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8.2.22

Racalmuto, l'uomo che ha comprato la casa di Sciascia: "Non volevo diventasse un b&b"

 ci  sono anche  collezionisti  seri   e meno feticisti    come quelli   di cui  parlavo nel post  precedente   che   no sollo collezionano in  questo caso  ,  libri  ma  salvano  i luoghi  dal profitto  e speculazioni  . E'   il  caso 


Il collezionista da 90mila libri: “Così ho salvato Casa Sciascia”

IL “MECENATE” - Di Falco: ““L’ho comprata dopo aver visitato alcune case di scrittori, come quelle di Verga e Pirandello. Così non è diventata un altro b&b”


Una piccola casa su due piani, nel centro storico di Racalmuto, acquistata da un privato, ristrutturata e riconsegnata alla collettività. Poteva diventare un semplice b&b o una casa vacanze, in cui i clienti avrebbero potuto fregiarsi di aver dormito nell’abitazione degli zii di Leonardo Sciascia, dove lo scrittore

visse per quasi quarant’anni, dal 1922 al 1958. Invece è il simbolo virtuoso della gestione di un bene privato fruibile al pubblico. “Questa è stata una casa significativa per Sciascia che era quasi un figlio adottivo per le tre zie. Al piano terra c’era la sartoria dello zio, e lo scrittore dopo la scuola media interruppe gli studi per fare l’apprendista in bottega. Tra queste mura sono state scritte le prime opere: La Sicilia, il suo cuore; Favole della dittatura e Le parrocchie di Regalpetra .E sono nate le sue figlie: Anna Maria e Laura”. È il racconto di Pippo Di Falco, che ora per aver comprato la casa dello scrittore alcuni definiscono un ‘mecenate’. Lui in realtà preferisce dirsi solo “un appassionato di Sciascia, di letteratura e di Racalmuto”. ‘Un compagno d’altri tempi’, che ha avuto come docente universitario a Palermo il sociologo Mauro Rostagno, ucciso dalla mafia 1988; e che per anni è stato consigliere ed assessore alla cultura di Racalmuto, occupandosi anche della Fondazione Leonardo Sciascia, voluta proprio dallo scrittore nella vecchia centrale elettrica di Recalmuto, in cui è custodita la
collezione dell’intellettuale. “L’HO COMPRATA


dopo aver visitato alcune case di scrittori, come quelle di Verga e Pirandello, per 50 mila euro nel 2019 da un parente, ho fatto uno sforzo finanziario con un piccolo mutuo – racconta Di Falco –. Ho atteso più di un anno e mezzo perché l’avrebbe dovuta acquistare il Comune che aveva il diritto di prelazione, ma neanche la Regione era interessata ad acquistarla. La prospettiva non era positiva, c’era il pericolo che potesse prenderla un privato e farne un’attività recettiva, con il rischio di perdere il mobili e gli oggetti dello scrittore. L’ho acquistata per salvarla e farne un luogo visitabile e aperto al pubblico”. 
L'acquirente  Pippo de  Falco 

Quando arriviamo a Racalmuto il tempo sembra si sia fermato. La provincia agrigentina negli anni si è spopolata per la forte emigrazione. Neanche i collegamenti funzionano bene. Bisogna attraversare un’autostrada fantasma, figlia dell’incapacità gestionale siciliana, e percorrere centinaia di chilometri di infiniti cantieri, deviazioni, doppi sensi di marcia, tunnel senza illuminazione e ponti sgangherati. A pochi metri da “Casa Sciascia”, c’è l’abitazione dove nacque lo scrittore, vicina al Santuario della Madonna del Monte. La famiglia decise di trasferirsi negli appartamenti delle zie, un anno dopo la nascita dello scrittore. Al suo interno, sembra essere cristallizzato tutto al momento in cui Sciascia e la famiglia decisero di andare via nel 1958. Anche il mobilio è quasi tutto originale.

La passione Di Falco però va oltre Sciascia, negli anni ha collezionato circa 90 mila volumi, 10 mila sulla Sicilia e 3 mila sulla mafia. 




