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11.6.22

L’ultimo mecenate Giuliano Gori è un imprenditore

da   Altre/Storie - 118.  di mario  calabresi 

Giuliano Gori è un imprenditore visionario che ha dedicato tutta la sua vita all’arte, concependo un nuovo modo di viverla: non più imprigionata in un spazio ma libera di interagire con l’ambiente e la natura. Così sessant’anni fa, a Celle, sulle colline poco fuori Pistoia ha dato vita a uno dei più grandi musei all’aperto del mondo. Un uomo di 92 anni che ho davanti, camicia rossa e bretelle rosse, ha negli occhi e nella voce la stessa curiosità di quando da ragazzino entrò per la prima volta nella bottega di un pittore, dove il padre commerciante lo aveva spedito a fare una consegna, e rapito dalla vista di un paesaggio appena dipinto chiese di poterlo acquistare con i suoi primi risparmi. Era il 1945: «Avevo 15 anni, la guerra era appena finita e io sentivo che eravamo a un bivio: davanti a noi c’era il futuro. Scoprii che gli artisti erano quelli che interpretavano meglio lo spirito del tempo: molti presentavano delle cose astruse, astratte, insomma era un mondo nuovo di cui mi innamorai». Una passione che non lo avrebbe mai lasciato, tanto che quest’uomo, il suo nome è Giuliano Gori, oggi vive in una fattoria con 40 ettari di parco, sulle colline pistoiesi, dove abitano le opere di 74 artisti tra i più prestigiosi del mondo.



Giuliano Gori


Non conoscevo Giuliano e non avevo mai sentito parlare della sua incredibile collezione di “arte ambientata” fino alla telefonata di un amico poche settimane fa, a dire il vero non riuscivo bene a capire e credere a quello che mi diceva: «Un grande museo all’aperto, unico nel suo genere, dove le opere d’arte sono integrate nel paesaggio, ci sono Richard Serra e Sol LeWitt, Burri, Oppenheim, Melotti, Penone…». Mi ha spiegato che si trovava in Toscana, in una fattoria poco fuori Pistoia, e che il suo fondatore era una persona speciale. Poi, per rompere il mio scetticismo, ha solo aggiunto: «Chiama Sandro Veronesi e chiedi a lui chi è Giuliano Gori». Allora ho telefonato a Sandro, lo scrittore di “Caos Calmo” e de “Il colibrì”. «Giuliano Gori – mi ha risposto senza indugi - è quello che tutti gli italiani che hanno fatto fortuna nel secondo dopoguerra avrebbero dovuto cercare di diventare. Giuliano ha seguito l’esempio di tanti come lui, in Italia e in Toscana, nei secoli passati: mecenati che hanno fatto circolare la propria ricchezza per produrre opere d'arte, chiamando artisti da tutto il mondo. Ciò che ha fatto a Celle è unico».
Così sono andato alla Fattoria di Celle a scoprire qualcosa che non immaginavo, un’idea dell’arte che non pensa che lo spazio e l’ambiente siano soltanto dei contenitori di opere d’arte ma, invece, parti integranti dell’opera. Un parco in cui ben 53 opere dialogano con la natura e con il paesaggio, in cui puoi camminare per ore tra alberi e prati in quello che forse è il più grande museo all’aperto del mondo. Prima di partire ho curiosato negli archivi, per scoprire che già nel 1999 il New York Times dedicava a questa folle visione una pagina intera e ho deciso che per prima cosa volevo perdere l’orientamento nel labirinto in pietra a fasce bianche e verdi (come le chiese romaniche toscane), che percorrendolo si immagina sia un quadrilatero ma solo vedendolo dall’alto si scopre che è un triangolo.


