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31.10.21

C’è un uomo che ha deciso di regalare a Napoli e al Napoli una statua di Maradona. Si chiama Stefano Ceci, ha 48 anni e forse è stato uno dei pochi veri amici di Diego

  da  repubblica  del  30\10\2021

 “Io, vero amico di Diego dono una statua a Napoli con il piede del Santo” L’intervista/ Stefano Ceci e i suoi vent’anni con Maradona

di Maurizio Crosetti 



C’è un uomo che ha deciso di regalare a Napoli e al Napoli una statua di Maradona. Si chiama Stefano Ceci, ha 48 anni e forse è stato uno dei pochi veri amici di Diego (che oggi avrebbe compiuto 61 anni), oltre che il suo socio in svariate avventure umane e commerciali. A Stefano, il campione concesse i

diritti d’immagine e questo ha scatenato una furibonda battaglia legale. «Ma io ho vissuto per vent’anni insieme a Diego, ho tutte le prove dei nostri contratti, infatti ho sempre vinto in tribunale e non temo certo i parassiti che sfruttavano Maradona da vivo, e vogliono sfruttarlo pure da morto».Lo dice al telefono da Dubai.

Signor Ceci, cos’è questa storia della statua?

«Il mio dono alla città e alla memoria della persona più importante della mia vita, un semplice grazie a chi adesso non c’è più. Una statua in bronzo dorato, a grandezza naturale, alta un metro e 67 come il mio fraterno compagno ritratto ai tempi del mondiale messicano. La mano sinistra e il piede sinistro sono stati riprodotti in 3D usando il calco che io stesso avevo fatto a Diego, le impronte le ho prese io, sissignori».

Un calco? In che senso?

«Io e lui sapevamo che un giorno il suo piede sinistro sarebbe stato venerato. Quando nascerà il Museo Maradona, piede e mano saranno riprodotti in oro. Ma anche chi toccherà il piede della statua, sfiorerà in qualche modo il piede vero di Maradona come se fosse, diciamo, quello di un santo».

Un santo? Non stiamo un po’ esagerando?

«Diego diceva: io sono napoletano dal giorno in cui sono arrivato qui. E sulla statua ci sarà scritto proprio questo: “Anch’io sono napoletano”.La esporremo allo stadio Diego Armando Maradona il 28 novembre, prima di Napoli-Lazio. La metteremo a centrocampo, poi sarà sistemata negli spogliatoi, nel punto dove gli arbitri incontrano i giocatori, così potrà essere vista in tivù prima di ogni partita. Pago tutto io, saranno più o meno 80 mila euro e sono onorato di farlo».

Chi era per lei Maradona?

«Un amico, un fratello, un sogno.

Infatti lo sogno ancora, almeno due volte a settimana. Sogno di essere a Napoli, di sporgermi dal balcone e vedere Diego lì sotto. Oppure stiamo per andare a un evento e lui mi ripete “Tanito, non ho voglia, andiamoci domani”. Ci siamo drogati insieme, insieme abbiamo vissuto a Cuba e Dubai, io abitavo al piano di sotto e tenevo sempre un walkie-talkie acceso, così lui poteva chiamarmi nel cuore della notte per un panino, “Tanito portami un sandwichito”, o per dirmi che si era spenta la tivù e se potevo riaccenderla. Purtroppo non riusciva mai a dormire. Di me diceva: toccatemi tutto, non Stefano perché per me il Tano è intoccabile.Lo ha ripetuto tante di quelle volte nelle interviste in tivù».

Gli eredi di Maradona la accusano di non essere il vero depositario di tutti quei diritti commerciali.

«Miserabili. Eppure continuo a mandare bonifici pari al 50 per cento di ogni affare concluso, come voleva Diego. Lui era lì sul letto, morto e ancora caldo, e c’era chi gli svuotava il frigorifero. Si sono fregati pure le cose da mangiare».

L’avvocato Matias Morla sostiene di essere lui il rappresentante di Diego sul mercato internazionale, e non lei.