 “A Casa Sciascia sono catalogate più di 1500 opere che riguardano lo scrittore: prime collezioni di libri, studi, riviste e articoli. In più si possono consultare oltre 5 mila testi di autori, filosofi, fotografi e artisti siciliani. Questo è un luogo di studio, in molti sono venuti qui per la loro tesi su Sciascia e sulle case degli scrittori”, spiega. In cantiere c’è l’idea di creare un database consultabile online. La casa è gestita da un’associazione senza scopo di lucro fondata da Di Falco, che oggi conta circa un centinaio di iscritti in tutta Italia.

“DA NOI L’ACCESSO

è gratuito, basta prendere appuntamento con i volontari. In questi anni abbiamo avuto alcune migliaia di ospiti, grazie anche agli eventi e le iniziative legate al Fondo per l’ambiente italiano (Fai)”, spiega Di

Falco.
Così la Casa dello scrittore torna a vivere nuovamente, diventando luogo di incontri, convegni, dibattiti e mostre per parlare di Sciascia e far conoscere gli autori siciliani. E tra le migliaia di visitatori che hanno calcato questo piccolo appartamento, c’è anche chi ha deciso di dare un contributo economico. “Ad Hamilton, in Canada, c’è una grossa comunità di racalmutesi, che dopo aver visitato Casa Sciascia ha donato 8 mila euro, che ci ha permesso di fare dei lavori di ristrutturazione dell’abitazione. Credo abbiano voluto aiutarci perché siamo non profit”.

24.4.21

Tramonti, il piccolo borgo che ha fatto scoprire al Nord il piacere della pizza

Dopo il risorgimento  e  la  grande  guerra   ,la  radio durante  il fascismo  , televisione  durante  il periodo repubblicano  ,   ad  unire  l'italia    , ci  ha pensato la  pizza 


da  repubblica  del 24\4\2021

Dagli anni 50 ad oggi circa 2000 pizzaioli sono emigrati dal paese affacciato sulla Costiera amalfitana. La loro storia, a partire da quella prima pizzeria aperta a Novara

                                  di Lara De Luna

 “Tramonti negli anni ‘50 contava circa 6000 abitanti, e in poco più di un decennio è scesa a quota 4000”. Dove sono finiti quei 2000 “scomparsi” dal pittoresco borgo a pochi chilometri dal cuore della Costiera Amalfitana, su cui si affaccia? La risposta ce la dà Giovanni Mandara, pizzaiolo titolare della pluripremiata Piccola Piedigrotta di Reggio Emilia e Vice Presidente dell’Associazione Pizza Tramonti nel
mondo: “Tutti emigrati al Nord, con in tasca poco più di un disco di pasta”. Quello per fare la pizza integrale tipica del paese d’origine. Nasce così la storia poetica dei Pizzaioli di Tramonti, la scuola che non è mai stata davvero tale, nata per caso e per necessità e che dall’allora sconosciuta provincia di Salerno ha portato involontariamente la pizza oltre la linea della Capitale ben prima che ci arrivassero i pizzaioli-star degli ultimi 15 anni. "Prima eravamo quasi tutti tramontani o salernitani. Siamo stati noi ad aver portato e insegnato la pizza al Nord. Ma non abbiamo saputo raccontare la nostra storia”.

Una storia che come tutte le avventure nasce per caso, poco dopo la II Guerra Mondiale, mentre l'Italia cercava di capire da dove potesse ripartire e si ponevano le basi per il boom economico. Pioniere, nel 1947, fu Luigi Giordano, giovane di Tramonti in servizio di leva che arrivò a Loreto di Novara per “assolvere ai suoi doveri di cittadino. Fu il primo di tanti di noi a trovarsi in terre che con la nostra avevano in comune la produzione casearia -Tramonti è storicamente una delle contendenti ad Agerola del monopolio del fiordilatte -, elemento fondamentale per la pizza ma soprattutto per la nostra cultura. Lui iniziò con il fratello Amedeo a produrre mozzarella, e solo dopo un po’ di tempo aprì la pizzeria vera e propria”. Essere i primi è sempre importante, i pionieri sono un faro nella notte, dimostrano che ciò che prima era un vuoto può assolutamente essere riempito, ma il lavoro di Giordano ha avuto un quid in più: “Per una popolazione come la nostra, dove siamo tutti tanto legati che mio figlio, nato in Emilia Romagna, la sente come casa propria, avere un punto di riferimento della terra natia è fondamentale”.

