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21.10.24

il ricorrere alla gpa non è solo uno sfizio di coppie lgbt o etero Sotto le bombe in Ucraina per diventare genitore: la storia di Fulvio che con la nuova legge sulla Gpa (oltre al carcere) rischia di perdere il lavoro

 ecco  perchè  come ho già  detto in : <<  sono contro la maternità surrogata \ utero in affitto ma sono anche contro il divieto . sono per la regolamentazione >> dev'essere  regolarizzata  ed il reato universale è  peggio  \  discriminante   cosi
come   non concordo  con le femministe  quando  dicono     : <<  Giorno di festa! Approvata la legge sull'utero in affitto "reato universale" >>  da   FeministPost
Inoltre  sfatiamo  uno stereotpo   cioè quello  che la  Gpa  sia    solo  uno  sfizio   per  coppie  Gay e  etero    che  vogliono   un figlio a  70 anni  o   a tutti i costi , senza    capire  il travaglio   interiore    come    la  storia    soitto  riportata   che  ho preso  da    https://www.open.online  del 18\10\2024




A maggio, a Kiev, partorirà la donna che sta portando avanti la maternità surrogata per lui (dipendente pubblico) e sua moglie. La coppia aveva perso un figlio per una complicazione durante il parto: «Il nostro bambino è morto tra le mie braccia, chi sono questi politici per accusarci di egoismo?»
La gestazione per altri è reato universale in Italia. Ma sono ancora tutte da tarare le implicazioni che la nuova legge avrà nelle vite di padri e madri che vi hanno fatto ricorso. Un effetto, tuttavia, c’è già: «I cittadini italiani che hanno avviato il percorso nelle cliniche di Stati esteri dove la pratica è consentita sono nel panico». Stanno iniziando ad arrivare le richieste di interruzione di gravidanza. «Volevano fare una legge, hanno dato il via a una mattanza». Fulvio è in contatto con diverse persone che hanno scelto la surrogazione di maternità. A differenza di molte di loro, il trentanovenne romano ha deciso di proseguire, nonostante l’inasprimento della norma. A maggio, ci sarà un bambino a Kiev ad aspettarlo. Lo andranno a prendere lui, sua moglie e la loro prima figlia, Gioia, di cinque anni. «Lo dico chiaramente ai politici: è colpa vostra se mi licenzieranno o se finirò in carcere. Però, preferisco essere condannato io che condannare mia moglie a un’infelicità eterna, a toglierle il sorriso».

Fulvio, perché lei e sua moglie avete scelto di ricorrere alla maternità surrogata?

«Tutto è iniziato due anni fa, quando io e mia moglie abbiamo deciso di dare un fratellino a nostra figlia Gioia, che allora aveva tre anni. La gravidanza sembrava perfetta, ma alla fine dei nove mesi, il giorno prima del parto, mia moglie si è sentita male. Provava delle contrazioni all’addome. Abbiamo chiamato l’ambulanza, che è arrivata dopo due ore. All’ospedale San Pietro ci hanno detto che il bambino, Marco, non aveva più battito. È nato con un cesareo d’emergenza, sofferente e con gravi problemi di ossigenazione e probabili lesioni cerebrali. Nel frattempo, mia moglie era in condizioni disperate, intubata e con emorragie interne. Hanno fatto di tutto per salvarla. Intanto Marco era stato trasportato all’ospedale pediatrico Bambino Gesù. Ho passato dieci giorni tra due ospedali».

E dopo?

«Purtroppo Marco aveva una disfunzione multiorgano. I medici, dopo alcuni esami, mi hanno detto che il bambino non reagiva ad alcun stimolo esterno. Con profonda sofferenza, io e mia moglie abbiamo deciso di non andare avanti con l’accanimento terapeutico. La scelta più dura della nostra vita. Le condizioni di Marco erano tragiche, dopo una settimana è arrivata una crisi respiratoria. Da quel momento, per 48 ore, l’ho tenuto stretto a me: Marco è morto tra le mie braccia. Abbiamo fatto il funerale, mentre tutto a casa ci ricordava lui: la macchina più grande per trasportarlo nel seggiolino, la cameretta nuova, la culla. Quando siamo tornati a casa senza bambino e senza mamma con la pancia, Gioia ha cominciato a chiedere dove fosse il suo fratellino. Una scena straziante».

Sua moglie?

«Si è salvata, ma è stato devastante. I medici hanno dovuto toglierle l’utero. Se non ricordo male, il suo problema è stato la rottura della varice posteriore dell’utero da cui è partita l’emorragia. Sono riusciti a lasciarle, però, le ovaie. Dopo quella tragedia, mi sono preso del tempo per elaborare il lutto. Lei ha trovato il coraggio di proporre la gestazione per altri: era l’unico modo per avere un altro figlio. Io avevo pensato all’adozione, ma lei non si sentiva pronta per quel percorso. Così abbiamo iniziato a informarci sulla surrogata e abbiamo visto che in America aveva un costo inaccessibile per noi. Poi abbiamo scoperto che era possibile farla in Ucraina a costi molto più contenuti. Contattata la clinica via mail, ci hanno girato tutti i documenti e ci hanno proposto un contratto più alla nostra portata, utilizzando il materiale biologico mio e di mia moglie».

