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8.11.25

Bibbiano, le suore organizzano nel convento il corso di autodifesa per le donne: ma non si diceva porgi l'altra guancia ?

  da :     caffe  ristretto  unione  sarda  , corriere  della sera  tramite   https://www.msn.com/ 

Se non dovesse bastare un Pater Noster per schiantare il bulletto mano morta, ricorrere a una mossa di judo non è peccato neppure per la suora. Il proverbio “aiutati che il ciel ti aiuta” è attualizzato dalle salesiane che a Bibbiano, comune dell’Emilia, suggeriscono alle donne come mettere schiena a terra il delinquente che ci prova. Nei tempi in cui Berta filava l’altra guancia la porgevano le anime pie disposte al martirio, ora il sacrificio suona male: à la guerre comme à la guerre. È più che santo il progetto della direttrice dell’istituto Maria Ausiliatrice suor Paola Della Ciana, laurea in psicoterapia, di promuovere nella palestra della scuola gestita dalle religiose un corso di autodifesa gratuito affidato a un’associazione di judo, rivolto a tutte le ragazze e donne della città, dai 14 anni in su. “Di fronte alla violenza è bene sostenere l’autodifesa, perché la dignità va sempre salvaguarda e protetta. Come dimostrano i femminicidi ci sono situazioni che richiedono una difesa tempestiva e furba”. Rosarium et baculum, per calmare i bollenti spiriti del bollito da una mistura di pastiglie avvelenate. In un tempo in cui le paure sconfinano nel terrore le suore, oltre a far capire quando certe situazioni di pericolo possono sfociare nella violenza, consigliano ciò che serve per calmare gli indemoniati: spada a destra e Vangelo a sinistra.
Infatti è notizia di questi giorni che
Nell’istituto delle figlie di Maria Ausiliatrice, dalla violenza ci si difende e alla violenza si reagisce. Con le mosse di judo.
L’iniziativa è sold out. Le richieste superano di gran lunga i posti disponibili. «Non ci aspettavamo tutto questo interesse e un’adesione così alta», dice suor Paola Della Ciana, la direttrice. E invece. Il connubio religiose-autodifesa si è rivelato vincente.
Dunque. Ore 18:45, mercoledì 5 novembre, inizia il corso di autodifesa per donne organizzato dalle salesiane. Quattro lezioni in tutto (ogni mercoledì) completamente gratuite. Pienone. La location è la palestra dell’istituto. Campagne di Bibbiano, Reggio Emilia. Sì, «quella» Bibbiano.
Correva l’estate populista 2019 quando scattarono gli arresti per un presunto giro di affidi illeciti; ci finì dentro anche l’allora sindaco dem Andrea Carletti: assolto (e non solo lui). La destra cavalcò l’onda. Indimenticabile la t-shirt indossata a Montecitorio dalla senatrice leghista Lucia Borgonzoni: «Parlateci di Bibbiano», c’era scritto.
Parliamone, dunque, oggi. In questa palestra, in questo istituto religioso, i fantasmi dell’inchiesta «Angeli e Demoni» sono un ricordo lontano. E la celebrità inattesa che regala l’iniziativa delle suore è per i bibbianesi un piccolo riscatto. Anche suor Paola sembra pensarla così: «Questa è una comunità sana», rivendica, mentre allieve e istruttori si preparano per la lezione.
Le donne sono sessanta. E ne sono rimaste fuori ben quaranta. «Il 55% ha più di quarant’anni, il 20 fra i trenta e i quaranta, poi ci sono le under trenta», snocciola i dati soddisfatta suor Laura, 37 anni da Livorno. L’idea del corso è sua. Suor Laura insegna alle medie dell’istituto e, spiega, ogni anno organizza qualcosa per il 25 novembre, Giornata mondiale contro la violenza sulle donne. Quest’anno ha voluto fare le cose in grande. Con la benedizione di suor Paola, che è psicoterapeuta e quindi di violenza ne sa qualcosa.