Amedeo Giordano (foto: famiglia Giordano) 

E così seguendo Giordano sono partiti molti altri ragazzi “appoggiandosi spesso a parenti o amici che erano già in Lombardia, Emilia Romagna, Veneto. Il tutto funzionò a ondate, la seconda dagli anni ‘60 in poi, quando partirono i miei genitori. Io sono emigrato due volte, una da bambino e una seconda a 15 anni”. “Lo sviluppo - racconta Luciano Pignataro nel capitolo dedicato a Tramonti del suo “La pizza, una storia contemporanea” (Hoepli) -, si ebbe a macchia di leopardo, cioè da Novara nacquero pizzerie con le seguenti direttrici: da Novara verso Pavia, Vercelli, Varese, Milano; da Vercelli verso Ivrea, Biella, Como; da Pavia verso Bergamo, Brescia, Cremona, Piacenza…”. E così via fino ad arrivare a Udine, Vicenza, Venezia.

Ma la storia di questi duemila pizzaioli emigranti non è fine a sé stessa, ma fondamentale per l’evoluzione della gastronomia in Italia, per la creazione di una realtà trasversale, meticcia nel gusto, che oggi, si dà per scontata. Facendo diventare la pizza un piatto nazionale prima, e internazionale poi. “Di fatto - spiega Mandara - siamo stati noi tramontani a portarla al Nord e a creare il rapporto di gusto con questo piatto particolare. Non siamo stati consegnati alla storia per questa piccola grande rivoluzione solo per un nostro errore: tutte le pizzerie che venivano a mano a mano fondate avevano nomi che richiamavano alla tradizione napoletana, città più conosciuta, da Marechiaro a Bella Napoli. Io stesso, che ho iniziato questo lavoro ormai più di trent’anni fa, ho chiamato la mia pizzeria Piccola Piedigrotta”. Per arginare questo “difetto” della storia gastronomica, da anni lavorano fianco a fianco la Corporazione dei pizzaioli di Tramonti - fondata a cavallo tra gli anni '80 e '90 da Gaetano Generale e oggi di gestione prettamente politica - e l’Associazione Pizzaioli di Tramonti di cui Mandara è il Vice Presidente: “Noi siamo una costola della Corporazione originaria, la nostra non è stata una diaspora. Semplicemente siamo tutti pizzaioli, ci confrontiamo e proviamo ad agire giorno dopo giorno per diffondere la nostra tradizione e mantenerla sempre viva”. Alla Corporazione si deve anche la creazione del primo Festival della Pizza, organizzato a Tramonti l’8 agosto del 1991, da allora ogni anno, racconta Pignataro “in migliaia si ritrovano l’8 e 9 agosto, date che ricordano i giorni in cui furono inaugurate “A Marechiaro” a Novara e “La Violetta”, la prima pizzeria di Tramonti, nel 1953”.

Il rapporto tra la pizza di Tramonti e quella diffusasi nella parte più a nord del nostro Paese viaggia anche sul filo del gusto e delle tecnicità del lievitato. “La nostra era una pizza integrale - spiega Giovanni Mandara -, tradizionalmente preparata nel giorno dei morti prima dell’infornata di pane e condita con prodotti semplici del territorio: pomodoro, olio e fior di latte”. E se è vero che oggi il versante impasti si è evoluto, andando a smussare gli angoli rigidi della farina integrale pura con nuovi grani a cui a volte viene aggiunto il finocchietto, la vera anima della pizza di Tramonti, il suo genoma distintivo, è la cottura “A differenza della napoletana tradizionale, noi cuociamo più lentamente e a temperature più basse. Ci attestiamo a circa 300-350 gradi, realizzando non una pizza umida, ma più croccante fuori e morbida dentro”. Un anello di congiunzione, storico e organolettico, tra la pizza di origine campana e quella della Scuola Veneta (la “pizza gourmet”, come viene più comunemente definita). Un trait d’union unico tra Nord e Sud, fatto di cibo e di uomini, quelli che sono andati e che sono tornati, rendendo “Tramonti uno strano paese, nel cuore della Campania ma con la mentalità nordica degli emigranti di ritorno”. Una realtà culturale unica. Un motivo in più per rendere onore a quei circa 2000 pizzaioli che ignari della rivoluzione che stavano compiendo, hanno lasciato il Paese natio in cerca di fortuna “con in tasca solo un disco di pasta”.