Ma era già iniziata l’invasione russa.

«Nonostante la guerra, abbiamo deciso di andare avanti. La disperazione e il desiderio di diventare di nuovo genitori erano più forti. In Ucraina c’era la no fly zone. Abbiamo preso un aereo per la Polonia, poi un autobus fino al confine, dove l’aria di guerra la senti tutta, la respiri. Siamo saliti su un treno verso Kiev, pieno di militari con i mitra spianati. Dopo 10 ore di treno, siamo arrivati nella capitale. Lì in stazione ci aspettava un’auto della clinica che ci ha portato in un appartamento, sempre predisposto da loro, dove siamo rimasti tre settimane. Il secondo giorno che eravamo lì, una bomba è scoppiata a due chilometri di distanza: ricordo che è scattato l’allarme e ci hanno fatto nascondere in un bunker. Comunque, abbiamo lasciato il nostro materiale biologico, ma a causa dei problemi di salute di mia moglie, gli ovuli non erano idonei e l’embrione non cresceva».

Quindi il viaggio è stato inutile?

«Io, mia moglie e Gioia siamo rientrati in Italia. Ci siamo presi un po’ di tempo, anche perché stava iniziando la discussione di questa legge, alla Camera, per rendere il reato della maternità surrogata universale. Avevamo paura, per il lavoro e soprattutto per il futuro di nostro figlio. Poi, però, dalla clinica ci hanno prospettato un’altra opzione: usare il mio sperma, che avevano congelato, e gli ovuli di un’ovodonatrice. E ci siamo riusciti. L’embrione, poi, è stato impiantato in una terza donna, come vogliono le regole ucraine. Il primo transfert nella mamma surrogata non è andato a buon fine. Il secondo tentativo, il 23 agosto scorso, sì. Noi, per le norme ucraine, non possiamo conoscere la donna che sta portando avanti la gravidanza. Ma ora sappiamo che c’è una vita nella sua pancia. Tra poco – devono passare 12 settimane – ci invieranno la prima ecografia di nostro figlio. Insomma, stiamo già vivendo questa gravidanza. A maggio, torneremo a Kiev, e ad aspettarci ci sarà nostro figlio».

Arriviamo a oggi. Che impatto ha avuto su di voi la notizia dell’approvazione definitiva della legge che “universalizza” il reato della Gpa?

«Ho seguito in diretta la votazione in Senato. Sentivo i politici dire cose aberranti. Io ci sono stato in quelle cliniche, a differenza loro. Ho conosciuto ventenni che hanno avuto un tumore all’utero e non hanno altra soluzione che questa, per diventare madri. Perché privare queste persone disperate dell’unica possibilità di diventare genitori, che è la cosa più bella al mondo? Nonostante la guerra, la clinica di Kiev era piena di persone che erano lì con il solo obiettivo di donare amore a un figlio. A differenza di quello che descrivono i nostri politici, non ho trovato coppie di omosessuali oppure persone di 80 anni che pretendono di avere un figlio. Nulla era come lo descrivono in Parlamento o nei comizi. E allora io voglio dire ai politici: “Mettetevi nei miei panni, per un secondo. Mi è morto un bambino in braccio e ho solo il desiderio di crescere un altro figlio”. Sono arrabbiato perché sono disconnessi dalla realtà. “Perché non volete ascoltare la voce di tutta quella gente che per disperazione e amore va sotto le bombe pur di avere un figlio?”».

Ha paura, adesso?

«Subito dopo il voto definitivo che ha approvato la legge, ho chiamato mia moglie. Ci siamo domandati: “Come può lo Stato, come possono i senatori distruggere le nostre vite schiacciando un semplice pulsante?”. Subito dopo, però, abbiamo concordato di proseguire il percorso. Quando ti muore un figlio tra le braccia sei pronto a tutto, anche ad andare in prigione. Ma non posso permettere che mia moglie venga condannata a una vita di dolore senza questo bambino. Noi non abbiamo fatto nulla di male. Viviamo in campagna, in un posto bellissimo, e questo bambino avrà tutto l’amore del mondo. Certo è che ora, con la possibilità di multe milionarie e il rischio di carcere, non dormo più sereno. I politici volevano fare una legge, invece hanno dato il via a una mattanza di bambini».

È un’affermazione forte, me la può spiegare?

