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4.10.14

il giorno di dolore che ciascuno ha . credere o non credere alle coincidenze

Ogni volta    che  trovo una canzone  o  un film per  descrivere  certe situazioni come quella  che trovate  sotto  mi pongo la  stessa  domanda del titolo  .

L'origine  di questa  mia  elucubrazione inutile  è  il  collegare  a questa  triste vicenda   dell'amica    facebookiana  


Oggi mio figlio ha compiuto trent'anni. Da qualche anno, undici per l'esattezza, questa data mi riporta alla mente dei ricordi che non riesco a scacciare. Era il 2003, appunto, e io stavo distesa sul letto dell'ospedale in procinto di iniziare il quarto ciclo della chemio. Era la prima parte, durava circa tre ore, ma quella mattina le mie vene avevano deciso di non collaborare. Le infermiere si alternavano, finalmente una di loro ha l'idea giusta: usare un ago sottile. Bene, si va, durerà il doppio del tempo ma si va. Pensavo a mio figlio, era il suo primo giorno all'università, che emozione! I due letti a fianco al mio vengono occupati da diverse persone, tutte con trattamenti di breve durata. Finalmente due visi conosciuti: una è una suorina, molto anziana, magrissima, benvoluta in tutto il reparto. L'altra è una mia ex collega, da tempo in pensione, che da qualche anno esercitava la funzione di Giudice di Pace. Che chiacchierata, il tempo era volato. La suora era stata la prima a morire, poi se n'era andata anche la mia collega. Il secondo ricordo è di un altro 2 ottobre, 2007. Ancora in ospedale, questa volta per la visita di controllo. Mi sento chiamare. Era un alunno di alcuni anni prima, con sua madre. Povera donna, speravo si trattasse di lei, ma il ragazzo aveva quello sguardo da animale braccato che avevo imparato a riconoscere. "Professoressa, mi sono guastato". "Mi sono guastata anch'io, ma qui ci rimettono a posto". Era un ragazzo allegro, niente feeling con l'inglese, ma bastava un'espressione del suo viso mobilissimo per farmi ridere. Andato via anche lui, poco più di due mesi dopo, qualche giorno prima di Natale. Chi mi conosce da più tempo lo sa: a lungo ho rifiutato l'idea di essere sopravvissuta alle tante persone care che ho visto andar via in questi anni e solo da poco sto imparando a perdonarmi. Scusate lo sfogo, vi voglio bene 

con

 questa  canzone  che poi  è anche  la  colonna sonora  del post  


e  con questo libro  






18.1.14

il dolce e l'amaro [ come lenire il dolore )

 ti potrebbero tornare utili visto che   ossessione e  dolore  sono collegati






Alcuni lettori    mi chiedono ,  dopo aver letto il mio precedente  post combattere  o arrendersi ?  una  terza  via  lasciare fluire il dolore  come faccio e  come fare   a lenire il dolore   .
inizialmente  ero tentato di non rispondere  per  evitare  di passare  come un cattivo maestro ed evitare strumentalizzazioni  o di  rispondere in maniera   che può essere  considerata  ovvia e scontata  con  questa frase   e relativo video   di giovanni lindo ferretti





"La vita umana non dura che un istante, si dovrebbe trascorrerla a fare ciò che piace. In questo mondo fugace come un sogno viver nell’affanno è follia. Ma non rivelerò questo segreto del mestiere ai giovani; visto come vanno le cose oggi potrebbero fraintendermi". ( Dall'album "noi non ci saremo, vol.II", unica versione con il seguente prologo ) 
Ma poi  ho pensato che  forse  è meglio  fare  come ( salvo il corsivo fra parentesi che  è mio  )  suggerisce nel finale  di questo articolo  http://virginpunk.wordpress.com/2014/01/13/godersi-la-vita-non-significa-oscurarla/    la  compagna  di strada  virginpunk
ciò che scrivo [ quando parlo direttamente di me ] nei miei articoli sono parto del mio personale pensiero, non corrisponde né voglio farlo passare come verità assoluta.


eccoci  comunque  alla classica  domanda  come  lenire il dolore  ?
Ogni uno  ha  i suoi metodi   io non ne ho uno preciso  lascio che entri ed  esca  da solo .infatti generalmente  mi succede  che  entra  ed  esce  senza  che io debba combatterlo  o lottarci troppo  . Altre  volte uso questi sistemi
1) non pensarci , perchè  più ci pensi più  esso fa male  ed  aumenta
2)  vederlo  come qualcosa  di necessario cioè come la scena  clou  del film il  dolce  e l'amaro





  o come qualcosa  ( a volte  )   di costruttivo  per  andare  avanti

3) pensare  ad  altro  : a) momenti allegri , quello devi fare  nei giorni successivi  , ascoltare  musica , leggere,  vedere  gente  , camminare  , fare attività fisica<      come  una semplice  camminata  \  esccursione  , ecc
4)) tisane ed  infusi

Bastano 5 minuti per preparare una tra le tantissime tisane rilassanti esistenti in commercio, e un’altra manciata di minuti per godersela. Quello della tisana rilassante dovrebbe essere uno spazio quotidiano di rilassamento, che fa parte della cura di séUno spazio in cui, insieme al liquido che entra e scende nel nostro corpo, se ne vanno, lavati via, pensieri negativi e aspri, ci si concede una tregua e un risposo da tutto quanto ci gira attorno per entrare un po' in noi stessi.  Ecco perché sono così importanti le tisane rilassanti. qui come sceglierle


 ecco una mia   preferita  

 qui ulteriori  siti 

6) Le  droghe  
 ci sarebbero anche  ma   sono solo dei palliativi  , ed  effimeri  contro producenti  se  in eccesso per la salutee la psiche    .Infatti io non gli sto più usando . Alcool  e  Droghe ( quest'ultimo non è il mio caso o almeno non più )


7) con la meditazione . 

