premetto che nn sono amante delle moto e dei raduni ed credevo che i centauri fosse solo gente che crea disturbo alla quiete pubblica . Ma poi vedeno i due film Easy Rider - Libertà e paura (Easy Rider) film del 1969 diretto e interpretato da Dennis Hopper (Billy); ed il prequel Easy Rider: The Ride Back. 2012 ho cambiato in parte idea e quest'articolo conferma la mia visione attuale
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esercitare la forza doi volonta no ? oppure mettere un blocco alle notifiche nelle impostazioni del cellulare invece di decidere che siuano gli altri , in questoi caso un app a decidere per noi e dipendere da loro ?
da Repubblica 3\10\2023
di Enrico Franceschini
Cresce il numero di chi sceglie la “modalità da monaco”: l’ultima moda per disintossicarsi dai social Il logo della app Il logo della app Successo della app Freedom che permette di bloccare l’accesso alle piattaforme più viste per concentrarsi su una cosa sola, resistere alle distrazioni digitali e aumentare la produttività
Il logo della app
Londra
In gergo la chiamano “modalità da monaco”. Non consiste nel decidere di andare a vivere in un convento, bensì punta a limitare le distrazioni digitali per concentrarsi su una cosa sola: il lavoro o lo studio, per esempio. Il paradosso è che lo strumento per compiere questa scelta radicale si trova anch’esso sul web: è una app chiamata Freedom (Libertà), che ha visto crescere i suoi utenti del 50 per cento nel 2020 e da allora ha continuato ad espandersi fino ad averne oggi 2 milioni e mezzo a livello globale. L’applicazione in questione permette di bloccare sul proprio telefonino l’accesso ai social media, a specifici siti o completamente a internet. Si può decidere il numero di ore o minuti in cui deve durare il blocco, è possibile cambiare idea e cancellare anticipatamente il blocco e lo si può anche “sigillare”, in modo che non possa essere sbloccato per nessuna ragione fino all’orario e al giorno stabilito. Varie app analoghe, come ColdTurkey, FocusMe e Forest, hanno registrato un incremento di utenti analogo negli ultimi anni. Segnalando il fenomeno in un servizio, la Bbc cita il caso di Susie Alegre, un’avvocata dei diritti umani e scrittrice basata a Londra, che blocca il proprio accesso al web quando ha bisogno di maggiore concentrazione. “Penso che sia estremamente difficile resistere da soli alla tentazione di controllare i social mentre si lavora”, dice Alegre. “Uso la app Freedom quando voglio poter essere contatta telefonicamente ma non voglio altre distrazioni”. E il sistema ha funzionato, permettendole di completare senza ritardi il libro che stava scrivendo proprio sull’argomento, intitolato Freedom to think (Libertà di pensare). Non è la prima a sostenere che i social creano dipendenza. Ogni volta che sul cellulare arriva il suono di una notifica, che si tratti di Facebook, Instagram, X (l’ex-Twitter), oppure di un messaggio su WhatsApp o Messenger, o anche soltanto una email, la spinta ad andare subito a leggere di che si tratta è irresistibile, affermano gli esperti in scienze comportamentali. “I social media assumono i migliori scienziati per rendere il proprio uso più stimolante, non è giusto aspettarsi che un individuo riesca a prendere le distanze da sola”, commenta Fred Stutzman, fondatore della app Freedom. Sempre più gente ricorre perciò alle app che aiutano a resistere alle distrazioni digitali, scegliendo per qualche ora o per qualche giorno la “modalità da monaco”, come testimonia la crescente diffusione del termine. Negli ultimi tempi, infatti, l’hashtag #monkmode è diventato virale, con 77 milioni di visualizzazioni in tutto il mondo rispetto a 31 milioni nello scorso mese di maggio. Un altro paradosso è che, come la app per bloccare l’accesso a internet, anche questo dato proviene dal web.
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Esiste una challenge tra i giovanissimi: si chiama sex roulette e consiste nell'avere rapporti sessuali non protetti, provando a
non incappare in una gravidanza. Questa sfida estremizza una tendenza che esiste da sempre, e non solo tra i giovanissimi, vale a dire il sesso senza protezioni.
Perché avviene questo? Sono davvero giovani “senza sale in zucca”, come commentano molte persone sui social sotto le notizie, oppure questo non fa altro che evidenziare il bisogno di un’educazione sessuale strutturata?
Quanto ne sanno i giovani in termini di contraccezione?
Per rispondere a questa domanda partiamo da alcuni dati, perché non basta parlare per sentito dire, ma bisogna basarsi sulle evidenze.
Lo scorso anno Durex ha presentato il suo annuale osservatorio “Giovani e Sessualità”, in collaborazione con Skuola.net, basato sui dati del 2021. Grazie a questo studio, svolto su un campione di circa 15000 ragazzi tra gli 11 e i 24 anni, possiamo avere uno spaccato su come vivono i giovanissimi il sesso.
Partiamo dal primo dato interessante: il 51% del campione NON è solito usare il preservativo durante i rapporti. Ciò che colpisce è un aumento rispetto al 2018, anno durante il quale era il 43% a non utilizzarlo.