«Morla registrò cinque marchi senza neppure dirlo a Maradona, una carognata, ma non l’omino che corre, non “D10S”, quelli sono miei! In otto anni ho fatto guadagnare quasi trenta milioni di dollari a Diego, e ora la metà spetta ai figli legittimi, poi arriveranno pure quelli naturali. Ho chiuso io i contratti per i videogiochi, per le slot machines, tra poco lanceremo una nuova linea di abbigliamento.

Ho portato io Maradona in Rai da Fazio, alla Fifa, al San Carlo di Napoli, a Londra, in Corea, in Marocco, ai Mondiali del 2014 e del 2018. Trentasette eventi abbiamo fatto, noi due. E dov’erano, i presunti amici? A Cuba, siccome non c’erano soldi non si vedevano neppure i parenti. Ma lui non ha smesso di pagarli, e non bastava mai».

Si parla di 200 o 300 milioni di dollari di eredità.

«Ma no, che fesseria. Nel 2012, quando siamo andati a Dubai, Diego aveva 8 milioni di dollari sul conto.Grazie a me ne ha guadagnati altri 26 milioni e 600 mila. Almeno 10 sono andati alla famiglia, quasi 6 negli ultimi 5 anni. Penso che adesso ci siano sui vari conti una ventina di milioni di dollari, non di più. E una quindicina sono spariti perché qualcuno li ha fatti sparire.Non esistono casseforti segrete. I cimeli importanti se li era già presi l’ex moglie Claudia, che li ha venduti: esistono due cause in tribunale, per questo».

Ormai è quasi passato un anno.Cosa le manca di più di Maradona?

«La quotidianità: io ero innamorato pazzo di Diego. Ho chiamato mia figlia Mara Dona per avere sempre Maradona in casa con me. Al mattino guardo ancora lo smartphone appena mi sveglio, è un riflesso condizionato, come se lì dentro potesse esserci un suo messaggio. Mi manca la voce, così stanca alla fine. Gli hanno fatto cambiare quattro case soltanto nell’ultimo anno, le signore figlie, per poi mandarlo a morire nella jungla. A Napoli c’è un proverbio che dice: il morto lo piangono tutti, ma nessuno se lo vuole portare.Quando lo vidi per l’ultima volta, Diego era nel ritiro del Gimnasia, la squadra che allenava. Aveva giocato a pallone, ma non c’era acqua calda per lavarsi: lo aiutammo io e Christian Jorgensen, il suo assistente. Scaldammo l’acqua sul gas della cucina, non c’era nemmeno lo shampoo. Ecco come viveva Diego. Quando sento dire “ma come è morto?”, io rispondo: non è morto così, è vissuto così, solo come un cane. Ha avuto tutto e non ha avuto niente».

21.3.13

pietro mennea l'antilope italiana

Ci sono morti che pesano come montagne e morti che pesano come piume (cit. Mao)

poichè due parole sono poche è una tropppo. Ma spopratutto i fiimi d'inchiostro e di bit per ricordarti io ti ricordo cosi 


9.8.12

la bellezza della sconfitta CANOA Idem impresa sfiorata, poi l'addio "E' stato bello sognare insieme




da  repubblica speciali  olimpiadi 

Josefa è quinta, a tre decimi dal podio nel K1 500 metri. Prossima ai 48 anni, annuncia il ritiro . "A Rio racconterò storie di altre. Spero di aver ispirato la mia generazione: mai troppo tardi per mettersi in moto". Tedesca, italiana per amore, la Idem strapazza Grillo: "Olimpiadi del nazionalismo? Una patacca". Schwazer? "A 24 anni volevo smettere". Petrucci: "Immensa"

LONDRA - Josefa Idem si è fermata a tre decimi di secondo dal suo ultimo miracolo. Il tempo che l'ha separata dalla medaglia di bronzo nel K1 500 metri. Ma nessuno considera il suo quinto posto una sconfitta. E', semmai, la vittoria della passione, l'unico doping legale nello sport. Incarnato perfettamente da questa donna  apparentemente d'acciaio, che una volta scesa dalla canoa annuncia con calma il ritiro e poi scoppia in lacrime, ormai prossima ai 48 anni, lasciandosi alle spalle otto partecipazioni alle Olimpiadi e una casa disseminata di medaglie a cinque cerchi: bronzo a Los Angeles 1984 nel K2 500 per la Germania, poi con la casacca azzurra bronzo ad Atlanta 1996, oro a Sydney 2000, argento ad Atene 2004 e Pechino 2008.