Infatti Le tecniche di meditazione sono effettivamente in grado di indurre notevoli effetti analgesici: lo attesta uno studio condotto Wake Forest Baptist Medical Center Meditation i cui risultati sono pubblicati in articolo sul Journal of Neuroscience. qui   sotto uno degli esercizi classici 




























con il  tempo il dolore si allieva, e noi ci abituiamo a sopportarlo. E' un po' come certi  dolori fisici che non se ne vanno mai : col tempo riesci ad abituarti a questo dolore tanto da poter affrontare la giornata. Non dobbiamo però dimenticare che ci sono delle persone che, a volte, possono considerarsi veri e propri antidolorifici.


2.1.14

esempio della farfalla

in sottofondo  


ecco come vivere la vita \ opera d'arte e farla bastare << la farfalla non conta gli anni, ma gli istanti per questo il suo breve tempo di vita le basta >>( proverbio  del Sudan )  senza fare uno di droghe ed allucinogeni o cercare d'evadere continuamente . 

2.6.13

i miei sogni ed i miei dubbi

quello che  non so   dire  o scrivere lo esprimo in musica  o  con parole d'altri  




Infatti  : <> ( Kahlil Gibran )  questa frase  può essere rapressentata  da  due canzoni  la prima  
 

la seconda  



lo  che molti mi diranno  che sono  un sognatore  \  un uomo pieno di  dubbi . Ma  chi lo dice  che  i dubbi  non sono costruttivi e  ti permettono d'andare  avanti  ?  a  volte  servono  e  t'aiutano  .
Infatti << Ogni volta che hai dei dubbi, o quando il tuo io ti sovrasta, fai questa prova.Richiama alla memoria la faccia dell'essere umano più debole che hai visto, e domandati se il passo che hai in mente di fare sia di qualche utilità per lui.Ne otterrai qualcosa? Gli restituirà il controllo sulla sua vita e sul suo destino?In altre parole, condurrà alla libertà milioni di persone affamate nel corpo e nello spirito?
Allora tu vedrai i tuoi dubbi e il tuo io dissolversi. >> ( testamento di Gandhi ) .





24.2.13

anche le suore giocano a calcio il caso di Suor Maradona a Castellammare di Stabia presso l'Acqua della Madonna

 Cazzeggiando in rete  in particolare  su  youtube trovo questo video  di  http://www.youtube.com/user/fra1585 e messo qui tramite donwloadhelper

 

Avviene a Castellammare di Stabia, terra di campioni dello sport, che tutti ma proprio tutti si cimentino col pallone! E così, può capitare di vedere all'opera una suora che stoppa palleggia e tira bordate verso una porta dipinta sul muro del convento, dove un bimbetto inerme tenta la parata.. Suor Maradona si allena a Via Benedetto Brin nella piazza che ospita le cannelle dalle quali sgorga l'Acqua della Madonna e qualcuno parla già di miracolo.....

27.4.12

l'inverno è finito ( ? ) è arrivata la primavera ( ? )

Ogni.inverno e' un anno che passa..e poi l'estate ..breve,poi l'autunno,e dunque ancora l'inverno ..lungo e freddo  e questa   è la  vita  . Una poesia di  ( foto sotto a destra ) Francesco Masia





 



tratta dal suo spazio di facebook
 è nato a Tula un piccolo centro del Logudoro dove attualmente risiede, è sposato con Graziella.
Appassionato di poesia e letteratura sin da ragazzo, dovette abbandonare presto gli studi per dedicarsi al lavoro negli anni 70 per neccessità contingenti ma, continuando a studiare per suo conto.
La passione all'associazionismo lo porta a ricoprire i massimi livelli dirigenziali in un'importante associazione imprenditoriale; Presidente Provinciale, dirigente Regionale e per 10 anni dirigente Nazionale.
Nel 2004 è colpito da ischemia acuta e gli viene riscontrata una forte cardiopatia, pertanto costretto all'infermità, ed i medici ne consigliano l'assoluto riposo.
Con seri problemi è soggetto a continue ricadute. I ricoveri sono frequenti e spesso operato in reparti specializzati.
Oggi con piglio si dedica più assiduamente a quanto da giovanissimo abbandonato, mettendo a frutto le sue esperienze nel campo del lavoro, dell'impresa, del sociale, sindacale e associazionistico:
Nel 2007 la Magnum Edizioni pubblica una silloge composta da 80 liriche dal titolo "TRIBULIAS";
Nel 2009 la Cirronis Edizioni pubblica uan silloge composta da 130 liriche dal titolo "ISTINCHIDDIAS E BUTTIOS";
Nel 2010 la Riflessione Edizioni pubblica una silloge in Italiano con 32 liriche dal titolo "CANTI, PIANTI E RIMPIANTI";
Nel 2010 La Magnum edizioni pubblica il racconto-romanzo dal titolo "disFAIDAnte";
Oggi è in itinere da parte della riflessione la pubblicazione di una silloge composta da 52 liriche in Sardo con traduzione a lato dal titolo "BOGHES A BENTU" - "VOCI AL VENTO".
I suoi scritti parlano di situazioni e stati d'animo partendo dalla sua infermità passando per le sofferenze altrui, le guerre, la disoccupazione, l'ambiente, i sacrifici, le gioie e gli affetti.

