15.11.05

Senza titolo 979


La tecnica è l’Occidente. Della tecnica non possiamo fare a meno. E qui c’è il busillis, il problema. Perché una cosa è possedere una tecnica, un’abilità strumentale che ci permette di intervenire in molteplici campi e settori della vita umana e naturale, altra cosa è essere posseduti dalla tecnica.


Una volta l’uomo possedeva la tecnica. Oggi ne è posseduto. «Poco male» si dirà. «Sempre meglio che fare a meno delle tante cose utili che la tecnica ci mette a disposizione e ci consente di fare». Può darsi sia vero. Ma il problema dei problemi riguarda la stessa idea di Potere: una volta il potere era la politica, oggi è la tecnica. Se non controlliamo più la tecnica, come facciamo a controllare il potere?


Per Platone la politica era la tecnica delle tecniche. La definiva l’arte regia, ossia quella tecnica un po’ diversa dalle altre che ad ogni cosa attribuisce o riconosce il suo essere. Insomma, detto in altre parole, il filosofo ateniese attribuiva alla politica il compito di decidere i fini da perseguire. Può essere un’idea buonao sbagliata, comunque da discutere. Anche la Modernità, soprattutto i tempi moderni, dunque non solo il grande Ateniese, ha attribuito al potere politico questo grande compito o funzione.


Ancora oggi si sente dire che bisogna riconoscere alla politica un primato. Tale “primato” altro non è che quanto già diceva Platone: la politica è l’arte regia, ossia la tecnica controllata dall’uomo in grado di decidere secondo il giusto fine. Ma chi determina oggi il fine? Chi può dire quali siano gli scopi giusti da perseguire?


La politica che conosce quale sia il giusto fine è finita da un pezzo. E non è neanche detto che sia un male. Anzi, per certi versi è senz’altro un bene. Infatti, la politica che decide tutti i fini si è realizzata nel XX secolo con i regimi totalitari nazionalsocialista e comunista. Le idee assassine (secondo il titolo del libro di Robert Conquest) hanno prodotto gulag e lager. La politica che sa,cioè che presume di sapere, quale sia la direzione verso cui marciare è senz’altro pericolosa.


La natura umana (perché alla fine di questo si tratta) è una natura misteriosa, che sfugge, che non si fa ricondurre a delle leggi naturali o storiche che, una volta conosciute, ci dicano cosa fare in ogni tempo e luogo.


Salvare l’uomo con la politica equivale a condannarlo anzitempo alle pene infernali. Così la conclusione della lunga parabola storica dei totalitarismi (altro che “secolo breve”) che si è avuta con il 1989 ci consegna anche una politica più “debole”,
ossia un potere che non può più indicare quali siano i fini giusti per tutti. È come se il potere,a furia di tagliare teste, si fosse autodecapitato.


Ma oltre all’autodecapitazione, la politica è stata spodestata dalla tecnica. La tecnica, che prima era un potere nella mani dell’uomo, è diventato il potere che ha come unico scopo quello di alimentare il suo potere. Come dice Cantarano, il mezzo è diventato il fine e, si può aggiungere, il fine è diventato il mezzo. La politica è una tecnica al servizio della volontà di potenza della tecnica.


Nasce così il problema del nostro tempo: la politica non può esercitare un controllo assoluto su tutto (perché in questo modo si ritorna sulla strada del totalitarismo) e, nel contempo, non può neanche abbandonarsi al destino della tecnica che alimenta solo potere tecnico. La corsa della tecnica è la corsa degli armamenti: la corsa a chi controlla più cose tramite la tecnica nucleare.


Sorge un dubbio. Non è stato sempre così? La storia umana non è la storia del dominio? La differenza rispetto al passato è data dalla scienza: la tecnica contemporanea è in grado di distruggere l’umanità.


Ma in che modo si può porre un limite a questa forza se non tramite un’altra forza? Solo la forza è la legge della Terra, dice Simone Weil.


Giancarlo Desiderio


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