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6.7.23

non educhiamo i bambini all'edonismo ma essere felici con poco ed altre storie di gente speciale per gente normale gente normale per gente speciale

12 h fa
Fa la cameriera per arrotondare, bidella 51enne multata: «L'ho fatto per mantenere le mie figlie»

Storia di Redazione Web  12 h faHa iniziato a lavorare in un bar, fuori orario scolastico, per arrotondare. Ma Francesca Galati, che di mestiere fa la bidella, non ha avvertito la dirigente scolastica dell'Istituto Trentin di Lonigo, in provincia di Vicenza, e adesso è stata sanzionata dalla Guardia di Finanza, anche se lei (al momento) non ha ricevuto nessuna notifica e lo è venuto a scoprire dai giornali. Una multa pari ai soldi percepiti dal lavoro di cameriera: 2.170 euro da versare al ministero dell'Istruzione, che sicuramente peseranno sulle casse della donna che aveva iniziato un secondo lavoro

proprio per racimolare soldi in più. E al Corriere della Sera, Francesca racconta la sua versione: «Non posso parlare di sanzione visto che ancora non ho ricevuto nulla. Io stessa sono venuta a saperlo tramite i giornali, il che rende la vergogna ancora più grande. Ora mi sento veramente a pezzi». La donna spiega di aver agito in buona fede e non sapeva minimamente di dover avvisare la preside per il suo secondo lavoro. «Ho pagato le tasse, denunciando i compensi ricevuti dal bar nel 730», rivela Francesca Galati. Per la 51enne i 1.300 euro percepiti per il lavoro di collaboratrice scolastica non le permettono di mantenere le sue figlie e, proprio per questo motivo, ha deciso di rimboccarsi le maniche e faticare il doppio. La gara di solidarietà Nel frattempo i messaggi di solidarietà nei confronti della mamma si sono moltiplicati. Parenti, amici, ma anche sconosciuti. Tutti le hanno espresso vicinanza per la situazione kafkiana in cui si ritrova in questo momento: consapevole di essere stata multata senza aver avuto notizie, con le spese da pagare e due figlie da far crescere. La storia è finita sui social scatenando la solidarietà dei comuni cittadini ma anche del mondo della politica. Più di qualcuno si è offerto di pagare la multa di tasca propria.

 





Potrebbe essere un'immagine raffigurante 2 persone
Stefano. È un bambino molto vivace. All’asilo chiede un pennarello. Vuole disegnare. La maestra lo guarda incantata. A 9 anni la catechista gli chiede di disegnare la Madonna con un bambino. Nessuno crede che quel disegno lo abbia realizzato proprio quel bambino vivace.
Dipinge, Stefano. Nel suo cuore c’è la Sardegna. Cresce, si cerca un lavoro. Fa l’elettricista. E dipinge. Poi il manutentore. E dipinge. Nelle tele spuntano le barbe folte degli anziani, i sacrifici delle donne sarde, i colori dei piccoli paesi. “La mia vita è questa, dipingere”.
Lascia il lavoro sicuro. Insegue il suo sogno. Le sue opere arrivano a Roma, Palermo, Londra. Vince dei premi. Uno dopo l’altro. È il 2020. Lo chiamano per esporre a New York. Sempre con la Sardegna nel cuore.
Si cimenta nei murales. Immense pareti prendono vita. Parlano, hanno un’anima. A Muravera, San Vito, Sant’Andrea Frius, Esterzili, Iglesias, Senorbì. Un successo dopo l’altro. Oggi Stefano è uno degli artisti più amati. Non solo in Sardegna.






