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6.2.25

ISCRIVERSI A UN CORSO DI DIFESA? È UNA BUONA IDEA. come difendersi se aggrediti alle spallle Manuale di autodifesa I consigli dell’esperto anti aggressione Antonio Bianco puntata n XVIII


Leggendo le diverse puntate del : Manuale di autodifesa I consigli dell’esperto anti aggressione Antonio Bianco pubblicata dal settimanale giallo mi sorta la domanda : A cosa serve la difesa personale? la risosta che mi sono dato è ovvia e scontata cioè per non fare mettere i piedi in testa da nessuno e difendersi se ti aggrediscono . Cosi ho accontonato la cosa . Ma due giorni dopo nell'ultima puntata del Manuale di autodifesa ...... ho trovato , coincienza o casualità una risposta dettagliata che mi ricorda lezioni del maestro Miyagi. - The Karate Kid (The Karate Kid) I diretto da John G. Avildsen. Infatti  secondo   Antonio Bianco 

Prima di tutto si tratta di una disciplina psicomotoria, preziosa perproteggersi da qualsiasi evento di minaccia messo in atto sia con armi sia a mani nude. È inoltre uno strumentodi aggregazione sociale e per la consapevolezza di quelli che sono i limiti di ciascuno di noi. Ancora, si tratta di una disciplina adatta anche alle persone non più giovanissime, sia dal punto di vista fisico sia da quello psicologico. La difesa personale stimola infatti la memoria, i riflessi e riattiva il fisico in ogni sua parte, a patto che non ci siano problemi di salute gravi. La necessità di doversi difendere da eventuali aggressioni o semplicemente di saper affrontare con prontezza possibili situazioni di molestia è purtroppo unsiesigenza sentita da molte persone.
In ragione della mo l t e p l i c i t à delle situazioni che si possono verifcare, lo studio e la pratica dell'autodifesa personale dovrebbero svilupparsi con tecniche semplici, con una preparazione mentale all'imprevedibilità delle azioni, con fluidità, con la consapevolezza che nulla può essere assoluto, con attenzione minuziosa all'unicità di ogni allievo e con una grande puntualizzazione sull'equilibrio. La pratica assidua della difesa personale costringe ognuno, prima o poi, a fare i conti con se stesso: chiunque avverte infatti lo stress o legame tra corpo e anima, il vincolo causale tra i movimenti del corpo e la propria personalità. Si può decidere se indirizzarsi freddamente al più puro tecnicismo, oppure afferare l'occasione di conoscere se stessi. Praticare la difesa personale è innanzitutto spogliarsi del vissuto quotidiano, di pregiudizi, maschere e ansie, e indossare l'nsegnamento impartito con semplicità, vale a dire l'accettazione delle nostre identità, con i nostri pregi e le nostre qualità.La sfida sta nel far uscire allo scoperto la parte più nascosta di noi stessi.
Infatti  non esiste ( o almeno dovrebbe🙄😜🧠 ) competizione se non quella sana di ciascuno con se stesso per migliorarsi e superare i propri limiti; è importante credere nelle proprie capacità, senza ostentazione, e avere in mente che il primo avversario si nasconde sempre dentro di noi

1.2.25

anche le donne sono stalker e commettono violenze sugli uomini .

Nb.
agli analfabeti  funzionali   e  ai maschi  alfa  non fermatevi al titolo ma  leggete  tutto l'articolo 

Caro Ulisse ,

 ignorare o sottovalutare la violenzadelle donne, oltre a determinare un vuoto nelle
riflessioni teoriche e nei dati empirici relativi a una struttura relazionale evidentemente diffusa,
comporta anche il rischio di sottovalutare la necessità di interventi preventivi e di trattamento per tutte le vittime,sia uomini che donne. Non ti pare?

                                    Antonio


Carissimo Antonio, mi trovi assolutamente d’accordo.Dobbiamo superare questo tabù che considera le donne angeli del focolare, creature delicate e dolci e quindi incapaci dicommettere violenze. Guarda ad esempio a copertina qui   a   sinistra   di “Giallo” di questa settimana: c’è Alessia Pifferi, donna e mamma, che ha lasciato morire di stenti la sua bambina. C’è Rosa Vespa, una signora di 51 anni che voleva un bambino, ha !nto una gravidanza e ha rapito quello di un’altra donna. C’è Amanda Knox, che pur di levarsi d’impiccio in un interrogatorio che la stava stancando, ha calunniato Patrick Lumumba, il suo datore di lavoro e amico,
accusandolo di omicidio. E non gli ha mai nemmeno chiesto scusa! E poi la scorsa settimana ci siamo occupati di Chiara Petrolini, 22 anni, capace di nascondere due gravidanze, di uccidere due neonati e di seppellirli nel cortile di casa. E della professoressa che molestava gli alunni in una “saletta” nel modo più subdolo e perverso possibile. Come si può negare che la cattiveria e la violenza siano anche nell’animo delle donne? C’è un grande equivoco, in questi anni. Gli uomini temono che l’attenzione per i femminicidi metta sotto accusa tutta la categoria maschile. Si sentono toccati tutti, ci tengono a dire che loro sono “bravi”. Come se l’immagine degli uomini fosse messa in pericolo dall’innegabile presenza del fenomeno.
Spesso ti rispondono: ma anche le donne uccidono gli uomini.Ecco, sì, può capitare, ma molto più raramente. Perché gli uomini sono più forti fisicamente, ma anche perché di solito levittime sottomesse sono più facilmente femmine. Nel femminicidio scattano meccanismi di possesso e di volontà di 
prevaricazione che affondano le loro ragioni in qualcosa che ci 
portiamo dietro dalla storia. Tieni conto che il delitto d’onore è stato abolito solo nel 1981! Il fatto che però i “maschicidi” siano rari, non signi!ca che allora le donne siano tutte stinchi di
santo. Abbiamo decine di madri assassine, abbiamo ragazze che hanno ucciso i genitori, o le amiche, e per!no qualche serial killer femmina. E anche senza arrivare a questi estremi,molte donne maltrattano i loro compagni, i loro figli, sfruttano le persone, rubano, truffano, mentono, sono vendicative,stalkerizzano e tutto il resto. Per questo diciamo che siamo tutti uguali, nel bene ma anche nel male.
Non è una gara a chi è più buonoo più cattivo , e loro : non siamo a scuola con le due liste sulla lavagna . Questa “guerra” tra uomini e donne non ha e non dovrebbe avere davvero senso. Siamo tutti sulla stessa barca, tutti interessati a che sia fatta giustizia e che ci sia   rispetto   da  ambo le parti . A prescindere 
da che sesso abbia chi commette violenza.

