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5.3.18

Stati Uniti, sbaglia il canestro per non uguagliare il record di una leggenda

chiamatelo pure  sfigato o  mettevi ure  a ridere  ,   ma  secondo me   è una storiua  d'umiltà (  forse    estrema  )  ma  second me significativa  in un mondo pieno di squali e  di competizione  spesso frustante ed  inutile  


Un giocatore di basket negli Stati Uniti che ha scelto di non eguagliare un record di punti per non accostare il suo nome a quello di una leggenda della stessa squadra, morta anni prima. 

 

Servizio di Pierluigi Vito




7.7.14

In un anno il giro del mondo in bicicletta. Su due ruote per ascoltare le persone, alla ricerca di storie sostenibili

vedi anche

da  repubblica.it

Stefano Cucca, per tutti 'Rumundu', 35 anni, sardo, ha percorso trentaduemila chilometri. "Pedalo per ascoltare le persone. E per gridare al mondo che il modello economico e sociale attuale porta a far si che ci siano poche persone ad avere denaro e potere. E ciò non è sostenibile per definizione"

di GIAMPAOLO COLLETTI  03 luglio 2014 


Rumundu vuol dire il mondo nel dialetto sussincu [  di sorso  ] , un slang tipico dell'entroterra sassarese. "E' il dialetto che parlava la mia nonna a Sorso. E da lì sono partito per il mio giro in bicicletta", racconta Stefano Cucca, per tutti appunto 'Rumundu'. Che poi il mondo Stefano l'ha girato davvero in lungo e in largo alla scoperta di storie e stili di vita sostenibili. Per un anno e per giunta su due ruote. Un viaggio che è stato raccontato in tempo reale attraverso testi e immagini sul suo diario di bordo Rumundu.it e sui social collegati, con un seguito che si è fatto di giorno in giorno più ampio, virale, condiviso.
Partito nel giugno 2013 dal suo paese di origine Sorso e rientrato nella sua Sardegna, precisamente a Cagliari lo scorso 4 giugno, ad un anno esatto dalla partenza. "Sono partito dalla leggendaria fontana di Sorso, quella che racconta come gli abitanti di questa comunità siano considerati un po' matti per via di quell'acqua. Ecco, rivendico con orgoglio l'elemento follia presente in ciascuno di noi", precisa Cucca. E quanto ha pedalato 'Rumundu', trentacinquenne sassarese, tante vite in una sola, nonostante la giovane età. Trentacinque anni, laureato in economia e commercio, master in progettazione europea, ha lavorato in Italia e all'estero. "Mi sono anche licenziato dal mio posto di lavorare, e ho iniziato a viaggiare". Un passato da direttore di un consorzio di cooperative sociali e poi a capo di un'azienda che si occupava di tracciabilità di prodotti alimentari. Animo da innovatore sociale, quello di Cucca: è partito per scoprire un mondo migliore. "Che esiste per davvero", giura da inguaribile ottimista.
Missione compiuta, quella di Stefano. Ed esperienza indimenticabile. "È stato un anno ricco di esperienze che non è semplice descrivere in poche parole, ma mi sento una persona molto fortunata. Ho imparato moltissimo e sono davvero tante le realtà visitate in questo viaggio", precisa Cucca.
Trentaduemila chilometri, cinque continenti, centinaia le persone incontrate, innumerevoli le storie da raccontare. E tutto sulla stessa bicicletta rotta un po' di volte e riparata e quattro zainetti. E mentre il sito si apre alla collettività, per il futuro Cucca sogna progetti di rural innovation e si mette alla ricerca di un venture capital per la creazione di un fondo. "Pedalo per ascoltare le persone. E per gridare al mondo che il modello economico e sociale attuale porta a far si che ci siano poche persone ad avere denaro e potere. E ciò non è sostenibile per definizione", precisa Cucca, con noi al 'Next' di Cagliari giovedì 10 luglio ore 19.30 in piazza Palazzo.
Che cosa ti ha spinto a compiere questo percorso e a macinare tutti questi chilometri?
"La mia pedalata è nata da una serie di riflessioni fatte alcuni anni fa. D'altronde se 85 uomini nel mondo hanno un salario annuale come quello di 3,5 miliardi di persone, questo modello non regge. Bisognerebbe fermarsi e riflettere. Così ho creato una piattaforma con storie di modelli di sviluppo economico alternativo al consumismo. Storie controcorrente".
Cosa ti sei portato con te nel viaggio?
"Con me lo stretto indispensabile. Un sacco a pelo, l'attrezzatura tecnica, un po' di vestiario e qualcosa da mangiare. Ecco il contenuti dei quattro zainetti. Avevo poche cose quando sono partito e ancora meno al ritorno".