Maturità 2023, Alexein Ezra Aghib si diploma con 100 dopo aver cambiato tre scuole: “da transgender ho avuto problemi”




Al corso serale del liceo delle scienze umane indirizzo economico sociale dell’istituto Frisi si è diplomato con 100 Alexein Ezra Aghib. Potrebbe sembrare una notizia non rilevante, se non per il fatto che lo studente ha dovuto cambiare tre scuole prima di sentirsi integrato nell’ambiente. A Repubblica ha raccontato la sua storia, invogliando anche gli altri a non mollare davanti alle barriere: “Penso che avrei voluto un ambiente come quello del Frisi da subito e che sono stato fortunato ad avere accanto mia
madre, che si è sempre battuta per me. Se guardo indietro penso che vorrei affrontare tutto con la


mentalità che ho adesso: se iniziassi il liceo oggi non lo abbandonerei e stringerei con i compagni quei legami che non ho sviluppato perché cercavo di rimanere in disparte, per non dover spiegare”.
E continua: “Al Frisi ho percepito l’impegno della scuola e degli insegnanti per aiutarmi, mi sono sentito accolto. Sono dislessico e discalculico, per la prima volta ho avuto strumenti adeguati per gestire il lavoro a casa e lo studio. Così è cambiata la prospettiva: ho sviluppato passione per lo studio e anche le materie in cui avevo problemi sono diventate semplici da seguire”.
Alexein spiega anche cosa è successo negli anni passati: “Prima di arrivare al Frisi ho frequentato tre licei e ho lasciato la scuola tre volte. Sembrava che nessuno volesse venirmi incontro e superare i pregiudizi. Davanti ad ambienti e professori che ponevano ostacoli, invece di aiutarmi a superarli, percepivo la scuola come un luogo respingente e la abbandonavo. La mia disforia di genere ha un ruolo importante in tutto questo, ma le difficoltà erano iniziate prima che facessi coming out, a 15 anni”.
“Gli ormoni, modificando il mio aspetto, hanno aiutato – continua lo studente – ma l’ambiente è fondamentale. Se non vivi bene la scuola vuoi lasciarla: il tasso di abbandono scolastico tra gli studenti transgender è del 42 per cento, conosco persone che hanno finito la scuola a 23 anni o hanno lasciato dopo la terza media”.
E per quanto riguarda la carriera alias, tanto discussa negli scorsi mesi, lo studente afferma: “Non l’ho chiesta io, mi sembrava impossibile da ottenere, pensavo che gli insegnanti non sarebbero stati d’accordo. Me ne ha parlato il professore di francese, mi ha chiesto se pensavo di poterne trarre beneficio e io ho risposto di sì. Nella scuola precedente gli insegnanti avevano accettato di usare il nome d’elezione, ma non tutti lo facevano e avevo il terrore dell’arrivo dei supplenti: ero obbligato a spiegare davanti a tutti perché sul registro ci fosse un nome diverso. Quando sapevo di avere ore vuote evitavo di andare a scuola. È stato molto difficile soprattutto prima dell’inizio della terapia ormonale, ero consapevole che gli altri mi vedessero come una ragazza mentre io non mi sentivo tale”.






Ottantadue anni ed ex imprenditore edile lui, 77 anni lei. Rosino Tata e Serafina Rosati, originari di Alvito, in provincia di Frosinone, sono sposati da 59 anni e nella loro vita non hanno mai rinunciato all’idea di ottenere il diploma di terza media. Non essere riusciti a ottenere quel titolo di studio, dovendo far fronte a tanti problemi e ristrettezze durante la loro giovinezza, pesava ai due anziani. Ora hanno coronato il loro sogno dopo essersi iscritti alla scuola serale dell’istituto comprensivo “Antonio Sebastiani” di Minturno, il centro della provincia di Latina dove da tempo vivono, e a raccontare la loro storia è il presidente della Commissione cultura del Comune del sud pontino, Matteo Marcaccio.“Esaudito un grande sogno – scrive l’esponente dem sui social – di quelli che solo la scuola riesce a realizzare”. I due anziani hanno superato l’esame e stanno diventando un esempio per i tanti giovani pontini.Insieme a loro ha ottenuto inoltre la licenza media anche la 26enne Najla, una giovane di origine tunisina, che si è presentata all’esame insieme ai suoi due figli. "Un grande grazie ai docenti coordinati dalla professoressa Tucciarone e alla dirigente scolastica Daniela Caianiello, perché senza di loro questi sogni non sarebbero mai diventati realtà", ha concluso Marcaccio.

