17.11.05

Senza titolo 984


"Amici miei - scriveva Nietzsche ormai sull’orlo della follia - ma guardate una buona volta che cos’è un prete. È qualcosa di solenne, pallido, oppresso, con la viltà negli occhi...".


Quale guerra è stata mossa, negli ultimi secoli, al prete! Non tanto al cristianesimo inteso come morale o come ideologia sociale ma proprio a lui, al prete, per ciò che il prete è : ministro della Chiesa nella sua natura profonda,che è quella di essere segno efficace, operativo, attivo della presenza reale di Gesù Cristo nella storia. Ciò che si chiama Sacramento.


A tutto questo è stata mossa una guerra che la Chiesa ha sottovalutato.Per decenni abbiamo assistito a discorsi dotti sulla funzione del sacerdote nella società secolarizzata, ad analisi sempre più capillari sui cambiamenti in atto al fine di mettere a punto questa o quella strategia d’attacco. Il principio sottaciuto era: per poter fare il prete oggi è necessario conoscere il mondo.


Forse era più vero il contrario: per conoscere davvero il mondo era necessario essere preti fino in fondo -ma proprio a quel «fino in fondo» era stata dichiarata guerra. Guerra, soprattutto, all’unità della Chiesa, che proprio sul Sacramento si fonda.


Tante analisi mi sono sempre apparse come altrettante ripetizioni di quel vuoto: come quando,di notte, si ha sete, e si sogna di bere e bere,ma non ci si disseta mai.In unintervento al convegno, viene riportata una frase fulminante del teologo Yves Congar:


"In un mondo indifferente, il prete non è per nulla riconosciuto, egli si trova come nel vuoto".


 È importante capire che questo vuoto,prima di tutto, esiste.


E la paura, che è il distintivo pratico di quel vuoto. Esiste nel cristiano, esiste nel prete. Molte volte,in passato,ho assistito a dialoghi tra preti e persone scettiche. Nella discussione sembravano così simili, così d’accordo su quasi tutto,ma poi ciascuno rimaneva quel che era, come se la fede fosse solo una delle poche, marginali differenze che li dividevano.


Si cercava il plafond di valori condivisi, e l’impressione era che il prete, invigliacchito da una cultura ostile e talora da una grande solitudine,cercasse soprattutto di accreditarsi culturalmente di fronte almondo che cambiava. Fu tempo perso. L’uomo di fede non è chi finge che questo vuoto non esista: è chi, tutte le mattine, sa che la fede vince quel vuoto, anzi:l’ha già vinto.


E ricomincia,con semplicità.Nessuno è insostituibile, tranne il prete.Una Chiesa senza preti è una Chiesa tutta dottrina ma senza l’imprevedibile conforto della carità e della pietà. Che è ciò di cui l’uomo post-moderno ha più bisogno.


Luca Doninelli


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