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13.10.25

Don Ettore Cannavera: «Il carcere crea solo delinquenti, la mia comunità rieduca i minori»Il sacerdote da 30 anni offre ai ragazzi un’alternativa alla detenzione a “La Collina”, l’azienda agricola fondata nella terra ereditata dai genitori a Serdiana


 la nuova  sardegna 
13 ottobre 2025 11:44





Sassari «Facendo il cappellano in carcere ho capito ancora di più che a un adolescente non si può dare solo una risposta punitiva. Come si fa a mandare in carcere un quindicenne, un sedicenne? E c’è anche chi vorrebbe addirittura abbassare l’età minima per la detenzione». Don Ettore Cannavera, già cappellano nel carcere minorile di Quartucciu, ha fondato nel 1994 a Serdiana, nella campagna di Cagliari, la comunità “La Collina”, dove vengono ospitati giovani a cui il magistrato di sorveglianza ha concesso una misura alternativa alla detenzione.
Perché ha lasciato il carcere per fondare La Collina?
«Dopo trent’anni come cappellano, non trovavo una risposta valida, umana, intelligente nel mandare in carcere ragazzi dai 14 anni in su. La nostra Costituzione, all’articolo 27, dice che chi sbaglia ha diritto a essere rieducato, aiutato, reinserito nella società. Il carcere può essere solo punitivo? No. Per questo ho fondato questa comunità, dove ora sono da trent’anni, perché ci sia un percorso educativo. Se sbagli,
abbiamo il diritto e addirittura l’obbligo a punirti, ma anche il diritto e l’obbligo a educarti, a rieducarti».
Quanti ragazzi sono passati dalla Collina in questi trent’anni?
«L’ultimo calcolo che ho fatto è 120, ma lo abbiamo già superato da un anno o due. Di questi, cinque sono rientrati in carcere. Non tutti i percorsi si sono conclusi positivamente, ma qualcuno ha terminato talmente bene che è diventato mio educatore. Uno addirittura è diventato il responsabile dell’azienda agricola: l’ho conosciuto in carcere per un omicidio e l’ho avuto in comunità per scontarlo. Questo vuol dire che noi dobbiamo superare una certa mentalità».
Ha detto che se dovesse rinascere farebbe una scuola per genitori.
«Per non colpevolizzare solamente il ragazzo. Se io metto un adolescente in carcere per un reato, mi chiedo: perché lui ha commesso quel reato e io no? Io sono figlio di genitori mezzo analfabeti, mio padre era un contadino, mia madre aveva la quinta elementare, eppure né io né i miei fratelli siamo finiti in carcere. Il problema è educativo. Quando vedo ragazzi che commettono errori, che addirittura fanno dei reati, mi chiedo: sono nati delinquenti? No, sono diventati. I primi responsabili sono i genitori che li hanno partoriti».
Cosa cerca un ragazzo quando varca la porta della comunità?
«Cerca la relazione affettiva. Hanno bisogno di essere ascoltati. Mi capita qualche volta, dopo cena, che
un ragazzo venga da me: “Don, ti devo parlare”. Si siedono vicino a me e cosa hanno da dirmi? Niente. Avrebbero bisogno della relazione, dell’affetto. Il bisogno fondamentale di ciascuno di noi è la relazione: essere accolti, ascoltati, capiti, ma anche lo stare vicini, camminare insieme. Se tu non hai un rapporto relazionale affettivo, diventi conflittuale. Questi ragazzi di cui mi sono occupato per tanti anni non l’hanno avuta. Non sono diventati relazionali, sono diventati conflittuali».
Che cosa le hanno insegnato questi trent’anni?
«Che i ragazzi, soprattutto gli adolescenti, hanno bisogno di entrare in relazione con chi li ascolti. Noi preti, religiosi, siamo abituati a fare le prediche, a insegnare, a parlare. Ma questo è fondamentale anche per i genitori: prima di dire cosa devono fare, li devo ascoltare perché esprimano i loro bisogni, il loro disagio, le loro aspettative, i loro sogni. Educere in latino vuol dire tirar fuori. Io ho fatto l’insegnante per 35 anni, non di religione, di psicologia. Entravo in classe e dicevo: “Beh, ragazzi, com’è andata la vostra serata ieri? ” I primi dieci minuti parlavano loro, non io. Perché in base a quello che capivo potevo fare l’insegnante. Se erano già incavolati per altro, a cosa serve insegnare filosofia? Prima si ascolta l’altro per capire la sua situazione».
Il contatto con i ragazzi continua anche dopo la comunità?
«Sorrido perché proprio prima mi ha chiamato un ragazzo che è stato qui 5 anni. Ha incontrato una donna, si è fatto la famiglia e ogni tanto mi chiama: “Vieni a cena con noi”. Resta il contatto e ancora il bisogno di incontrarsi. Tanti vengono qui quando il giovedì è aperto a tutti: “Ciao, come stai?”. Qualcuno mi ha chiamato: “Dai vieni, mi è nata una bambina, voglio incontrarti”. Resta la relazione, che è il fondamento del recupero. Questo non avviene nel carcere. Nel carcere devono essere controllati, tenuti dentro per non ricommettere il reato, ma non c’è la relazione, non vivono con loro».
Ha mai pensato d i creare una comunità fuori dalla Sardegna?
«No, di fare una comunità fuori dalla Sardegna non ci ho mai pensato. Probabilmente proprio perché sono molto legato alla mia terra. La comunità è in un terreno che ho ereditato dai genitori, i miei fratelli mi hanno detto: “Quella prendila tu e realizza la comunità”. Parliamo di 45 anni fa. È diventata casa mia. Fuori posso andare per dibattiti, vivere altrove no. Dove sono adesso, dalla finestra vedo l'oliveto che una volta era la vigna piantata da mio padre, dove da bambino andavo a vendemmiare. Sono molto attaccato al posto in cui sono nato e ho vissuto da adolescente».
Come vede il futuro della comunità?
«È una domanda difficile. Io ho ormai 81 anni e tra poco devo lasciare. Sto formando alcuni operatori perché continuino questa esperienza. Ce ne sono di molto in gamba, che hanno 50, 60 anni e possono continuare a portare avanti La Collina come alternativa al carcere. L’alternativa alla punizione, alla privazione della libertà. Io vivo con i ragazzi, la mia camera è di fianco alla loro, mangio con loro. Ricreo un ambiente familiare. Il carcere minorile lo ritengo del tutto antipedagogico, diseducativo. Quando li metti dentro sono in piena formazione e l’entrata in carcere dà loro quell’identità: “Sono un detenuto, sono un criminale”. Questi ragazzi che hanno sbagliato devono essere aiutati a cambiare».