18.1.25

Manuale di autodifesa I consigli dell’esperto anti aggressione Antonio Bianco puntata n XV colpire i punti deboli dell'aggressore ( tecnica da usare in casi eccezionali )

puntate precenti qui la precedente con gli url   alle   altre puntate

Non tutti reagiscono nello stesso modo quando si trovano  davanti a un pericolo. Ci sono diverse componenti che   condizionano la nostra capacità di reazione e la scelta che  andremo a prendere, anche se si tratta di decisioni che  apparentemente vengono prese in tempi brevissimi. Ma ci sono  dei test per tentare di fare una previsione delle nostre reazioni. 

Guardiamo per esempio l’immagine qui sotto 


 Si tratta di un esercizio importante per comprendere qual è la visione d’insieme che abbiamo di questa foto e per capire qual è la parte dominante del nostro cervello, che quindi condiziona le nostre modalità di reazione, anche quando di fronte a noi abbiamo un pericolo. L’emisfero sinistro tiene a freno l’istinto, quindi controlla la parte razionale del nostro comportamento, mentre quello  destro è tipicamente dominante per quanto riguarda l’attenzione esterna, che viene detta esterocettiva, e quindi esclusivamente istintiva. Torniamo all’immagine.
O Se come prima cosa la vediamo dal punto di vista frontale, allora significa che la parte del nostro cervello che usiamo maggiormente è quella sinistra e che quindi abbiamo un approccio più razionale.
O Se invece vediamo la stessa immagine dal punto di vista laterale, allora la parte più usata è quella destra, che invece comporta maggiore ascolto dell’istinto.  

per  approfondire   le  tecniche  

Vi abbiamo già illustrato l’importanza della fuga per scampare a un potenziale pericolo di aggressione. In alternativa, quando il contesto e la situazione lo permettono, è possibile reagire, con tutta la razionalità del caso. Conoscere i punti di pressione sensibili può essere un aspetto vitale dell’autodifesa, anche se è essenziale utilizzare queste tecniche con grande responsabilità e altrettanta consapevolezza di quelle che sono le loro potenziali conseguenze. La sicurezza personale è importante, ma deve essere bilanciata  con un uso responsabile della forza. La testa è il bersaglio
principale ma dobbiamo  evitare di colpire la fronte,la parte più dura, molto più dura delle ossa della mano che contro di essa tendono a rompersi. La parte alta, la nuca, le tempie, il naso, il mento e la mandibola sono le parti sulle quali dobbiamo scaricare tutta la forza,senza rischio di ferire le nostre mani. Colpite a piena potenza e poi scappate. Prendiamo in esame vari distretti, partendo dagli occhi. Colpirli con precisione con le dita provoca dolore e temporaneamente priva della vista il nostro aggressore. Anche il naso può essere un punto decisivo: colpirlo dal basso, con il palmo della  mano rivolto verso il naso,provoca
lacrime e dolore all’aggressore, e soprattutto lascia a voi il tempo di  allontanarvi e discappare. Anche colpire entrambe le orecchie con le mani piatte può essere effcace come sistema di difesa.Questo tipo di azione crea squilibrio per diversi secondi,che possono essere preziosiper darsela a gambe ed evitare il pericolo di una potenziale aggressione. Ancora, un colpo  inferto nella regione addomi￾nale superiore, vale a dire nel plesso solare, è in grado di togliere il fiaato per qualche secondo, anche in questo caso consentendoci di fuggire e  metterci in salvo. Pure un calcio o un pugno inferto sotto la cintura è efficace, concedendoci così la possibilità di mettersi al riparo. Ci sono poi modalità meno convenzionali che possono essere applicate in si tuazioni di emergenza. Per esempio, è possibile grattare, mordere e pizzicare.
Indipendentemente dal tipo di tecnica di difesa, è però fondamentale tenere a mente che l’impiego di queste tecnichedi autodifesa comporta il rischio di infliggere lesioni anche gravi all’aggressore e che pertanto è essenzia le metterle in pratica solo ed esclusivamente in situazioni di reale emergenza  per la vostra incolumità.Altrimenti   non  è  più  autodifesa  ma  violenza   e  rischiate    d'essere  acusate\i    di  lesioni   o  tentato  omicidio   se  il  colpo inferto   è   duro  .


  Infatti   ecco   cosa  suggerisce https://www.corsi.it/blog/come-imparare-autodifesa/

[...] 
Cosa si può fare per difendersi e cosa dice la Legge?
Esistono diverse misure che puoi adottare per accrescere la tua sicurezza personale. Ecco alcune utili raccomandazioni generali:

  • Consapevolezza situazionale: sii cosciente dell’ambiente che ti circonda e presta attenzione a possibili minacce o comportamenti sospetti.
  • Misure preventive: prendi precauzioni per evitare di essere vulnerabile. Ciò può includere l’utilizzo di misure cautelative, come ad esempio porte e finestre ben chiuse e luci esterne accese (se ce ne sono).
  • Autodifesa di tipo verbale: oltre alle tecniche fisiche, che vedremo a breve, puoi praticare tecniche di autodifesa verbale, che includono l’uso delle parole per allontanare una situazione di pericolo o disinnescare un conflitto.
Per ciò che riguarda la legge, è importante consultare le normative specifiche del tuo Paese o della tua regione, poiché possono variare.Tuttavia, generalmente, la legge riconosce il diritto di difenderti in situazioni di legittima difesa, ossia quando la tua vita o la tua incolumità fisica sono minacciate.Qui c’è da prestare attenzione, perché le leggi sulla legittima difesa possono essere complesse e cambiare in base a fattori come la proporzione della forza utilizzata e le specifiche circostanze dell’aggressione.Perciò, è opportuno informarsi sulle leggi locali e, se necessario, consultare un legale esperto per comprendere appieno i tuoi diritti e le responsabilità legali correlate all’autodifesa.Ricorda che la tua sicurezza personale è una priorità, ma è altresì importante agire in modo responsabile e rispettoso delle leggi vigenti.

