Si chiama Lolelì ed è la realizzazione di un sogno perseguito con ostinazione e coraggio. Il sogno diAmelia Montedoro, di sua figlia Lorenae del fratello minore Manuele.
Amelia è ingegnere dei materiali, lavora in un’azienda metalmeccanica, Manuele fa il quarto anno del liceo scientifico ed è uno sportivo, Lorena ha 20 anni, si è diplomata quest’anno in pasticceria al Beccari con 100/100 e il plauso della commissione. Ed è autistica.
«Quando in terza media è arrivato il momento di capire il futuro che avrebbe avuto – racconta Amelia - ricordo la frase che mi è stata detta dagli specialisti dopo la diagnosi di disabilità cognitiva:dovete individuare i talenti dei vostri figli e su quelli costruire la loro vita. Mia figlia è metodica, ama le sequenze: cosa poteva esserci di meglio dellapasticceria, un’arte matematica, precisa. E così è nata l’idea: aprire un laboratorio di pasticceria per lei». In realtà Amelia ha fatto molto di più: ha rilevato una ex ferramenta in Borgo Vittoria, al n. 50 di via Bibiana, l’ha presa in affitto, l’ha ristrutturata completamente creando un grande laboratorio di pasticceria e uno spazio bar-ristorazione. Con l’associazione cui fa riferimento, la Onlus Associazione di Idee,ha selezionato altri ragazzi e ragazze con autismo, e anche ragazzi e ragazze normodotati, che ha regolarmente assunto, per il laboratorio e per la sala. È così ieri ha inaugurato Lolelì, unione dei loro nomi: Lo come Lorena, Le per Manuele, Lì per Amelie, alla francese. Detto così, sembra tutto facile.In realtà è stata un’impresa epica, Amelia dopo il lavoro si è buttata per mesi, ogni giorno, nella ristrutturazione, ha fatto colloqui, ha organizzato gli spazi… Qualche aiuto dalle istituzioni?Ha bussato a tutte le porte, niente.Adesso pare che appoggiandosi all’Associazione di Idee possa accedere a un bando regionale che le consentirà di avere qualche aiuto e di poter inserire come stagisti i «fragili» (lei avendo partita IVA non ne aveva diritto). Ha fatto tutto da sola insomma, con i figli e con i ragazzi e le ragazze che ora qui possono immaginare il loro futuro.Il bar-pasticceria (la pasticceria è il core-business di tutto il progetto) sarà aperta tutti i giorni tranne il martedì dalle 7 di mattina alle 19.30.Colazione con croissanteries tutte prodotte internamente- Lorena come coadiuvante - e prossimamente, dolci regionali: «Questo è un quartiere di immigrazione, soprattutto dal Sud, e vogliano riproporre dolci dei luoghi di origine».A pranzo insalate, panini, focacce e la sera l’aperitivo, spritz, i classici, anche no alcool, con taglieri, stuzzichini. Un posto dove ci si sente a casa e dove l’inclusione è la regola. Per Lorena e i suoi compagni e compagne , il futuro.
Il documentario diretto da Gabriele Vacis racconta il cammino di nove giorni di un gruppo di giovani autistici verso Roma, dove incontrano papa Francesco, cercando di proporre un punto di vista diverso sulla loro disabilità, oltre ogni stigma e pregiudizio
Un "road movie" per raccontare l'autismo da un punto di vista diverso, finalmente libero da luoghi comuni e pregiudizi. Esce oggi nelle sale (con Wanted Cinema, in
collaborazione con CAI - Club Alpino Italiano) Sul sentiero blu, il documentario diretto da Gabriele Vacis che accompagna il viaggio di un gruppo di 12 giovani autistici sulla via Francigena.
Il film
segue i protagonisti, insieme a medici ed educatori, nel loro percorso a piedi di nove giorni e oltre duecento chilometri lungo l'antica - e splendida - strada dei pellegrini. Fino all'arrivo a Roma, dove incontreranno papa Francesco. Una piccola grande "avventura" che è soprattutto un cammino di crescita - tra stanchezza, momenti di sconforto ma soprattutto di grande divertimento - in cui i ragazzi si trovano a dover gestire emozioni e difficoltà con l'ausilio di specifici programmi abilitativi per sviluppare le competenze sociali. La pellicola, infatti, è anche il racconto di un progetto scientifico, "Con-tatto", lanciato lo scorso anno dal Rotary International Distretto 2031 e curato dalla Asl di Torino - Centro Regionale Per I Disturbi Dello Spettro Autistico In Età Adulta.