«La prima conseguenza di questa legge è che i cittadini italiani che hanno avviato il percorso nelle cliniche di Stati esteri dove la pratica è consentita, adesso, sono nel panico. Conosco persone che hanno iniziato a mandare mail alle cliniche per interrompere le gravidanze. Io non dormirò più sonni tranquilli sapendo che mi aspetta un procedimento penale, ma se devo farmi dei mesi in carcere li farò. Preferisco essere condannato io che condannare mia moglie a vivere senza il sorriso. Condannatemi, sono colpevole di avere come obiettivo quello di donare amore a un figlio. Ciò che non mancherà a mio figlio sarà tutto l’amore del mondo. Forse ne avrà più di un bambino nato senza questo tipo di percorso: siamo andati sotto le bombe pur di averlo, è figlio di un sacrificio enorme. E quando qualcosa deriva da un sacrificio, ci tieni ancora di più».

Cosa direbbe ai politici che hanno approvato questa legge e, visto che lavora nella pubblica amministrazione, teme di perdere il lavoro qualora finisca a processo?

«Li inviterei a guardare negli occhi chi, come noi, ha affrontato una tragedia per cercare la felicità attraverso la Gpa. Stanno distruggendo le vite di persone che non hanno fatto nulla di male, persone che vogliono solo essere genitori. Voglio dirlo chiaramente ai politici: “Se la mia vita cambierà radicalmente a maggio, se mi licenzieranno, sarà colpa vostra”. Esistono lavori, sia nel pubblico sia nel privato, dove i carichi pendenti comportano l’allontanamento. Un effetto secondario di questa legge potrebbe essere quello di lasciare le famiglie che hanno fatto ricorso alla Gpa senza fonte di reddito. Molte aziende, anche nel settore privato, nei contratti mettono delle clausole che escludono chi ha precedenti penali. Lo stesso vale per chi vuole partecipare a un concorso pubblico: un giovane di 20 anni che tenta di costruirsi un futuro deve presentare un casellario giudiziale pulito. C’è il rischio che perda il lavoro? Può darsi, sicuramente se subissi un procedimento penale avrei delle difficoltà anche in quell’ambito».

Alcuni sostengono che la Gpa sia una scelta egoista di chi vuole un figlio a tutti i costi. Cosa risponde a queste critiche?

«Egosimo? Io ho tenuto un bambino morto tra le braccia. Noi non siamo egoisti. Siamo persone che cercano di costruire una famiglia in mezzo a un dolore immenso. E la Gpa, per noi, è l’unica speranza. In Ucraina, le donne che fanno le madri surrogate lo fanno in condizioni regolamentate, nessuno le costringe. Non sono disperate, lo fanno per dare una mano e, insieme, ricevono un aiuto economico. Proprio come ci sono donne ucraine che abbandonano i propri figli per venire a fare le badanti in Italia. In America pure lo fanno e non mi pare ci sia una questione di povertà. In Portogallo ci sono presso le strutture sanitarie delle liste di donne volontarie che vogliono fare la gestazioni per altri. Noi siamo andati sotto le bombe di Kiev per amore, non per egoismo».

Gioia, la vostra bimba, già sa che avrà un fratellino?

«Per ora no. Quando Marco è morto, lei continuava a chiedere di lui, a domandarci dov’era. Non è facile spiegare a una bambina di tre anni che suo fratello non c’è più. Le abbiamo detto che si trovava tra gli angioletti. È stato un momento straziante, per noi genitori, doverle spiegare qualcosa che non possiamo nemmeno accettare pienamente noi stessi. Adesso stiamo procedendo a piccoli passi, senza caricarla di troppe informazioni. Le diremo della “cicogna”, quando ci avvicineremo al momento. Questo viaggio che abbiamo intrapreso per avere un altro bambino è stato lungo, difficile, pieno di sacrifici. Quando sarà più grande, le racconteremo tutta la verità, con la stessa onestà con cui abbiamo vissuto questo percorso. Lei è parte della nostra famiglia e del nostro viaggio, e un giorno capirà che questo fratellino è il risultato di un amore e di un desiderio così profondi da non farci tremare davanti alle bombe russe».

Foto di copertina: Pexels | Mart Production

7.7.24

La proposta della Lega per l’abolizione dell’obbligo vaccinale per i bambini contro morbillo, rosolia, parotite e varicella è una porcheria di Lorenzo Tosa

La proposta della Lega per l’abolizione dell’obbligo vaccinale per i bambini contro morbillo, rosolia, parotite e varicella è semplicemente una porcheria populista, demagogica, antiscientifica, ignorante e pericolosa.Questa gente è pericolosa. E il loro nient’altro che il disperato tentativo di recuperare uno straccio di consenso accarezzando la pancia di milioni di analfabeti scientifici e funzionali. Ogni volta che qualcuno ha toccato l’obbligo vaccinale, tutti i dati sulla vaccinazione sono pericolosamente scesi, mettendo a rischio la salute pubblica. Eppure c’è ancora chi gioca sulla pelle dei bambini e sull’ignoranza ( la maggior parte ) dei no-va* per un pugno di voti.Quando pensi che abbiano toccato il punto più basso, loro si armano di pala e cominciano a scavare.