[....] 

con  questo è  tutto 

11.1.25

Dopo 31 anni a subire violenza, la fuga dalla città per rinascere ed altre storie sarde

 fonti  la nuova  sardegna  , cronache nuoresi ,  sassari notizie  

Nuoro
«Cosa è stato toccare il fondo? Non riuscire a pensare al domani. Non avere una speranza, essere

talmente abituata a quello schema di violenza subìta, che la deviazione, anche per uscirne, non era contemplata. E in più, la paura di diventare come lui. Mi dava uno schiaffo? Lo restituivo. Prendeva il coltello in mano? Lo prendevo anche io. Stavo diventando una bestia come lui».
Cinzia Seddone ha 62 anni e 31 di questi li ha passati in balìa di un fidanzato violento. Dentro meccanismi avvolgenti e subdoli in cui la demolizione dell’autostima è passata attraverso violenze psicologiche: non sai niente, non sai fare niente, non vali niente. Quindi: «Te le meriti, le botte». E se in un perverso immaginario che i violenti utilizzano per giustificare l’ingiustificabile, queste botte erano inserite in un contesto preciso «Mi colpiva soprattutto quando era ubriaco: pugni, calci, schiaffi, minacce. Mi ha rotto il naso», alla fine si arriva alla svolta: «Botte anche quando non beveva». Dentro Cinzia scatta qualcosa: «Un giorno mi sono svegliata e ho pensato: se mi picchia, prendo il volo»

Le botte sono arrivate, puntuali. Le ultime: lei è scappata, letteralmente. In un giorno, sostenuta dalla sua famiglia, ha fatto i bagagli e ha lasciato Nuoro. Aveva 47 anni, è stato 15 anni fa. È approdata in Abruzzo, dove lavora. Dove soprattutto ha abbandonato la contabilità del terrore e vive una vita serena.
Cinzia Seddone la sua storia l’ha raccontate nel libro “Come una fenice”, editore Masciulli. Lo presenterà oggi, alle 18, alla Biblioteca Satta. Con lei ci saranno Marina Piano, responsabile dell’area di servizio sociale dell’Ufficio esecuzione penale esterna, in un convegno organizzato dal comitato Pari opportunità dell’Ordine degli avvocati di Nuoro, dall’Unione avvocati della Sardegna e dal Consorzio per la pubblica lettura Sebastiano Satta. I lavori saranno introdotti dal presidente Unas, Priamo Siotto. Il dibattito sarà moderato da Maria Concetta Sirca, presidente del comitato Pari opportunità dell’Ordine degli avvocati di Nuoro.
«Ho portato avanti questa storia di violenza senza far uscire nulla. Per paura di lui, ma anche per vergogna. Per me, per la mia famiglia», racconta Cinzia. Una famiglia lontanissima dagli stereotipi del disagio, a riprova che certe situazioni non siano il frutto di ambienti disastrati: «Non c’è nulla di più trasversale della violenza», ammette. E così il silenzio e la vergogna lavorano a favore del violento. «A casa non si accorgevano. Sono stata bravissima a evitare che potessero spaventarsi. Un pugno in faccia, con i segni e i lividi? Avevo spiegato che ero caduta e avevo sbattuto alla ringhiera».
Intanto il meccanismo di allontanamento dagli affetti familiari che i violenti mettono in atto, funzionava, in questo caso, quasi in automatico. «Ero io che mi isolavo dai miei familiari. C’era un compleanno di un nipotino da festeggiare? Accampavo una scusa e non ci andavo. Mi sembrava fosse più importanti proteggere loro, quasi più che proteggere me stessa», racconta Cinzia.
Violenze fisiche e psicologiche. Addirittura a Cinzia Seddone viene diagnosticato un principio di Alzheimer. «Pazzesco, avevo 40 anni. Dimenticavo tutto». Anche a questa diagnosi Cinzia mette un argine. «Quando sono scappata e sono arrivata in Abruzzo, ho ripreso a fare la cosa che mi riusciva meglio: mi sono rimessa a studiare. Biologia. C on i primi due esami, due 30, sono andata dalla neurologa: “Le sembrano i risultati di una con l’Alzheimer?”».


Con il suo libro “Come una fenice”, la scrittrice nuorese ha di rompere il silenzio e denunciare una realtà troppo spesso nascosta: la violenza domestica. La sua storia, apparentemente ordinaria, si trasforma in un drammatico racconto di sopraffazione e paura. Un amore che si rivela essere un incubo, un crescendo di maltrattamenti psicologici e fisici che ha segnato profondamente la vita dell’autrice del libro – denuncia.UNA DONNA COME TUTTE – Cinzia è una donna che sin dall’adolescenza si innamora di un uomo all’apparenza meraviglioso, ma che ad un certo punto inizia a mostrare il suo vero volto. Prima gli insulti, poi il primo schiaffo che in breve diventa un pugno, calci e umiliazioni, secondo una sequenza ben nota. E inizialmente, come tutte le vittime, anche Cinzia tende a giustificare il gesto, a sottovalutare il comportamento, fenomeno che invece non deve mai essere ridimensionato. Da quel momento inizia la spirale di violenza che diviene una costante del rapporto. Un incubo nel quale la donna rimane intrappolata per lunghi 30 anni. Quella appena descritta non è la trama di un romanzo noir ma una storia vera e la protagonista è una donna nuorese che 15 anni fa è letteralmente scappata dalla città per sottrarsi a una vita fatta di violenze e minacce.
Quando il nemico è in casa, tra le mura domestiche, lo si intuisce dai primi segnali ma si fa fatica a crederlo e poi ad accettarlo. Quello che ha vissuto sulla sua pelle non è amore, si può definire in un modo solo: violenza.
Una brutalità assurda, inspiegabile e gratuita, ancor più se a porla in essere è il partner, il compagno di vita che dovrebbe distinguersi per altri nobili sentimenti.
La storia di Cinzia è all’apparenza una storia come tante, ma a differenza di altre c’è il coraggio a dosi abbondanti e la consapevolezza che episodi come quelli da lei vissuti non devo più accadere, né a lei né tantomeno a nessun’ altra.
Un’escalation di maltrattamenti, drammatica e al tempo stesso tristemente frequente nella vita reale in una casistica che rimbalza da nord a sud con le stesse assurde dinamiche.
Cinzia è una donna che sin dall’adolescenza si innamora di un uomo all’apparenza meraviglioso, ma che ad un certo punto inizia a mostrare il suo vero volto.
Prima gli insulti, poi il primo schiaffo che in breve diventa un pugno, calci e umiliazioni, secondo una sequenza ben nota.
E inizialmente, come tutte le vittime, anche Cinzia tende a giustificare il gesto, a sottovalutare il comportamento, fenomeno che invece non deve mai essere ridimensionato.
Da quel momento inizia la spirale di violenza che diviene una costante del rapporto. Un incubo nel quale la donna rimane intrappolata per lunghi 30 anni.
Quella appena descritta non è la trama di un romanzo noir ma una storia vera e la protagonista è una donna nuorese che 15 anni fa è letteralmente scappata dalla città per sottrarsi a una vita fatta di violenze e minacce.
Quando si entra in quella bolla infernale ribellarsi non è semplice e lo è ancora meno in un contesto culturale e sociale della piccola provincia.
 .....  