"Questo film rappresenta un vero cambiamento di paradigma per quanto riguarda gli interventi sull'autismo", spiega a RepubblicaRoberto Keller, direttore del Centro Regionale per i Disturbi dello spettro autistico in età adulta della Asl di Torino. "I trattamenti che di solito vengono attuati nel chiuso degli ambulatori, qui sono invece messi in atto nella vita vera e portati avanti nelle 24 ore, con la presenza degli operatori insieme ai ragazzi. E questo serve proprio a rafforzare quelle competenze sociali di cui le persone autistiche sono più carenti". La risposta dei giovani protagonisti a questa "sfida" è stata persino migliore delle aspettative: "Siamo andati anche al di là di quanto avevamo previsto. Durante il viaggio sono nate profonde interazioni umane, di complicità e solidarietà. Una piccola comunità viaggiante grazie alla quale i giovani hanno potuto affrontare meglio le difficoltà che si presentavano durante il cammino, anche su un piano fisico".
Sul sentiero blu è un film toccante, ma anche un'occasione per guardare all'autismo con occhi diversi: "Si vede che cos'è davvero", spiega ancora il dottor Keller. "Nell'immaginario comune pensiamo a una persona autistica come chiusa, anaffettiva, isolata dagli altri. Invece, grazie a questo film, si capisce come queste persone siano ricche di emozioni. Sono solo un po' inadeguate nel modo di comunicarle e di leggerle negli altri, ma questo può essere loro insegnato". Una pellicola che sfata tanti falsi miti e che probabilmente in molti farebbero bene a vedere. "È anche un po' una lotta contro lo stigma che spesso c'è nei confronti della disabilità - conclude Roberto Keller - perché è un documentario molto divertente, i ragazzi sono simpatici, a loro modo ironici. E soprattutto si ammira la grande forza con la quale riescono a superare le difficoltà". Il film è prodotto da Michele Fornasero per Indyca, con il sostegno di MIC e Film Commission Torino Piemonte - Piemonte Doc Film Fund. Ecco l'elenco delle sale dove è possibile vederlo
Sebastiano vitale in arte Revman È nato a Palermo ed è cresciuto a Lecce, ma la voglia di imparare, di studiare e di migliorarsi lo hanno spinto ancora più lontano dalla sua città di nascita, infatti grazie al suo lavoro oggi Sebastiano vive a Milano. Un rap secondo https://fai.informazione.it/
Sicuramente, il cantante rap Revman è riuscito a catturare l'attenzione di un
asto pubblico con i suoi giochi di parole e le frasi veloci e accattivanti. Il suo vero nome è Sebastiano Vitale e di professione fa il poliziotto a Milano. La sua candidatura a Sanremo e la successiva ingiustificata esclusione ha fatto alzare i toni ai suoi fans.
Il rapper Revman ha un parlare veloce e accattivante che va oltre il rap.
Revman è certamente una delle più grandi sorprese della musica per ragazzi e anche per i meno giovani, poiché sta ottenendo grandi successi sulle piattaforme digitali a partire da Youtube, Facebook, Instagram, Twitter, Linkedin e tanti altri, grazie alle sue canzoni belle e appassionanti e, soprattutto ai sapienti testi caratterizzati da un vasto uso di termini "polizieschi" che vanno contro la malavita.
«Ho cominciato ad appassionarmi al movimento artistico e culturale definito Hip Hop all’età di 16 anni, ballando
break dance insieme ad altri ragazzi vicino ad una chiesa, precisamente in una piazzetta che un sacerdote ci aveva messo a disposizione. A causa di un lieve infortunio procuratomi durante gli allenamenti, dopo anni di movimenti rotatori caratteristici di questa danza ho dovuto mettere in pausa la mia attività di ballerino. In quel breve periodo, però, non mi sono fermato e ho iniziato a canticchiare le canzoni sulle quali prima ballavo, capendo che cantare sulle note Hip Hop mi piaceva di più che ballarci su, così ho iniziato a scrivere i miei primi testi rap. Mi sono sempre piaciutii messaggi sociali contenuti in quel genere musicale, soprattutto quelli affrontati nel rap più antico».