Quale lezione hai imparato con trentaduemila chilometri alle spalle?
"Tante lezioni diverse, ma forse quella più significativa l'ho imparata in Indonesia, perché ho visto il percorso errato che è stato fatto in passato anche nella nostra terra sarda. In Sardegna negli anni '70 le tradizioni e le persone - quindi le ricchezze di un luogo - sono state accantonate per dar spazio alle multinazionali che tendono a 'normalizzarè i luoghi. Insomma la storia tende a ripetersi".
Quanti Paesi hai visitato sempre su due ruote?
"Tantissimi. Italia, Svizzera, Germania, Francia, Lussemburgo, Belgio, Olanda, ancora Germania, Danimarca, Islanda. E poi l'indimenticabile 'coast-to-coast' negli Stati Uniti passando per il Canada, Giappone. Ho toccato la Cina e poi il Vietnam e ho percorso i sentieri della Cambogia, Thailandia, Malesia, Singapore, Indonesia, Australia, Nuova Zelanda, Sud-Africa per poi rientrare in Italia attraversando la Turchia e la Grecia. E poi la bella, ciclabile, viva, colorata, seria e folcloristica, rilassante, fresca, verde e giovane, rossa e curiosa Amsterdam, in Olanda".
Pedalate alla ricerca di stili di vita sostenibili. E in tutto questo quanto ti sei portato con te della tua terra?
"Tantissimo. Lo scopo del progetto Rumundu era quello di girare il mondo in bicicletta alla ricerca di storie e stili di vita sostenibili, promuovendo allo stesso tempo la Sardegna".
Giro del mondo, ma anche d'Italia. Quali mete hai visitato del Bel Paese?
"La Sicilia con Palermo e Messina, per poi risalire tutto lo stivale passando per Capo d'Orlando, Cosenza, Maratea, Palinuro, Salerno, Napoli, Roma, Livorno, Firenze sotto un piacevolissimo temporale sul Ponte Vecchio. E Parma, Bologna e Novara. Fino a Milano".
Uno dei Paesi che ti hanno maggiormente colpito?
"Direi l'Islanda, sostenibile perché governata dalla natura. C'è anche Kyoto con il rispetto verso il prossimo o la Cina con Pechino patria dell'insostenibilità, l'Indonesia con la sua caotica Bali, o ancora la Tasmania, nei cui boschi si possono trovare luoghi magici dove si vive in completa armonia con la natura".

Stiamo raccogliendo i messaggi per la candidatura di Cagliari 2019. Il tuo slogan personale?
"Cagliari deve farcela e anzi ce la farà, perché partiamo dal presupposto positivo: siamo al centro del Mediterraneo e quindi potremmo riappropriarci di questo luogo centrale".
Prossimi obiettivi e... future pedalate?
"Vorrei dare la possibilità ad altri di popolare il sito con racconti di storie sostenibili che parlino di come e dove si vive nel mondo, dalla bioedilizia al cibo, dai mezzi di trasporto agli stili e ai comportamenti quotidiani che tengano conto del rispetto del territorio".
Ma quanto è impegnativo fare un viaggio del mondo in bicicletta?
"Penso che non sia una cosa impossibile farlo. Ognuno con il proprio ritmo potrebbe porsi nella condizione di esplorare e imparare a prescindere dai chilometri. Quelli sono relativi. Sono dell'idea che con la bicicletta si abbia la giusta velocità per ascoltare il mondo. Lo si capisce, lo si percepisce, lo si vive".
Quale messaggio ti senti di mandare ai giovanissimi 'nexter', gli innovatori del proprio tempo?
"Mai arrendersi e darsi sempre da fare. E poi nella vita occorre rimettere al centro le persone e non le cose. Una persona normale può girare il mondo con una bicicletta e quattro zainetti sulle spalle".

11.8.12

Olimpiadi: Benjamin, da Guam a Hyde Park. La gioia di essere ultimo



Benjamin Shulte, sedici anni, arrivato a Londra dalla lontanissima isola di Guam, nel Pacifico, ha concluso la 10 km di nuoto in due ore e tre minuti, circa 14 minuti dopo la medaglia d'oro Oussama Mellouli. La sua gara solitaria - ha occupato l'ultima posizione fin dalla partenza - è stata seguita dal pubblico che lo incitava ad ogni passaggio dalle rive del Serpentine di Hyde Park. Quando finalmente ha tagliato il traguardo la folla è esplosa in un lungo applauso. ''Il mio obbiettivo - ha detto Benjamin - era quello di finire la gara. Sapevo che avrei nuotato da solo ma non volevo deludere i miei amici e parenti dopo essere arrivato fin qui".
di Valeria D'Angelo

