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28.9.25

«Qui l’autistico non è un malato» Paolo Usai: in Francia scelte diverse, non lo curiamo ma lo accompagniamo



non ricordo quale giornale o pagina social dela sardegna abbia riportato tale articolo










La sua vita è nel sud della Francia da oltre dieci anni. La missione: aiutare bambini, adolescenti e adulti con disabilità. Paolo Usai, classe 1986 di Baunei, lavora come psicologo all’interno di un’associazione che si chiama Unapei 66, originariamente nata negli anni ’50 come movimento di genitori con figli che avevano delle disabilità mentali, i quali lamentavano la mancanza di servizi di sostegno, presa in carico e di cura. Come psicologo presta servizio in un Sessad, servizio medico-sociale che fornisce supporto a bambini e giovani adulti dai 4 ai 20 anni con ritardo mentale lieve e medio. Qui, oltre all’attività clinica rivolta ai beneficiari e alle loro famiglie, supervisiona l’équipe educativa e i progetti personalizzati di accompagnamento, in relazione con tutti gli ambiti di vita dei bambini e dei ragazzi. Accompagna anche un gruppo di adulti con disabilità intellettiva grave e disturbi associati - come autismo, disabilità fisica, sindrome di down, epilessia - all’interno di una MAS, una struttura residenziale.
La missione
«Presto passerò ad un’altra unità di sei posti riservati ad adulti autistici in situazione molto complessa – spiega -, con gravi disturbi del comportamento, aggressività, autolesionismo, o altri comportamenti a rischio per gli altri e per sé stessi. Non uso mai la parola “pazienti” quando parlo di loro, perché in francese evoca l’idea di una persona “malata”. Accompagniamo prima di tutto persone, con bisogni particolari senza dubbio, ma pur sempre persone. La malattia è qualcosa da curare, mentre l'autismo o la sindrome di down non si curano, si accompagnano e si sostengono, con adattamenti del contesto di vita in modo da permettere la massima espressione della loro indipendenza e autodeterminazione». Approccio diverso
Nella cultura e nell’approccio francese alla disabilità si trovano alcune differenze rispetto all’Italia. I bambini e i ragazzi seguiti dal Sessad frequentano scuole tradizionali, ma all’interno di queste scuole esistono delle classi speciali con sostegno “Ulis”, che possono accogliere fino a 12 bambini, dove un insegnante specializzato adatterà gli insegnamenti al livello e al profilo cognitivo dell’alunno. Ma questo non significa che siano esclusi o discriminati. «Non si tratta di classi differenziali nel senso tradizionale del termine – specifica Paolo Usai -, gli alunni sono inclusi in una classe ordinaria in base alla loro età, ma hanno come riferimento l’Ulis, dove possono svolgere parte delle attività con un insegnante specializzato. Ad esempio: un bambino che non sa contare le dita della sua mano, anziché subire ore di lezione di matematica sulle frazioni – concetti che per lui saranno astratti e incomprensibili – farà queste ore nella classe Ulis, dove potrà lavorare su un programma più adatto alle sue capacità».

Autonomi

Un’altra differenza che in Italia faticheremmo a comprendere è la tendenza dei figli a lasciare il nido e vivere ognuno la propria vita, anche di chi ha delle disabilità. Verso i 30 anni le famiglie fanno domande d’ammissione verso strutture residenziali come quella in cui lavora Paolo, uno dei motivi è la mancanza di una rete parentale. «Le famiglie non lo vivono come un abbandono, è il corso della vita. L’Istituzione diventa la loro casa, in queste strutture vivono un’esistenza piena e felice, e nel fine settimana tornano a fare visita ai genitori». Intanto Paolo continua a formarsi, perché in Francia lo psicologo ha un tempo di documentazione, informazione, ricerca, valutazione, supervisione previsto nel contratto di lavoro, per essere sempre aggiornato.

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