«Avevamo pensato alla fascia d’età 14-60, ma si sono iscritte anche donne più in là con gli anni», precisa. La senior della squadra è Luciana, 69 grintosi anni. Dice di essere qui perché «questo mondo» non le piace. Ma anche per le sue due nipotine: «Voglio apprendere per insegnare loro come difendersi».
L’istruttore è Ettore Franzoni, della scuola Uchi Oroshi Judo di Bibbiano. Ha accettato di farlo gratis perché ci crede. Cominciamo. «Tornerete tutte a casa con i polsi dolenti», premette. Il primo incontro è infatti dedicato alle tecniche per divincolarsi dalla presa dell’aggressore. Come reagire se ti afferra un polso? E se li afferra tutti e due? «In questo caso dobbiamo chiedere a suor Laura - sorride Ettore - perché non ci resta che pregare». Le donne lo guardano smarrite. Ma lui subito precisa: «Nel senso che la tecnica è quella delle mani giunte, come in preghiera». Sollievo. Le allieve si organizzano a coppie e fanno le prove. «Dovete essere più decise, non tentennate», le sprona l’istruttore. E loro ci danno dentro.
Per riprendere fiato un po’ di teoria. «Quando siete in giro da sole la prima regola è mantenere un atteggiamento attento, avere l’ambiente sotto controllo», spiega il Sensei. «Se qualcuno si avvicina con far sospetto, dobbiamo per prima cosa capire chi abbiamo difronte», prosegue. E via così. Qualcuna prende appunti. Qualcuna registra. Tutte ascoltano in religioso - è il caso di dire - silenzio. Grate. E pronte per la prossima lezione.
«Una precisazione importante - dice suor Paola prima di congedarsi -. Il nostro ordine è stato fondato da don Bosco, ma anche da santa Maria Domenica Mazzarello, donna che nessuno cita mai». La parità di genere si costruisce anche così.
« La prevenzione è » come dichiarato a Vanity Fair Italia « un pilastro della nostra missione. In questo caso significa aiutare le donne a rafforzare fiducia e consapevolezza di sé, riconoscendo la propria dignità in ogni situazione». Educazione, fede e responsabilità civile: parte da qui il corso gratuito di autodifesa al femminile organizzato dalle suore salesiane di Suor Maria Ausiliatrice di Bibbiano (Reggio Emilia). Un'iniziativa nata con l'obiettivo specifico di fornire risposte concrete di contrasto alla violenza di genere. I corsi si tengono nella palestra dell'Istituto che ospita le scuole dell'infanzia, le primarie e le medie. Qui le religiose fanno educazione all'affettività. «Qui è lo spazio dove si combatte la violenza di genere grazie ad un progetto educativo che parte dalla scuola».
A guidare gli incontri sono quattro maestri esperti dell’associazione sportiva Uchi Oroshi Judo, che hanno scelto di mettere gratuitamente a disposizione la loro professionalità. Il loro obiettivo, ha spiegato al Resto del Carlino il maestro Ettore Franzoni, cintura nera 8° Dan, è di insegnare alle donne prima di tutto a mettersi al sicuro, a togliersi dall’imbarazzo di un’aggressione o di una minaccia.Incredule per il riscontro e la risonanza del corso le religiose. L'idea era nata l'estate scorsa da suor Laura Siani, 37 anni, insegnante ed educatrice, che dopo aver testato l'interesse verso il corso da parte degli animatori del Grest poi ha sviluppato il progetto insieme alla direttrice dell’Istituto, suor Paola Della Ciana proponendo l’esperienza per tutta la comunità, in coincidenza con il mese dedicato alla Giornata internazionale contro la violenza sulle donne. Il corso è andato sold out in pochi giorni: secondo un’analisi interna condotta dalle religiose, il 30% delle iscritte ha tra i 40 e i 50 anni, il 25% tra i 50 e i 60, il 23% tra i 25 e i 40 e il 15% tra i 14 e i 24.