9.8.12

la bellezza della sconfitta CANOA Idem impresa sfiorata, poi l'addio "E' stato bello sognare insieme




da  repubblica speciali  olimpiadi 

Josefa è quinta, a tre decimi dal podio nel K1 500 metri. Prossima ai 48 anni, annuncia il ritiro . "A Rio racconterò storie di altre. Spero di aver ispirato la mia generazione: mai troppo tardi per mettersi in moto". Tedesca, italiana per amore, la Idem strapazza Grillo: "Olimpiadi del nazionalismo? Una patacca". Schwazer? "A 24 anni volevo smettere". Petrucci: "Immensa"

LONDRA - Josefa Idem si è fermata a tre decimi di secondo dal suo ultimo miracolo. Il tempo che l'ha separata dalla medaglia di bronzo nel K1 500 metri. Ma nessuno considera il suo quinto posto una sconfitta. E', semmai, la vittoria della passione, l'unico doping legale nello sport. Incarnato perfettamente da questa donna  apparentemente d'acciaio, che una volta scesa dalla canoa annuncia con calma il ritiro e poi scoppia in lacrime, ormai prossima ai 48 anni, lasciandosi alle spalle otto partecipazioni alle Olimpiadi e una casa disseminata di medaglie a cinque cerchi: bronzo a Los Angeles 1984 nel K2 500 per la Germania, poi con la casacca azzurra bronzo ad Atlanta 1996, oro a Sydney 2000, argento ad Atene 2004 e Pechino 2008.

VIDEO REPTV: "GRILLO? UN PATACCA"

LE FOTO


L'ULTIMA FINALE
 - In avvio di gara, Josefa sembra riproporre lo stesso approccio tattico con cui ha fatto sua una splendida semifinale: inizio morbido, cercando di non perdere terreno dalle prime, poi l'irresistibile progressione. In realtà, le avversarie di oggi sono le più 
forti al mondo e, pur cercando di controllare nei primi 250 metri, Josefa deve comunque alzare il ritmo per non lasciarsi staccare troppo.
Puntuale, ai 250 metri, Josefa inizia la sua scalata verso il podio, mulinando la pagaia con fluidità pari solo alla ben nota carica agonistica. Ha davanti l'ungherese Danuta Kozak, che appare fuori della sua portata, discorso invece aperto con l'ucraina Inna Osypenko, la sudafricana Bridgitte Hartley e la svedese Sofia Paldanius.
Agli ultimi 100 metri Josefa è in piena lotta per il terzo posto e sembra averne persino di più della sudafricana e della svedese. Ma, proprio nel rush finale, la partenza sopra ritmo si fa sentire e Josefa accusa il lieve cedimento che la respinge giù dal podio. Chiude in 1'53"223, terzo posto sfumato per tre decimi di secondo. Oro alla  Kozak (1'51"456), argento alla Osypenko (1'52"685), bronzo alla Hartley (1'52"923), quarta la Paldanius (1'53"197).
L'ADDIO - Piedi tornati per terra, a caldo Josefa non fa giri di parole e annuncia il ritiro. "E' stata l'ultima gara, ora basta così. Peccato, solo 3 decimi dal podio: adesso basta, smetto. A Rio racconterò le storie delle altre. Ho iniziato oltre 30 anni fa: da juniores in Germania. E' stata una bella carriera. Ed è stato bello sognare insieme".
La Idem non è particolarmente delusa e spiega il perché. "In questa stagione ho visto il podio con il binocolo, aver lottato qui per il bronzo è stato un grande risultato. Sono arrivata qui in condizioni eccellenti, è mancato solo quel pochino in più, 'dio bono', come si dice in Romagna". Pochi rimpianti anche sulla strategia di gara. "Se si parte bene, si paga al traguardo, fine. Se si parte piano, magari diventa impossibile recuperare. E' sempre difficile azzeccare la strategia al 110%. Se rifacciamo la gara domani, magari le cose vanno in modo diverso. Chi ha vinto il bronzo, evidentemente, ha curato i dettagli meglio di me".
Josefa e il senso di una carriera infinita, 35 anni di sport. "Spero di aver ispirato i giovani, ma spero soprattutto di essere stata fonte di ispirazione per la mia generazione: non è mai troppo tardi per sognare, non è mai troppo tardi per mettersi in moto. Questo è il messaggio che mando a chi ha la mia età".
A questo punto, assieme alla tensione, anche Josefa si scioglie. "Non siate tristi per me - dice in lacrime -. Ora voglio scrivere storie di sport, storie di perdenti. Questo è il momento di smettere, era diventata troppo dura". Un ultimo ringraziamento ai "tanti che hanno tifato per me, voglio ringraziare tutti per il loro sostegno. Anche quando non ho ottenuto risultati, ho sempre trovato persone che mi hanno supportato".
"SCHWAZER? A 24 ANNI VOLEVO SMETTERE" - Le persone che, forse, non ha avuto al suo fianco Alex Schwazer. "Lo vedo come un figlio che ha sbagliato - dice Josefa -. E' giusto che paghi per quello che ha fatto ma allo stesso tempo deve avere la possibilità di rifarsi una vita. Ho sentito le sue parole e ho capito quanto fosse pressato dalle aspettative e quanto noi crediamo solo nei risultati assoluti. Le storie dei perdenti non le ascoltiamo neanche, invece anche questo sono le pagine che dobbiamo scrivere".
Quanto alla 'nausea' di Alex per la marcia, la Idem rivela: "A 24 anni volevo smettere. Avevo un allenatore autoritario e non mi piaceva neanche troppo la canoa, ma non volevo buttare via il dono che avevo. Diciamo che all'inizio è stato un matrimonio combinato, l'amore è venuto dopo".
"PATACCA" GRILLO - Prima di uscire di scena, Josefa, tedesca diventata italiana per amore, getta in acqua un ultimo sassolino dalla canoa. "Grillo dice Olimpiadi trionfo del nazionalismo? E' un patacca. Mi dispiace, siamo un Paese che si emozione e tifa, ma questo non vuol dire che andiamo a invadere o fare delle guerre. Inoltre, questa è una nazionale con un alto tasso di atleti nati altrove. Lui coglie i momenti più visibili per dei messaggi che fanno scalpore e avere attenzione".
"MONTI, ITALIA FACCIA AUTOCRITICA"
 - Inevitabile chiedere a Josefa di timori confessati dal premier Mario Monti allo Spiegel per un "crescente sentimento antitedesco in Italia". "Non voglio entrare troppo in questioni politiche - frena Josefa -, ma quando si arriva al dunque bisogna mettersi in gioco e saper fare autocritica". "Quando le critiche le fanno altri con cui si è pensato di condividere un progetto bisogna accettarle - osserva ancora la Idem -. Non prendiamocela con chi ci dice: 'questa potrebbe essere una strada'. Cerchiamo di trarne un'opportunità per diventare più efficaci. Bisogna illuminare le belle cose dell'Italia di cui noi ci dimentichiamo".
"Sono molto felice di essere stata così bene accolta in Italia. Io che vengo da un Paese che viene preso da esempio ho scelto un altro Paese che troppo spesso si butta giù. Non siamo nemmeno in grado di organizzare le Olimpiadi senza che questo diventi un motivo per vergognarsi. Basterebbero poche regole da rispettare e degli obiettivi e avremmo già fatto grandi cose. Alla faccia dello spread, facciamo vedere quello che sappiamo fare".
PETRUCCI: "IMMENSA" - L'ultima parola spetta a Gianni Petrucci, presidente del Coni. "Josefa Idem è stata immensa, è la nostra medaglia d'oro. Ha vinto per sé, per la famiglia e per l'immagine del Paese. Il suo è un risultato straordinario. Lei è la vera novità di questa Olimpiade. Per tutto il mondo". 