Così è nato Revman, il tuo nome d’arte: cosa vuol dire?
«Non ha un significato particolare. L’ho creato perché mi piace la sonorità che produce, nel tempo però ho pensato che potesse essere un acronimo in cui R sta per Rispetto, E per Energia, V per Verità, M per Musica, A per amore, N per Natura, parole che per me sono molto importanti».
Cosa vuoi comunicare?
«Sono cresciuto in Salento, dove la musica popolare è ricca di significato e questo ha influenzato molto il mio modo di scrivere: in effetti i miei testi sono ricchi di contenuti e sensibilizzano su vari temi. Voglio trasmettere dei messaggi positivi, con la speranza che possano essere di sostegno a chi si trova in difficoltà».
Tu sei diventato anche poliziotto. La divisa, come la musica, può essere un’alternativa alla strada?
«Far appassionare i ragazzi a qualcosa come l’arte, la cultura e la musica può dare loro un obiettivo e quindi non farli finire in brutte strade. Il rap racconta la strada mentre un uomo in divisa la vive, ci lavora. Quindi, più che un alternativa, entrambe le cose possono rappresentare degli strumenti per vedere la vita in modo differente, dalla parte della legalità».
La tua attenzione alla legalità si evidenza anche da uno dei primi brani che hai composto.
«Esatto. Uno dei primi brani che ho scritto è intitolato “Musica contro le mafie”. Con questo singolo ho riscosso un discreto successo e tanti sono venuti a conoscenza della mia passione per la musica rap e del mio lavoro di poliziotto. Quando pubblicai questo brano fu molto condiviso da amici, colleghi, associazioni e vari utenti del web. Con quell’estratto ho partecipato al concorso “Musica contro le mafie” dell’associazione Libera. Una parte del singolo l’ho utilizzata per dare il mio contributo per la premiazione del premio denominato Annalisa Durante, conferitomi dall’omonima associazione a febbraio 2021. L’evento attraverso diverse metrologie ha trasmesso messaggi di giustizia e rispetto delle regole».
Nei tuoi brani tratti il tema della legalità e non solo.
«Sì. Ho scritto un brano sull’inquinamento ambientale causato dal rilascio spropositato di plastiche in natura, di Cyberbullismo e in un brano intitolato “Il gelo” ho parlato anche di quest’ultimo, intimo e freddo anno».
Sei un ragazzo di periferia: quanto può essere pericolosa?
«Le periferie di solito sono un po’ più abbandonate e trascurate. Il Sud ha le sue trappole e penso sia difficile affermarsi se il luogo dove vivi è limitante. Alle nuove generazioni, però, voglio dire che c’è sempre un’alternativa a quella vita priva di significato che alcuni luoghi propongono. Tutti abbiamo la possibilità di essere migliori e di essere utili al prossimo e per fare questo bastano piccoli gesti quotidiani. Insieme possiamo acquisire sane abitudini che portano un beneficio comune. Io vengo dalle periferiae ho studiato in un istituto professionale alberghiero e, pur non avendo chissà quali studi alle spalle, sono riuscito a vincere il concorso nella Polizia di Stato con il massimo dei voti in tutte le prove. Inoltre, ho continuato a fare musica e ho avuto tante soddisfazioni. Ho vinto vari premi come quello dedicato a chi tramite l’arte e la cultura ha portato lustro alle forze dell’ordine, denominato “Premio Apoxiomeno”. Un’altra grande soddisfazione è stata cantare al teatro Massimo di Palermo, il terzo teatro più grande d’Europa dopo quello di Vienna e Parigi».
Senti che c’è stato un momento in cui la tua vita è cambiata?
«Un cambio di passo sicuramente è arrivato quando ho raggiunto la mia stabilità economica e sono arrivato a Milano. Prima però ho vissuto a Bologna, dove ho fatto il militare per due anni, questi ultimi fondamentali nel mio percorso di vita, perché mi hanno permesso di vivere in una città universitaria che mi ha fatto crescere tanto. Per un breve periodo della mia vita ho anche vissuto in Canada per poi trasferirmi definitivamente a Milano: questa città dà tante possibilità e a me piace molto».