24.3.12

Parole di Ernesto


Dice Ernesto che il pullman della gita scolastica lo vede come un grosso toro. La facciata è il muso, gli specchi retrovisori le corna. E lui lo cavalca come nelle antiche avventure, adesso che s'immerge negli ori di Ravenna, in tutto quel blu. A Ernesto il blu piace molto: lo affascina forse più del toro al quale, a sua volta, preferisce il bisonte, più selvatico e meno "toccato" dall'uomo. Al verbo "toccare", Ernesto si rattrappisce nel suo piccolo immenso corpo indifeso.

E appunto la sua storia preferita è quella del bisonte blu. Storia, non leggenda, storia vera, indiana. Si chiama bisonte blu perché visibile solo al buio e ha il colore del cielo notturno. Chi lo cavalca vede tutto l'universo e non ha bisogno di mangiare né bere.

Ernesto si tuffa nei mosaici ravennati con una naturalezza stupefatta. E' il suo mondo, lì ritrova tutte le sue lune. L'hanno diagnosticato sapiente autistico. Lui è solo lui. Al tempo stesso innocenza ed espansione.

Dice Ernesto che preferisce l'inverno per la neve bianca e celeste come il latte. Ernesto è spirituale e fisico, sa di acqua e frumento. Fiorisce nel sole.

Dice Ernesto che un'uscita didattica come questa non la dimenticherà mai. Tiene a mente tutto, rivive negli splendori bizantini, plana sulle vaporosità padane, la mobile fissità orientale. Ed è puro. Di animo, di pensieri, di amicizie. E' selettivo. Oh, toccare. Gli piacerebbe tanto ma non tutto insieme e non indiscriminatamente. Il corpo non è spreco. Per questo il verbo lo spaventa, con l'istintività d'un animale selvatico destato dal suo sogno primordiale. Un sogno senza civiltà né possesso.

Ernesto è messaggero d'un Eden che oggi rivive solo nelle metafore del linguaggio astrale, negli occhi silenti, nella contorsione bianca delle mani. E' un primordio cresciuto fuori tempo. Senza lancette. Aurora in attesa d'un nuovo mattino.

23.2.12

Definitivo


Lui travalicava i muri. Lo poteva fare con l'eccesso cromatico delle parole, con quegli assoluti propri della gioventù. Con qualche vezzo, anche. Romantico, decadente. Una nuvola rock. Suonare in una band, giocare a calcio, come milioni di altri ragazzi cui mancava una domanda. La sua vasta casa era la città, il giardino pubblico. E oltre. Un viaggio spericolato e morbido, le vette innevate, le isole calde dell'India. Solo lì, inconsapevole, poteva fissare il sogno scarlatto dell'eternità, quell'appagamento mai sazio di sé. Lei era tutto, la tenera esploratrice dei desideri più reconditi, e l'amava sconsideratamente. Era la mèta raggiunta, che non si stancava di contemplare. Ma già la superava, con l'agilità sfuggente dei cerbiatti, un che di selvaggio e d'imprendibile, mai del tutto convinto, sempre sicuro e veloce. Ignaro e gracile dei suoi pochi anni, figlio dorato della fortuna.

5.2.12

Celtis al tramonto


Una morte annunciata. Forse, un'eutanasia. Il bagolaro di via Tagliabue a Bresso, incrocio strano e maestoso fra due sensi di marcia, verrà abbattuto a giorni, e il Comune ha già affisso un necrologio sul suo tronco snello, inutilmente svettante.

Preferisco il nome latino. Mi ricorda uno strumento musicale. Anche se quello italiano gli si addice di più: il celtis è un albero spontaneo, d'una bellezza sbadata, come un ragazzone ciondolante. Esiste da sempre, è "la pianta" per gli abitanti del quartiere. Sta per morire a causa d'una malattia che lo corrode dall'interno, lasciandone intatto l'aspetto esteriore. Forse un vischio pascoliano. E' già monumento di sé stesso, corteccia cava. Un albero muore solo, senza un lamento. Testimone paziente dei nostri giorni, radicato nella terra e protratto nei cieli. Il celtis è albero umile. Sopporta lo smog, si adatta ai terreni aridi, assorbe le strida dei fanciulli, l'incedere ingobbito dei vecchi, il frullo dei passeri. Ora se ne va, nel gelo d'un sole intirizzito, lucente, azzurro, portandosi via i nostri muti segreti, una familiare lentezza di borgo. Addio, amico. Il tuo silenzio ci teneva compagnia, era respiro.

22.10.09

Anche senza di te









Non hai nemmeno detto basta.
Ti sei lasciato vivere,
trascinato da rutilanti feste,
ubriaco di te e della tua vanità.

