione  che  viene dal basso  cioè prende  alla lettera  le sacre scritture Adesso di voi  crederanno che sono ateo  ed invece no  sono  se proprio  non potete   fare  a meno di etichettarmi  un laico  credente  tiepido  o non  praticante  ( se non a natale e  a  pasqua  )  . qui  come  dice Corrado Guzzanti  : << guardo  in alto  è mi convinco che  Dio è laico come  me  (.....). Concludo con la  lettera  integrale  richiesta  all'autore  in cui in parte  è stata  pubblicata  dalla sezione  lettere a corrado augias  del quotidiano la repubbblica  il 18\1\2006







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Caro Augias,


sono un pastore valdese e le scrivo a proposito della lettera del sig. Gavazzi e della sua risposta. Ha ragione nel dire che sulle domande poste dal sig. Gavazzi, e dunque sulla questione della teodicea, "nessuno ha finora saputo trovare una risposta soddisfacente". Premetto perciò che la mia non intende essere quella risposta soddisfacente, che in questo mondo non c’è. Ma entrambi i vostri contributi si concludono con il richiamo all’angoscia e dunque vorrei intervenire per questo. Mi permetto di suggerire al sig. Gavazzi la lettura di un libro che affronta le tematiche da lui enunciate e denunciate. L’autore non è un teologo o un filosofo che si metta a ragionare in astratto sul problema della teodicea con l’unico intento di giustificare e riabilitare Dio. E’ un rabbino, Harold S. Kushner, che fa sulla sua pelle l’esperienza del giusto che soffre ingiustamente: il figlio gli muore a 14 anni per una malattia terribile che si chiama progeria e che porta il corpo di chi ne è affetto ad invecchiare e giungere alla morte precocissimamente. Alla morte del figlio il rabbino si rende conto che nessuna delle risposte tradizionali della fede gli è di conforto, incluse le risposte che lui aveva a suo tempo dato da rabbino sia dal pulpito che nei colloqui privati con credenti che si sentivano colpiti ingiustamente da lutti, malattie o catastrofi e chiedevano "perché Dio l’ha permesso?" Il libro, in traduzione italiana, si intitola appunto "ma cosa ho fatto per meritare questo?" (il titolo originale è invece "When bad things happen to good people"). Prendendo spunto dalla sua esperienza e rileggendo il libro biblico di Giobbe (per eccellenza nella Bibbia ebraica il giusto che soffre ingiustamente), Kushner riflette sulla questione della bontà, della giustizia e della onnipotenza di Dio (un po’ come Hans Jonas, da lei giustamente citato) arrivando a dire che nel caso di Giobbe, come in tutti i casi che richiamano la questione della teodicea (e dunque anche le questioni richiamate dal sig. Gavazzi e da lei stesso) diventa evidente che Dio non può essere tutte e tre le cose: buono, giusto e onnipotente. Se è onnipotente, bastano le questioni richiamate dal sig. Gavazzi per affermare che non è né buono né giusto. Se invece è buono e giusto dovremo allora rinunciare all’idea che sia onnipotente. E a questa rinuncia arriva Kushner. Non so se posso far mie fino in fondo le sue conclusioni sulla non onnipotenza di Dio; mi piace però che il suo libro non si concluda con un lamento angoscioso e angosciato. Alla domanda dov’è Dio nella nostra sofferenza e nelle ingiuste tragedie che colpiscono il nostro prossimo e il mondo, Kushner risponde che Dio è colui che ci da la forza di affrontarle e superarle, colui che ha dato la forza agli ebrei sopravvissuti agli orrori dei lager nazisti di ricostruirsi una vita e andare avanti, che ha dato a lui e a tante persone la forza di riprendersi da esperienze di lutto e dolore dalle quali non avrebbero mai pensato di poter uscire; Dio è colui che ispira tante persone a dedicarsi alla cura di coloro che sono colpiti dalle tragedie che la vita comporta, e il miracolo che talvolta Dio compie e di riportare la speranza in situazioni di cupa disperazione. Da pastore valdese sono stato per anni cappellano ospedaliero e ho fatto esperienza di tutto questo. Ho compreso che la domanda "perché Dio mi fa questo?", molto spesso, più che una domanda sulla teodicea è una richiesta d’aiuto e che la mia risposta non deve consistere nel tentativo di giustificare Dio, come fanno gli amici di Giobbe, ma nello stare accanto a chi soffre, accettandone e talvolta perfino condividendone le bestemmie. Mi è già capitato di vedere come persone gravemente e ingiustamente colpite da mali terribili che maledicevano Dio, come vedendo in lui l’origine dei propri mali, siano poi giunte a riconoscerlo non più e non tanto nella loro malattia, o nella mancanza di guarigione, quanto piuttosto nella presenza costante di coloro che le hanno accompagnate, aiutate e sostenute, con amore, pazienza, rispetto, senza alcuna forma di giudizio o pregiudizio. Non ho visto tante guarigioni miracolose, ho visto però quest’altro genere di miracoli: persone la cui unica preghiera poteva essere "Mio Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonato?" (Salmo 22,1) che hanno concluso la propria esistenza dicendo "Anima mia, benedici il Signore" (Salmo 103,1). So bene che purtroppo in molti casi la vita si conclude comunque con quel grido terribile: "Mio Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonato?", sono anche le ultime parole di Gesù sulla croce, ma da credente mi consola il fatto che la risposta di Dio a quella preghiera, per Gesù come per noi, esiste e si chiama resurrezione.