Roberta Broccia Madre Terra e amici di ❤
“Tuo nonno mi chiese di sposarlo con una caramella. Non avevamo niente, si inginocchiò e mi disse :'non ho nulla ora, solo una caramella, ma se vuoi possiamo costruire tutto insieme'
"E tu?"
"Ho aperto la caramella, l'ho divisa in due e l'abbiamo mangiata. Da quel momento abbiamo diviso e condiviso tutto. Siamo caduti, ci siamo rialzati e abbiamo costruito.
Tutto insieme. Abbiamo vissuto momenti difficili, di stanchezza, ma ci siamo sempre stati l'uno per l'altro. Fino all'ultimo"
"Altri tempi nonna"
"Il tempo non cambia il modo di amare.
Quello che è cambiato è che non avete più esempi belli da seguire.
Adesso avete paura di tutto. Non vi sposate per paura di non riuscire a costruire. Appena litigate vi lasciate perché poi pensate di trovarne uno migliore. Siete sempre alla ricerca della perfezione, come se poi esistesse.
Vi manca la percezione della realtà. Della felicità nelle piccole cose.
Fate ste grandi dimostrazioni, anelli da migliaia di euro, un video esagerato per le proposte di matrimonio e poi vi perdete il momento. Quella cosa intima che custodite in due, solo in due per tutta la vita.
È questo che vi manca. Il coraggio di vivere la vita e l' amore per quello che sono e non per come lo immaginate" Una caramella e 50 anni insieme.”



Preferiti  
La prof che non ha mai preso un giorno di riposo in più di 30 anni - Video Tgcom24

La prof che non ha mai preso un giorno di riposo in più di 30 anni
Mentre tiene banco il caso della docente assente 20 anni su 24 da scuola e poi destituita, spunta unʼaltra storia da record da raccontare, stavolta al contrario. La professoressa Nicoletta Minelli, a un passo dalla pensione, in 36 anni di lavoro non ha mai preso un giorno di riposo, di ferie o di permesso. Insegnante dal 1987, non si è (quasi) mai assentata da scuola per senso del dovere e per attaccamento al suo ruolo educativo. Complice anche una salute di ferro


 concludo      con  questa  
orriere  della     calabrua   Pubblicato il: 05/07/2023 – 19:20  di Emiliano Morrone

RTI MARZIALI

Taekwondo, la sangiovannese Ilaria Nicoletti convocata in nazionale – FOTO

La giovanissima atleta fa parte dell’Asd Taekwondo in Fiore: «Cercherò di portare una medaglia d’oro alla mia comunità»

SAN GIOVANNI IN FIORE Cintura nera e già medaglia d’oro e d’argento ai campionati italiani, Ilaria Nicoletti riceve dal maestro Zeno Mancina la lettera di convocazione nella nazionale di taekwondo. Segue un lungo applauso, sentito, intenso, corale. La dodicenne ha talento e manifesta soddisfazione. Dopo sorride e si mostra centrata e decisa. «Cercherò di portare una medaglia d’oro alla mia comunità di San Giovanni in Fiore», dice cosciente dei propri mezzi e con la sicurezza conferita dalla disciplina sportiva.
Nella Sila Grande è un’insolita serata di fine giugno. Fresco e umidità impongono una maglia in più addosso; anche nelle vicine campagne, in genere surriscaldate, su cui si staglia il borgo collinare di Caccuri, noto per la letteratura, l’arte pasticciera e la qualità olearia.