L’articolo del New York Times del 1999 dedicato a Giuliano Gori


Il “Labirinto” di Robert Morris


Giuliano Gori mi aspettava al computer, dietro la scrivania a cui si siede ancora ogni giorno, ha cominciato subito a raccontarmi della sua casa di Prato che a partire dalla metà degli Anni Cinquanta trasformò in un rifugio per artisti, scrittori, poeti, scienziati: da Salvatore Quasimodo ad Alberto Burri fino a Rita Levi Montalcini.
Lui era un imprenditore tessile, che ha fatto fortuna con le stoffe e gli arredi per il cinema, ma il suo amore erano gli artisti: «Arrivavano da Milano o da Napoli, da Torino e da Roma, essendo noi proprio al centro si fermavano tutti, venivano a trovarci. Una sera a mezzanotte Renato Guttuso suona il campanello. Rispondo spaventato: “Chi c’è alla porta?”. “Sono Renato”. “Renato, che ci fai qui, cosa è successo?”. “È successo che stavo andando a Milano e mi sono fermato qui”. “Ma io sto dormendo”. “No, tu dormivi”. “Dai, ti apro, sali”. Anche mia moglie Pina si alzò e preparò una spaghettata. Sono ricordi indimenticabili di una vita impagabile».
Mi racconta un mondo che non esiste più, delle trattorie intorno a Brera a Milano: «In via di Fiori Oscuri c’era un ristorante dove andava sempre Lucio Fontana, era un artista straordinario perché non aveva mai soldi ma voleva sempre pagare lui. Ricordo che io insistevo per offrire e il proprietario, visto che Lucio aveva dei conti abbastanza lunghi, lo pregava: “Senta li faccia pagare una volta, almeno una volta”. E lui secco rispondeva: “Non ti preoccupare, stai zitto e segna”». Giuliano è stato uno dei primi ad acquistare un “taglio” di Fontana, i famosi quadri che fecero clamore perché erano delle tele tagliate o bucherellate: «Ero a Venezia, in una galleria sotto il ponte dell'Accademia, quando il gallerista tira fuori un’opera e mi dice: “Ero a mangiare con Fontana e guarda cosa mi ha presentato alla fine del pranzo” e tirò fuori un quadretto con taglio verticale, giallo e fondo nero. Lui era stupito ma io ero rapito e gli chiesi subito di comprarlo. A Prato mi presero tutti in giro, dicevano che ero pazzo, ma io ero entusiasta perché quello era un gesto coraggioso, un gesto che dimostrava che tutto può essere arte».


“Katarsis”, l’opera di Magdalena Abakanowicz


Trenta figure in bronzo, prive di testa e braccia, allineate su quattro file


La casa era sempre più piena di opere ma, alla fine del 1961 dopo un viaggio in Spagna, Giuliano decide che l’arte non deve stare più al chiuso ma deve stare fuori, stare nell’ambiente. «Avevo visto un museo di arte catalana a Barcellona e avevo avuto una folgorazione: portare le opere nell’ambiente. Ricordo che telefonai a mia moglie e le raccontai: “Pina, preparati a ritornare con me a Barcellona perché mi stanno circolando un sacco di nuove idee nella testa. Bisogna cambiare il modo di collezionare!”. Lei mi disse: “Che bello, quanto ti sento felice, ma anch’io ho una bella notizia per te: stiamo aspettando il terzo figlio”. E così, sessant’anni fa, insieme all’idea dell’arte ambientale nacque il nostro Paolo».
Per quasi dieci anni andò in giro per la Toscana a cercare lo spazio giusto dove far crescere la sua collezione, alla fine trovò questo immenso spazio sulle colline sopra Pistoia e cominciò a invitare gli artisti, ma mai avrebbe immaginato che un giorno l’avrebbe aperta al pubblico, cosa che è accaduta invece esattamente quarant’anni fa, l’11 giugno del 1982. «Un giorno chiamai i miei quattro figli e dissi: questa cosa deve essere per tutti, altrimenti non ha senso andare avanti, ma dobbiamo essere tutti d’accordo. Fummo tutti d’accordo e aprimmo il cancello alle visite».
Da allora la fattoria è aperta alle visite guidate, che sono gratuite e si svolgono due volte al giorno (bisogna prenotarsi sul sito).