9.11.20

il sindaco di PARETE ( CE ) – Gino Pellegrino ‘dirotta’ i soldi per le luminarie del natale sull’assistenza sanitaria per il covid : una convenzione con una società di ambulanze private per garantire la prima assistenza


 leggo su alcune  bacheche     di   fb   il post (  news  confermata   e  verificata     leggendo  online   i  giornali locali fra  cui https://www.casertafocus.net/    da  cui ho     tratto  una foto del post  )  .


  


 del sindaco di Parete (CE)  un sindaco di una lista  civica    che pensa ai suoi cittadini. Chissà se da noi si farà altrettanto.
Sicuramente queste  festività natalizie  imminenti   saranno   diverse   , nonostante  l'invito   a  comprare  i regali in  rete  ,  da tutti gli altri ma cerchiamo  anche  noi   visto che lo  stato  non riesce  completamente  nei migliori dei modi di uscire da questa emergenza sanitaria che sta distruggendo la vita di tante persone    ed  dando  ad alcune  d'esse  con patologie pregresse il  colpo di grazia . Quindi  oltre    a  quanto   già  detto  ( chi mi segue   su i social   salti pure    e prosegua  nella lettura    del  post  )    precedentemente   in  un mio post  

Gino Pellegrino    sindaco  di Parete (CE )   da  https://www.casertafocus.net/ 


. Quindi  oltre    a  quanto   già  detto  ( chi mi segue   su i social   salti pure    e prosegua  nella lettura    del  post  )    precedentemente   in  un mio post  



 o  in una elle mie condivisioni   



Cari amministratori  ( non solo comunali  )   appena  eletti o  in   carica   prendete    esempio   da  lui   .  Un  sindaco  , indipendentemente    dall'appartenenza  politica  ,   che ha interesse  ai cittadini    e  alla cittadinanza    Non poteva fare scelta migliore 🙂 . Infatti   , peccato che non sia  nella mia città un  sindaco del genere  ,  sono pienamente d’accordo. Anzi anche noi concittadini dovremmo dare il nostro contributo. Aiutiamoci ad abbattere questo emico. E a molti direi anche usate la mascherina e non portatela solo come una collana o braccialetto .   Concludo      con un commento trovato sul  suo account  
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  • Ecco la politica del fare. E del fare bene! A dispetto degli altri Comuni (vedasi, ahimè, Trentola Ducenta) che si disperdono nell'inseguimento dei ragazzini, Parete insegue il concetto di "priorità". Dei fatti e non delle scene fantozziane.

 concludo     complimentandomi   con lui  perchè  non avrebbero senso le luminarie se x via del covid saremmo spenti dentro.... Meglio un'iniziativa sanitaria visto che il nostro sistema sanitario è al tracollo.....

18.9.17

l'inglesina Daniela Morgan che parla il sardo : << prima parola ? basca meda >> dallaCardiff Univesity al dottorato sull'indipendentismo nell'isola

La Sardegna non est Italia😍😁🤙 lo sanno anche in Inghilterra. Quest a che trovate sotto


dall'unione sarda del 13\9\2017 la storia di https://www.facebook.com/daniela.morgan

è la storia di Daniela Morgan una  ragazza inglese  che  ha   fatto l'erasmus  in Sardegna   e   poi  s'è iunamorata  , come di mostrano  anche lesue  foto  sulla sua bacheca di Facebpook ,  tanto  da  fare  un  dottorato   sull'indipendentismo sardo   usando  anche materiale  in " Limba  " /(  Lingua   sarda  )  ed  imparando e studiando il  sardo .