Infatti ha ragione Lorenzo Tosa un conto è quando si tratta di nuovi vaccini , come nel caso del covid , i cui effetti collaterali non sono stati studiati completamente . Un altro è nel caso di uan malattia contagiosa ed infettiva . Mala tempora currunt

12.2.24

Quando la disinformazione è un errore logico

Quando si parla di disinformazione, la prima immagine che viene in mente alla maggior parte delle persone è quella di un post condiviso sui social network, o di un articolo che riporta una notizia totalmente falsa e che fa riferimento a un fatto che non è mai accaduto nel modo in cui è stato raccontato. O ancora, ci si immagina un
contenuto fuori contesto, condiviso in maniera fuorviante e che, di nuovo, riporta un concetto diverso dalla realtà. Ma la disinformazione non è solo questo.   In particolare per quanto riguarda i social media, spesso lo spazio per le argomentazioni dettagliate è davvero poco e quindi capita che gli utenti ricorrano ad argomentazioni semplicistiche, prive di prove a sostegno e basate su ragionamenti errati. Quando si leggono questi post si può intuire che c’è qualcosa di sbagliato, ma è difficile definire bene cosa sia. In questi casi il ruolo preponderante non è giocato da una notizia falsa in senso stretto, ma da quelle che vengono chiamate “fallacie logiche”, ovvero errori nella formulazione di un ragionamento che indeboliscono e invalidano le argomentazioni dal punto di vista logico. Argomenti che sembrano inconfutabili ma che in realtà non provano nulla.  Errori di questo tipo vengono spesso commessi intenzionalmente, nel tentativo di portare avanti ragionamenti deboli o privi di fondamento, ma che possano comunque ingannare chi ascolta – o legge –  e convincerlo che chi parla – o scrive – ha ragione. Sin dai tempi di Aristotele e dell’Antica Grecia, filosofi, logici ed esperti hanno sviluppato metodi per identificare i vari tipi di fallacie logiche, e imparare a riconoscerli aiuta ogni utente e lettore a non cadere nella trappola e distinguere un’informazione valida da una che non lo è. 
L’argomento fantoccio
In questo tipo di fallacia chi parla o scrive fa in modo di rappresentare in modo scorretto l’argomentazione dell’avversario, esagerandola o riportandola in modo caricaturale, anche mettendogli in bocca parole che non ha detto, con lo scopo di confutare in modo semplice la sua tesi. Ad esempio, parlando di “Bologna città 30”, il progetto entrato in vigore il 16 gennaio 2024 e che prevede il limite di 30 chilometri orari per la maggioranza delle strade cittadine, il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Matteo Salvini su X l’ha definita una misura messa in atto per permettere ai cittadini bolognesi di sentire «il canto degli uccellini». 
In realtà la riduzione del rumore per permettere di sentire il «canto degli uccellini» non compare nei documenti ufficiali di approvazione di “Bologna Città 30”, né nell’analisi costi-benefici realizzata per valutare l’iniziativa. Si tratta di una singola frase presente in un sito realizzato dal comune per elencare potenziali vantaggi del piano. Con questo espediente retorico il ministro e leader della Lega ha riportato in modo caricaturale una delle argomentazioni di quello che riteneva l’avversario, cioè l’amministrazione comunale bolognese, tentando di indebolire l’argomentazione attraverso un’eccessiva enfatizzazione di un aspetto secondario.  Ribaltare questa logica, in un caso come questo, non è particolarmente difficile, in quanto è sufficiente evidenziare come quello riportato da Salvini non fosse l’obiettivo principale del progetto, come dimostrano chiaramente i documenti ufficiali. 
Correlazione non significa causalità
Questa fallacia, che viene spesso definita con la formulazione latina “Post Hoc, Ergo Propter Hoc” (in italiano: “dopo questo, e quindi a causa di questo”), attribuisce una causalità immaginaria – ovvero un rapporto di causa-effetto – a coincidenze che sono in realtà casuali, cioè frutto del caso. Questo espediente serve a veicolare il concetto che solo perché due o più eventi sono accaduti vicini, contemporaneamente o uno subito dopo l’altro, allora il primo evento dovrà necessariamente essere la causa del successivo e così via.       
Questo errore di ragionamento è stato (e continua ad essere) molto utilizzato dalla retorica antivaccinista per mettere in relazione alcuni malori con, appunto, il vaccino anti-Covid. Ad esempio, nei primi mesi del 2022 uno svenimento sul palco della comica statunitense Heather McDonald era stato collegato da alcuni post su Facebook alla vaccinazione da lei ricevuta.
I due eventi sono effettivamente avvenuti uno dopo l’altro, ma in realtà il marito dell’attrice, Peter Dobias, ha dichiarato che dal punto di vista medico non era risultata alcuna connessione tra il mancamento sul palco e la vaccinazione anti-Covid ricevuta dalla moglie. La stessa comica, qualche giorno dopo, ha ipotizzato che il suo collasso fosse correlato al non aver mangiato abbastanza prima dello spettacolo e al nervosismo.  Per evitare questo tipo di errore di ragionamento, sarebbe necessario chiedere a chi lo sostiene di fornire una spiegazione del processo attraverso il quale si suppone che gli eventi siano in una relazione causale. Se si dice che A causa B, si dovrebbe avere qualcosa in più da dire su come A ha causato B, piuttosto che limitarsi a dire che A è arrivato prima e B dopo. Oppure, per smontare questo tipo di errore, può essere utile riportare le vere ragioni che hanno causato B, in modo da dimostrare che i due, o più, elementi non sono realmente collegati. 
La fallacia del cecchino texano