L’intervista



Raoul Chiesa, l’ex hacker più famoso d’Italia ha scelto di vivere in Sardegna

di Paolo Ardovino


Poco più che ventenne era entrato nel sistema della Banca nazionale. Ora vive in Gallura, difende governi e imprese da frodi e attacchi informatici








Sassari Era poco più che un adolescente che passava i pomeriggi in camera davanti al computer quando, nel 1995, Raoul Chiesa ha «bucato» il sito della Banca d’Italia. Senza nemmeno troppi sforzi, riesce a entrare nel sistema economico più importante del Paese. «Ma non presi un euro, non era quello il mio interesse. Volevo solo provarci e mostrare quanto fosse facile». Viene arrestato, sconta tre mesi chiuso in casa senza apparecchi elettronici. «Ricordo ancora le parole del procuratore: “Ti rendi conto che avresti potuto abbassare o alzare i tassi di sconto della lira sui tassi mondiali?”».
Ne è passata di acqua sotto i ponti, o flussi di dati nella rete, e Chiesa, torinese, classe 1973, da diversi anni è passato dall’essere il più famoso pirata informatico italiano al fornire servizi di cybersicurezza. Recuperare dati rubati, navigare nella parte oscura del web per sventare azioni illegali, difendere i database da attacchi esterni.
La sua Sardegna 
L’informatico ha sempre lo zaino in spalla, il suo lo definisce un modo di lavorare atipico: i clienti sono «Governi, enti, forze dell’ordine, multinazionali o singoli privati». Capita che voli a Sydney, Stoccolma o Singapore ma senza nemmeno il piacere di godersi del tempo libero. Il relax lo trova in Sardegna. Che è diventata il suo rifugio. «La mia storia con l’isola inizia nel 2020, un amico mi invitò a passare settembre in Gallura, ed ero ben felice di scappare dal caos di Roma, dove vivevo al tempo». Ora vive di fronte al mare, in una località vicino a Olbia. «Adoro il cibo, il vino, l’accento delle persone, l’apparente leggerezza, i panorami mozzafiato, le passeggiate con il mio cane, Lupo, e le letture in spiaggia». Ecco, appunto, e Raoul Chiesa fa un grande sorriso quando parla di Piergiorgio Pulixi. «Uno scrittore che adoro. L’ho scoperto attraverso Massimo Carlotto», e di Pulixi attende impaziente l’uscita di ogni libro. Ma è anche un’ispirazione: «Mi piacerebbe prendermi un anno sabbatico, vorrei scrivere un romanzo, una sorta di cyber-thriller».
La vita in uno smartphone Sole, mare e libri. Tregue da una vita che lo porta a passare gran parte delle giornate davanti allo schermo. «I casi di cui mi occupo più spesso? Incidenti informatici, violenze, truffe, frodi, furti di dati e informazioni personali». Raoul Chiesa, che ormai è un hacker etico, cioè che agisce per la sicurezza, parla di «formazione». Lo ripete spesso, ed è per lui il più grande anti-virus possibile. «Mi preoccupano molto i giovani che non capiscono un concetto che sta alla base di tutto: e cioè che internet non dimentica. Le foto osé o da ubriachi, scattate senza pensarci troppo durante una festa di compleanno o l’uscita al sabato sera con gli amici, saranno ancora presenti tra vent'anni. E potrebbero andare a rovinare un colloquio di lavoro, dato che oggi i responsabili delle Risorse umane verificano, ancor prima che il curriculum della persona, i suoi social». Lo smartphone che abbiamo in tasca «è la cosa più intima che indossiamo – spiega Chiesa –. Si tratta dell’entità che ci conosce meglio, che sa di noi più dei nostri genitori e della nostra fidanzata. Perché a Google chiediamo di tutto: le nostre curiosità più intime e personali».
Nemico pubblico Gli hacker di oggi, in qualche modo, sono figli suoi. Nel senso che la sua storia negli anni Novanta è divenuta celebre. «Ma lo stereotipo dell'hacker 15enne, con la felpa ed il cappuccio, chiuso in una cameretta buia, è ormai superato». Ora sono professionisti che lo fanno di mestiere.
Nel ’95 Chiesa è riuscito a entrare nel sito della Banca d’Italia ma con interessi puramente informatici. Non sposta una virgola dai conti. Viene arrestato. «Il Pubblico ministero, Pietro Saviotti, qualche giorno dopo mi richiamò a Roma per dirmi che dagli Stati Uniti era stata richiesta la mia estradizione: avevo violato At&T, la più grande azienda di telecomunicazioni al mondo, ma anche Gte, Mci, Sprint. A poco più di vent’anni avevo il mondo in mano, osservavo cose, dati, analizzavo informazioni, passando da una base brasiliana di lancio dei satelliti a centrali nucleari o sistemi militari internazionali per il lancio di missili», lo ricorda divertito. «Mi condannarono a tre mesi e mezzo di arresti domiciliari, senza computer, telefoni e modem, per me fu una tragedia».
La decisione In quel momento si redime, come Lodovico che diventa Fra Cristoforo, l’hacker nemico pubblico diventa hacker etico. Maurizio Costanzo lo chiama al suo famoso show però poi lui nel 1996, ancora molto giovane, decide di aprire la prima azienda sulla cybersicurezza. Ora si occupa di contrastare le attività del deep e del dark web, «dati e informazioni rubati che vengono messi in vendita in una sorta di suk digitale del crimine organizzato, all’insaputa di aziende e persone». Poi il digital forensics, «cioè raccogliere e analizzare tracce informatiche da e-mail, siti web, server e computer portatili, hard disk, cellulari, dispositivi. Dopodiché anche la sicurezza preventiva, la scienza da cui ho iniziato alla fine degli anni ’90: attuo delle simulazioni di attacchi hacker». E questa assistenza può salvare intere carriere. «Ho visto aziende chiudere per un ransomware, quando cioè tutti i computer e i dati sono bloccati e non recuperabili, viene chiesto un riscatto per sbloccarli, oppure viene tutto pubblicizzato sulla rete», spiega l’hacker buono.
Uso consapevole «Adesso è il periodo in cui va di moda l’Intelligenza artificiale, i big data e le criptovalute, tutti i convegni nell’ultimo periodo trattano questi temi, spesso a sproposito». Dal canto suo, Raoul punta sulla formazione, «per insegnare i comportamenti corretti e l’approccio al web». Che piaccia o no, l’informatica in senso ampio oggi gestisce la routine quotidiana, «il bancomat è un computer, l’automobile è una smart-car e tutto questo ha un prezzo». Gli Stati sono sempre più impegnati nella creazione di leggi che ridefiniscano i perimetri giuridici sull’uso del digitale. Chiesa era nel team di esperti che si è occupato del caso di Tiziana Cantone, la ragazza che nel 2016 si tolse la vita dopo che un suo video intimo era stato diffuso online. Da lì il revenge porn è entrato nel codice penale.Sul nostro uso del web ogni giorno c’è molto da rivedere: «Se smettessimo di cliccare ovunque, di credere alle fortune cadute dal cielo, ai post ossessivi-compulsivi, di pubblicare sui social qualunque cosa facciamo e dovunque andiamo, utilizzare password banali, potremmo allora evitare di esporci a determinati rischi».