Sergio Manna   ser.manna@tin.it (pastore valdese)



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Spero  che questa  lettera  
metta fine una  volta  per  tutte  alle   accuse  di ateismo  che   ancora adesso mi giungono via  email


13.1.06

Senza titolo 1089

Dopo  aver letto  un articolo  sul quotidiano  repubblica    ( quella online è  a  pagamento sic  )   sui limiti  al libero arbitrio ( qui  una  definixzione enciclopedica  e  qui una  filosofica  per chi  assueffato  ai reality e  alle menate   della  tv   lo  avesse   dimenticato oppure  è a  digiuno ---  o volesse ripassarsela ----   di filosofia  e  antropologia  )  e l'ultimo martin mystere  gigante mi è  venuta  in mente  questa  considerazione  ( in parte presa della  bellissima  storia  )  ,. Sia  che  l'umanità  ( e quindi   noi tutti  credenti o non credenti  )   sia  stata creata  o da un popolo  di dei provente dallo spazio  (  come  affermano alcune culture prima  di cristo  e attualmente  le sette  ) o da un Dio  ( vagamente interpretato   dalle  diverse  confessioni\  religioni )   quello che  conta   e che da tempo  ( nonostante  l'opposizione  dei poteri politici   e religiosi  )   ci  siamo evoluti   da esserci impigriti e  accettare passivamente   al 90 %  tutto  quello  che la  società  dei consumi ci propone  .  Ma io preferisco  credere che siamo  totalmente capaci   ( se lo vogliamo  si tratta solo  di tirarlo  fiuori  e ad allenarci ad usarlo )  di camminare  da soli  con le  nostre gambe    e di costruire il nostro destino  ., E se realmente   c'è qualcuno che da  la sù  ci osserva  mi auguro che   che   si ci consigli  \ indichi  la  eventuale strada-via da percorrere   ma che ci lasci  liberi di  percorrerla  o meno  e  d'andare avanti  da  soli ( ed  eventualemnte  )    sbagliare   commmettere i nostri errori    senza  crociate   ed  interferenze  ....   e  condannarci  o  assolverci   nell'aldilà  dopo  la  nostra  morte fisica  . 