Hai ignorato,
sbadatamente,
le tranquille corse del cuore,

mi hai confinata
in bigi stracci di tempo,
in autostrade sfilacciate,

in rigagnoli immoti,
sanza cura, senz'affanno,
nella smemorata quiete
dell'indifferenza.

Hai ucciso
il miracolo del giorno,
fragile guscio d'uovo
che le tue mani hanno profanato.

Non così, non così ti volevo.
E, anche se non ci sei,
anche senza di te,
io ora vivo.

Daniela Tuscano

29.9.09

La notte nera

Questa notte una ragazza ha urlato. Indossava un maglioncino rosa, e la solita acconciatura fuori moda per tenere in ordine i capelli troppo lunghi. Questa notte una ragazza ha urlato perchè qualcuno, nel silenzio della città addormentata, le ha puntato contro una pistola. Una ragazza ha urlato, e chi lo sa in quanti l'hanno sentita. Chi dormiva, chi nella sua insonnia ha preferito tenere gli occhi chiusi. E le orecchie spente. Quella strada sembrava così più silenziosa del solito, come avvolta da uno stato comatoso, surreale, grottesco, crudele. E' la ragazza della Città Senza Giustizia. E' la ragazza della Città Senza Cuore. E guardando negli occhi quella pistola ha visto il proprio corpo disteso sull'asfalto, davanti ai suoi occhi. Ed ha temuto, ha perso la speranza. Per la vita, propria e del suo compagno. E chi può dire che cosa abbia pensato in quel momento. Ha detto no, per favore, no. Ha detto Dio, non può essere vero. Non qui. Non ora. Non può essere vero. Oh Dio, oh Dio, oh Dio. Non togliermi tutto ciò che ho. Questa notte una ragazza ha urlato, e chi lo sa in quanti l'hanno sentita. Nessuno, in ogni caso, l'ha ascoltata.


Questa notte, questa notte ho urlato. Indossavo un maglioncino rosa, e la solita acconciatura fuori moda per tenere in ordine i capelli troppo lunghi. Questa notte ho urlato perchè qualcuno, nel silenzio della città addormentata, mi ha puntato contro una pistola. Ho urlato, ho urlato perchè qualcuno mi sentisse. Perchè qualcuno accorresse, perchè qualcuno mi salvasse.


Dormivano tutti. Nessuno si è svegliato per me. Per me, per noi, per ogni ragazza che urla, per ogni ragazzo schiacciato dall'impotenza, dal terrore. Per ogni bambina smarrita. Per me, per noi, nessuno si è svegliato.


La mia speranza è morta. E' morta, morta, morta.

24.7.09

Incendi in Sardegna

L'argomento del post d'oggi avrebbe dovuto essere un altro , ma lo riproporrò prossiamente , ma le news sui fuochi ( sotto il  telegiornale sardo di videolina  d'ieri ) 





e gli incubi notturni che ne sono derivati mi hanno riportato alla mente quello ( di curraggia nella mia cittadina ) e a quell'anno che fu da quel poco che ricordo ( elicotteri e aerei quotidiani ) terribile per tutta la sardegna  come dimostra  il video soto riportato 
IMMMAGINI CRUDE ED AD ALTO IMPATTO EMOTIVO




si tratta del trailler \ promo del documentario CURRAGGIA una ferita ancora aperta di Gianluca medas presentato a tempio 28\7\2007 da L'ASS.FOR. ONLUS (Associa
zione dei Forestali della Sardegna http://www.28luglio.eu da cui  è tratta la locandoina qui a sinistra   ) che organizza l'attività del progetto INTERREG III C OCR Incendi sottoprogetto "Sensibilizzazione degli scolari e del grande pubblico",la Prima giornata europea di sensibilizzazione contro gli incendi boschivi. dagli incendi d'ieri sembra che la lezione del 1983 non sia servita a niente . Pproprio ora  iniziano  a  sgorgare le  lacrime  agli occhi  ripensando  a  quei giorni di lutto e dolore soprattuto per delle morti i che , qesto da quello che mi hanno raccontato la gente vedendo il pericolo e i blocchi stradali si sono voluti a tutti i costi avvicinaare chi in buona fede per aiutate chi per per curiosare .., se  il comune  allora  come oggi  pulissse bene  ( invece di limitarsi solo alla zona del monumento  \  cippo  dedicatoaai caduti  )   tutta la panoramica e  la  gente  la smetta  di fare l'indiferrenziata  a c...o  e  i vigili controllino meglio e multino   gettando  plastica   e  carta  e altre materie  pericolose in tale  luogo  . Infatti   ricordo   e ho sentito raccontare da suspertiti  e feriti   \ mutilati  che  l'aria   era irrespirabile perchè  il fuoco  brucio tali materie  , e  che  non si riusci ad  individuare  e  a  soccorrere in tempo le persone  per ui sudetti motivi   . Ricordo  ancora  ( nonostante  avessi  7 anni  all'epoca  , ma certi ricordi rimanggono indelebili  )  :   ciò che vidi   durante  la veglia   a tappe    lungo al panoramica  4 \7 giorni dopo  sul luogo  dell'incedio .,  la nostra   attività quasi interamente distrutta , e senza fondi regionali ( risarcirono solo chi aveva perduto bestiame e non serre ) dovemmo rincominciare da capo ., le  lacrime  e la tristezza dei miei  .,  Le ferite sui corpi  sdei sopravvisuti (  vedere  l'url    della trasmissione di videolina  )  che  vedo   ogni volta   che l'incontro in paese  . .,  gli alberi piantati dale scuoel    verso  ottobre \ novembre    doi quell'anno per  ricordare i amrtiri    e  che ogni  goiornoi   mi ritrovo  quando    vado a correre \  cammianre lungo la panoramica   il racconto  su  tale evento di Simone Olla   che riporto  sotto ( ringrazio  antonella Mu  mia amica  di fb   per  avermelo fatto  riscoprire  ) ., E i ricordi indiretti citati prima  .
 concludo questo post  dedicandolo  a morti   di currraggia  28 luglio 1983 eccone la  storia   dell'evento  tratta     dal sito  più volte  citato  oggi