“Spazio Teatro Celle”, l’opera di Beverly Pepper (1992). Due forme piramidali in ghisa fanno da palcoscenico e le gradinate sono blocchi di tufo in mezzo all’erba che possono ospitare 300 persone


La mappa delle opere presenti nel parco della Fattoria di Celle


Gli chiedo chi sia l’artista che gli è rimasto di più nel cuore, ma non vuole rispondere: «Ma che domanda è? Come se mi domandassi se c’è un figliolo a cui voglio più bene, come si fa?». Insisto e allora un nome lo pronuncia, quello del grande scultore Fausto Melotti, scomparso nel 1986. «Avevamo una grande amicizia e quando io e mia moglie abbiamo fatto le nozze d’argento ci ha regalato una sua opera incredibile: un letto d’argento. Quando lo vidi gli dissi che era matto, che non potevo accettare e allora lui mi scrisse questo biglietto: “Tu lo devi accettare perché non ho trovato nulla di più prezioso per te”».
L’ultima opera realizzata è figlia della creatività di Sandro Veronesi, lo scrittore che ho chiamato per sapere chi era Giuliano: «Tu non lo sai – mi ha raccontato Gori – ma Sandro prima che scrittore è architetto, perché così volle il padre ingegnere, così un giorno lo chiamai e gli dissi: “Senti Sandro, tu sei architetto ma non hai fatto una architettura. Qui a Celle c’è una voliera, unica opera realizzata da Bartolomeo Sestini, famoso poeta della fine del Settecento, che era anche lui architetto per volere del padre. Perché non fai un’opera anche tu?”. Lui ci ha lavorato 16 mesi e ha realizzato la “Serra dei poeti” introdotta da trenta cipressi».


La “Serra dei poeti” di Sandro Veronesi del 2018


Mi parla ininterrottamente da due ore e mi chiedo dove trovi tutta questa vitalità, quale sia il suo segreto: «Ogni mattina quando mi alzo sono sicuro che non ce la farò a fare tutto quello che vorrei. La mia scrivania è sempre piena e guardo avanti, anche il passato ci insegna a vivere il futuro. Bisogna usare bene ogni ora della nostra vita, non sprecare mai il tempo, dare valore a ogni giornata». Fuori dalla sua finestra il sole tramonta, si vede un panorama di colline che arrivano fino a Vinci, e di fronte alla casa una scultura di Robert Morris, che mi accorgo tiene anche sul tavolo: una venere in bronzo del 2012 che ricorda l’inizio dell’arte, le pitture rupestri degli uomini primitivi.


“Venere”, la scultura in bronzo alta tre metri di Robert Morris




Una riproduzione in scala dell’opera di Morris sulla scrivania di Giuliano Gori



"L’arte scuote dall’anima la polvere accumulata nella vita di tutti i giorni". Pablo Picasso

6.8.19

la fine di tutti i guai spiegato da Sergio Cammariere

Cercando un incipit     a post  intervista      a Sergio Cammaniere    mi viene  da  canticchiare  La fine di tutti i guai  che  poi da  il titolo    al suo ultimo  album . Ora        lo  so che  m'ero  promesso    di non citarla    ,  non perchè non sia bella  sia    musicalmente     sia per  il  videoclip  un capolavoro di eleganza, semplicità e originalità ! , in quanto  troppo abusata  a  scapito  dele altre canzoni  in particolare  le mie preferite   : danzando   nel vento , io  so ,  se  conosci il blues  , il  tuo amico di sempre  (  di cui trovaste  sotto  il  video  ) 



Ecco che   finito  di  canticchiarla    ritrovo    l'email con le  sue  risposte    alle mie  domande  . E credo che   bastino    queste    per  il  post    senza  grandi ricami introduttivi . 

1)  parliamo del tuo ultimo disco "La fine di tutti i guai"   uscito lo scorso 10 maggio. Undici tracce che compongono un grande viaggio musicale nei generi e nelle citazioni come  fa  il  tuo  ultiumo  disco  "La fine di tutti i guai" ,  il decimo da cantautore, uscito lo scorso 10 maggio. Come  fa  Un disco un bellissimo  disco    di Undici tracce che compongono un grande viaggio musicale nei generi e nelle citazioni  ad essere  considerato un disco  d'amore     se   dal titolo e  dall'ascolto  del  singolo  fine dei  guai sembra  più  un cd  interiore ? La duttilità che caratterizza questo disco è la naturale evoluzione di alchimie consolidate, a partire dalla storica continuità collaborativa con  Roberto Kunstler, che ha scritto i testi, ma anche da una sapiente chiave strategica perfettamente in linea con i moderni temi dell'ecumenismo interculturale.