26.3.25

far respirare , differenza tra il gesto di prodi e quello di Donzonelli , caro genitore , i valori dei nonni e dei vecchi genitori ( boomer e pre boomer )



Oggi verso le 5 del pomeriggio ero al bar a prendere un caffè.Nel tavolino vicino al mio c’erano due signore. Attorno al loro tavolino c’erano tre bambine (avranno avuto 8-9 anni) che giocavano a prendersi.Capisco subito che una delle donne è la babysitter di una delle bambine.- Chiara, vieni, tua mamma ti ha mandato un vocale, vuole sapere com’è andata scienze.Chiara, con un certo scazzo, interrompe il gioco con le amiche e va dalla babysitter e manda un vocale alla mamma e le dice: - bene. Scienze per Chiara era andata bene. La mamma di Chiara, non contenta, continua a scrivere alla babysitter perché il bene non le basta, vuole sapere quanto ha preso. - Chiara - Ehhhh - La mamma vuole sapere quanto hai preso di scienze. - Non lo so, non ce l’ha detto. Una volta che le bambine si riallontanano per giocare, l’altra donna dice alla babysitter di Chiara: - Ma la mamma non può aspettare a parlare con la figlia stasera? La babysitter risponde con un silenzio che vale più mille parole.
Io ho incrociato lo sguardo di Chiara e le ho sorriso, ho pagato e me ne sono andata. Tornando a casa mi sono chiesta che cosa pensiamo di ottenere con questo controllo asfissiante sui bambini e le bambine, a scuola, a casa, fuori da scuola e fuori da casa.
È sacrosanto e giusto che un genitore ci tenga che suo figlio vada bene a scuola, ma tutti questi vocali, tutte queste app, tutto questo toccare con mano in ogni santo momento QUANTO vale un essere umano io lo trovo vomitevole e irrispettoso della crescita dei bambini e delle bambine.Il tema della valutazione
è un ginepraio, quello della genitorialità pure, quello dell’insegnamento non ne parliamo, ma io credo che è proprio lo sguardo che si è ammalato su questi piccoli esseri umani. Sono bambini, sono bambine, stanno crescendo.Dobbiamo rispettarla questa crescita, accompagnarla, chi da genitore, chi da insegnante, chi da babysitter, ma fare i controllori dei numeri, dei voti, della media, del maledettissimo registro elettronico non farà di noi adulti migliori né di loro bambine e bambini perfetti. Io sogno un mondo in cui i bambini e le bambine possano veramente tornare a respirare, nel rispetto della loro età anagrafica, dei loro bisogni e dei loro tempi a casa, a scuola, ovunque.Tornare a respirare non significa, per me, LIBERITUTTI, io credo molto nel valore del limite e delle regole. Tornare a respirare per me significa essere guardati più da lontano a casa, a scuola, in palestra, in piazza, per strada, ovunque.Noi grandi, dovremmo, secondo me, avere il coraggio di fare qualche passo indietro quando abbiamo davanti dei piccoli esseri umani, come quando ci mettiamo davanti allo specchio e indietreggiamo per vederci più da lontano.Anche lo sguardo, a volte, ha bisogno di respiro.
Illustrazione di AAnna Godeassi