E' già da diversi giorni che il furore del fuoco sospinto dal maestrale imperversa in varie località della Gallura (Viddalba, Aggius, Trinità d'Agutlu, Aglientu, Luogosanto, Bortigiadas) attaccando la collina di Curraggia a Tempio Pausania. Il bilancio è catastrofico, muoiono: Salvatore Pala, 40 anni, maresciallo del Corpo Forestale; Diego Falchi, 43 anni, maresciallo del Corpo Forestale, Mario Ghisu, 35 anni, operaio forestale; Tonino Manconi, 50 anni ex segretario comunale di Aggius e Bortigiadas; Tonuccio Fara, 36 anni, muratore; Claudio Migali, 37 anni, vigile urbano; Luigi Maisto;24 anni, operaio tessile; Sebastiano Visicale, 32 anni, impiegato; Silvestro Manconi, 44 anni, muratore. Il bilancio finale è disastroso: sugli oltre 18.000 ettari di territorio incenerito si raccoglieranno le salme di 9 uomini, e tra i quindici feriti iniziali che si recheranno in ospedale, 5 di questi riporteranno gravissime ustioni, amputazioni in parti del corpo e traumi psicologici difficilmente riassorbibili. Tra gli eroi di Curraggia ci sono anche loro: AZARA ANTONIO; BISSON VANNI; FORTELEONI ANTONELLO; MARCHESI MARIO; SOTGIU GIUSEPPE.

 per approffondire
IMMMAGINI, PAROLE   CRUDE \ DOIRETTE  ED AD ALTO IMPATTO EMOTIVO

la celebrazione del 2007
 
http://www.28luglio.eu/Menu.php?menu=4322

il  racconto   di Simone Olla

Curraggia 1983
Scritto da Simone Olla
sabato 09 dicembre 2006

Brucia dentro perché è una colpa. Brucia se te ne accorgi, se ricordi il fuoco quando era bianco non ancora imbevuto di sangue. La notte, fuori, porta i segni della morte. Il vento racconta ciò che tutti hanno visto, anche lui complice del massacro. A me invece il compito di scrivere, a me che non ho visto, codardo, chiuso in questa stanza lontana dalle fiamme.
Hanno bussato forte che sentissi le loro grida. Le scale a quattro a quattro per arrivare in fretta sul portone che domina la valle.
«Aiuto, acqua, il fuoco. Aiuto.»
E io chiuso, accovacciato sul letto, le lenzuola fino al collo. La porta suona il grido disperato di chi vede la morte in faccia e le braccia sudano fango mentre si distendono per chiedere aiuto. Morte calda che fa cenere alta e fumo per lacrime che non vogliono cadere. Tossire e bussare a tutte le porte e correre, correre, mentre la pioggia di cenere volteggia nel cielo strisciato di scuro. Bruciano i rami secchi, le foglie cadute, il giallo sparso e i campi incolti che nessuno più degna di attenzione. Non c’è scampo per le vigne grondanti grappoli pieni. Non c’è scampo per lecci e querceti e carrubi che strepitano al suono di ghiande scoppiettanti, ma non è un suono di festa. Brucia la macchia bassa, il mirto e il lentisco e il corbezzolo. Su zinnibiri guarda i secoli che l’hanno attraversato. Il fuoco pieno di sangue galoppa su questa valle aiutato dal vento. Raggiunge gli ovili, e le bestie ingannate non hanno scampo. I pastori si bruciano le mani, hanno frasche sottili irrise dal gigante imbizzarrito.
«Aiuto, acqua, il fuoco. Aiuto.»
I visi rossi di calore tornano a bussare, agitoriu. E le grida disumane banchettano nella fortezza che mi chiudo attorno, alta sopra Curraggia che muore. Scappate! Queste sono fiamme che non perdonano i distratti. Le sirene non bastano, non possono, come un elastico indietreggiano dopo aver liberato acqua che non bagna. Il fuoco vince e galoppa e cinge d’assedio le case. Lecca i muri bianchi con il nero di un pittore crudele.
«Aiuto, acqua, il fuoco. Aiuto.»
Scappate, non è tempo di eroi, gli ultimi sono stati inghiotti, travolti dal destriero infuocato. Nemmeno domani si accorgeranno di voi. Nemmeno domani i giornali canteranno il vostro nome, forse un fiore in questo deserto di cenere. Entrate nelle case, ognuno nella propria, e ricordate quando il fuoco era bianco e non bruciava, quando l’acqua alimentava le sue lingue senza spegnerlo. Entrate nelle case e chiudete le imposte così che non si vedano sui vetri le impronte delle mani bruciate