......

Il fotografo dei re e degli emiri è il sardo Antonio Saba

di Salvatore Santoni

Partito da Cagliari, adesso vive a Dubai e lavora per la famiglia reale. Scatta per grandi marchi e la sua ultima antologia è stata curata da Sgarbi


Sassari C’è un fotografo sardo – che in realtà ai suoi livelli bisognerebbe definire artista – che viaggia da un capo all’altro del mondo e ha piantato la bandiera dei Quattro Mori negli ambienti più altolocati del globo. Si chiama Antonio Saba, è nato a Cagliari ed è tra i
professionisti più apprezzati soprattutto in Arabia. Vive a Dubai ma è difficile che dorma nello stesso letto per troppo tempo. La sua vita è dappertutto, tra famiglie reali, marchi globali della ristorazione e della ricettività extra lusso, personaggi di caratura internazionale, campagne pubblicitarie e progetti artistici ai massimi livelli.

Maestro, parliamo subito dei suoi clienti più illustri: le famiglie reali. Ci può dire chi sono e che tipo di lavori le hanno commissionato?

«Ho un rapporto di amicizia e collaborazione da diversi anni con una delle persone più importanti della famiglia reale di Dubai. Sono persone straordinarie e di grande cultura. Le mie collaborazioni con loro sono riservate e non posso raccontarle nel dettaglio, posso comunque dire che si tratta di progetti artistici e fotografici ai massimi livelli».

Ci racconti un po’ il suo percorso artistico e professionale.

«Ho preso la mia prima reflex in mani a 15 anni, sottraendola a mio padre. Ho coltivato la passione come tanti altri stampando in casa in b/n etc… Ho poi avuto la fortuna che lo Ied aprisse a Cagliari proprio nell’anno del mio diploma. Questo mi ha permesso di studiare Fotografia Pubblicitaria a livello universitario e acquisire la forma mentis di un professionista della fotografia, e quindi iniziare a esserlo dai 21 anni in poi».

Quanti anni aveva quando ha cominciato a girare il mondo?

«Ho iniziato a viaggiare in maniera seria intorno ai 24 anni, andando spesso negli Stati Uniti. Nel 1995 ho lasciato la mia società in Sardegna per un’esperienza a Los Angeles, dal quel punto in poi ho iniziato a viaggiare in tutto il mondo per riviste di viaggio, di food e di interni. Queste esperienze mi hanno formato per approdare definitivamente al mercato del lusso, settore in cui svolgo ancora oggi la maggior parte della mia fotografia commerciale».

Annovera fra i suoi clienti alcune delle più importanti catene alberghiere a livello internazionale. Ci può parlare di qualche suo lavoro?

«Sono uno specialista raccomandato da Waldorf Astoria, Peninsula, Hilton e ho lavorato per tutte le più importanti catene incluso Marriot, Shangri-la, Intercontinental, tra le altre. Faccio in particolare tanti servizi per le aperture dei nuovi hotel, progetti in cui realizzo tutte le immagini pubblicitarie che vengono poi utilizzate dalle strutture per la promozione. Ho realizzato davvero tanti di questi servizi».

Il suo curriculum è sconfinato, ma se dovesse scegliere uno dei lavori della sua lunga carriera, qual è quello che ricorda con più emozione?

«Ci sono due lavori straordinari. Uno è del 2004, anno in cui sono stato un mese e mezzo in Costa Rica per realizzare le 10 fotografie per la campagna pubblicitaria mondiale del loro Paese. Da allora vado in Costa Rica quasi tutti gli anni, è senz’altro uno dei posti che chiamo casa. La seconda, invece, è l’ultimo lavoro realizzato quest’anno per una nuova apertura del Waldorf Astoria Platte Island, una remota isola selvaggia delle Seychelles, lavoro che ha preso quasi due mesi di lavoro con una crew di 12 persone».

Come funziona il suo lavoro: come sceglie i soggetti, come matura un’idea?

«Riguardo la fotografia commerciale ricevo un briefing dal cliente, si individuano i punti di forza e i selling points del prodotto, mi viene quindi chiesto di elaborare un progetto che visualizzi queste caratteristiche col tono di voce adatto alla tipologia di offerta. Segue un sopralluogo, definizione di luce e inquadrature per le foto di architettura. Invece nel lifestyle la preparazione è più complessa, con casting dei modelli, moodboard per i vestiti e il make up. Per le mie produzioni fine art invece in genere vengo ispirato dai luoghi che incontro in giro per il mondo, dove immagino possa accadere qualcosa di straniante. Il processo creativo dura qualche mese o qualche anno, sino alla definizione dell’idea e alla realizzazione vera e propria. Sono dei veri e propri film dal singolo fotogramma».

Qual è la richiesta più bizzarra che ha ricevuto per un lavoro fotografico?

«Qualsiasi richiesta di fotoritocco esagerato, a cui dico sempre di no». A cosa sta lavorando ultimamente? «Al momento sto completando la postproduzione del mio lavoro per Hilton Seychelles, inclusa una immagine hero che verrà utilizzata in pubblicità sui billboards. In questo caso ho realizzato un’immagine onirica e il cliente se ne è innamorato eleggendola come immagine simbolo della presenza Hilton in Seychelles. Sto anche curando un libro fotografico non mio per un importantissimo publisher di New York e come photoshoot ho avuto un’estate pienissima con lavori in Europa e a Dubai».

Anche lei ha pubblicato dei libri.

«In carriera ho pubblicato diversi libri monografici. L’ultimo in ordine di tempo è uscito qualche anno fa, è un’antologia personale degli ultimi 15 anni, curato da Vittorio Sgarbi e Cristina Mazzantini. Si intitola Chasing Beauty, distribuito da Mondadori. Il libro svolge un percorso: dalle immagini della memoria, agli anni dei viaggi sino alle produzioni oniriche degli ultimi anni che ho esposto con la mia mostra personale “Oneirism” a Bangkok, a Dubai e, spero l’anno prossimo, anche a Milano in versione complete».

Lei parla di “fotografia dei sogni” ci può spiegare cosa intende?

«Come dicevo prima il mio progetto Oneirism è composto da immagini stampate in grande formato che hanno come soggetto dei frammenti di sogno, o comunque di coscienza alterata, dalla Dea del fiume che nel suo patio fa il bagno in una vasca col suo amante pescegatto, alle Naiadi nel lago sotterraneo di Grotta Giusti, ai miei astronauti viaggiatori del tempo, sino ad un’immagine ispirata da Sergio Atzeni e ambientata in una grotta di Oliena 5000 anni fa. Invito tutti a dare uno sguardo a queste immagini nella sezione conceptual del mio sito www.antoniosaba.com»

Cosa ne pensa dei selfie, e dell’epoca della condivisione massiva di immagini sul web?