12.4.17

eccellenze italiane


da repubblica  del  11 aprile 2017

chef dell'Imàgo di Roma le studia da tantissimi anni. Ha al suo attivo non solo molte ricette che le utilizzano, ma ha creato blend originali con un continuo lavoro di ricerca. Seguici anche su Facebook 

di MANUELA ZENNARO

Usate singolarmente o sotto forma di blend, le spezie donano personalità a ogni piatto, aromatizzandolo con leggerezza. “Chi impara a conoscerle non le lascia più”, parola di Francesco Apreda. Dodici anni di consulenze in India, all’Oberoi, e una grande passione per i mercati. Sono questi i motivi che hanno spinto Francesco Apreda, chef del ristorante Imàgo all’Hotel Hassler di Roma, a trasformarsi in un “mago delle spezie” nostrano, contaminando la sua cucina con gli aromi d’Oriente. Al ristorante, come a casa.
Alcuni dei blend di Apreda

“L’utilizzo delle spezie in India è molto diverso rispetto all’Italia – spiega Apreda -. Esistono tantissimi blend, e ogni piatto ha numerosi componenti proprio grazie alla presenza di una grande quantità di spezie. Mi sono immerso in questo mondo molto particolare, ma all’inizio è stato devastante. Il mio palato non era allenato, mi sembrava tutto eccessivamente piccante, non capivo come si potesse mangiare in un modo simile. Anno dopo anno, sono riuscito a comprendere e amare questi ingredienti. Mi ha aiutato frequentare i mercati indiani, conoscere i blend, e per fare questo sono anche entrato nelle case di alcune persone che mi hanno spiegato come curavano le loro spezie. Da lì è nata la voglia di creare delle miscele personali, così ho iniziato con pepi e sesami, un blend composto da 5 tipi di pepe, e altrettanti di sesamo. Mi è riuscito molto bene, sono riuscito a bilanciare la parte grassa del sesamo con l’aggressività del pepe, facendo sprigionare tutti gli aromi. Incoraggiato dal risultato, ho creato altri blend, e a quel punto ho studiato un menu apposito e l’ho chiamato Sapori di viaggio, dove ad ogni portata corrisponde un blend diverso”.
Alcuni diffidano dalle spezie, convinti di trovarsi al cospetto di un ingrediente dittatore, che prevarica ogni altro sapore presente in un piatto. Altri subiscono un antico retaggio secondo cui la spezia veniva utilizzata come conservante, spesso per coprire lo sgradevole sentore emanato da un alimento non proprio freschissimo. “La spezia è complicata – prosegue lo chef - se mal dosata sovrasta ogni cosa e rovina il piatto, ma se si riesce a bilanciarla, al contrario esalta gli altri ingredienti. Quando prepariamo un piatto non immaginiamo di poter usare 5 – 6 tipi diversi di spezie. Ma se facciamo come in India, dove per fare un soffritto usano semi di senape e coriandolo, bucce di lime, foglie di kefir, foglie di curry, possiamo ottenere una miscela incredibile. Quando si creano i blend, la cosa più difficile è rendere distinguibili 8 – 9 sapori all’interno di una polverina. Il segreto è provare, cercare di adeguare le miscele al proprio palato”.
Chef Francesco Apreda