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Romano Prodi ha sbagliato. Vero Senza se e senza ma. A prescindere, secondo alcuni , dalla evidente e intollerabile provocazione (che nulla ha a che fare col giornalismo), tirare i capelli anche in modo lieve o toccare una spalla ( dipende dall'angolazione con cui si vedono le immagini perchè esempio il video di mediaset non lo si vede se non al "var" mentre , il quello della trasmissione de la 7 Martedi riportato sotto si vede )
invadere fisicamente lo spazio fisico di una donna (o un uomo) con un gesto non richiesto e certamente non gradito è un comportamento non accettabile e da stigmatizzare.

E il primo a saperlo, ne sono certo, dovrebbe essere proprio Prodi, che in 85 anni di vita e oltre 30 di carriera politica ha dimostrato di essere un Signore almeno fin ora . Ma, come ogni essere umano, sbaglia. La risposta era perfetta. Il gesto sgradevole. Punto. La differenza è che a sinistra nessuno o quasi si sognerebbe di difenderlo per partito preso. Mentre a destra, nelle stesse ore, non ce n’è stato uno, UNO SOLO, che abbia speso mezza parola di condanna per Donzelli - che a differenza di Prodi riveste incarichi pubblici e di partito ai massimi livelli - che ha dato apertamente del “pezzo di 💩 un giornalista rifiutando persino di rispondere a qualunque domanda. O, peggio ancora, quando Ignazio La Russa da ministro scalciava i giornalisti sgraditi. Ed è una differenza enorme. Genetica tra la sinistra e la destra istituzionale .La cosa diverte è che
La faccenda divertente di Prodi che tira i capelli ad una giornalista è vedere per una volta tutti i vari Porro difendere una donna da una molestia quando tutte le volte precedenti ne avevano sminuito il gesto e difeso l'uomo a prescindere.
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8 h 


Mia nonna diceva:
Non andare dove non sei invitato.
Non parlare di ciò che non conosci.
Fatti gli affari tuoi.
Non aprire il frigorifero a casa d’altri.
Non chiamare dopo le 22.
Non andare a trovare qualcuno all’ora di pranzo.
Non entrare nella stanza di qualcun altro senza permesso.
Queste erano le regole del saper vivere, e lo sono ancora oggi,perché l’educazione non passa mai di moda

4.9.23

Racconigi “Sculacciami” e “Pornodiva”: adesivi con frasi sessiste alla festa di paese, i genitori contro i dj di radio Gran Paradiso ma dovrebbero spiegare ai loro figli \e perchè non va bene