«Lo trovo un fenomeno divertente, tante persone hanno trovato il gusto di fotografare e fotografarsi perché il telefonino ha azzerato le difficoltà tecniche, tanti si esprimono concentrandosi solo su composizione e qualcuno fa anche delle immagini gradevoli. Ovviamente nei selfie Narciso la fa da padrone, ma non la trovo una cosa negativa, anzi…».


27.11.24

FEMMINICIDI e violenza sulle DONNE in Italia: cosa ci dicono i dati

a chi mi dice  che con i miei post  su meta  ( fb , x , thereads ,  istangram )  e  qui sul blog  faccio e  si  fa    terrorismo mediatico   o  altre  sciochezzeparlando di  queste tematiche  . dicoloro     di chiedersi      come fa  questo  video  (  ben  fatto   tal  altro )  come mai   il  numero  delle  donne uccise  è  cosi  alto .  la matematica  non è  un opinione  

   

e meditate  gente  meditate   voi che ancora  negate  o  sminuite   tale  fenomeno  

24.11.24

la violenza di genere è figlia del patriarcato o del matriarcato?

In occasione della giornata contro la violenza sulle donne, in occasione di uno dei tanti anniversari che hanno segnato e ridisegnato la nostra cronaca, quello di Giulia Cecchetin, nella giornata che vuole l’impegno affinché si arrivi a trovare una soluzione definitiva alla tanta violenza che ancora subiscono le donne , si basa la mia riflessione d'ggi . Alla base della violenza di genere   se   il  violento  della  donna  non è  solo maschile   \  femminicidio   se  solo    maschile   c'è una profonda crisi sociale che vede coinvolti nel dramma entrambi i generi e i ruoli e che esige un loro nuovo equilibrio proprio come suggerisce sial'articolo   di  https://www.huffingtonpost.it/blog del 23\11\2024 : << La
violenza è figlia del patriarcato o del matriarcato
?
>>
 sia la lettura su tali argomenti dei libri Canzoni contro l'omofobia e sulla la violenza sulle donne Sulle tracce dell'altrove. dell'amico \ compagno di strada Cristian Porcino . Ma soprattutto La violenza di genere è un fenomeno complesso e multifattoriale che non può essere attribuito esclusivamente al patriarcato o al matriarcato.
 Tuttavia, storicamente, il patriarcato ha creato strutture sociali e culturali che hanno perpetuato la disuguaglianza di genere e la subordinazione delle donne, contribuendo alla violenza di genere. Infatti Il patriarcato è un termine che indica una struttura sociale che fa capo al pater familias che incarna e detta legge, che protegge un nucleo in cambio del rispetto della sua regola. Un status che << .... è scomparso in Italia oramai, direi, dal secondo dopoguerra, quando il maschile è stato decimato e la sua presenza, anche nel ruolo, drasticamente confinata. Quello che sta imperversando ai tempi nostri è puro maschilismo. .... >> ( dott Agnese Scappini nel citato articolo dell www.huffingtonpost.it ) . Ma di questo sistema sociale in cui gli uomini detengono il potere e le donne sono in gran parte escluse da esso. ne rimangono le scorie . Questo sistema ha spesso giustificato e normalizzato la violenza contro le donne come mezzo di controllo e oppressione. D'altra parte, il matriarcato, inteso come un sistema sociale in cui le donne detengono il potere, è molto meno comune e non ha storicamente avuto lo stesso impatto sistemico sulla violenza di genere. In sintesi, la violenza di genere è principalmente legata a strutture patriarcali che perpetuano la disuguaglianza e la discriminazione. Tuttavia, è importante riconoscere che la violenza di genere è un problema complesso che richiede un approccio olistico per essere affrontato efficacemente.Infatti un metodo di analisi o trattamento che considera l'intero sistema piuttosto che concentrarsi solo su singoli componenti. In altre parole, si prende in considerazione l'interconnessione e l'interdipendenza di tutte le parti di un sistema per comprendere meglio il contesto complessivo.Ad esempio, in medicina, un approccio olistico non si limita a trattare i sintomi di una malattia, ma considera anche fattori come lo stile di vita, l'ambiente, la salute mentale e il benessere emotivo del paziente. In questo modo, si cerca di promuovere la salute e il benessere generale piuttosto che solo alleviare i sintomi.Allo stesso modo, in ambito sociale, un approccio olistico alla violenza di genere non si limita a punire i colpevoli, ma cerca anche di affrontare le cause profonde della violenza, come le disuguaglianze di genere, le norme culturali e sociali, e le dinamiche di potere.

16.11.23

Davide Ferrerio, l'aggressore (condannato a 20 anni) fa appello: «Quella ragazza era cosa mia, non doveva avvicinarsi»

ecco  perchè   m'interesso   di  femminicidio \   violenza  di genere .  E' proprio da  un amore  malato      che  nasce   il femminicidio  .  Male  atavico  presente   da secoli  . 

  da   www.leggo.it 6 ora/e tramite   https://www.msn.com/it-it/notizie/italia/
 

Davide Ferrerio, l'aggressore (condannato a 20 anni) fa appello: «Quella ragazza era cosa mia, non doveva avvicinarsi»
Davide Ferrerio, l'aggressore (condannato a 20 anni) fa appello: «Quella ragazza era cosa mia, non doveva avvicinarsi»© Redazione

È passato più di un anno dall'aggressione che ha ridotto in fin di vita Davide Ferrerio. L'11 agosto 2022, il 20enne bolognese è stato massacrato di botte a Crotone. Da quel giorno, non si è più ripreso. Per questa aggressione, Nicolò Passalacqua è stato condannato a 20 anni e 4 mesi di reclusione in primo grado.
L'aggressione sarebbe dovuta a una ragazza, alla quale Ferrerio si sarebbe avvicinato. Il 23enne ha fatto appello contro la decisione dei giudici e ha ribadito che «nessuno si doveva avvicinare a quella donna perché era cosa mia», riporta il Corriere. Il giovane è in coma vegetativo. 