Ma quindi, come mai i giovani non utilizzano il preservativo e mettono in atto tali comportamenti poco consapevoli?
Sempre secondo lo studio di Durex, questo è dovuto a uno scarso confronto e dialogo sul tema. Il 54% dei giovani, infatti, dichiara di non riuscire a parlare di prevenzione con la propria famiglia, perché si sente a disagio.
Le informazioni vengono ricercate dal 50% delle persone su internet, mentre il restante non ne parla con nessuno o si confronta semplicemente con gli amici.
Così facendo, chiaramente, le informazioni sono parziali e spesso errate, perché basate su fonti non autorevoli e non controllate.
Siamo proprio sicuri, quindi, che di fronte a notizie come quella dalla quale siamo partiti, ha senso ridurre il tutto alla “stupidità” dei giovani? Io credo di no e credo ci sia bisogno di pensare a una soluzione, affinché quel numero non si alzi ancora di più.
Come informare i giovani sul sesso protetto? Il mezzo migliore, in ogni ambito, per fare informazione è il dialogo. Il dialogo aperto e costruttivo su un tema. Un dialogo che fornisca strumenti e consapevolezza.
Tale tipologia di dialogo si può ritrovare nell’educazione sessuale volta a promuovere il benessere sessuale.
L’educazione sessuale è un diritto degli individui, come afferma la WAS (World Association for Sexual Health). “Ogni individuo ha il diritto all’istruzione e il diritto a una educazione sessuale completa. L’educazione sessuale deve essere appropriata all’età, scientificamente accurata, culturalmente adeguata e basata sui diritti umani, sull’uguaglianza di genere e su un approccio positivo alla sessualità e al piacere.”
Ed è proprio per questo che l’Unesco ha inserito l’educazione sessuale negli obiettivi dell’agenda 2030 per l’educazione globale, producendo una guida a riguardo.
Cosa vuol dire fare educazione sessuale?
L'educazione sessuale è uno strumento che guida le persone nel mondo della sessualità. Un mondo che non è fatto solo di rapporti sessuali, ma che è decisamente più ampio. Infatti, la salute sessuale impatta sulla salute generale dell’individuo, perché tocca aree diverse quali l’individualità, le relazioni, le emozioni e non solo. Ed è proprio per questo che va promossa e non dimenticata.
Fare educazione sessuale non significa semplicemente educare alla contraccezione e ai rischi, ma significa, adattando i temi alle diverse fasce d’età, educare le persone alle emozioni, alle relazioni, al rispetto, al consenso, al piacere, alla comprensione delle diverse forme di espressione della sessualità e ai diritti. L’educazione sessuale, quindi, fornisce gli strumenti per essere più consapevoli e per compiere le proprie scelte responsabilmente e in autonomia.
Chi si deve occupare di fornire un'adeguata educazione sessuale? L’educazione sessuale non è compito semplicemente della famiglia, anzi. Molto spesso le famiglie non hanno le conoscenze e gli strumenti per guidare i figli nel mondo della sessualità. Spesso accade che i ragazzi cerchino risposte da parte dei loro genitori e trovino imbarazzo e silenzio. E questo, per tornare da dove siamo partiti, non fa altro che produrre un effetto negativo sulla sessualità.
Uno degli obiettivi è anche quello di educare le famiglie a fornire un supporto informato e non giudicante. Perché l’educazione che deriva dalle famiglie e dai pari è un elemento importante e utile per i giovani, purché non assuma le caratteristiche di cui sopra.
Ecco che, a fianco delle fonti informali, si rende necessario un intervento strutturato e formale, come quello fornito dai professionisti che si occupano di educazione sessuale.
L’educazione sessuale aumenta l’attività sessuale e i comportamenti a rischio: ma è vero? Spesso, l'educazione sessuale viene ostacolata a causa di una mentalità retrograda secondo cui, questa pratica, aumenterebbe l'attività sessuale e i comportamenti a rischio. Tuttavia, gli studi in materia, così come riassunti nella guida UNESCO, dimostrano il contrario, vale a dire che l’educazione sessuale permette di adottare comportamenti più responsabili. La negazione dell’educazione sessuale e la censura, invece, falliscono nel loro intento di prevenire i comportamenti a rischio.
Come siamo messi in Italia in quanto a educazione sessuale? Come sottolineato di recente al convegno nazionale di AIED (Associazione Italiana Educazione Demografica), l’Italia è una delle pochissime nazioni in Europa a essere priva di programmi curricolari sulla sessualità.
Attualmente esistono dei corsi proposti da associazioni o da liberi professionisti, ma sono sporadici e mai prioritari per gli istituti. Alcune scuole ne promuovono di più e prevedono fondi specifici per tali interventi, altre, invece, si rifiutano. Dipende, quindi, da quale scuola frequenti e cosa decide di approvare. Va a fortuna, quindi. Decide la sorte chi parteciperà a challenge come quella dalla quale siamo partiti.
Ecco che, quindi, lasciare al caso un intervento così importante per la salute delle persone non è più pensabile e nel 2023 è giunto il momento di darle la giusta importanza. E a sostenerlo ci sono i dati scientifici e le linee guida di OMS, ONU, UNESCO e WAS.
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