Era  ora che qualche genitore si svegliasse ed indignasse giustamente contro tale messaggio . Speriamo che all'indignazione segua anche una risposta educativa che spieghi al loro figli \e perchè ciò non va bene . Solo cosi si pu.ò evitare che la protesta sia solo un fuoco di paglia e visto che i figli lo vedono solo come chiusura mentale da arte di genitori e trasgrediscono andando alla ricerca di quello che viene a loro proibito oppure peggio fiscono per autolimitarsi se va bene o per fare stupri .
Ecco i fatti da

“Sculacciami” e “Pornodiva”: adesivi sessisti alla festa di paese, i genitori contro i dj di radio Gran Paradiso
Il Comune di Racconigi si dissocia: “Iniziativa di pessimo gusto”. La gaffe per difendersi: “Era tarda sera, pensavamo fossero rimaste soltanto persone maggiorenni”

No, gli adesivi con la scritta “sculacciami”, “ingoio tutto” o “cerco una banana”, “pornodiva”, non sono passati inosservati. E non sono piaciuti. Un’iniziativa festaiola da sagra di paese che si è trasformata in un boomerang, in un periodo in cui le immagini dello stupro di Palermo, così come delle violenze di Caivano, ancora freschissime, sono ancora negli occhi di tutti. Sono stati in molti a non gradire affatto le scritte sugli adesivi che i disk jokey di Radio Gran Paradiso hanno distribuito, qualche sera fa, alla festa del Borgo Macra di Racconigi, nel Cuneese. Adesivi che in realtà girano già da un po’ di tempo nelle feste promosse dalla storica radio del Canavese, che trasmette dal 1976 in tutto il Piemonte da via Arduino a Cuorgnè. Una vera istituzione locale, perché Radio Gran Paradiso è anche sinonimo di festa, serate disco e latino americano, dj che da anni fanno ballare interi paesi.
Questa volta, però, la festa di Racconigi ha alimentato una feroce polemica sulla piazza virtuale dei social. A sollevare il caso sono state alcune famiglie, dopo che nei giorni successivi all’evento, qualche ragazza si è dichiarata preoccupata dopo aver visto le fotografie della festa, con quegli adesivi espliciti incollati sui vestiti, pubblicate sul web.Tanto che, dopo le segnalazioni arrivate al Comune di Racconigi e all’ente che ha organizzato la serata, qualcuno ha pensato anche di rivolgersi a un legale. L’amministrazione comunale, con una nota ufficiale, si è poi dissociata da quanto accaduto, prendendo le distanze «nel modo più totale e assoluto dagli adesivi riportanti parole ed epiteti di pessimo gusto». E dato che palazzo civico ha concesso un contributo economico, l’amministrazione ha dovuto anche precisare che nessuna bozza degli adesivi è stata mai condivisa con gli uffici o con gli amministratori. Ovviamente il comitato organizzatore ha negato di essere stato messo a conoscenza dei gadget, «stampati e portati alla festa in modo del tutto autonomo dalla radio alla quale era stata affidata l’animazione della serata».
Stranamente sorpresi dalle polemiche, i responsabili di Radio Gran Paradiso hanno fatto ammenda. Le immagini e i video postati sui canali social sono stati rimossi ed è arrivata anche l’assicurazione che, alle prossime feste, i dj non faranno più uso di quegli adesivi. «Radio Gran Paradiso si è sempre caratterizzata per essere la radio della gente e ha sempre agito cercando di rispettare la sensibilità di tutti - conferma, per l’emittente, Loredana Comolli -. Siamo dispiaciuti per il fatto che la distribuzione degli adesivi abbia suscitato polemiche e disagio, è la cosa più lontana dal nostro operare, da sempre volto all’intrattenimento e al divertimento della gente. Gli adesivi sono stati distribuiti a tarda ora, presumendo che non ci fossero più minori non accompagnati dai genitori. Ci scusiamo per avere urtato la sensibilità di alcune persone». Quindi, tutto bene se gli adesivi fossero stati distribuiti a dei maggiorenni?