Attraverso questo errore logico un’informazione viene interpretata, truccata o manipolata fino ad assumere un significato diverso o soddisfare un’ipotesi iniziale non direttamente collegata a quella stessa informazione. Questo meccanismo permette di distorcere la realtà e interpretarla a proprio piacimento per difendere le proprie posizioni. Il nome deriva da un aneddoto secondo cui un tiratore sparò a caso alcuni colpi contro la parete di una stalla e, in seguito, dipinse un bersaglio in corrispondenza del punto più colpito autoproclamandosi come un cecchino infallibile. Chi utilizza questo tipo di errore di ragionamento parte da dei dati effettivi, ma ne ignora le differenze, accentuando invece le similitudini per confermare le sue ipotesi. Sui social network ciclicamente circola l’immagine di un vecchio titolo della testata Trapani Nuova risalente al 26 giugno 1962, nel quale si legge: “Nel 2000 i telefoni faranno tutto loro”. Questo è accompagnato dal sommario: «Leggeremo i giornali attraverso la rete telefonica e potremo anche servircene per le operazioni di banca».
In realtà, come avevamo spiegato su Facta, l’articolo conteneva la descrizione sommaria di una tecnologia in grado di connettere le persone attraverso la linea telefonica e di facilitare le loro vite in ambito lavorativo e nel tempo libero. Quella descritta nel pezzo è una tecnologia che permette lo scambio di immagini attraverso la linea telefonica, a metà strada tra il fax e una rudimentale versione della rete internet. A una prima occhiata la previsione appare sorprendente, ma basta uno sguardo più attento per contestualizzare meglio lo stato della tecnologia nel 1962 e ridimensionare la portata della previsione. Attraverso questa analisi, infatti, si può capire che in realtà non si tratta di una profezia, ma di un pronostico in linea con le scoperte tecnologiche di quel tempo. Questo esempio, quindi, mette in luce come la fallacia del cecchino texano ci porti a ignorare le differenze nella descrizione e ad accentuare, invece, le similitudini tra quel testo e la nostra esperienza della rete Internet.     
Falsa dicotomia
In questa tipologia di errore, chi imposta il ragionamento offre solo due opzioni possibili, eliminando successivamente una delle due scelte in modo che sembri che ci rimanga solo un’opzione valida. Nella quasi totalità dei casi, però, esiste un’ampia gamma di alternative, variabili e combinazioni, non solo due, e se le considerassimo tutte, non saremmo così veloci a scegliere quella raccomandata da chi ha formulato l’argomentazione. Su Facta ci siamo occupati di questo ragionamento poco logico, ad esempio, in particolare in relazione all’origine della pandemia da Covid-19: da un lato, l’ipotesi di un evento di spillover, ovvero il passaggio diretto del virus da un animale (come pipistrelli e pangolini, ospiti naturali di coronavirus simili a Sars-CoV-2). D’altra parte la possibilità di un lab leak  , ovvero il rilascio accidentale del virus da un laboratorio di ricerca.  Come avevamo spiegato, in entrambi i casi la discussione si è concentrata sull’evento finale che ha diffuso il virus tra gli esseri umani, perdendo di vista però il quadro generale, cioè: che cosa porta virus e altri patogeni finora sconosciuti a venire in contatto con gli esseri umani e a causare epidemie o pandemie? La risposta a queste e altre domande non si trova nella falsa dicotomia che ha monopolizzato il dibattito, ma nello studio e nella valutazione di molti altri elementi, come il rapporto della specie umana con la biodiversità.
Terreno sdrucciolevole
Chiamata anche la fallacia del “pendio scivoloso”, prevede che partendo da un evento si verificherà una sorta di reazione a catena, che di solito si concluderà con qualche conseguenza terribile. Ma non ci sono prove a supporto di questa ipotesi. Chi articola questo tipo di ragionamento afferma solitamente che se si fa un solo passo su questo “terreno sdrucciolevole”, allora si finirà per scivolare fino in fondo senza potersi fermare lungo la discesa. Spesso questo porta a conclusioni affrettate e non realmente collegate all’argomento iniziale.  Un esempio, in questo caso, riguarda una teoria cospirazionista sui cosiddetti “lockdown climatici”. A novembre 2022 il Consiglio della Contea di Oxford, nel sud dell’Inghilterra, ha approvato un progetto pilota per ridurre la circolazione su sei strade congestionate dal traffico che attraversano la città di Oxford. Il progetto inizierà quest’anno, nel 2024, e durerà per almeno sei mesi. A partire da questa notizia, molti utenti, ma anche programmi televisivi come Fuori dal Coro, in onda su Rete4, sono giunti alla conclusione che questo fosse il primo passo per una serie di “lockdown climatici” utilizzati dai governi per «metterci in gabbia per il clima».  
Oltre a questa iniziativa per risolvere il problema del traffico, a ottobre 2022 il Consiglio comunale della città di Oxford ha avanzato una proposta volta a promuovere l’accesso ai servizi essenziali in modo che questi siano raggiungibili a piedi in 15 minuti da tutti i residenti. Il giornalista di Fuori dal Coro e altri utenti sui social sono partiti da queste informazioni per giungere alla conclusione che l’amministrazione della città avrebbe come intento finale quello di confinare le persone in un’area limitata nei dintorni della propria abitazione. In realtà gli interventi dell’amministrazione cittadina non hanno come fine quello di un “lockdown climatico”, ma si tratta proprio di una fallacia logica che ha permesso di partire da un evento e trarre conclusioni terribili che, però, non hanno realmente a che fare con quegli eventi. Queste sono solo alcune delle fallacie logiche spesso utilizzate per confondere chi ascolta o chi legge. Nel 2014 tre creativi australiani, Jesse Richardson, Andy Smith e Som Meaden, hanno ideato un poster che raccoglie 24 tra gli errori logici più comuni, ognuno accompagnato da un esempio, mentre numerosi ricercatori ed esperti studiano da anni questo tipo di ragionamenti ingannevoli. A tal proposito, è sempre importante cercare di capire se quanto si sta leggendo o ascoltando sia realmente il frutto di una logica solida e se il ragionamento sia sensato e coerente, oppure se rientri in uno di quegli errori che non possono far altro che indurre alla disinformazione.