5.7.25

DIARIO DI BORDO N 133 ANNO III«A 30 anni mi sono lasciata con il fidanzato e sono diventata suora di clausura. Il monastero? Un luogo dove mi sento intera»., In fila al chiosco di via Chiaia. “Granite, arance e limonata rimedio naturale per l’afa” , madr e che si diploma con la figlia ., na fa partire il figlio e da la provas di maturità ., esame di masturità in sardo

 storie  di caldo anomalo   e boom  di  granite  e limonate   ,  di scelte di vita  religiosa ,     di maturita in sardo e  con  figli  ,   contestazione   sul metodo  della maturità     . 
fonti     msn.it  ed altri siti   internet provenienti da  tale  portale   ,  canali telegram  whatsapp  ed  altri  social e  i siti  







Infatti ha scelto il silenzio in un mondo che urla: nessun rumore, solo preghiera e ascolto. La storia di Anna Maria, 30 anni, va controcorrente: è il racconto di una donna che ha detto "sì" alla vita monastica, in un tempo in cui le comunità religiose femminili si svuotano sempre più velocemente.
«I dubbi ci sono, ma proprio per questo resto. Perché non credo nelle certezze blindate. E ogni giorno è un ritorno alla grazia delle origini» spiega al Corriere della Sera.
Il cammino
Non è stato un colpo di fulmine. A diciassette anni aveva un futuro diverso in mente: un fidanzato, una casa ed una famiglia numerosa. «Ho sempre avuto un’idea fortissima di comunità. Di famiglia larga, aperta. Ma la relazione dopo quattro anni è finita e con lei tutte le certezze». Ne è seguito un periodo di spaesamento, di ricerca. Così si è messa in cammino. La meta? Santiago de Compostela. «In realtà pregavo perché tornasse il mio ex», racconta ridendo. «Camminavo, piangevo, pensavo e facevo amicizia (...). Ogni sera celebravamo l’eucarestia. Sentivo che non ero sola».
«Lasciati amare»
Rientrata a Milano, la profondità di quel viaggio ha presto lasciato spazio al ritmo caotico e frenetico della vita urbana: tra il lavoro e il volontariato, qualche storiella ma nessun amore davvero duraturo. Qualcosa mancava: sentiva il bisogno di staccare. Si recava a Gorla o a Brescia, nei monasteri e ascoltava se stessa: «Cercavo uno spazio dove ascoltare ciò che il rumore copriva. Un giorno mi sono detta: smettila di pensare troppo. Lasciati amare».
Da quel momento è passato un anno: oggi Anna Maria è una Clarissa Cappuccina. Si alza all’alba, vive il ritmo lento della clausura, alterna preghiera e pittura, meditazione e colloqui con chi bussa alla porta. Non fa attivismo, non ha una missione sociale: ha scelto l’interiorità. «Ho trovato un luogo dove mi sento intera».
Una voce controcorrente
Ultimamente, sempre più comunità religiose femminili stanno chiudendo per mancanza di vocazioni o semplicemente per l'età avanzata delle sorelle: a Milano, nel 2014, erano 159. Oggi le suore sono 117. Nonostante le celle si stiano svuotando, Anna Maria sceglie di restare, di abitare un vuoto che non fa paura, senza sentire la necessità di una vita diversa: «Ogni scelta comporta rinunce. Ma se stai costruendo profondamente qualcosa i dubbi sono occasione per rinsaldare la fiducia e la fede, non per fuggire. A volte, per capire che la vita non si esaurisce nelle cose, bisogna restare lì dove si è».



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La tradizione degli acquafrescai, a Napoli, come rimedio contro il caldo: ?Limonate, aranciate e granite sono un pieno di benzina per dissetarsi e integrare i sali minerali?, spiega Claudio Di Dato , iin questo video   qua   «»Napoli, al chiosco di via Chiaia. "Limonate contro l'afa". Il cliente storico e il "Sarchiapone" - la Repubblica  (  non sono  sriuscito ad  incorporarlo )  di Oasi Chiaia dal 1902, storica
attività dove assieme alla limonata a cosce aperte? è molto in voga anche la variante sarchiapone
La tradizione degli acquafrescai, a Napoli, come rimedio contro il caldo: Limonate, aranciate e granite sono un pieno di benzina per dissetarsi e integrare i sali minerali?, spiega Claudio Di Dato di Oasi Chiaia dal 1902, storica attività dove assieme alla ?limonata a cosce aperte è molto in voga anche la variante sarchiapone. 