6.7.23

non educhiamo i bambini all'edonismo ma essere felici con poco ed altre storie di gente speciale per gente normale gente normale per gente speciale

12 h fa
Fa la cameriera per arrotondare, bidella 51enne multata: «L'ho fatto per mantenere le mie figlie»

Storia di Redazione Web  12 h faHa iniziato a lavorare in un bar, fuori orario scolastico, per arrotondare. Ma Francesca Galati, che di mestiere fa la bidella, non ha avvertito la dirigente scolastica dell'Istituto Trentin di Lonigo, in provincia di Vicenza, e adesso è stata sanzionata dalla Guardia di Finanza, anche se lei (al momento) non ha ricevuto nessuna notifica e lo è venuto a scoprire dai giornali. Una multa pari ai soldi percepiti dal lavoro di cameriera: 2.170 euro da versare al ministero dell'Istruzione, che sicuramente peseranno sulle casse della donna che aveva iniziato un secondo lavoro

proprio per racimolare soldi in più. E al Corriere della Sera, Francesca racconta la sua versione: «Non posso parlare di sanzione visto che ancora non ho ricevuto nulla. Io stessa sono venuta a saperlo tramite i giornali, il che rende la vergogna ancora più grande. Ora mi sento veramente a pezzi». La donna spiega di aver agito in buona fede e non sapeva minimamente di dover avvisare la preside per il suo secondo lavoro. «Ho pagato le tasse, denunciando i compensi ricevuti dal bar nel 730», rivela Francesca Galati. Per la 51enne i 1.300 euro percepiti per il lavoro di collaboratrice scolastica non le permettono di mantenere le sue figlie e, proprio per questo motivo, ha deciso di rimboccarsi le maniche e faticare il doppio. La gara di solidarietà Nel frattempo i messaggi di solidarietà nei confronti della mamma si sono moltiplicati. Parenti, amici, ma anche sconosciuti. Tutti le hanno espresso vicinanza per la situazione kafkiana in cui si ritrova in questo momento: consapevole di essere stata multata senza aver avuto notizie, con le spese da pagare e due figlie da far crescere. La storia è finita sui social scatenando la solidarietà dei comuni cittadini ma anche del mondo della politica. Più di qualcuno si è offerto di pagare la multa di tasca propria.

 





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Stefano. È un bambino molto vivace. All’asilo chiede un pennarello. Vuole disegnare. La maestra lo guarda incantata. A 9 anni la catechista gli chiede di disegnare la Madonna con un bambino. Nessuno crede che quel disegno lo abbia realizzato proprio quel bambino vivace.
Dipinge, Stefano. Nel suo cuore c’è la Sardegna. Cresce, si cerca un lavoro. Fa l’elettricista. E dipinge. Poi il manutentore. E dipinge. Nelle tele spuntano le barbe folte degli anziani, i sacrifici delle donne sarde, i colori dei piccoli paesi. “La mia vita è questa, dipingere”.
Lascia il lavoro sicuro. Insegue il suo sogno. Le sue opere arrivano a Roma, Palermo, Londra. Vince dei premi. Uno dopo l’altro. È il 2020. Lo chiamano per esporre a New York. Sempre con la Sardegna nel cuore.
Si cimenta nei murales. Immense pareti prendono vita. Parlano, hanno un’anima. A Muravera, San Vito, Sant’Andrea Frius, Esterzili, Iglesias, Senorbì. Un successo dopo l’altro. Oggi Stefano è uno degli artisti più amati. Non solo in Sardegna.






Maturità 2023, Alexein Ezra Aghib si diploma con 100 dopo aver cambiato tre scuole: “da transgender ho avuto problemi”




Al corso serale del liceo delle scienze umane indirizzo economico sociale dell’istituto Frisi si è diplomato con 100 Alexein Ezra Aghib. Potrebbe sembrare una notizia non rilevante, se non per il fatto che lo studente ha dovuto cambiare tre scuole prima di sentirsi integrato nell’ambiente. A Repubblica ha raccontato la sua storia, invogliando anche gli altri a non mollare davanti alle barriere: “Penso che avrei voluto un ambiente come quello del Frisi da subito e che sono stato fortunato ad avere accanto mia
madre, che si è sempre battuta per me. Se guardo indietro penso che vorrei affrontare tutto con la