Gli allenamenti degli atleti dell’Asd Taekwondo in Fiore


I soci dell’Asd Taekwondo in Fiore si sono ritrovati a qualche chilometro dallo svincolo per Caccuri: a Vurdoj, dove un’antica grangia, fondata dai monaci dell’abate Gioacchino, ospita un agriturismo con prato raso ed ampia piscina, tra ulivi secolari e profumi del Sud, segni di storia e Mediterraneo. Sono più di una cinquantina, un record, i minori, tra cui Ilaria, presenti all’appuntamento, al saluto per l’inizio delle vacanze estive caratterizzato da ore di convivialità e consolidamento dello spirito di gruppo.
Si tratta degli allievi della scuola di taekwondo che Mancina – cintura nera, tra gli allenatori della squadra regionale e docente di Educazione fisica – ha fondato una quindicina d’anni fa a San Giovanni in Fiore e oggi dirige insieme a Jessica Talarico, che ha gli stessi titoli tecnici e la carica di vicepresidente del Comitato calabrese della Fita, la Federazione italiana taekwondo, del quale fa parte il campione mondiale Simone Alessio, diventato l’idolo dei giovanissimi praticanti.

Gli allievi dell’Asd Taekwondo in Fiore


Lo scorso 9 giugno, come altri bimbi, la promettente Greta, sangiovannese Doc, aveva ottenuto l’autografo di Alessio al Gran Prix di Roma, al Foro Italico, dove circa 2mila ragazzini, lei compresa, erano andati per partecipare al Kim e Liù, una sorta di campionato italiano di taekwondo riservato ai più giovani. Anche la Calabria era dunque presente, e con numerosi collettivi dalle varie province, attrezzati e insieme vincenti. Salvatore, dieci anni e allora cintura blu-rossa, aveva vinto contro un avversario che sembrava imbattibile; il piccolo Antonio, allora cintura verde, aveva dimostrato una classe da adulto e Rosario, un bimbo agilissimo di meno di 20 chili, aveva conquistato l’oro nella sua categoria. «Il taekwondo è anzitutto uno sport mentale», puntualizza Mancina.
Un mondo ancora sconosciuto si muove in contesti del genere: tecnici, collaboratori, atleti agli esordi o maturi, squadre regionali con i loro staff e intere famiglie appassionate, con parenti che seguono ogni evento e perfino si allenano e gareggiano.

Il maestro di taekwondo Zeno Mancina

Come il maestro Salvatore Mazza, che ha guadagnato la cintura nera a 44 anni e, per la gioia di vivere con i propri figli gli allenamenti, l’agonismo e la salubrità del taekwondo, aveva già cambiato abitudini personali, quasi rinunciando alla carne e andando in palestra tre volte alla settimana, dal pomeriggio a tarda sera.
È un ambiente, quello del taekwondo, in cui si sviluppano amicizia, solidarietà e altri valori: il rispetto delle regole e dell’avversario, mai visto come nemico, e il sacrificio costante per migliorarsi nel carattere, nel fisico e nella capacità di giudizio. Non è poco, in una Calabria in cui tende a prevalere il livellamento generale, il desiderio di soldi, potere e fama oppure l’irregolarità furba o la violenza bruta, tipiche della cultura, della società chiusa della ’ndrangheta.

I piccoli allievi Asd Taekwondo in Fiore


I bambini vengono abituati all’impegno, alla fissazione di obiettivi, «all’innalzamento progressivo – spiega Mancina – dell’asticella», come ad «un’alimentazione sana e regolare, al confronto con atleti, anche di altre regioni o nazioni, più avanti di loro nella preparazione, nella concentrazione e nell’equilibrio psicofisico. Infatti, senza il confronto non c’è crescita». «Nel nostro tempo dilagano – dice poi ai suoi, nella serata a Vurdoj priva di mosche e zanzare – la debolezza, l’infelicità facile, la noia da abbondanza. Noi insegnanti, voi allievi e i vostri genitori, abbiamo una missione: insieme dobbiamo sconfiggere la mancanza di passione che domina nel presente, che impedisce di costruire un futuro migliore e che causa patologie, senso di frustrazione e problemi sociali diffusi. Dobbiamo creare sinergie ed armonia tra persone, prima che tra sportivi, puntando sempre ad elevare la nostra qualità, umana, sportiva e relazionale. E poi bisogna pensare a vincere, piuttosto che semplicemente ad esserci. Qualcuno potrebbe storcere il naso, ma la regola è che ci si prepara per superare ogni ostacolo, non per fermarsi lì davanti e dirci che comunque siamo stati bravi. Impariamo ad essere critici ma costruttivi, a determinare un ambiente stimolante nel quale i più giovani non sentano affatto il bisogno di perdersi con cattivi maestri e pratiche distruttive».