2) come sei riuscito a fare una riuscita svolta pop e black, senza tradire l’amato jazz che  ti  aveva   portato alla ribalta a Sanremo 2002 con l'indimenticabile brano Tutto quello che un uomo  ?

La fine di tutti I guai è il mio decimo album da cantautore, ma nel frattempo ho lavorato per il cinema ed il teatro, pubblicando una ventina di colonne sonore e abbracciando tutti i generi musicali. Questo nuovo disco è una sintesi di tutti quei contenuti musicali che appartengono al mio mondo. Ci troviamo le sonorità jazz, i ritmi e le contaminazioni latine, il blues, l’ immancabile 6/8 nel brano “Ma stanotte dimmi dove stai”, ma anche un po’ di country rock e soul. È un disco in qualche modo diverso dagli altri, ma che segue comunque un principio di continuità; alla base sono spinto sempre da una grande curiosità, dalla voglia di sorprendere attraverso gli arrangiamenti dei brani. L’aspirazione e le premesse sono le solite, tutto parte dalle mie composizioni pianistiche 

3) quale testo hai usato di “Io so”, un canto di gioia e di speranza dalle atmosfere pasoliniane, quello  che  avevi suonato nel 1997 al Premio Tenco,  di cui esisteva una versione da studio incisa da Roberto Kunstler ma con un altro testo o   una  nuova  versione  ?

 In tutti questi anni ci ha unito l’amore verso la poesia, oltre che la musica stessa. Insieme cerchiamo di creare delle canzoni che rimangano nel tempo, non pezzi destinati ad una sola stagione, bensì brani che ci auguriamo possano essere ricordati come quelli dei nostri grandi maestri e predecessori. È una nobile ambizione, con “Tutto quello che un uomo” ci siamo riusciti e a distanza di 16 anni dalla sua pubblicazione è uno dei brani più coverizzati in Italia, basta entrare su youtube e cliccare il titolo, vengono fuori migliaia di interpretazioni diverse, anche in altre lingue. Credo che lo scopo di ogni musicista sia proprio questo, fare in modo che le proprie opere siano fruite nello spazio e nel tempo, regalando a più persone possibili un momento di pace e di serenità. In questi anni, spinti dal desiderio che ci accomuna e innamorati dell’endecasillabo, dell’ottonario mascherato, dell’alessandrino, siamo stati molto attenti a non usare accenti errati, evitando le aporie. Trattandosi di musica sappiamo che ogni parola comunque è suono, quindi non ci accontentiamo più solamente di un bel testo, ma vogliamo che i testi delle canzoni suonino al massimo delle loro possibilità. Quando la parola deve stare dentro il periodo musicale, usiamo spesso formule certosine, trattasi di intarsi very e propri. Curiamo le bozze quotidianamente insieme ore e ore su skype cercando la giusta parola che deve entrare in quella specifica misura musicale. Una canzone comunque è fatta di melodia, armonia, tempo e parole. La melodia non è altro che un susseguirsi di note nel tempo una dopo l’altra o di alcune note concomitanti seguite da altre, mentre il tempo scorre. L’armonia è la veste complessiva ed è anche la griglia sulla quale ogni singola nota si appoggia, insieme alla melodia si muove la triade armonica, la prima la terza e la quinta…. L’armonia a volte può avere delle sostituzioni, come accade spesso nel jazz, aggiungendo nuovi accordi…. Le nostre canzoni sono concepite in modo da fornire a chi le risuona la possibilità di fare interventi che cambino l’armonia, il tempo, ma anche la struttura: l’inizio, il centro o la coda del pezzo. Nel ‘ 97 a Sanremo al premio Tenco cantai il brano “Io so”, ma se vai a confrontarlo con il testo che ho cantato ultimamente nell’album noterai che sono cambiate alcune rime e quasi tutte le chiusure delle quartine, è un brano sempre aperto, work in progress.