3.2.24

I fatti e la disinformazione sul caso di Ilaria Salis

 di  cosa  stiamo parlando   \  leggi  anche  





In questi ultimi giorni le foto di Ilaria Salis, ritratta  con una catena legata alla vita (che ricorda un guinzaglio) e le manette ai polsi e alle caviglie in un’aula di tribunale in Ungheria, hanno attirato l’attenzione del dibattito pubblico italiano sul caso. Salis, che è un’insegnante italiana di 39 anni, è reclusa nelle carceri ungheresi da quasi un anno con l’accusa di aver aggredito a febbraio 2023 tre persone durante il periodo delle celebrazioni del  Tag der Ehre , “becsület napja” in ungherese, il “Giorno dell’onore” dedicato ai soldati nazisti tedeschi e ungheresi che fino alla metà di febbraio del 1945 tentarono di impedire l’assedio di Budapest da parte dell’Armata Rossa. Il processo giudiziario nei confronti di Salis è appena iniziato, e la sua presunta colpevolezza deve essere ancora provata, ma sui media e sulle piattaforme di social network c’è chi ha già condannato l’insegnante definendola una «
persona che delinque
»     e 
che deve restare
 «in galera a scontare la pena fino all’ ultimo giorno». Questi giudizi frettolosi e approssimativi sono figli anche e soprattutto di un dibattito inquinato dalla disinformazione e dalla scarsa conoscenza del caso che ha coinvolto la cittadina italiana detenuta in Ungheria.