  alla prossima  con un più allegro

12.7.09

Foto di gruppo

Chi cerca trova: e noi, la natura, la sappiamo trovare, anche ai bordi di Milano. Si tratti della vezzosa villetta di Marie Teresa, in quel di Redecesio, o del Bosco in Città dove abbiamo presentato la Marcia Mondiale per la Pace e la Nonviolenza e organizzato una sontuosa grigliata (complimenti ai nostri chef Alberto e Silvia), riusciamo ovunque a ritagliare spicchi di colore. Il merito? Dell'amicizia e dell'entusiasmo che ci unisce. Ricette utili in ogni stagione.

Da sinistra: Marie Teresa, io, Roberto, Alberto, Michele, Silvia ed Elena a Redecesio.







A fianco: sempre noi, in ordine sparso.












Da notare la mia capigliatura alla Michael Jackson quando si esibiva coi Jackson 5...
















Bosco in Città: un insolito (e alquanto insicuro) mezzo di locomozione per Silvia...














Roberto si protegge dal fumo della carbonella con improbabili occhiali da sole stile-Patty Pravo.














Non è la fucina di Vulcano, ma Alberto... alle prese con lo spiedo.













Il frutto della sua fatica...















...è ampiamente ripagato dall'apprezzamento degli ospiti!
















Cristina: urp!...



















Clelio in una moderna versione del Déjeuner sur l'herbe, ribattezzato per l'occasione.





Chiudiamo in bellezza...












Grazie ragazzi! Après le repas



Daniela Tuscano

10.5.09

Senza uomini


Non destava impressione più di tanto, ieri, il raffronto in Quirinale tra le vedove Pinelli e Calabresi. E alludo alla loro fisicità, al diverso modo di essere donne. L'una severa, quasi asessuata, d'una compitezza rigorosa che ne rifletteva la verginità intellettuale. Quasi un'antica scolara, fissata in uno scatto senza tempo, non fosse stato per il baluginio guizzante degli occhi scurissimi. L'altra scintillante, decisamente bella ma d'una bellezza non sonora, piuttosto asciutta e regale, d'una perduta essenzialità lombarda. Non due mondi, bensì due monde: perché femminili e perché nette, linde, trasfigurate, solenni nella semplicità dei gesti, emergenti sul formicolio scomposto e insensato dei piccoli uomini violenti. Che è bene stiano fuori, da queste monde e dall'oggi, solo nostro. Le donne, pur lontanissime, si ricongiungono sempre, riallacciano il filo d'un linguaggio, quello dei gesti e dei fiati, ignoto alla cifra maschile. Che, infatti, lo ha sempre cancellato, furente per non poterlo possedere e manipolare. Ma gli abbracci, gli sguardi, le carezze hanno portata universale, e risorgono in altri corpi, in nuovi frangenti, dietro spettrali silenzi, in ogni angolo della terra.




Sulla vicenda il nostro Giorgio Schultze ha redatto un'acuta e tagliente opinione, sottolineando come, dietro quell'abbraccio, nulla sia da cancellare, ma tutto da ricordare. Oggi però, l'abbiamo detto, è un'altra giornata delle donne. Di donne. Aung San Suu Kyi sta male. Ravvolta in una contraddittoria casa-prigione, sembra che il suo corpo stia sfaldandosi pian piano, come se persino la sua presenza esile e muta incarnasse uno sgarbo, uno spregio, forse, peggio, un'impertinenza, perché l'impertinenza è tipica dei bambini ed è quindi più insidiosa e molesta per chi detiene ordine e potere. L'impertinenza è la nota stonata, il sobbalzo impreveduto, l'innocenza impietosa che grida: "Il re è nudo!". Aung lo grida col suo semplice esistere da molti anni. Ma quanti inferni dovrà scontare, chi soffocherà quel grido.


Viveva a Muscoline, provincia bresciana, e non era famosa. Voleva soltanto, di nuovo, sentirsi madre. Come se spendersi non le bastasse mai, e così, con assoluta naturalezza, aveva voluto ripetere il miracolo, sentire ancora accanto a sé quel vapore di nido irrorato da una gota di bimba. Aveva lasciato il lavoro per fare la baby-sitter. Accompagnava la figlia di un'amica, per strada. Ha fatto giusto in tempo a salvarla, prima che un trattore, sorto chissà da chissà quale epoca feroce, le travolgesse entrambe con rombo cupo e affaticato. Se n'è andata anch'essa con un gesto, la donazione estrema e disperata. Ha spinto la carrozzina lontano, salvando la bambina. Non ha pensato a sé stessa, e forse, a quel punto, non lo desiderava nemmeno più.