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  dopo una  storia  che  sembrerà banale  , ma  in  un contesto nazionale    sempre  più  fatto d'incultura   cì  sono  anche dei    casi  come  :   il diploma  contemporaneo di madre e figlia e   gli altri tre  racconti  sotto

Gianmaria Favaretto, 19enne ex studente del liceo scientifico Fermi di Padova, ha compiuto una scelta che fa discutere: si è presentato all’esame orale di maturità, ha firmato il registro e ha dichiarato:
"Signori grazie di tutto, ma io questo colloquio di maturità non lo voglio sostenere. Arrivederci". Un gesto che, come racconta il giovane in un'intervista rilasciata al Mattino di Padova, non è stato frutto di svogliatezza, ma di una riflessione profonda sul sistema scolastico e sul significato dei voti.
Una decisione meditata Gianmaria aveva calcolato che i suoi crediti scolastici (31 punti) e i risultati degli scritti (17 nel tema di italiano, 14 in matematica) gli avrebbero garantito la sufficienza, totalizzando 62 punti. "Credo di essere il primo che fa una cosa del genere al Fermi", ha dichiarato. Ma dietro questa scelta c’è molto più di un freddo calcolo: "L’esame di maturità per me è una sciocchezza", ha affermato, criticando un sistema di valutazione che, a suo avviso, non riflette le reali capacità degli studenti.
La critica al sistema scolastico "Trovo che l’attuale meccanismo di valutazione degli studenti non rispecchi la reale capacità dei ragazzi, figuriamoci la maturità", ha spiegato Gianmaria. La sua protesta si concentra sui voti, vissuti da molti studenti come fonte di competizione e stress. "In classe c’è molta competizione. Ho visto compagni diventare addirittura cattivi per un voto", ha raccontato, sottolineando come le pressioni di professori e famiglie possano esacerbare questa dinamica. La sua decisione è maturata nel tempo, soprattutto durante l’ultimo anno di superiori, quando ha raggiunto il suo «limite di sopportazione» rispetto a un sistema che sentiva distante dai suoi valori.
Il confronto con la commissione Nonostante il suo rifiuto di sostenere l’orale, Gianmaria non ha lasciato la sala senza un confronto. I professori, inizialmente sorpresi, hanno cercato di capire le sue motivazioni. "La presidente è stata rigida, mi ha detto che non sostenendo l’orale insultavo il lavoro dei docenti che avevano corretto i miei scritti", ha rivelato. Tuttavia, dopo un dialogo con i professori interni, che lo conoscevano bene, la situazione si è risolta con un compromesso: Gianmaria ha risposto ad alcune domande sul programma, ottenendo 3 punti aggiuntivi e chiudendo l’esame con 65/100.
Lo studio come percorso di crescita personale "In terza sono stato bocciato, mi è servito per maturare. Sbagliando si impara" ha detto, sottolineando l’importanza di apprendere dai propri errori piuttosto che inseguire un voto. Per lui, lo studio dovrebbe essere un percorso di crescita personale, non una corsa al punteggio. La sua scelta di non sostenere l’orale è stata anche un modo per rivendicare la propria autonomia: "Perché dovevo fare una cosa solo perché la fanno tutti? Ho preferito usare la mia testa".
La reazione della famiglia La decisione di Gianmaria non era stata condivisa con i genitori, che hanno saputo tutto solo dopo i risultati. "Ho spiegato loro come la penso. Sono stati comprensivi", ha raccontato. Ora, il giovane guarda al futuro: l’università lo aspetta, e con essa nuove sfide per trovare il suo posto nel mondo, lontano da un sistema scolastico che non lo ha mai pienamente rappresentato.