17.11.05

Senza titolo 984


"Amici miei - scriveva Nietzsche ormai sull’orlo della follia - ma guardate una buona volta che cos’è un prete. È qualcosa di solenne, pallido, oppresso, con la viltà negli occhi...".


Quale guerra è stata mossa, negli ultimi secoli, al prete! Non tanto al cristianesimo inteso come morale o come ideologia sociale ma proprio a lui, al prete, per ciò che il prete è : ministro della Chiesa nella sua natura profonda,che è quella di essere segno efficace, operativo, attivo della presenza reale di Gesù Cristo nella storia. Ciò che si chiama Sacramento.


A tutto questo è stata mossa una guerra che la Chiesa ha sottovalutato.Per decenni abbiamo assistito a discorsi dotti sulla funzione del sacerdote nella società secolarizzata, ad analisi sempre più capillari sui cambiamenti in atto al fine di mettere a punto questa o quella strategia d’attacco. Il principio sottaciuto era: per poter fare il prete oggi è necessario conoscere il mondo.


Forse era più vero il contrario: per conoscere davvero il mondo era necessario essere preti fino in fondo -ma proprio a quel «fino in fondo» era stata dichiarata guerra. Guerra, soprattutto, all’unità della Chiesa, che proprio sul Sacramento si fonda.


Tante analisi mi sono sempre apparse come altrettante ripetizioni di quel vuoto: come quando,di notte, si ha sete, e si sogna di bere e bere,ma non ci si disseta mai.In unintervento al convegno, viene riportata una frase fulminante del teologo Yves Congar:


"In un mondo indifferente, il prete non è per nulla riconosciuto, egli si trova come nel vuoto".


 È importante capire che questo vuoto,prima di tutto, esiste.


E la paura, che è il distintivo pratico di quel vuoto. Esiste nel cristiano, esiste nel prete. Molte volte,in passato,ho assistito a dialoghi tra preti e persone scettiche. Nella discussione sembravano così simili, così d’accordo su quasi tutto,ma poi ciascuno rimaneva quel che era, come se la fede fosse solo una delle poche, marginali differenze che li dividevano.


Si cercava il plafond di valori condivisi, e l’impressione era che il prete, invigliacchito da una cultura ostile e talora da una grande solitudine,cercasse soprattutto di accreditarsi culturalmente di fronte almondo che cambiava. Fu tempo perso. L’uomo di fede non è chi finge che questo vuoto non esista: è chi, tutte le mattine, sa che la fede vince quel vuoto, anzi:l’ha già vinto.


E ricomincia,con semplicità.Nessuno è insostituibile, tranne il prete.Una Chiesa senza preti è una Chiesa tutta dottrina ma senza l’imprevedibile conforto della carità e della pietà. Che è ciò di cui l’uomo post-moderno ha più bisogno.