Ho una laurea da genio minore... in Corso Buenos Aires, 66. Non nella pigra provincia gucciniana, ma proprio qui, nella caotica e ingombrante Milano, in una via smangiata da tempo, priva di verde, decaduta, affastellata di vetrine e supermercati, e infine diluita nel disperato squallore di Porta Venezia. Non più nera come nei versi di Dalla, semplicemente cinerea, uniforme, bituminosa. E il palazzo nel quale entravo, da piccola, aggiungeva grigio al grigio, l'inutile liberty s'apriva su un cortiletto tetro, e preludeva a stanzoni alti, freddi, scostanti, uno straniante contrasto con chi vi abitava. "Andiamo dalla nonna, andiamo in Corso Buenos", era il ritornello che per molto tempo udivo il sabato pomeriggio, da parte di mia madre. La casa della nonna, il lucernario, l'ampia cucina, si associavano, nella mia mente, a chiare d'uovo, alla mollezza del latte, e non ne afferravo le ragioni. Un alternarsi di chiaroscuri non so se invadenti o spiazzanti. Poi tutto era terminato. L'appartamento al secondo piano rimaneva a me precluso. Ieri ho ritrovato quel contrasto. Il balcone della nonna mi si è presentato al tempo stesso intatto e proibito, e il modesto telo che lo ricopriva era un nimbo di sposa, lieto ed enigmatico assieme. Un semplice saluto. Il passato non ritorna. Le amiche mi aspettavano lì vicino, nello stesso cortile, ma non nell'identico luogo. Eppure.

E' stata una riappropriazione, forse una pacificazione con timidezze e ansie perdute, tralasciate su quei muri ottocenteschi, dove la mia vita si è srotolata, frastagliata e a sbalzi, strappata e involuta e mai come la si aspettava. Le amiche erano lì. Con loro tratteggiavo sogni, progetti, speranze, in un allegro mormorare domestico, in un gineceo sospeso e spaziante, così, sole nell'azzurro, e libere nell'aria gemmata.


 


Daniela Tuscano




















 


 


 


 






9.5.09

A Daniele B.


Caro amico, so che per te oggi non è una data qualunque. Tanto denso questo numero per te, tanto, forse troppo straripante d'emozione, da imporre semmai un rispettoso, partecipe silenzio. Ma ti conosco e comprendo che tu, invece, hai fame di parole, di voci amiche, come flauti affettuosi sulla pelle. Oggi è il tuo compleanno. Ma assieme a te avrebbe compiuto gli anni anche tua madre. Che invece, lo stesso giorno d'un indecifrato arco di tempo, ti ha lasciato. O, forse, si è solo resa invisibile al tuo, ai nostri sguardi. A quella vista per forza angusta, a un occhio che si fa fessura, e non percepisce le azzurre lontananze, perdute come campane nei sopori d'un pomeriggio. Rarefatto, caldo e lucido, svolazzante come l'anima sui fiori.




M. Moretti, I primi passi.



La ricorrenza è per te un segno tangibile e vivo. Un richiamo, una scossa. Ma mai un rimpianto. Tu non ami voltarti indietro. Disperdi i ricordi come foglie al sole. Tua madre non ti cammina accanto. E' in te. Il suo sorriso riaffiora nelle tue scelte sicure, nella tua ingenua disponibilità al dono, nell'immediatezza delle tue parole. Rivedo la tua stanza, una stanza curiosa, fitta di sgangherati colori, incompiuta e poliedrica come una tavolozza. Il pesante comò, il letto ancora infantile, le pareti tappezzate d'un divo dai capelli infiniti, languidi, saponosi, non una rockstar, ma una diva d'altri tempi. Una stanza, la tua, vagamente e polverosamente rétro, come quelle di ogni artista. O di ogni cuore tumultuante e inquieto. D'un'ansietà torbida, sguazzante, ribalda e inerme. La conosceva troppo bene, tua madre, per punirla o reprimerla. Era solo lo specchio della tua autenticità, e lei lo sapeva.

Ti porgo i miei auguri, auguri corali, certa di non procurarti nessuna pena, ma un gioioso, caldo, commosso abbandono. Perché racchiudi in te due vite, e non ti stanchi di profonderle agli altri, in una circolarità d'amore che conforta le nostre menti inaridite.


Daniela Tuscano

5.5.09

L'indispensabile.

Talvolta,
il poter ottenere meno di quel che vorresti,
ti permette di scoprire una nuova dimensione di te e della tua vita.


.
Ti chiedi se quel che avevi desiderato fino a quel momento
era poi per te davvero indispensabile,
se era la tua massima aspirazione..
e capisci, poi, che quel che conta davvero è altro..


Ora non ti resta che seguirlo e farne tesoro.

22.4.09

Riflessi

 

Le abbiamo vissute, o soltanto attraversate. E già le rimpiangiamo. Le lunghe, liquide marine delle primavere mediterranee ci accarezzano spavalde e assonnate, percorrenti come rivoli, sfumate come orizzonti. E i lidi assorbono una mestizia d'attesa, solcati da sbiaditi giochi infantili. Qua e là s'arresta un pino, assorto per un sentiero diruto, contro muri non ancora roventi.

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L'avvocato è astigiano. Verosimilmente, compose Una giornata al mare appoggiato ai parapetti della riviera ligure, ma le atmosfere da lui descritte mi evocano piuttosto pallori adriatici. O, ancora, le sagome dolcemente sgraziate di zerbinotti romani. Un sole scucito nella rena, fuliggine e speranza, caracollanti felicità d'un'Italia speranzosa e negletta.


Poi, come in un passo di danza, tutto si perde nel cielo lontano.