Di cosa è accusata Ilaria Salis
Secondo il 
rapporto
 della polizia ungherese, tra il 9 e l’11 febbraio 2023 a Budapest si sono verificati quattro attacchi durante i quali un gruppo di uomini e donne ha aggredito otto persone, tre delle quali hanno riportato ferite gravi e cinque lievi. Secondo quantoriportato dalla stampa italiana, la prognosi per le vittime sarebbe stata tra i 5 e gli 8 giorni. Per la polizia, tutti gli autori avrebbero utilizzato lo stesso metodo: avrebbero attaccato alle spalle, colpendo le vittime con aste metalliche telescopiche e altri dispositivi, per poi spruzzargli addosso uno spray al peperoncino. Le vittime sarebbero state scelte in base al loro abbigliamento, spiegano ancora le forze dell’ordine ungheresi: abiti che richiamano uno stile militare. A poche ore dagli incidenti sono state arrestate quattro persone: una donna ungherese, due cittadini tedeschi, e una cittadina italiana, ossia Ilaria Salis. L’insegnante è stata fermata nel pomeriggio dell’11 febbraio, il giorno dopo i fatti che le sono contestati, mentre si trovava a bordodi un taxi in compagnia di due cittadini tedeschi e con in tasca un manganello retrattile, riportano diversimedia italiani. 
Secondo
 il padre Roberto, lo «aveva portato con sé per un’eventuale difesa personale» e su di esso non è stata rilevata «alcuna traccia delle vittime». La zia Carla Rovelli 
ha spiegato
 che la nipote si trovava a Budapest perché «ha sentito il bisogno di unirsi» alla contromanifestazione di protesta organizzata dai movimenti antifascisti contro il Tag der Ehre. Questa giornata viene celebrata dalla fine degli anni Novanta da militanti neofascisti a Budapest per ricordare l’impegno dei militari nazisti durante la Seconda Guerra mondiale per fermare l’Armata Rossa. Fino a pochi anni fa venivano organizzaticortei, concerti ed eventivari, mentre ora la polizia ungherese non autorizza più grandi parate a causa del pericolo di scontri e disordine pubblico. Oltre a militanti di estrema destra, infatti, a Budapest si recano annualmente anche gruppi pacifisti e antifascisti che organizzano contro manifestazioni di protesta, con il concreto rischio di scontri tra le due fazioni. Ad oggi Ilaria Salis è accusata dalla procura ungherese di aver partecipato a due aggressioni e rischia un massimo di 24 anni di carcere. L’ipotesi dell’accusa è che abbia agito come membro di 
Hammerbande
, un’organizzazione di antifascisti tedeschi fondata nel 2017 a Lipsia in Germania con l’intento di 
rintracciare e attaccare
 esponenti e militanti fascisti. Gli avvocati di Salis 
hanno  spiegato
 che l’insegnante non risulta fra i membri dell’organizzazione, e il padre Roberto ha dichiarato  a repubblica  di non aver mai sentito la figlia parlarne. Le tre vittime che Salis avrebbe colpito non hanno sporto denuncia, 
in base a quanto dichiarato
 alla Stampa dal padre della donna. Le prove dell’accusa si basano sulle immagini delle telecamere di sorveglianza in cui le autorità ungheresi l’avrebbero riconosciuta, ma gli avvocati dell’imputata 
hanno denunciato
 l’impossibilità di visionare il filmato in questione. Salis, comunque, sostiene di non aver partecipato alle aggressioni, motivo per cui 
ha rifiutato
 una proposta di patteggiamento a 11 anni e all’udienza preliminare del 29 gennaio 2024 si è dichiarata innocente.  

La condizioni carcerarie
Ciò che ha scatenato così tanto interesse sul caso Salis, come dicevamo, sono state le foto scattate durante l’udienza preliminare del 29 gennaio, dove Salis è stata fatta entrare in aula con «un guinzaglio collegato a un dispositivo alle caviglie e uno ai polsi», come 
definito
 da uno dei suoi avvocati, Mauro Straini. Già nel 2018 l’Ungheria 
era stata richiamata
 dal comitato anti-tortura (
CPT
) del Consiglio d’Europa per l’uso inappropriato della manette in determinate situazioni, ad esempio alla vista del pubblico mentre vengono trasferite dalle strutture di detenzione ad altri luoghi come gli edifici giudiziari. Quelle stesse foto sono state utilizzate da una parte dell’opinione pubblica per screditare le pessime condizioni carcerarie a cui è sottoposta Salis. Su X ci sono post che dipingono l’insegnante come in buona salute, sorridente, 
«non sofferente
», che 
«non presenta segni di maltrattamento
». Ma chi era in aula quel giorno racconta una storia diversa. Contattato da Facta, Alessandro Grimaldi, che vive in Ungheria dal 2005, lavora nel campo dei media ed era presente all’udienza, ha spiegato che «Salis ha sorriso perché era contenta di vedere amici presenti» che erano lì a Budapest proprio per il processo. «Sembrava un sorriso forzato, e solo da vicino ti potevi accorgere che era visibilmente stanca», ha aggiunto. Il padre Roberto ha 
più volte
 