VIDEO REPTV: "GRILLO? UN PATACCA"

LE FOTO


L'ULTIMA FINALE
 - In avvio di gara, Josefa sembra riproporre lo stesso approccio tattico con cui ha fatto sua una splendida semifinale: inizio morbido, cercando di non perdere terreno dalle prime, poi l'irresistibile progressione. In realtà, le avversarie di oggi sono le più 
forti al mondo e, pur cercando di controllare nei primi 250 metri, Josefa deve comunque alzare il ritmo per non lasciarsi staccare troppo.
Puntuale, ai 250 metri, Josefa inizia la sua scalata verso il podio, mulinando la pagaia con fluidità pari solo alla ben nota carica agonistica. Ha davanti l'ungherese Danuta Kozak, che appare fuori della sua portata, discorso invece aperto con l'ucraina Inna Osypenko, la sudafricana Bridgitte Hartley e la svedese Sofia Paldanius.
Agli ultimi 100 metri Josefa è in piena lotta per il terzo posto e sembra averne persino di più della sudafricana e della svedese. Ma, proprio nel rush finale, la partenza sopra ritmo si fa sentire e Josefa accusa il lieve cedimento che la respinge giù dal podio. Chiude in 1'53"223, terzo posto sfumato per tre decimi di secondo. Oro alla  Kozak (1'51"456), argento alla Osypenko (1'52"685), bronzo alla Hartley (1'52"923), quarta la Paldanius (1'53"197).
L'ADDIO - Piedi tornati per terra, a caldo Josefa non fa giri di parole e annuncia il ritiro. "E' stata l'ultima gara, ora basta così. Peccato, solo 3 decimi dal podio: adesso basta, smetto. A Rio racconterò le storie delle altre. Ho iniziato oltre 30 anni fa: da juniores in Germania. E' stata una bella carriera. Ed è stato bello sognare insieme".
La Idem non è particolarmente delusa e spiega il perché. "In questa stagione ho visto il podio con il binocolo, aver lottato qui per il bronzo è stato un grande risultato. Sono arrivata qui in condizioni eccellenti, è mancato solo quel pochino in più, 'dio bono', come si dice in Romagna". Pochi rimpianti anche sulla strategia di gara. "Se si parte bene, si paga al traguardo, fine. Se si parte piano, magari diventa impossibile recuperare. E' sempre difficile azzeccare la strategia al 110%. Se rifacciamo la gara domani, magari le cose vanno in modo diverso. Chi ha vinto il bronzo, evidentemente, ha curato i dettagli meglio di me".
Josefa e il senso di una carriera infinita, 35 anni di sport. "Spero di aver ispirato i giovani, ma spero soprattutto di essere stata fonte di ispirazione per la mia generazione: non è mai troppo tardi per sognare, non è mai troppo tardi per mettersi in moto. Questo è il messaggio che mando a chi ha la mia età".
A questo punto, assieme alla tensione, anche Josefa si scioglie. "Non siate tristi per me - dice in lacrime -. Ora voglio scrivere storie di sport, storie di perdenti. Questo è il momento di smettere, era diventata troppo dura". Un ultimo ringraziamento ai "tanti che hanno tifato per me, voglio ringraziare tutti per il loro sostegno. Anche quando non ho ottenuto risultati, ho sempre trovato persone che mi hanno supportato".
"SCHWAZER? A 24 ANNI VOLEVO SMETTERE" - Le persone che, forse, non ha avuto al suo fianco Alex Schwazer. "Lo vedo come un figlio che ha sbagliato - dice Josefa -. E' giusto che paghi per quello che ha fatto ma allo stesso tempo deve avere la possibilità di rifarsi una vita. Ho sentito le sue parole e ho capito quanto fosse pressato dalle aspettative e quanto noi crediamo solo nei risultati assoluti. Le storie dei perdenti non le ascoltiamo neanche, invece anche questo sono le pagine che dobbiamo scrivere".
Quanto alla 'nausea' di Alex per la marcia, la Idem rivela: "A 24 anni volevo smettere. Avevo un allenatore autoritario e non mi piaceva neanche troppo la canoa, ma non volevo buttare via il dono che avevo. Diciamo che all'inizio è stato un matrimonio combinato, l'amore è venuto dopo".
"PATACCA" GRILLO - Prima di uscire di scena, Josefa, tedesca diventata italiana per amore, getta in acqua un ultimo sassolino dalla canoa. "Grillo dice Olimpiadi trionfo del nazionalismo? E' un patacca. Mi dispiace, siamo un Paese che si emozione e tifa, ma questo non vuol dire che andiamo a invadere o fare delle guerre. Inoltre, questa è una nazionale con un alto tasso di atleti nati altrove. Lui coglie i momenti più visibili per dei messaggi che fanno scalpore e avere attenzione".
"MONTI, ITALIA FACCIA AUTOCRITICA"
 - Inevitabile chiedere a Josefa di timori confessati dal premier Mario Monti allo Spiegel per un "crescente sentimento antitedesco in Italia". "Non voglio entrare troppo in questioni politiche - frena Josefa -, ma quando si arriva al dunque bisogna mettersi in gioco e saper fare autocritica". "Quando le critiche le fanno altri con cui si è pensato di condividere un progetto bisogna accettarle - osserva ancora la Idem -. Non prendiamocela con chi ci dice: 'questa potrebbe essere una strada'. Cerchiamo di trarne un'opportunità per diventare più efficaci. Bisogna illuminare le belle cose dell'Italia di cui noi ci dimentichiamo".
"Sono molto felice di essere stata così bene accolta in Italia. Io che vengo da un Paese che viene preso da esempio ho scelto un altro Paese che troppo spesso si butta giù. Non siamo nemmeno in grado di organizzare le Olimpiadi senza che questo diventi un motivo per vergognarsi. Basterebbero poche regole da rispettare e degli obiettivi e avremmo già fatto grandi cose. Alla faccia dello spread, facciamo vedere quello che sappiamo fare".
PETRUCCI: "IMMENSA" - L'ultima parola spetta a Gianni Petrucci, presidente del Coni. "Josefa Idem è stata immensa, è la nostra medaglia d'oro. Ha vinto per sé, per la famiglia e per l'immagine del Paese. Il suo è un risultato straordinario. Lei è la vera novità di questa Olimpiade. Per tutto il mondo". 