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«Mio figlio nato durante l’esame per il diploma»: per una giovane di Capoterra sessione suppletiva al PoliclinicoVeronica Vacca, 29 anni, è ricoverata da oltre un mese per una gravidanza a rischio: ha fatto in modo di finire gli studi

Veronica Vacca


Un esame di diploma speciale. Unico. Prima rinviato, perché Veronica Vacca, 29 anni, di Capoterra, è ricoverata da oltre un mese al Policlinico di Monserrato per una gravidanza a rischio. Poi per lei è stata allestita una sessione suppletiva: martedì ha sostenuto la prova di italiano, l’indomani quella di economia aziendale. E giovedì insieme agli esiti degli scritti (19 nel tema, 20 la prova tecnica) è arrivato anche Samuele. «Il tempo di rimettermi un pochino – racconta raggiante al telefono – e darò l’orale». Appuntamento domani mattina, sempre al Policlinico, dove il direttore generale Vincenzo Serra ha messo a disposizione il suo ufficio: «Ci hanno aiutato tutti, i docenti, i medici, la direzione sanitaria: ho tante persone che devo ringraziare, soprattutto mio marito Daniele che mi ha sostenuto e mi ha spinto a non mollare gli studi malgrado sia stata costretta a trascorrere in un letto d’ospedale l’ultimo mese di gravidanza».
La storia
Quella di Veronica è la storia a lieto fine di una ragazza che si è sempre sacrificata e che ha voluto inseguire a qualsiasi prezzo il traguardo del diploma. «Lavoro da due anni come operaia tessile in una sartoria industriale, prima con mio marito avevamo vissuto sette anni in Inghilterra. Lavoravamo in una farmacia, ci siamo messi sotto per imparare l’inglese, proprio quegli anni di studio e di lavoro mi hanno fatto decidere, una volta rientrata in Sardegna, nel 2023, di riprendere gli studi che avevo interrotto in quarta ragioneria. All’Istituto Atzeni ho frequentato le serali, mi sono trovata benissimo, sia con i docenti, sia con i compagni. Quest’anno sono rimasta incinta ma ho continuato a lavorare e studiare, sin quando ho potuto».
Il parto
Un mese fa i medici l’hanno trattenuta al Policlinico: gravidanza a rischio per lei e per il nascituro. «Non mi sono data per vinta, volevo questo diploma». Non poteva immaginare che il primo figlio sarebbe arrivato tra gli scritti e l’orale: «Parto d’urgenza, Samuele è nato di sette mesi, sta bene ma non l’ho ancora potuto vedere. Lui l’hanno sistemato nell’incubatrice. E anche io devo rimettermi in sesto per gli orali. Mai avrei immaginato un esame così particolare, da sola, in un bell’ufficio, non insieme ai compagni di classe. Non è stato facile».
I primi a complimentarsi con lei per l’arrivo di Samuele sono stati, dopo i familiari, i compagni della quinta A, il preside dell’“Atzeni” Maurizio Pibiri, i docenti che l'hanno seguita durante l'anno Daniela Perra, Federico Bacco, Stefano Salaris , Claudia Pinna, Valeria Pinna e Riccardo Pinna e quelli della commissione di esame presieduta da Carla Anedda.
«Spero – chiude Veronica Vacca - che la mia storia possa essere un messaggio per tanti ragazzi e ragazze: anche nei momenti più complicati, non bisogna smettere di credere in sé stessi: di sicuro mio marito ed io la racconteremo a nostro figlio quando sarà grande».