Vai anche nelle scuole?
«Prima del Covid sì. Faccio l’insegnate di musica rap, insegno ai ragazzi a scrivere dei testi riguardanti l’ inclusione e insieme affrontiamo diversi temi sociali. Nell’ultimo anno ho provato a incontrare i ragazzi attraverso la Dad, ma è difficile trasmettere questi messaggi a distanza. Con alcuni di loro abbiamo scritto un brano sultema del bullismo, sono stati bravissimi perché hanno espresso i propri pensieri, io ho sistemato i loro versi e insieme abbiamo creato una canzone. L’intero progetto è stato realizzato nell’ambito del progetto LexBulli del Comune di Milano. Quando vado nelle scuole non dico subito che lavoro faccio, rompo prima il ghiaccio attraverso la musica rap: utilizzando un linguaggio molto vicino a loro riesco a conquistarli e alla fine quando svelo che sono un poliziotto tutti i pregiudizi verso la divisa vengono abbattuti. Questo è importante perché avvicina i ragazzi alle istituzioni».
oltre a ver ascoltato la canzone
che A febbraio ha ricevuto il Premio Annalisa Durante categoria Istituzioni
“Non mi aspettavo di essere contattato per un premio così importante. Sono onorato di averlo ricevuto. Il quadro che mi è stato spedito ha un significato simbolico molto forte. Ricorda lo splendido sorriso della piccola Annalisa Durante, giovane vittima innocente di Camorra. Quella di Annalisa è una storia di profonda tristezza e che deve farci riflettere perché questi fatti non accadano mai più..
Ora Non sono un granchè amante di questo genere e delle sue corrennti ma questi due brani sono molto belli
Infatti Solo chi lavora in strada( forze dell'ordine o disordine dipende da casi , 118 , associazioni per i senza tetto , ecc ) capisce queste parole !! ma soprattuttto uno di quelli che non è usa violenza verbale gratuita , misoginia , ecc come quelli del genere trap . Sta riscutendo ottime recensioni tra i fruitori del genere . Infatti secondo <<
Rappa meglio della maggior parte degli emergenti e chi lo nega è solo perché guarda la sua divisa piuttosto che la sua abilità. Poi per carità, ha molto da migliorare ma ho sentito molto di peggio. Parliamo del testo? Bel testo, dice cose oggettivamente giuste e condivisibili che i finti gangsta non possono capire a causa della loro ignoranza. Tutti gangsta a chiacchiere, ma per lo più siete minchioncelli che, come fa intendere nella canzone, appena si trovano spalle al muro cantano tutto piangendo.>>ironitaly961
l'altra storia è quella degli EMOTIONAL COLOR
Simone, diplomato in architettura e design, e Leonardo, affetto da un ritardo cognitivo con aspetti dello spettro autistico, vivono a Rozzano (Milano). Il progetto di gioco-arte “Emotional Color”, ideato da Simone, sostiene e attiva progetti di inclusione sociale e autonomia per ragazzi affetti da disabilità, attraverso attività, mostre ed eventi organizzati nelle scuole, locali, gallerie d’arte e associazioni. Dal 2018 sono state realizzate più di 200 opere personali e oltre 20 opere collettive. Sulla pagina Facebook e Instagram _emotionalcolor_ Simone condivide video e immagini dei momenti di pittura con Leonardo, i quadri realizzati e notizie degli eventi. Il sito è www.emotionalcolor.com.
sempre da ioacquaesapone giugno\luglio
Mio fratello non è figlio unico
La disabilità li aveva allontanati, l’arte li ha riuniti. La storia di due fratelli che hanno trovato il modo di superare le barriere
Una stanza riempita di tele, barattoli di vernice e pennelli, e un unico ordine: divertiti! Nasce così Emotional Color, un progetto di arteterapia destinato a finanziare progetti di inclusione sociale e autonomia per bambini e ragazzi disabili, che ha avuto la forza di ricucire un legame tra due fratelli reso difficile dal ritardo cognitivo del più piccolo, incapace di esprimere le proprie emozioni. Simone Manfreda, 26 anni, e Leonardo, 17, sono sempre stati molto uniti, ma con il trascorrere del tempo le diverse esigenze e interessi li hanno allontanati. «Non condividevamo le stesse cose come fanno due fratelli “normali”. Io non frequentavo le sue numerose visite in ospedale e lui non frequentava il campetto da calcio con me. Vedevo gli amici che con i fratelli facevano di tutto, io invece con il mio non riuscivo a relazionarmi. Appena maggiorenne, ho iniziato a viaggiare, ho vissuto in Spagna e a Londra, anche per evadere da questa situazione».