Asd Taekwondo in Fiore premiata

È evidente che il messaggio di Mancina trascenda il terreno del taekwondo e abbia un’alta valenza pedagogica e sociale. Forse è questo lo specifico della scuola, intesa, a prescindere dalle singole discipline, come sede di formazione del carattere e della mente; quale luogo in cui si riescano a trasmettere approcci all’esperienza, prima che alla conoscenza, e in cui gli allievi possano un giorno raccogliere il testimone. Come per la promozione a coach di Antonio Caratozzolo, ventitreenne e cintura nera di taekwondo tra le più forti della Calabria. O, per dirla con il filosofo Maurizio Iacono, come nel caso della «madre di Winnicott, che lascia spazio al suo bambino standogli accanto ma senza sovrapporglisi». (redazione@corrierecal.it)

15.1.19

“Io, ex boss ergastolano, vi dico che con Cesare Battisti siamo tornati alla gogna pubblica del Medioevo”: intervista a Carmelo Musumeci

  concludo i post dedicati al caso battisti  perchè 
  • Lucilla Cantelli meglio tacere per rispetto dei familiari......
  • Giuseppe Scano Vero cara Lucilla Cantelli. Ma anche evitare gogne mediatiche come quelle di Salvini e bonafede . infatti per rispetto sia dei familiari di entrambi ,cioè vittime e carnefice , non  pubblicherò altri post

Nonostante  sia  d'accordo   che   Battisti paghi  con  il carcere    o quanto meno possa   provare   a difendersi ottenendo  un nuovo processo     visto  che   la siua  fuga    almeno all'inizio  è  stata    causata   dalla legislazione speciale   italiana  dell'epoca     (  erano gli anni  piombo e  della strategia dela tensione  ,   gentge  ammazzata  e gambizzata  nele strade  o  morte per  le bombe  esplose    in piazze  , edifici ,  stazioni    )    che  poteva     anche  portare  alla condanna  in contumacia  , condividendo questo intervento perchè sarà stato pure colpevole  degli omicidi   e strafottente ,ma ormai è come un animale in gabbia e come tale merita rispetto non la gogna mediatica



 leggi    anche  

  da   https://www.tpi.it/2019/01/15/


Tutte le leggi violate dall’Italia nel rientro di Cesare Battisti


“Io, ex boss ergastolano, vi dico che con Cesare Battisti siamo tornati alla gogna pubblica del Medioevo”: intervista a Carmelo Musumeci

Intervista all'ex criminale, oggi attivista per i diritti dei detenuti: "Questa non è giustizia, è vendetta"

Immagine di copertina
Carmelo Musumeci
“Se buttate la chiave della cella di Cesare Battisti stracciate l’articolo 27 della nostra Costituzione. Con la retorica della forca siamo tornati al Medioevo, la pena si è limitata ad essere una passerella del potere”. Sono durissime le parole di Carmelo Musumeci, ergastolano oggi in libertà condizionata e attivista per i diritti dei detenuti e per l’abolizione del “fine pena mai”.
Entrato in carcere da malavitoso semi analfabeta, Musumeci ha cominciato a prendere coscienza della propria condizione quando ha deciso di mettere la propria testa sui libri per permettere alla propria mente di evadere dal sistema penitenziario italiano. E oggi ha fatto della sua esperienza una battaglia di vita.