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Un esame in sardo: al Liceo Europeo di Cagliari la lingua di casa entra tra i banchi di maturità

Giaime ha discusso in sardo il tema degli esclusi e dei vinti nella storia, partendo dal celebre dipinto I mangiatori di patate di Vincent van Gogh
Giaime Corongiu
Giaime Corongiu

A portare il sardo tra le mura dell’esame di maturità è stato Giaime Corongiu, studente dell’ultimo anno, che ha chiesto – e ottenuto – di poter svolgere parte del colloquio orale nella sua lingua madre. Un gesto che va oltre la semplice dimostrazione di una competenza linguistica: è un atto d’amore verso le proprie radici, un’affermazione della dignità di una lingua ormai confinata alla sfera privato.
Giaime ha discusso in sardo il tema degli esclusi e dei vinti nella storia, partendo dal celebre dipinto I mangiatori di patate di Vincent van Gogh fino ad analizzare la legge di sfruttamento del lavoro formulata da Karl Marx. Il resto del colloquio si è svolto in italiano e francese, come previsto dal curriculum del liceo europeo.
«Parlare in sardo all’esame mi ha permesso di esprimere meglio un pezzo di me – ha raccontato Giaime –. È una lingua che ho imparato in famiglia e che i miei insegnanti hanno sempre valorizzato».
La commissione, presieduta dal professor Andrea Prost, ha accolto con favore la richiesta, riconoscendo la padronanza della lingua come parte integrante del percorso formativo dello studente.
Un esempio che fa sperare. «Ci auguriamo – ha commentato il corpo docente – che questa esperienza sia da stimolo per tanti altri studenti che parlano la lingua sarda e per sensibilizzare la scuola a valorizzare questo enorme patrimonio linguistico».
La scuola, infatti, è il luogo dove si coltiva costruisce il proprio futuro senza però mai dimenticare le proprie radici.


18.1.18

Giuseppina Demuro, la suora che sfidò la furia nazista


La  resistenza  e  la lotta   contro le leggi  razziali  era  anche  storie  piccole  e  sconosciute  \  semi conosciute  come  questa  a  anche   che vi  propongo oggi  tratta    quotidiano l'unione  sarda  .La storia completa nel volume "Sardegna al femminile" disponibile nello store online a questo link
N.B  le  foto prese   dall'articolo  sono fornite   gentile concessione de "La Donna Sarda"
Il ritratto di Suor Giuseppina Demuro è quello di una religiosa non comune, dotata di audace carisma, di coraggio intrepido, e di volontà incrollabile. Figlia della Carità Vincenziana, passerà alla storia come la donna sarda che salvò antifascisti, ebrei e partigiani rinchiusi nel carcere “Le Nuove" di Torino.


                             Suor Demuro nel suo ufficio nel carcere di Torino.