Davide Ferrerio è in coma vegetativo. Il dolore di mamma Giusy: «Quella donna sapeva che la figlia chattava con tutti»

Il processo

Il prossimo 24 gennaio si terrà l'udienza d'appello per Nicolò Passalacqua. Il suo avvocato, Salvatore Iannone, ha descritto l’azione del suo assistito come «un’aggressione che voleva solo percuotere, anche con la forza, il giovane antagonista, facendogli capire che quella ragazza era “cosa sua” e nessuno poteva avvicinarsi».Anche la gip ha confermato le intenzioni di Passalacqua di voler "marcare il territorio" intorno a quella ragazza. «L’aggravante dei motivi abbietti — scrive la gip — è avvalorata, infatti, dal voler difendere ciò che è suo, infliggendo una punizione esemplare a colui che aveva cercato un approccio con la ragazza che stava frequentando». 
Come sta Davide Ferrerio

Attualmente Davide Ferrerio è in coma vegetativo in ospedale, costantemente assistito dai genitori e dal fratello. Recentemente la mamma, Giusy Orlando, si era sfogata riguardo all'ultima perizia disposta dai giudici in merito alla connessione tra l'aggressione e le condizioni di Davide: «La cosa che mi strugge ulteriormente è che dopo 15 mesi, nonostante i filmati, le intercettazioni, le perizie, i giudici si chiedono se ci sia connessione fra i pugni sferrati dal mostro e le sue condizioni», perché «hanno disposto una perizia per valutare se le lesioni provocate a Davide siano legate all'aggressione, oppure se Davide cadendo se le sia provocato da solo. E’ un’ingiustizia», le sue parole riportate da Repubblica.

6.6.23

quando si continua a parlare di femminicidio e ci sono tutti gli elementi perché se ne occupi esclusivamente la magistratura non è informazione: è voyeurismo sconcio

 

Ho deciso di di smettere   di parlare dell'ultimo femminicidio non per autocensura o  per snob . Ma  Perché   , non mi sto appiattendo a loro ,  come suggeriscono i miei genitori   (generazione II guerra mondiale  cioè  anni  40   )   più se ne parla e più s'alimentano le morbosità ed l'emulazione ed (  vedere post precedente   ) l'ipocrisia ed indifferenza assuefazione della maggior parte della gente .
infatti concord  con il mio  contatto Facebook  

Continuare a scavare in un caso di cronaca dove ci sono tutti gli elementi perché se ne occupi esclusivamente la magistratura non è informazione: è voyeurismo sconcio ed è una parte consistente del problema della violenza di genere che viene ridotta ad un fenomeno da cabaret sul quale far esprimere tutti: anche il solito circo mediatico di conduttrici e conduttori afflitti
dalla loro vanagloria.
Ci sarebbe da chiedersi perché in un programma di intrattenimento del primo pomeriggio della domenica, nel contenitore "per la famiglia" bisogna mischiare gossip, balletti e canzonette con un gravissimo e doloroso fatto di cronaca se non per eccitare le morbosità, alimentare le reazioni violente che poi leggiamo nei social e alzare due punti di share.
Servizio pubblico, come no, la Venier invece di chiudere i commenti su Instagram dovrebbe andare a nascondersi, possibilmente in silenzio.

Ma soprattutto come ho anche ripotato nel titolo

CHE BELLI TUTTI QUEI VERBALI, SE NON C’ENTRA NESSUN POTENTE

Dove sono i garantisti, tra commentatori e politici, che invocavano ispettori e sanzioni quando le fughe di notizie (presunte) riguardano i politici, come è accaduto – solo per citare uno dei casi più recenti – per i giornali che hanno riportato i nomi degli indagati nell’inchiesta sulla gestione dell’emergenza Covid della Procura di Bergamo? Dove si sono rintanati i sacerdoti della tutela della privacy, che fine hanno fatto i loro anatemi contro la pubblicazione di verbali e intercettazioni? Saremmo curiosi di capire le ragioni del loro silenzio di fronte allo stillicidio dell’ostensione di ogni particolare della vita e della morte della povera Giulia Tramontano, il cui massacro e le cui vicende intime, e quelle del suo assassino Alessandro Impagnatiello, sono sviscerate in ogni dettaglio tramite le carte giudiziarie.

Come sapranno i nostri più affezionati lettori,

DOVE SONO GLI ALFIERI DI PRIVACY E GARANTISMO

sostiene che le notizie vadano pubblicate sempre e comunque, appena se ne viene a conoscenza, e specie se di rilevanza pubblica, come quando riguardano i rappresentanti delle istituzioni. Chi scrive nell’estate del 2015 fu perquisito due volte dalla Procura di Napoli come conseguenza della pubblicazione di un’intercettazione dell’allora presidente del Consiglio Matteo Renzi. Era contenuta in un’informativa di un’inchiesta di quella stessa procura, consegnata agli avvocati dai magistrati medesimi. Quindi nessun un atto non ostensibile. Eppure in quel caso fu avviata, con enorme dispendio di mezzi e di uomini dell’antimafia (addirittura?), una controinchiesta che aveva un unico scopo: scoprire come quelle carte fossero finite nelle mani di un giornalista, tentando pure di individuarne le fonti. Forse perché in quel caso l’intercettazione riguardava l’uomo più potente d’italia e non un privato cittadino, pur se accusato di omicidio? L’articolo sull’intercettazione dell’allora premier suscitò grande indignazione, secondo quello strano principio per cui i diritti e le garanzie di un politico valgono più di quelli di un assassino.

2.3.23

Uomini maltrattanti e come recuperarli





N.B non sto giustificando ma sto solo invitando a non generalizzare . Ma fare politica di prevenzione dei femminicidi
da
Uomini maltrattanti e come recuperarli
Uomini violenti, serve un lavoro di sistema per trattamenti efficaci; cresce il numero degli accessi ai centri antiviolenza. In un Paese, l’Italia, dove siamo a quasi un femminicidio


(https://buff.ly/3EPmD4A) ogni tre giorni, è il caso di farsi, tutti e senza semplificazioni, una domanda preventiva: Si può riconoscere in anticipo un uomo tendenzialmente violento? Le donne hanno la possibilità di rendersi conto, da alcuni segnali inequivocabili (https://buff.ly/3miaONU), i rischi che possono correre con un certo tipo di uomini? Sono in grado, sempre attraverso gesti espliciti, di capire che stanno sprecando la salute, i sentimenti, e in qualche caso anche la vita? Sì, è possibile. E hanno indicato alcune spie forti e chiare (https://buff.ly/3mhVPn7), perfino semplici da decifrare in chiave anti-violenza. Dall’intolleranza del linguaggio alla tendenza al vittimismo, dalla gelosia ossessiva, indice di un’idea di “possesso” della donna, a paranoie di vario genere, dall’abuso di alcol, o droghe, all’abitudine di denigrare, in modo esplicito, la propria compagna ed è all’interno della vischiosità di questi comportamenti che cova, per poi esplodere, la violenza contro le donne, fino al gesto estremo del femminicidio (https://buff.ly/3y2BXXR). infatti come si evidenzia dall'intervista a Su Unica Radio ne parliamo con Ilaria Bonucelli, giornalista del Tirreno e autrice di diverse inchieste giornalistiche e ( la trovate qui Uomini maltrattanti e come recuperarli (unicaradio.it) quest'articolo sempre dallo stesso articolo

Uomini violenti, serve un lavoro di sistema per trattamenti efficaci; cresce il numero degli accessi ai centri antiviolenza.