Fino al 2018 quando hai deciso di affrontarla.
«Ero tornato dalla Spagna, stavo per ripartire, ma non me la sono sentita. Dovevo trovare qualcosa che mi permettesse di relazionarmi con Leo. Ho cominciato a sperimentare varie attività, dalla piscina alle carte da gioco, ma senza risultati. Poi un pomeriggio ho provato a coinvolgerlo in una mia passione: l’arte. Con lo scotch ho plastificato pareti e soffitto di una stanza della casa, ho comprato tele e colori e ho chiamato Leonardo. I suoi occhi si sono illuminati appena ha visto la stanza. Non ho avuto il tempo di dirgli “dai Leo entra” che c’era già colore ovunque. Io giravo le tele, gli passavo i colori e lui si è divertito a sporcarsi di colori. Per la prima volta ero suo compagno di giochi».
A ispirarti è stata una mostra vista a Londra.
«L’artista credo fosse un papà che faceva una cosa simile con il figlio in una stanza grande. Ho provato a farlo a casa. Non avevo mai visto prima Leo divertirsi così tanto. Senza rendermi conto tramite quel gioco Leo stava dando vita a tele coloratissime, piene della sua energia. Parenti e amici hanno iniziato a chiederci se i quadri fossero in vendita, da lì ho pensato che poteva nascere qualcosa di bello per tanti ragazzi come Leo».
Quali sono gli obiettivi e i progetti in corso?
«L’obiettivo è finanziare, attraverso il ricavato dei quadri e la nostra partecipazione a eventi pubblici, progetti di inclusione sociale e autonomia per ragazzi disabili. Per seguire con più costanza il progetto nel 2019 mi sono licenziato. Abbiamo sostenuto delle iniziative sociali con alcune associazioni e stiamo coinvolgendo le scuole per sensibilizzare i ragazzi al tema. Sogno di avere un atelier nostro, con una parte adibita a galleria dove esporre i quadri di Leo e quelli realizzati da altri ragazzi durante gli eventi, e un laboratorio, dove realizzare eventi e ospitare chiunque voglia esserci».
Cosa ti ha insegnato questa esperienza?
«A vedere le cose fuori dagli schemi convenzionali e scoprire che la disabilità può essere un’opportunità di confronto e crescita».
grazie alla carissima amica facebookiana https://www.facebook.com/ines.protti ho trovato qiuesta storia triste , una delle tante . coi rispondo a chi si meraviglia del perchè mi sono identificato con la canzone "Estate" (originariamente "Odio l'estate") il brano musicale del 1960 cantato da Bruno Martino e da lui stesso composto, con testo di Bruno Brighetti precedentemente citata
"Adesso che la scuola è finita, visto che non abbiamo un tenore di vita da poterci permettere una vacanza da inizio giugno a fine agosto, dobbiamo cercare un centro estivo...
Ah che belli i centri estivi...
Ne ho viste tante di locandine...
Se a Diletta piace la piscina potrei scegliere quello che organizza lo stadio del nuoto, se le piacciono i cavalli potremmo provare quello che organizza il centro ippico, oppure aspetta, c'è
anche quello organizzato dalle associazioni sportive...
Mamma mia quante proposte...Eppure...
Eppure un semplice centro estivo che garantisca un educatore individuale per un bambino con disabilità per più di 4 ore al giorno per più di 7 settimane non l'ho trovo...
E mi dicono pure che in altre regioni neanche queste 4 ore hanno in garanzia...
Mannaggia questi comuni che hanno la coperta corta quando devono dare ore educative per un bambino con disabilità e poi però la coperta possono stenderla se devono usarla per eventi turistici che sono fonte di guadagno...
Perciò la mia scelta prioritaria non è dove iscrivere Diletta , ma decidere se mantenere un iscrizione sapendo che non ha copertura educativa per più di un mese e mezzo estivo...