Daniela Tuscano



5.4.09

Le due sorelle

Una Pasqua terrena, una festa illusoria, una glorificazione fittizia. Così potremmo definire la Domenica delle Palme e degli ulivi, simbolo d'una pace non trovata, scoppiettante tripudio dietro il quale incombe un minaccioso futuro. Il potere, religioso e laico, aveva già deciso che la misura era colma, e il falegname di Nazareth avrebbe messo a repentaglio un intero popolo se avesse continuato a predicare il suo falso verbo. Fatica a parte, gli usurpatori stranieri erano forse i più sollevati alla prospettiva di eliminare l'ennesimo visionario sorto tra gente riottosa e ribelle. Quanto a Gesù, ignoriamo cosa pensasse; se umanamente si sia rallegrato dell'accoglienza tributatagli, mescolando al sorriso il turbamento dell'incomprensione. Se invece "si aspettasse tutto", come c'insegnavano un tempo a catechismo. Ma la morte, quella sì, l'aspettava, pur se arriva sempre sola, e sempre, e comunque, inattesa e unica, irripetuta e sfidante, irrompendo come livida luce nell'esistenza sua, e di ognuno. Gesù l'aspettava perché conscio del valore della vita, e sapeva assaporare il gusto ineffabile del presente.




L'orto del Getsemani a Gerusalemme: quello raffigurato è l'ulivo più antico (600 anni ca.).






Scrive Alfonso de' Liguori in un'opera di sorprendente attualità: "Il tempo è un tesoro, che solamente in vita si trova; non si trova nell'altra, né nell'inferno, né in cielo [...]. Nel cielo [...] non si piange, ma se potessero piangere i beati, questo sarebbe il loro solo pianto, l'aver perduto il tempo in questa vita, in cui poteano acquistarsi maggior gloria, e che questo tempo non possono più averlo. Una Religiosa Benedettina defunta comparve gloriosa ad una persona e le disse ch'ella stava appieno contenta; ma se avesse potuto mai desiderare qualche cosa, era solo di ritornare in vita e di patire per meritare più gloria; e disse che si sarebbe contentata di soffrire la sua dolorosa infermità, che avea patita in morte, sino al giorno del giudizio, per acquistare la gloria che corrisponde al merito d'una sola 'Ave Maria'". E quindi solo il presente, il tempo che non è l'attimo fuggente, ma l'attimo che scolpisce una forma, ha valore d'eternità, non è diluizione né innaturale prolungamento, prepara, e rende in qualche misura meno spaurante la visita della silenziosa ospite.

La morte non è sarabanda di suoni. Se oggi la si spettacolarizza, accade perché non le si vuol più credere; e con ciò, si nega cittadinenza e pienezza alla sua radiosa e inscindibile sorella, quella che chiamiamo vita. O frugata, o storpiata, o falsamente elevata a vuoto ideale (la Vita), essa ha smesso di permeare le nostre ore e il presente è stato spodestato dalla contingenza, dilatato in ripetitività meccanica, reso prevedibile, quasi fotocopiato, in una moltiplicazione di destini eguali e monocordi. Morte e vita procedono assieme, e non possono venir sprecate né banalizzate. Morte e vita, talora silenziate, talora esaltate oltre misura, originariamente, erano invece la ricapitolazione del singolo, l'abbraccio di Dio - doloroso, sia pure - al nostro inimitabile presente, e quella solitudine spaventosa finiva per diventare, nello spegnersi dei sordidi clamori, il richiamo personale, il secondo dopo l'infanzia, il nuovo "effatà", apriti. Finalmente, e totalmente, restituiti a noi stessi.



Concludo le mie riflessioni con qualche stralcio di lettera redatta dalla comunità del Barrio (Brasile) durante l'agonia di E. E.:



"Da noi non si aspetta diciassette anni di coma a morire. E' roba da ricchi [...]. Da noi si muore per mancanza di farmaci di base persino in pochi giorni. In Africa è anche peggio, molto peggio. E questo, ci dicono, è causa di precise scelte sul piano economico delle società del Primo Mondo. Quando i nostri muoiono, non c'è neanche da abbandonarsi troppo alla disperazione, come piace fare ad alcuni vostri esponenti politici e a molti movimentisti della vita dell'ultima ora. Non c'è tempo, perché la vita incalza, e la povertà anche, e c'è sempre troppo di cui occuparsi.




E poi, qui, ancora, si crede in Dio, e nella morte come incontro con Lui, come riposo in Lui: 'descansou', ha riposato, si dice sempre. Diffidiamo del Dio della tecnica, che alcuni, persino nelle Chiese, vorrebbero onnipotente, al posto di quello vero, a prolungarci di un anno, di una settimana, di un'ora il soggiorno quaggiù. Chissà, un giorno l'ibernazione sarà forse l'ottavo sacramento per gente che non crede più in Dio e nella sua vita senza fine".



Daniela Tuscano






che desolazione la nostra classe politica pienone ipocrita per lo più per carlo III e assenza mentre viene discussa un’interrogazione sulla violenza di genere, la tutela delle vittime e gli atti persecutori.

Questo è il Senato, stamattina. E quelli che vedete sono i banchi della maggioranza mentre viene discussa un’interrogazione sulla violenza d...