In un Paese, l’Italia, dove siamo a quasi un femminicidio ogni tre giorni, è il caso di farsi, tutti e senza semplificazioni, una domanda preventiva: Si può riconoscere in anticipo un uomo tendenzialmente violento? Le donne hanno la possibilità di rendersi conto, da alcuni segnali inequivocabili, i rischi che possono correre con un certo tipo di uomini? Sono in grado, sempre attraverso gesti espliciti, di capire che stanno sprecando la salute, i sentimenti, e in qualche caso anche la vita? Sì, è possibile. E hanno indicato alcune spie forti e chiare, perfino semplici da decifrare in chiave anti-violenza.Dall’intolleranza del linguaggio alla tendenza al vittimismo, dalla gelosia ossessiva, indice di un’idea di “possesso” della donna, a paranoie di vario genere, dall’abuso di alcol, o droghe, all’abitudine di denigrare, in modo esplicito, la propria compagna ed è all’interno della vischiosità di questi comportamenti che cova, per poi esplodere, la violenza contro le donne, fino al gesto estremo del femminicidio.Su Unica Radio ne parliamo con Ilaria Bonucelli, giornalista del Tirreno e autrice di diverse inchieste giornalistiche. Una di queste inchieste ha portato alla modifica del Codice Penale. Autrice di best seller come per “Per ammazzarti meglio” e per ultimo “Violenzissima”. Intervistare Ilaria Bonucelli è stato straordinariamente prezioso e consiglierei ad ogni uomo di ascoltarla. Ci sono ben pochi commenti da fare se non ascoltare le parole illuminanti di Ilaria Bonuccelli.

Relazione sui percorsi trattamentali per uomini autori di violenza nelle relazioni affettive e di genere

La violenza sulle donne è un problema degli uomini, di cui le donne pagano un prezzo altissimo. Ecco perché cresce l’attenzione sui trattamenti dedicati agli uomini maltrattanti: nella “Relazione sui percorsi trattamentali per uomini autori di violenza nelle relazioni affettive e di genere”, approvata dalla Commissione parlamentare sul femminicidio, si mette in evidenza che in assenza di un intervento, l’85% degli uomini maltrattanti tornano a commettere violenze contro le donne. In Italia i centri che si occupano di trattare gli autori di violenza esistono da più di 10 anni, ma la strada da fare perché gli interventi siano organici è ancora lunga. Uno spunto di riflessione su cui discutere è sulle origini culturali alla base di questo fenomeno. Infatti la “natura” funge spesso, consapevolmente o inconsciamente, da giustificazione: i maschi sarebbero “naturalmente” violenti.

Gli uomini non nascono violenti, lo diventano

Ma la scienza ha ampiamente dimostrato che non c’è nulla di biologico nell’esprimersi con comportamenti violenti e di prevaricazione. Gli uomini non sono affatto predestinati a essere più aggressivi o ad assumere più rischi delle donne. Gli uomini non nascono violenti, lo diventano. Per questo bisogna agire sugli schemi culturali predefiniti per fermare questi comportamenti virili. Ovvero sull’educazione e sui modelli che si vogliono trasmettere ai bambini. Ma per farlo, genitori, nonni, amici di famiglia, insegnanti delle scuole, educatori sportivi, tutti devono collaborare per far crescere uomini diversi, insegnando fin da piccoli che la virilità non è la valorizzazione del dominio sugli altri, la forza e la mancanza di empatia.
I segnali sono chiari. L’importante è non sprecarli, non sottovalutarli. Anche quando sembrano banali, piccoli. Un uomo violento si riconosce dai primi gesti, dai primi approcci, che nascondono un’idea di possesso della donna. Lo schiaffo viene dopo: prima, per esempio, ci può essere una gelosia ingiustificata e ossessiva, oppure l’auto-rappresentazione di un uomo che si vuole mostrare senza difetti, ma in realtà ne è pieno. Un uomo che per il tono, gli argomenti, e il modo con il quale si relaziona mostra già il nervo scoperto della sua tendenza alla violenza.

Le richieste ai centri antiviolenza si sono moltiplicate esponenzialmente

Un’altra cosa importante, per avere aiuti e sostegni concreti, anche psicologici, è informarsi dove si trova il centro antiviolenza più vicino alla vostra abitazione. In questo caso è il primo passo a cui rivolgersi. Un’ultima, ma importante raccomandazione è che bisogna uscire dalla solitudine del problema, senza timidezza e vergogna. La violenza degli uomini è un dramma collettivo di cui dovrebbero vergognarsi e non le donne che la subiscono.
Le richieste a queste strutture si sono moltiplicate, anche perché sono cambiate le modalità di accesso: volontarie, fino a qualche anno fa, sempre più “indotte” oggi. Il trattamento è infatti previsto dal Protocollo Zeus, cioè a seguito dell’ammonimento del questore, oppure su segnalazione dei servizi sociali o, ancora, del giudice, secondo quanto disposto dal Codice rosso. Il tema della motivazione degli uomini è diventato così un punto centrale: «Il fatto che in questo modo si agganci l’uomo è un aspetto positivo, ma è fondamentale che i programmi siano ben integrati e che sia possibile studiare e valutarne l’efficacia, per evitare una possibile motivazione strumentale, magari per uno sconto di pena», dice Pietro De Murtas, sociologo e ricercatore all’IRPPS.

I requisiti minimi per i centri per uomini autori o potenziali autori di violenza di genere

Un primo passo per inquadrare in maniera organica gli interventi sugli uomini è stato fatto con l’intesa tra le Regioni e il Dipartimento Pari Opportunità che, a settembre 2022, ha fissato i requisiti minimi per i centri per uomini autori o potenziali autori di violenza di genere, ora denominati CUAV. Nell’intesa, che stila anche i requisiti minimi dei centri antiviolenza, sono previsti 40 milioni di euro di finanziamenti per centri antiviolenza e case rifugio e 9 milioni per i CUAV. Per Alessandra Pauncz, presidente del Centro Uomini Maltrattanti di Firenze e alla guida dell’associazione nazionale Relive, si tratta di un «accordo fondamentale». Ma sul documento è mancata la necessaria consultazione con i centri antiviolenza, che hanno fortemente criticato alcuni dei passaggi approvati (come quello del contatto previsto tra il CUAV e la donna maltrattata) e, soprattutto, la mancata concertazione e hanno chiesto una revisione dei requisiti e una apertura a un maggiore dialogo e collaborazione.




emergenza femminicidi non basta una legge che aumenti le pene ma serve una campaga educativa altrimenti è come svuotare il mare con un secchiello

Apro l'email  e tovo  queste  "lettere "   di  alcuni haters  \odiatori  ,  tralasciando  gli  insulti  e le  solite  litanie ...