 sempre  da  repubblica 


 Delle mille cose memorabili dette da Josefa Idem per congedarsi, condensando in una decina di minuti ciò che da decenni l'Italia non riesce a capire sulla cultura sportiva, ce n'è una che scava ancora di più sotto la crosta delle emozioni. "Ora voglio scrivere storie di perdenti", ha detto con gli occhi umidi e quel sorriso enorme, una malinconia felice, un contrasto di dolcezza assoluta. Storie di perdenti, non di vincenti. E' quando si perde che si affonda nel cuore di chi condivide l'avventura di un atleta: un marito, un papà, un figlio, uno spettatore. Josefa ne ha viste tante di sconfitte, in 35 anni di sport, non soltanto il suo. Sa quanta vita scorre dentro una gara andata male, un oro perso per un centesimo di secondo o un bronzo che se ne va per un voto malvagio. 
Sa quanto possano tremare le mani a uno schermitore, un tiratore, un ginnasta quando sulla pedana o sul bersaglio ci sono quei cinque cerchi magnifici e maledetti. Sa quanto fa male a un lottatore, un judoka, un pugile bruciare tutto nei tre minuti di un match. Sa quanto sia forte la scossa che provoca un fotofinish che ti mette dietro, senza rimedio. Sa cosa attraversa la mente di Liu mentre bacia l'ostacolo che non ha potuto saltare, l'immagine forse più struggente di questi Giochi, un solenne gesto di addio alla sua vita di atleta con i tendini spezzati. 
Ecco, Josefa che tanto ha vinto e tanto ha perso, ora vuole raccontarci perché è bello. Vincere e perdere. Lo sport.

emergenza femminicidi non basta una legge che aumenti le pene ma serve una campaga educativa altrimenti è come svuotare il mare con un secchiello

Apro l'email  e tovo  queste  "lettere "   di  alcuni haters  \odiatori  ,  tralasciando  gli  insulti  e le  solite  litanie ...