 sempre  da  repubblica 


 Delle mille cose memorabili dette da Josefa Idem per congedarsi, condensando in una decina di minuti ciò che da decenni l'Italia non riesce a capire sulla cultura sportiva, ce n'è una che scava ancora di più sotto la crosta delle emozioni. "Ora voglio scrivere storie di perdenti", ha detto con gli occhi umidi e quel sorriso enorme, una malinconia felice, un contrasto di dolcezza assoluta. Storie di perdenti, non di vincenti. E' quando si perde che si affonda nel cuore di chi condivide l'avventura di un atleta: un marito, un papà, un figlio, uno spettatore. Josefa ne ha viste tante di sconfitte, in 35 anni di sport, non soltanto il suo. Sa quanta vita scorre dentro una gara andata male, un oro perso per un centesimo di secondo o un bronzo che se ne va per un voto malvagio. 
Sa quanto possano tremare le mani a uno schermitore, un tiratore, un ginnasta quando sulla pedana o sul bersaglio ci sono quei cinque cerchi magnifici e maledetti. Sa quanto fa male a un lottatore, un judoka, un pugile bruciare tutto nei tre minuti di un match. Sa quanto sia forte la scossa che provoca un fotofinish che ti mette dietro, senza rimedio. Sa cosa attraversa la mente di Liu mentre bacia l'ostacolo che non ha potuto saltare, l'immagine forse più struggente di questi Giochi, un solenne gesto di addio alla sua vita di atleta con i tendini spezzati. 
Ecco, Josefa che tanto ha vinto e tanto ha perso, ora vuole raccontarci perché è bello. Vincere e perdere. Lo sport.

emergenza femminicidi non basta una legge che aumenti le pene ma serve una campaga educativa altrimenti è come svuotare il mare con un secchiello

Apro l'email  e tovo  queste  "lettere "   di  alcuni haters  \odiatori  ,  tralasciando  gli  insulti  e le  solite  litanie ...