Questo comporta che non posso dare a mia figlia una stabilità e una presenza per le ore e il periodo di cui ho necessità perché lavoro (e si parla solo di una frequenza mattiniera senza pasto).
Comporta che se decido di mandarla al centro estivo senza educatore assegnato, sarà l' educatore del gruppo a rimetterci dovendo fare lavoro doppio...
Succede che se decido di tenerla a casa trovando un alternativa le confermo automaticamente che lei non ha gli stessi diritti degli altri solo perché ha più bisogno degli altri...
Poi penso a quei genitori che hanno figli con disabilità differenti che neanche possono pensare di scegliere l'opzione "A".
Genitori che hanno bisogno che il proprio figlio frequenti fino al pomeriggio...
Mamme che lavorano e sono senza marito o compagno, o papà che lavorano e non hanno moglie o compagna...
Mi rendo sempre più conto di quanto poco considerati siamo e sono i nostri figli...
Sono secondi alle gare ciclistiche e agli eventi estivi...
Sono secondi nella società che ci beffeggia parlando di inclusione...
Neanche lo sanno cosa voglia dire inclusione!!!
Ma infondo forse sono solo apprensiva...
La mia assistente sociale si occuperà di questa gestione estiva....Ah no, dopo averla contatta con richiesta di sollecito ho scoperto che la sua figura è solo un tramite...
Praticamente lei chiama il comune e mi riferisce quante ore spettano a mia figlia e poi tocca a me fare il resto o meglio "tutto il resto"...
I veri limiti dei nostri figli non sono quelli che hanno dalla nascita, ma quelli che in maniera gratuita la società gli dà...
E voi quale centro estivo scegliete?
Quello con la piscina o quei nei boschi?
Mia Diletta tu crei Gelati con le palline da spiaggia,
Non badare chi non ha cura delle aspettative altrui.
Loro non sanno creare...sanno solo "stare"
Noi invece ci spostiamo sempre e creiamo le nostre possibilità"
Lei è Florina. Vive in provincia di Roma. È sposata, ha un figlio. Alessio ha 2 anni, è un bambino molto vivace, ma non spiccica una parola. È il 2012. Florina e il marito portano il figlio in ospedale per un problema respiratorio. Il medico li fa chiamare. Prego signori, accomodatevi, i polmoni del piccolo sono a posto, il problema è un altro. Florina sgrana gli occhi. In che senso? Il dottore la guarda dritto negli occhi. Alessio è autistico. Florina è smarrita, anche il marito cade dalle nuvole. Si rivolgono a una neuropsichiatra. Dopo ore di test, la dottoressa conferma il verdetto. Alessio è grave, non parlerà e non sarà mai autonomo, rassegnatevi. Florina è divorata dai sensi di colpa.
Come ha potuto non accorgersi di nulla? Passano gli anni, Alessio segue una terapia mirata, si comporta in modo diligente, ma i risultati sono scarsi. Si esprime a monosillabi, è irrequieto, gli altri bambini lo evitano, e lui ne soffre. Florina non riesce a rassegnarsi. Prende Alessio per mano, lo porta alle poste, gli insegna a ritirare il ticket, a mettersi in fila. Entrano al supermercato, gli fa inserire la monetina per il carrello, lascia che scelga i prodotti dagli scaffali. Alessio ti va la pizza? Il bambino fa segno di sì, Florina gli mostra come ordinarla. Lo coinvolge in tutte le attività del quotidiano, la gente del quartiere impara a conoscerlo, lo prende in simpatia, lo saluta quando lo incontra. Alessio sorride, poco alla volta parla, si apre, e un bel giorno esprime alla mamma il suo desiderio più grande. Mamma io voglio essere accettato per quello che sono. Florina è incredula, abbraccia il suo bambino. Ce la faremo tesoro, te lo prometto. Gira l’Italia e trova un medico specializzato. Il dottore visita il bambino. Signora, ma quale autismo, suo figlio ha un disturbo dell’attenzione, con la terapia giusta farà passi da gigante. Oggi Alessio ha 10 anni, frequenta le Elementari, ha imparato da solo il rumeno, va alla grande in inglese, fa pianoforte, tennis, e ricorda il numero civico di tutti i suoi amici. E c’è una frase che ripete di continuo, fino all’ossessione. Mamma, sono felice.