mentalità che ho adesso: se iniziassi il liceo oggi non lo abbandonerei e stringerei con i compagni quei legami che non ho sviluppato perché cercavo di rimanere in disparte, per non dover spiegare”.
E continua: “Al Frisi ho percepito l’impegno della scuola e degli insegnanti per aiutarmi, mi sono sentito accolto. Sono dislessico e discalculico, per la prima volta ho avuto strumenti adeguati per gestire il lavoro a casa e lo studio. Così è cambiata la prospettiva: ho sviluppato passione per lo studio e anche le materie in cui avevo problemi sono diventate semplici da seguire”.
Alexein spiega anche cosa è successo negli anni passati: “Prima di arrivare al Frisi ho frequentato tre licei e ho lasciato la scuola tre volte. Sembrava che nessuno volesse venirmi incontro e superare i pregiudizi. Davanti ad ambienti e professori che ponevano ostacoli, invece di aiutarmi a superarli, percepivo la scuola come un luogo respingente e la abbandonavo. La mia disforia di genere ha un ruolo importante in tutto questo, ma le difficoltà erano iniziate prima che facessi coming out, a 15 anni”.
“Gli ormoni, modificando il mio aspetto, hanno aiutato – continua lo studente – ma l’ambiente è fondamentale. Se non vivi bene la scuola vuoi lasciarla: il tasso di abbandono scolastico tra gli studenti transgender è del 42 per cento, conosco persone che hanno finito la scuola a 23 anni o hanno lasciato dopo la terza media”.
E per quanto riguarda la carriera alias, tanto discussa negli scorsi mesi, lo studente afferma: “Non l’ho chiesta io, mi sembrava impossibile da ottenere, pensavo che gli insegnanti non sarebbero stati d’accordo. Me ne ha parlato il professore di francese, mi ha chiesto se pensavo di poterne trarre beneficio e io ho risposto di sì. Nella scuola precedente gli insegnanti avevano accettato di usare il nome d’elezione, ma non tutti lo facevano e avevo il terrore dell’arrivo dei supplenti: ero obbligato a spiegare davanti a tutti perché sul registro ci fosse un nome diverso. Quando sapevo di avere ore vuote evitavo di andare a scuola. È stato molto difficile soprattutto prima dell’inizio della terapia ormonale, ero consapevole che gli altri mi vedessero come una ragazza mentre io non mi sentivo tale”.






Ottantadue anni ed ex imprenditore edile lui, 77 anni lei. Rosino Tata e Serafina Rosati, originari di Alvito, in provincia di Frosinone, sono sposati da 59 anni e nella loro vita non hanno mai rinunciato all’idea di ottenere il diploma di terza media. Non essere riusciti a ottenere quel titolo di studio, dovendo far fronte a tanti problemi e ristrettezze durante la loro giovinezza, pesava ai due anziani. Ora hanno coronato il loro sogno dopo essersi iscritti alla scuola serale dell’istituto comprensivo “Antonio Sebastiani” di Minturno, il centro della provincia di Latina dove da tempo vivono, e a raccontare la loro storia è il presidente della Commissione cultura del Comune del sud pontino, Matteo Marcaccio.“Esaudito un grande sogno – scrive l’esponente dem sui social – di quelli che solo la scuola riesce a realizzare”. I due anziani hanno superato l’esame e stanno diventando un esempio per i tanti giovani pontini.Insieme a loro ha ottenuto inoltre la licenza media anche la 26enne Najla, una giovane di origine tunisina, che si è presentata all’esame insieme ai suoi due figli. "Un grande grazie ai docenti coordinati dalla professoressa Tucciarone e alla dirigente scolastica Daniela Caianiello, perché senza di loro questi sogni non sarebbero mai diventati realtà", ha concluso Marcaccio.