ribadito
 che la figlia è «molto forte» e cerca di sollevare il morale dei genitori il più possibile, ma nei primi mesi di carcere ha vissuto in condizioni difficili. Nei primi otto giorni, 
ha  raccontato
 il padre in 
diverse occasioni
, Salis sarebbe stata spogliata e lasciata solo con gli indumenti intimi, e le sarebbero stati dati dei vestiti sporchi e degli stivali con il tacco non della sua misura. Non le sarebbe stato consegnato nemmeno il kit igienico, e in quel periodo aveva anche le mestruazioni, afferma ancora Roberto Salis. Solo dopo 35 giorni dall’arresto l’ambasciata italiana le avrebbe consegnato dei vestiti di ricambio e un asciugamano.Inoltre, in base a quanto comunicato dalla stessa Salis 
in una lettera
 recapitata lo scorso 2 ottobre al consolato italiano di Budapest, per sei mesi non ha potuto comunicare con la sua famiglia. «Il primo settembre (dopo 6 mesi di detenzione) ho ricevuto l’autorizzazione a comunicare con i miei!», ha scritto la donna. Nello stessa lettera, Salis, denunciava le pessime condizioni in cui era detenuta. «Per i primi tre mesi sono stata tormentata dalle punture delle cimici da letto, che mi creavano una reazione allergica. Nonostante le mie ripetute richieste e i segni visibili che avevo anche in volto, non ho ricevuto per tutto il periodo né gli antistaminici né la crema», si legge. Le pessime condizioni di detenzione nelle carceri ungheresi sono da tempo  denunciate  da vari comitati ungheresi, tra cui  Comitato Helsinki Ungherese
. Sulla tematica era intervenuta anche la Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu) che nel 2015 aveva 
condannato 
 l’Ungheria per le gravi violazioni dei diritti dei detenuti. Anche l’Unione europea 
ha espresso
 in passato 
le  sue preoccupazioni
 sullo stato di diritto dell’Ungheria, sottolineando come il governo ungherese abbia messo a repentaglio il funzionamento del sistema costituzionale ed elettorale, l’indipendenza della magistratura e il pluralismo dei media. Anche varie organizzazioni, come Amnesty International, sono intervenute 
denunciando
 il 
mancato rispetto
 dei diritti umani nel Paese, come la libertà di religione, di associazione, il diritto alla parità di trattamento, i diritti delle minoranze, della comunità Lgbt+, dei migranti, dei richiedenti asilo e dei rifugiati. Ilaria Salis al momento dovrà continuare a restare in carcere, dove però le condizioni sembrano essere 
migliorate
, ha raccontato il padre Roberto. Con l’udienza del 29 gennaio il giudice ungherese ha confermato la misura cautelare della detenzione in carcere per Ilaria Salis e ha fissato la prossima udienza al 24 maggio. L’obiettivo dei legali di Salis, al momento, è farla trasferire agli arresti domiciliari in Italia. 

La disinformazione che circola sul caso

In questi giorni sui social network sta circolando un 
filmato
 in cui un uomo viene picchiato da un gruppo di persone a volto coperto. L’uomo aggredito, 
stando
 ai 
commenti
 che si leggono, sarebbe László Dudog, musicista rock ungherese che come 
immagine del profilo
 di Instagram ha il busto di Mussolini accanto a una bandiera della Lazio. A febbraio 2023, nel contesto delle aggressioni imputate a militanti antifascisti, l’uomo aveva dichiarato alla stampa ungherese che gli era stata «spaccata la testa, che poi è stata ricucita in ospedale», e rotto uno zigomo.Tuttavia il video non sembra combaciare con la scena descritta da Dudog per diversi motivi: innanzitutto nelle immagini si vede solo un uomo, e la vittima ha dichiarato di essere stato aggredito mentre si trovava insieme alla compagnia. Inoltre, il filmato ritrae una scena ripresa di giorno, ma lui è stato picchiato in tarda notte. La persona ripresa nel filmato 
sarebbe
 
invece
 T. Zoltàn, un tabaccaio che lavora in un punto vendita vicino a 
piazza Gazdagréti
luogo dell’aggressione
 avvenuta il 10 febbraio, intorno alle 12:30. Secondo quanto riportato dalla polizia il fatto rientra nelle aggressioni legate al gruppo antifascista.Questo non è l’unico caso di disinformazione che circola sui social. Ad esempio, su X vengono accostate due foto (attenzione: si tratta di immagini forti) di un volto tumefatto e di una testa con profondi tagli. Secondo chi ha condiviso il contenuto, entrambe le foto mostrerebbero le conseguenze dell’aggressione a László Dudog. In realtà si tratta di due persone diverse. Una mostra effettivamente Dudog, ma l’altra persona 
è invece
 un cittadino tedesco che, insieme alla ragazza, è stato aggredito davanti al proprio alloggio sempre nel contesto delle aggressioni imputate a militanti antifascisti.Contenuti disinformativi sono arrivati anche da importanti partiti politici italiani al governo. Il ministro degli Interni e leader della Lega Matteo Salvini il 31 gennaio su X 
si è scagliato contro
 l’insegnante accusandola di essere stata presente in occasione di un attacco al gazebo del partito italiano Lega Nord nel 2017, a Monza. In realtà Salis non ha partecipato agli attacchi al gazebo della Lega, come stabilito dal processo avviato in seguito a quei fatti. La giudice Maria Letizia Borlone il 1° dicembre del 2023 
ha infattiaccolto
 la richiesta di assoluzione avanzata sia dalla difesa che dal pubblico ministero, spiegando che «la mera partecipazione al corteo senza partecipazione o istigazione all’azione delittuosa non può costituire un’ipotesi concorsuale neanche morale». Inoltre, risulta che Salis all’epoca avesse addirittura tentato di fermare l’attacco al banchetto, come si può vedere in un 
filmato
 e come scritto dalla giudice nelle motivazioni. Ilaria Salis mise «il braccio dietro la schiena ad un giovane che aveva appena buttato a terra la bandiera leghista, come ad invitarlo a proseguire nel corteo», ha scritto la giudice.Le dichiarazioni di Salvini non sono passate inosservate, e il padre Roberto Salis 
ha dichiarato
 di aver deciso di querelare il leader della Lega «a seguito delle dichiarazione lesive» della reputazione della figlia «per quanto riguarda il presunto assalto al chiosco della Lega a Monza».


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