Con le figlie delle detenute
Con le figlie delle detenute
Suor Giuseppina Demuro, all’anagrafe Rosina, era una donna di media statura, con occhi illuminati da lampi di bontà e i lineamenti del volto adombrati dal voluminoso copricapo bianco: così la descrivono coloro che hanno avuto la fortuna di incrociarla sulla propria strada.
Nata a Lanusei il 20 novembre 1903, entra appena ventenne nell’Asilo della Marina di Cagliari. Parte poi, all’inizio dell’estate, alla volta di Torino, e il convento dove il 19 luglio prende i voti è quello del quartiere popolare di San Salvario.
Suor Giuseppina Demuro
Suor Giuseppina Demuro
LA PRIMA VISITA AL CARCERE - La sua prima visita al carcere “Le Nuove” avviene il 31 dicembre del 1925. È proprio di quel giorno la scelta di dedicare l’intera sua esistenza ai detenuti.
Nel maggio 1942 diventa madre superiora del carcere, a capo della sezione femminile. Il suo piccolo ufficio diviene un pensatoio in cui arguzia e rivoluzione compongono piani capaci di stemperare sofferenze e dolori atroci. Con l’intento di rendere attive e impiegabili, una volta fuori dal carcere, le detenute, istituisce corsi di ricamo, cucito e stireria.
LE "SUE" FANCIULLE - Il conflitto bellico nel frattempo infuria e il 18 settembre 1943 i tedeschi prendono possesso del carcere. La suora sarda riesce a strappare le detenute politiche dalle mani delle SS, portandole nella sezione a lei affidata. Sono spesso fanciulle poco più che adolescenti, catturate con rastrellamenti e perquisizioni: vengono stipate a gruppi di cinque in piccole celle di sei metri quadrati, e le regole imposte sono rigidissime, senza passeggiate all’aperto, pasti decenti o biancheria pulita.
Grazie alle sue intercessioni le recluse ottengono prima il permesso di ricevere i sacramenti, poi alimenti e abiti, infine di partecipare ai lavori di cucito insieme alle altre. In quel braccio entrano anche moltissime le israelite.
Grazie alla sua arguzia riesce a salvare più di una vita, fra cui quella di una giovane ebrea destinata al campo di concentramento, o quella del piccolo Massimo Foa, di appena 9 mesi, giunto in carcere con la mamma: suor Demuro lo fa uscire uscire dal carcere avvolto in un fagotto nascosto nel cesto della biancheria sporca.
Lezione di canto per le giovani accompagnate da suor Giuseppina
Lezione di canto per le giovani accompagnate da suor Giuseppina
Riesce presto strappare ai tedeschi anche l’accesso al primo braccio, dove ogni giorno arrivano come greggi uomini strappati alla casa e al lavoro.
La prima visita di suor Demuro in quell’area è straziante, segnata nel profondo dalla vista di quegli uomini prostrati da sofferenze e umiliazioni. Suor Giuseppina insiste per portare qualche medicamento e lenire le condizioni di quegli infelici. La superiora fa parte della rete clandestina imbastita dal cardinale Maurillo Fossati per resistere alla furia nazista e antifascista. Non crollerà nemmeno di fronte alle minacce dei tedeschi, che la vogliono morta, e riuscirà a far fuggire con un abile stratagemma il famoso violinista ebreo Mario Zargani con la moglie Eugenia Tedeschi.
IL 25 APRILE - Il 25 aprile 1945 iniziano le dure ostilità tra partigiani e tedeschi e Torino è un campo di battaglia fra forze contrapposte. A Giuseppina serve un ordine di scarcerazione per liberare dal carcere i prigionieri politici, e così si issa su una fiat 500 e attraversa la città fra il sibilo incessante delle mitragliatrici: con le insegne della croce rossa e la suora sul cofano la macchina arriva illesa alla sede del Prefetto, che concede la scarcerazione a oltre 500 persone.
DOPO LA GUERRA - Cessata la guerra, suor Demuro fonda la Casa del Cuore per il recupero delle ex detenute e nel 1955 riceverà la Medaglia d’oro per le benemerenze acquisite nel campo della redenzione sociale.
Alla sua morte, il 18 ottobre 1965, le vengono tributati solenni onori funebri. Per quella religiosa non comune, dotata di audace carisma, di coraggio intrepido, e di volontà incrollabile.
Il feretro nei giorni dei funerali
Il feretro nei giorni dei funerali

24.2.13

anche le suore giocano a calcio il caso di Suor Maradona a Castellammare di Stabia presso l'Acqua della Madonna

 Cazzeggiando in rete  in particolare  su  youtube trovo questo video  di  http://www.youtube.com/user/fra1585 e messo qui tramite donwloadhelper

 

Avviene a Castellammare di Stabia, terra di campioni dello sport, che tutti ma proprio tutti si cimentino col pallone! E così, può capitare di vedere all'opera una suora che stoppa palleggia e tira bordate verso una porta dipinta sul muro del convento, dove un bimbetto inerme tenta la parata.. Suor Maradona si allena a Via Benedetto Brin nella piazza che ospita le cannelle dalle quali sgorga l'Acqua della Madonna e qualcuno parla già di miracolo.....

Manuale di autodifesa I consigli dell’esperto anti aggressione Antonio Bianco puntata n LX IMPARATE A “LEGGERE” IL LINGUAGGIO DEL CORPO

 Il linguaggio del corpo da solo non basta a prevenire femminicidi o violenze, ma può essere un segnale precoce utile se integrato con educ...