Roberta Broccia Madre Terra e amici di ❤
“Tuo nonno mi chiese di sposarlo con una caramella. Non avevamo niente, si inginocchiò e mi disse :'non ho nulla ora, solo una caramella, ma se vuoi possiamo costruire tutto insieme'
"E tu?"
"Ho aperto la caramella, l'ho divisa in due e l'abbiamo mangiata. Da quel momento abbiamo diviso e condiviso tutto. Siamo caduti, ci siamo rialzati e abbiamo costruito.
Tutto insieme. Abbiamo vissuto momenti difficili, di stanchezza, ma ci siamo sempre stati l'uno per l'altro. Fino all'ultimo"
"Altri tempi nonna"
"Il tempo non cambia il modo di amare.
Quello che è cambiato è che non avete più esempi belli da seguire.
Adesso avete paura di tutto. Non vi sposate per paura di non riuscire a costruire. Appena litigate vi lasciate perché poi pensate di trovarne uno migliore. Siete sempre alla ricerca della perfezione, come se poi esistesse.
Vi manca la percezione della realtà. Della felicità nelle piccole cose.
Fate ste grandi dimostrazioni, anelli da migliaia di euro, un video esagerato per le proposte di matrimonio e poi vi perdete il momento. Quella cosa intima che custodite in due, solo in due per tutta la vita.
È questo che vi manca. Il coraggio di vivere la vita e l' amore per quello che sono e non per come lo immaginate" Una caramella e 50 anni insieme.”



Preferiti  
La prof che non ha mai preso un giorno di riposo in più di 30 anni - Video Tgcom24

La prof che non ha mai preso un giorno di riposo in più di 30 anni
Mentre tiene banco il caso della docente assente 20 anni su 24 da scuola e poi destituita, spunta unʼaltra storia da record da raccontare, stavolta al contrario. La professoressa Nicoletta Minelli, a un passo dalla pensione, in 36 anni di lavoro non ha mai preso un giorno di riposo, di ferie o di permesso. Insegnante dal 1987, non si è (quasi) mai assentata da scuola per senso del dovere e per attaccamento al suo ruolo educativo. Complice anche una salute di ferro


 concludo      con  questa  
orriere  della     calabrua   Pubblicato il: 05/07/2023 – 19:20  di Emiliano Morrone

RTI MARZIALI

Taekwondo, la sangiovannese Ilaria Nicoletti convocata in nazionale – FOTO

La giovanissima atleta fa parte dell’Asd Taekwondo in Fiore: «Cercherò di portare una medaglia d’oro alla mia comunità»

SAN GIOVANNI IN FIORE Cintura nera e già medaglia d’oro e d’argento ai campionati italiani, Ilaria Nicoletti riceve dal maestro Zeno Mancina la lettera di convocazione nella nazionale di taekwondo. Segue un lungo applauso, sentito, intenso, corale. La dodicenne ha talento e manifesta soddisfazione. Dopo sorride e si mostra centrata e decisa. «Cercherò di portare una medaglia d’oro alla mia comunità di San Giovanni in Fiore», dice cosciente dei propri mezzi e con la sicurezza conferita dalla disciplina sportiva.
Nella Sila Grande è un’insolita serata di fine giugno. Fresco e umidità impongono una maglia in più addosso; anche nelle vicine campagne, in genere surriscaldate, su cui si staglia il borgo collinare di Caccuri, noto per la letteratura, l’arte pasticciera e la qualità olearia.

Gli allenamenti degli atleti dell’Asd Taekwondo in Fiore


I soci dell’Asd Taekwondo in Fiore si sono ritrovati a qualche chilometro dallo svincolo per Caccuri: a Vurdoj, dove un’antica grangia, fondata dai monaci dell’abate Gioacchino, ospita un agriturismo con prato raso ed ampia piscina, tra ulivi secolari e profumi del Sud, segni di storia e Mediterraneo. Sono più di una cinquantina, un record, i minori, tra cui Ilaria, presenti all’appuntamento, al saluto per l’inizio delle vacanze estive caratterizzato da ore di convivialità e consolidamento dello spirito di gruppo.
Si tratta degli allievi della scuola di taekwondo che Mancina – cintura nera, tra gli allenatori della squadra regionale e docente di Educazione fisica – ha fondato una quindicina d’anni fa a San Giovanni in Fiore e oggi dirige insieme a Jessica Talarico, che ha gli stessi titoli tecnici e la carica di vicepresidente del Comitato calabrese della Fita, la Federazione italiana taekwondo, del quale fa parte il campione mondiale Simone Alessio, diventato l’idolo dei giovanissimi praticanti.