Carmelo, qual è l’impressione a caldo di quanto successo al rientro di Cesare Battisti?
Non è umano gioire per le sofferenze altrui, la solidità di uno Stato di Diritto si vede in momenti come questo, dove è facile lasciarsi prendere dalla sete di sangue e di vendetta. Momenti in cui la politica dovrebbe avere polso duro con gli atteggiamenti di pancia del popolo, non alimentandoli come invece è successo.
Cesare Battisti è uomo diverso da quello di 36 anni fa [leggi qui per quali reati è stato condannato l’ex terrorista], è stato reso inoffensivo nel momento del suo arresto e non merita certamente di essere portato al pari di un trofeo su tutti i canali mediatici nazionali.
Cesare Battisti sarà sicuramente un uomo diverso, è vero. Ciò non toglie che non abbia scontato la sua pena, la giustizia doveva pur intervenire…
Lo Stato italiano aveva il dovere di prenderlo in custodia, ma non dimentichiamo il ruolo della pena nelle democrazie moderne: è stato messo nero su bianco nell’articolo 27 della nostra Carta costituzionale, scritta da molti che le galere fasciste le avevano provate.
Il carcere è un luogo in cui lo Stato ha il dovere di garantire l’incolumità e la rieducazione del detenuto, non è una valvola di sfogo per i desideri di vendetta del popolo. Oggi invece si è ridotto a tutti gli effetti ad essere visto al pari di una discarica sociale. ’Buttare via la chiave’ è il mantra ma non si guarda mai agli effetti: la pena per essere giusta deve pensare al futuro e non al passato, l’ergastolo invece guarda sempre indietro e mai avanti.
Tu la vedi dal punto di vista del colpevole, ed è giusto che sia così. Ma non hai pensato ai parenti delle vittime e al loro legittimo desiderio di giustizia?
Premetto che non c’è prezzo, né pena, e mai ce ne potrà essere, che possa ripagare i parenti delle vittime di un reato. Non a caso alcuni filosofi ci dicono che la migliore vendetta è il perdono. Sono fortemente convinto che uno dei maggiori valori dell’umanità sia il perdono. Infatti, che soddisfazione potrà mia avere una persona a cui hanno ucciso un proprio caro sapendo che il suo assassino deve stare chiuso in una cella per sempre?
Questa non è giustizia, è solo vendetta e la vendetta lascia solo uno strano sapore amaro in bocca. Questo lo dico per esperienza. Lo sai quando mi sono sentito profondamente colpevole per la prima volta? Quando ho cominciato a poter uscire dal carcere per fare volontariato. Sembrerà paradossale ma è proprio osservando il lato buono della società che ho compreso l’entità dei miei sbagli.Per molti anni ho vissuto circondato nell’odio e nel rancore delle carceri. Le lunghe giornate senza un senso e la disumanizzazione fanno pensare al carcerato che in fondo lo Stato non sia diverso da chi sbaglia, ti riduci ad essere una belva che vede nell’autorità un’altra belva. Il carcere solo punitivo crea mostri o emarginati.
Queste considerazioni probabilmente saranno condivise da un’esigua minoranza. Faranno discutere, ne sei consapevole?
Lo so. Quando sono uscito dal carcere ho trovato un mondo incattivito dove i ‘buoni’ stanno progressivamente diventando peggio dei cattivi e la cosa più mostruosa è che lo stanno facendo in nome della giustizia e della legalità. Una società a mio avviso è giusta se, prima di pretendere che non ci siano reati, pretende che non ci siano luoghi di sofferenza e d’ingiustizia.Cesare Battisti è diventato il mostro perfetto di un sistema che va indietro nel tempo, che ci riporta negli anni più bui del Medioevo. La gogna, l’esecuzione nelle pubbliche piazze e il popolo in festa: qualsiasi sincero democratico a mio avviso dovrebbe indignarsi. È una sconfitta prima umana e poi politica.

emergenza femminicidi non basta una legge che aumenti le pene ma serve una campaga educativa altrimenti è come svuotare il mare con un secchiello

Apro l'email  e tovo  queste  "lettere "   di  alcuni haters  \odiatori  ,  tralasciando  gli  insulti  e le  solite  litanie ...