Come fare per abbinare l’universo delle spezie ai sapori di casa nostra? “Non bisogna spaventarsi – continua Francesco Apreda -. Se scegliamo un cardamomo verde, possiamo utilizzarlo come fosse basilico, grazie al suo sentore fresco
.Io consiglio di assaggiare la spezia da sola. In questo caso, basta aprire il baccello del cardamomo, e mettere qualche seme sulla punta della lingua. Questa spezia è perfetta nei casi in cui si ha bisogno di freschezza, ad esempio se nel piatto c’è una componente grassa molto decisa. Chiunque a casa può usare una polvere di curcuma, un cardamomo, dei semi di coriandolo, basta assaggiare queste spezie da sole, prima di usarle. Un esempio pratico: qualche anno fa ho scoperto il cardamomo nero, diverso da quello verde, si coltiva prevalentemente in Nepal. Si tratta di una spezia particolare perché è grande, e viene tostata ed essiccata sui carboni ardenti, cosa che conferisce un sentore affumicato. Quando l’ho annusata la prima volta, sembrava quasi un tè, poi assaggiandola aveva sentori di canfora, melissa, il tutto molto fresco, e allo stesso tempo affumicato”.
Come l’ha usata? “Ho pensato di provare il cardamomo nero a casa, in un’insalata di pomodori – ricorda lo chef -. Ho aggiunto cipollotto e provolone, ed era perfetta. In questo semplice piatto abbiamo l’acidità del pomodoro, la grassezza del provolone, e la freschezza della canfora arricchita dal sentore affumicato che, se ben calibrato, veicola tutti gli altri aromi. Subito dopo ho pensato di usare la spezia per preparare un risotto con pomodorino giallo, ed è nato un piatto profumato e gradevolissimo”. Esiste una stagionalità per le spezie? “In qualche caso sì, anche se la maggior parte delle spezie in circolazione sono secche. È ovvio che un cardamomo preso in India nella sua stagione, ha un sapore diverso da quello che qui acquistiamo in polvere, e che spesso ha perso parte del suo vigore”. 
Dalla primavera aumenta la voglia di una cucina leggera, e in questo caso le spezie possono essere un aiuto perché danno sapore, senza appesantire. “In questo momento va molto di moda la curcuma – prosegue Apreda -. A casa la uso sempre. Si trova in polvere, e ha un aroma fantastico, leggermente piccante. Può essere utilizzata ovunque, senza timore, anche aggiungendola alla salsa per una pasta, oppure a una zuppa fresca di piselli. Ripeto: bisogna essere aperti verso questi ingredienti, e soprattutto bisogna provare, assaggiare. Tornando alla curcuma, oramai è diventata parte integrante della cucina dell’Imàgo, ma anche di quella di casa mia. Prima utilizzavo solo origano secco, capperi e così via, ora non ho fatto altro che aggiungere altri elementi. Altro esempio sono le stecche di cannella, che possiamo grattugiare ovunque. Conferiscono una dolcezza molto gradevole, così come la vaniglia e l’anice stellato”.
Sembra quasi un universo sconfinato, come è possibile orientarsi? “ Internet aiuta molto. Di spezie ce ne sono tantissime – aggiunge Francesco Apreda - in questo momento mi sono appassionato alle foglie di curry, una pianta che cresce nel sud dell’India e ha un sentore limonato e speziato. Si chiamano curry leaves e non hanno nulla a che vedere con il curry che noi conosciamo. Inoltre consiglio il kefir, foglie di lime thailandese che sprigionano un aroma a metà tra limone e lemongrass, molto fresco e intenso, perfetto per una zuppa di cocco e verdure, ma anche in una semplice salsa di pomodoro, per dare quel tocco aromatico in più”.


Dove nascono i taralli (veri) che vanno per il mondo L'eccellenza pugliese si racconta
Scopriamo tutti i segreti della produzione del prodotto da forno tipico della Puglia.

 


 anche se    secondo questi commenti    che  trovate  all'interno dell'articolo


Questi taralli qui fotografati non sono del Nord della Puglia e non sono assolutamente artiganali, da noi si fanno molto grandi almeno quanto un palmo della mano.Nella precedente risposta ho anche specificato i vari tipi di taralli. bisogna visitarli i posti e accertarsi dei prodotti locali prima di fare affermazioni non veritieri o comunuque fuorvianti, Andate a Deliceto e vedete come sono i taralli.
Mi piaceRispondi115 h
forse sarebbe opportuno specificare che ci sono vari tipi di taralli: nel nord della puglia e precisamente nel foggiano sui monti dauni si fanno " li scallatièdd " cioè taralli che si fanno con farina di grano duro 0' ci vogliono circa 26 ore prima che si possono mangiare perché s'impastano con farina , acqua e olio di oliva , si fanno tanti rotolini sottili e si chiudono a cerchio e poi si fanno bollire. Dopo la bollitura si appendono su delle canne lunghe per farli asciugare 24 ore . Il giorno dopo, ben asciutti si portano al forno per farli cuocere. I taralli invece sono quelli che appena impastati e data la forma si portano direttamente al forno senza farli bollire. Poi ci sono i taralli con le uova tipici della pasqua, si aggiungono le uova all'impasto precedente e i rotolini sono, come spessore, tre volte "li scallatièdd" e si portano subito al forno. Qualcuno li fa anche con la glassa


i taralli che rappresentate nella foto non sono i taralli da forno!! e non sono di origine artigianale,perche' fatti a macchina in serie e sono i taralli bolliti diffusi molto nella zona a nord della Puglia
nella restante parte della puglia e piu' nel SALENTO i taralli da forno artigianali si fanno come tradizione vuole con la fartina di grano duro e olio extravergine di oliva il tutto impastato rigorosamente a mano.
I

anche nel Barese, non solo nel Salento
Mi piaceRispondi17 h





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