Gli allievi dell’Asd Taekwondo in Fiore


Lo scorso 9 giugno, come altri bimbi, la promettente Greta, sangiovannese Doc, aveva ottenuto l’autografo di Alessio al Gran Prix di Roma, al Foro Italico, dove circa 2mila ragazzini, lei compresa, erano andati per partecipare al Kim e Liù, una sorta di campionato italiano di taekwondo riservato ai più giovani. Anche la Calabria era dunque presente, e con numerosi collettivi dalle varie province, attrezzati e insieme vincenti. Salvatore, dieci anni e allora cintura blu-rossa, aveva vinto contro un avversario che sembrava imbattibile; il piccolo Antonio, allora cintura verde, aveva dimostrato una classe da adulto e Rosario, un bimbo agilissimo di meno di 20 chili, aveva conquistato l’oro nella sua categoria. «Il taekwondo è anzitutto uno sport mentale», puntualizza Mancina.
Un mondo ancora sconosciuto si muove in contesti del genere: tecnici, collaboratori, atleti agli esordi o maturi, squadre regionali con i loro staff e intere famiglie appassionate, con parenti che seguono ogni evento e perfino si allenano e gareggiano.

Il maestro di taekwondo Zeno Mancina

Come il maestro Salvatore Mazza, che ha guadagnato la cintura nera a 44 anni e, per la gioia di vivere con i propri figli gli allenamenti, l’agonismo e la salubrità del taekwondo, aveva già cambiato abitudini personali, quasi rinunciando alla carne e andando in palestra tre volte alla settimana, dal pomeriggio a tarda sera.
È un ambiente, quello del taekwondo, in cui si sviluppano amicizia, solidarietà e altri valori: il rispetto delle regole e dell’avversario, mai visto come nemico, e il sacrificio costante per migliorarsi nel carattere, nel fisico e nella capacità di giudizio. Non è poco, in una Calabria in cui tende a prevalere il livellamento generale, il desiderio di soldi, potere e fama oppure l’irregolarità furba o la violenza bruta, tipiche della cultura, della società chiusa della ’ndrangheta.

I piccoli allievi Asd Taekwondo in Fiore


I bambini vengono abituati all’impegno, alla fissazione di obiettivi, «all’innalzamento progressivo – spiega Mancina – dell’asticella», come ad «un’alimentazione sana e regolare, al confronto con atleti, anche di altre regioni o nazioni, più avanti di loro nella preparazione, nella concentrazione e nell’equilibrio psicofisico. Infatti, senza il confronto non c’è crescita». «Nel nostro tempo dilagano – dice poi ai suoi, nella serata a Vurdoj priva di mosche e zanzare – la debolezza, l’infelicità facile, la noia da abbondanza. Noi insegnanti, voi allievi e i vostri genitori, abbiamo una missione: insieme dobbiamo sconfiggere la mancanza di passione che domina nel presente, che impedisce di costruire un futuro migliore e che causa patologie, senso di frustrazione e problemi sociali diffusi. Dobbiamo creare sinergie ed armonia tra persone, prima che tra sportivi, puntando sempre ad elevare la nostra qualità, umana, sportiva e relazionale. E poi bisogna pensare a vincere, piuttosto che semplicemente ad esserci. Qualcuno potrebbe storcere il naso, ma la regola è che ci si prepara per superare ogni ostacolo, non per fermarsi lì davanti e dirci che comunque siamo stati bravi. Impariamo ad essere critici ma costruttivi, a determinare un ambiente stimolante nel quale i più giovani non sentano affatto il bisogno di perdersi con cattivi maestri e pratiche distruttive».

Asd Taekwondo in Fiore premiata

È evidente che il messaggio di Mancina trascenda il terreno del taekwondo e abbia un’alta valenza pedagogica e sociale. Forse è questo lo specifico della scuola, intesa, a prescindere dalle singole discipline, come sede di formazione del carattere e della mente; quale luogo in cui si riescano a trasmettere approcci all’esperienza, prima che alla conoscenza, e in cui gli allievi possano un giorno raccogliere il testimone. Come per la promozione a coach di Antonio Caratozzolo, ventitreenne e cintura nera di taekwondo tra le più forti della Calabria. O, per dirla con il filosofo Maurizio Iacono, come nel caso della «madre di Winnicott, che lascia spazio al suo bambino standogli accanto ma senza sovrapporglisi». (redazione@corrierecal.it)

Pietro Sedda il designer, artista e tatuatore di fama mondiale racconta i suoi nuovi progetti

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