Luca Doninelli


20.8.05

certe cose non si cancelano ; non si può spegnere la luce dello spirito

Mentre  sostituivo  i  giornali   della    lettiera del mio gatto   fra quelli  usati precedentemente    a tale  scopo  ho  trovato   nell'inserto dela  domenica del quotidiano  la repubblica  del  14\08\2005  poi recuperato  via internet ( per  leggerlo  occorre il file  acrobat  \ pdf  che  potete scaricare qui   ) questa storia   poco conosciuta in Itralia  ( se non  nell'ambiente  dei cattolici  del dissenso  )   e da  pochi media coraggiosi  e poco  o  non influenzabili  dal  vaticano e  gerarchie  cattoliche  . Poichè  : 1) non sono bravo a  raccontare  " )  la difficoltà ad essere  obbiettivo e  chiaro   visto il disgusto la rabbia venuti in me   dopo  aver letto di questa storia   , lascio la  parola  all'introduzione  del  bellissimo libro di  Miriam Therese Winter -- che racconta  la  sua storia ---    Dal profondo La storia di Ludmila Javorova,ordinata sacerdote della Chiesa Cattolica Romana . "a protagonista  " è  ora   interdetta  dalle sue funzioni  ma  che strano prioma la chiesa le  gerarchie \ il vaticano l' usano facendone  un veicolo di propaganda   anticomunista   e per  diffondere  la  loro  ideologia   (  per  chi  è  ateo  o laico non credente   )  o  per  difendere e  diffondere la fede  (   per  chi  è  un laico  credente come  me  oppure  tiepido  non praticante ) ; << I grandi fatti della storia spesso succedono in sordina, senza enfasi, quasi giocando a nascondino con l'attenzione dei grandi commentatori che se li ritrovano tra i piedi quando meno se lo aspettano come cose accadute per ragioni imprevedibili e che però, una volta accadute, segnano una discontinuità nel succedersi della tradizione e diventano inizio anche glorioso di tutt'altre storie.I grandi fatti della storia spesso succedono in sordina, senza enfasi, quasi giocando a nascondino con l'attenzione dei grandi commentatori che se li ritrovano tra i piedi quando meno se lo aspettano come cose accadute per ragioni imprevedibili e che però, una volta accadute, segnano una discontinuità nel succedersi della tradizione e diventano inizio anche glorioso di tutt'altre storie.La donna di Madrid, che in memoria del terribile attentato di quest'anno alla stazione ferroviaria della sua città, si è caricata sulle spalle la croce nella Via Crucis al Colosseo, probabilmente neppure ha percepito la portata dello scandalo di cui è stata protagonista - portare la croce nella più stretta Imitatio Christi è onore/onere solo maschile, che io sappia, nella Chiesa cattolica - ma è accaduto con l'autorizzazione della regia vaticana, dunque nessuno lo ha sottolineato come tale. Non così per Ludmila Javorova ( vedere  foto a sinistra  ) a cui è capitata l'avventura di vivere la maggior parte della sua vita in Cecoslovacchia perseguitata per via della sua fede cattolica durante la dittatura comunista. Ma a cui è capitato soprattutto di essere ordinata prete a 38 anni dal vescovo Felix Maria Davidek, fondatore del movimento clandestino cattolico dei Koinotes, diffuso in tutto il paese, ma con centro a Brno, città natale di Ludmila, dove vive tuttora. La sua vita si è svolta nell'ombra, che più alla lettera non si può, fino a che non è stata scoperta. In questo volume se ne narra la storia percorrendone i fatti sui due binari del loro svolgersi: quello esterno e quello del procedervi accanto dall'interno del mondo interiore di lei, tutto segnato dalla necessità di cautela, la quale si configura come un vero e proprio modo d'essere più che semplicemente un modo in cui è stata costretta a vivere. >>  fatta   da Rosetta Stella (  saggista e studiosa della differenza sessuale e delle forme di spiritualità cristiana). Per coloro volessero acquistarlo   lo trovano  nella sezione ordini del  sito religioso  appuntidiviaggio  da  cui ho tratto questa  introduzione   e la  foto del  libro ivi  riportata  . Concludo   questo  apost  con una frase  tratta  dall'articolo dell'inserto domenticale  di repubblica   (  che potete  leggere  interamente   cercando   fra   i tanti  , cliccando   sul primo collegamento  iperteatuale  )   che  ha ha  anche dato  il titolo al post  : <<  Non sono una  fuorilegge , non mi rivolto contro nessuno ma non si può  spegnere la luce  dello spirito  (.... )  ; Un sacramento non si cancella  >>  e  " ringraziando  " il mio  gattone persiano  visto che  ormai  ha  12 anni    senza  il quale  non avrei  scoperto  tale  fatto 

emergenza femminicidi non basta una legge che aumenti le pene ma serve una campaga educativa altrimenti è come svuotare il mare con un secchiello

Apro l'email  e tovo  queste  "lettere "   di  alcuni haters  \odiatori  ,  tralasciando  gli  insulti  e le  solite  litanie ...