4) in una recente  intervista https://recensiamomusica.com  tu  hai detto  :  <<  (  ... )   Purtroppo la musica in Italia è finita da quando non ci sono più artisti come Lucio Dalla, Pino Daniele e Lucio Battisti. Nel mio piccolo, attraverso la mia musica, cerco di trasmettere riferimenti e valori a loro affini. >>quindi  vuol  dire  che   non c'è  ormai nessuno\a  che abbia raccolto l'eredità? oppure  qualcuno\a si trova  cercando fuori dai circuiti ufficiali  ?
  La canzone d’autore ormai si rivolge ad un pubblico di nicchia, così come il jazz o la musica classica. Quello che preoccupa sono le nuove mode e tendenze nella canzone pop italica, sempre più lontana dalla tradizione melodica, quella dei Tenco, Modugno, Guccini.

 5) Mi racconti la tua storia con Rino Gaetano?

Eravamo nella stessa casa discografica, la IT di Vincenzo Micocci ed ho scoperto di avere un legame di parentela con lui soltanto dopo la prematura scomparsa. Nella primavera del ‘96, ricordo quel pomeriggio come fosse ieri. Maria, la madre di Rino, mi contattò e mi disse che avrebbe voluto incontrarmi, ci vedemmo per un caffè e mi rivelò che io e Rino avevamo avuto lo stesso nonno, mio padre e lei erano fratello e sorella. Maria Gaetano era figlia illegittima di mio nonno Francesco, per via di quelle articolate vicende che spesso capitano nelle famiglie del sud quando sono troppo numerose. La prima cosa che ho pensato è stata: - allora è vero che la passione per la musica è nel sangue-, poi mi sono tornate in mente le sue canzoni e mi sono accorto di ricordarle ancora tutte, è stato un pomeriggio emozionante, abbiamo parlato di Rino, di quanto avrebbe ancora dato alla musica italiana se quell’alba maledetta non fosse andato incontro ad un destino beffardo. Certamente, lui è stato un precursore dei tempi, una voce fuori dal coro, realista e malinconico, al tempo stesso profondo e auto-ironico. Non per niente canzoni come Gianna o Ma il cielo è sempre più blù sono ancora nella memoria di tutti. Uno dei suoi mitici cilindri, quello con cui si presentò a Sanremo, mi è stata regalato da sua sorella Anna: avrà pensato che quella tuba con me sarebbe stata in cassaforte, ed infatti è così. Rino era un uomo che non cedeva a compromessi, ha scritto canzoni che ancora oggi sono attuali. Avrei voluto conoscerlo ed averlo come amico, per scrivere insieme, ridere e magari tornare ogni estate alla nostra terra e al nostro mare. Una cosa insieme alla fine però l’abbiamo fatta, esiste e si può facilmente trovare. Cercando sul canale Sky on demand il format “33giri master” viene fuori una puntata intitolata “Mio fratello è figlio unico” completamente dedicata all’album di Rino Gaetano. Nel filmato risuono con il mio piano questa canzone sulla voce indimenticabile di Rino.

6) Come si fa a mandare avanti il cantautorato italiano, con le case discografiche che invece spremono come un limone l’artista? Come contemperare questo sistema attuale

Ad un giovane aspirante cantautore potrei portare il mio esempio e dire che per raggiungere l’ obbiettivo si devono compiere sacrifici necessari, nel mio caso ho lasciato la mia terra e pian piano son riuscito a creare una certa indipendenza, non solo suonando ma anche facendo lavori più svariati: dall'aiuto orafo al runner per una agenzia di assicurazioni, dal pianista nei posti più strani al venditore di frutti di mare appena pescati. Fondamentale e, quindi determinante, è vivere alla giornata, senza rincorrere la notorietà, e poi fare la gavetta, quella che mi ha portato prima a suonare in tutti i locali, dalla Lombardia alla Calabria isole comprese, e dopo alla consacrazione. Il successo comunque e qualcosa che si costruisce nel tempo, con l’esperienza, ascoltando quelli più bravi, soprattutto la Musica dei grandi Maestri, con umiltà. 

emergenza femminicidi non basta una legge che aumenti le pene ma serve una campaga educativa altrimenti è come svuotare il mare con un secchiello

Apro l'email  e tovo  queste  "lettere "   di  alcuni haters  \odiatori  ,  tralasciando  gli  insulti  e le  solite  litanie ...