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4.7.17

CIBO , CAFFE' ,AMORE , MORTE ED ALTRE STORIE

CIBO E  CAFFE'

Ciccio Sultano: "Io, cuoco siciliano, sfido la burocrazia per difendere i sapori più veri"
Sultano all'ingresso del ristorante Duomo in via Capitano Bocchieri

Ragusa, 15 anni a mettere costantemente a punto la sua idea di gastronomia, dal Duomo ai Banchi all'Aia Gaia. Anche a costo di entrare in conflitto con regolamenti e cavilli.
di ELEONORA COZZELLA

.La bottarga di tonno preparata e stagionata con le sue mani, così come la toma fresca. Si può? No, non si può. “Ma lo faccio lo stesso. Il futuro della cucina è "l’illegalità", un’arma che uno chef deve a volte usare. Perché dobbiamo difendere non solo i prodotti tradizionali ma anche il gesto che ci sta dietro. C'è competenza-storia-magia nel portare il latte, naturalmente crudo, alla temperatura giusta, versare il caglio, aspettare che diventi quasi solido e col bastone rompere la cagliata in frammenti, mescolare… Il gesto è storia, è cultura. Dunque è un valore da difendere”.
Ciccio Sultano controlla la stagionatura della bottarga di tonno

Ciccio Sultano è il signore della gastronomia di quel continente che è la Sicilia. Da quindici anni ha costruito a Ragusa Ibla con il suo “Duomo” una tavola dove la storia millenaria della cucina siciliana, le sue stratificazioni frutto del susseguirsi di dominazioni – spagnoli, arabi, normanni – e il ruolo baricentrico nelle comunicazioni di un’isola chiave del Mediterraneo, trovano insieme la strada della contemporaneità. Facendo dialogare preparazioni antiche con la leggerezza richiesta da palati odierni, la qualità delle produzioni artigianali selezionate con la ricerca filologica di un sapere. Ed ecco allora la sua provocazione dei prodotti illegali: battaglia culturale più che una pratica diffusa, ovviamente.
Ciccio Sultano spiega la preparazione della bottarga di tonno nel suo laboratorio

“Una cucina moderna che guarda al territorio, che vuole esprimerne la storia e l’identità, deve sapere che dietro un prodotto di qualità c’è un sapere che è fondamentale per realizzarlo. E l’eccesso di norme omologanti, il ruolo di una burocrazia spesso un po’ ottusa, tolgono la storia al modo di produrre che vuol dire togliere, con il sapore, l’essenza. Ecco, la mia difesa della cucina siciliana passa anche da qui”.
Perché un grande chef oggi è proprio anche questo: un attrattore di un mondo produttivo – dalla pesca all’agricoltura all’allevamento – che deve perseguire la qualità per consentire di restituire in tavola, grazie alla tecnica del cuoco, la migliore sintesi di sapore e storia che guarda al futuro.
E così Ciccio Sultano non si ferma, come individuo, come professionista, come essere legato alla sua terra. E riassume tutti i suoi progetti e i suoi obiettivi in tre parole cariche di senso di responsabilità: "Io, cuoco, siciliano". Spiegando che da ogni punto di vista è impegnato a mettersi al servizio dei clienti, della cucina, della comunità di cui fa parte, con un contributo di idee personali, competenze professionali, cultura siciliana.
Una delle sale del ristorante, ricavato in un antica abitazione borghese di 300 anni fa

Che di idee a frullare in testa ne avesse parecchie si era capito da subito, idee diventate sostanza e confermate attraverso le tappe del suo percorso. A luglio 2015, per esempio, nel cuore di Ibla ha aperto I Banchi, un locale no stop, dalla prima colazione con pane e granita (soave quella di mandorle) al cocktail del dopo cena (un progetto di mixology in collaborazione con Velier), passando per l’aperitivo (da non perdere il Sicilian Spritz: Almerita Brut, spremuta di arancia fresca di Sicilia e Campari Bitter), dove la cucina del Duomo arriva in pillole, come nel caso dello spaghetto zafferano e salsa moresca - la pasta di semola di grano duro si fa in casa - o dell'uovo della nonna al Marsala - un piatto sapido dolce che riporta alla mente lo zabaione arricchito che si dava ai bambini -.
Spaghettone Sultano (fresco, di semola di grano duro) in salsa moresca "Taratatà" con bottarga di tonno e succo di carote

Idee, frammenti, suggestioni che portano in tavola, dal mattino a notte fonda, una “cucina educata – come dice lo chef – che può guardare dritto negli occhi l’alta cucina, puntando anzi sull’aspetto informale e conviviale, sull’allegria del trascorrere tempo in un luogo che si dà tutto il tempo possibile”.
E poi ecco l’Aia Gaia, una fattoria come dice il nome felice, dove in collaborazione con due agronomi sono allevati polli e galline ovaiole: all’aperto, razzolano in due ettari e mezzo di fondo, per cibo quanto trovano nel terreno, integrato da mangimi selezionati e certificati. Anche qui alla ricerca del gesto tradizionale dentro la modernità che la conoscenza consente.

Ciccio Sultano, Triglia maggiore ai gelsomini, salsa di tenerume, sorbetto di sanapo e croccante di salsiccia


Ma per il monsù di Ragusa tutto questo non basta. In fondo a pedalare forte è abituato da ragazzo. Da quando a quindici anni iniziò come apprendista a Vittoria nella bottega di Vincenzo Corallo. Un padrone ma molto di più: perché a Ciccio passa il senso di una professione completa – girando dalla pasticceria alla gastronomia al bar – ma anche la voglia di crescere, suggerendo letture, dai romanzi ai saggi, raccontando viaggi ed esperienze. Ciccio pedala in bicicletta, avanti indietro, per muoversi tra Vittoria, Ragusa, Marina di Ragusa, in quello splendido angolo di Sicilia. Poi si sposa giovane e con la moglie italo-americana sfida le regole e forse anche il buon senso eparte per gli Usa dove riesce ad arrivare a lavorare con Lidia Bastianich. Quando, dopo un paio d’anni, fa marcia indietro per ragioni familiari e torna a Ibla, la bella casa borghese di via Capitano Bocchieri diventa la sua nuova casa. Il luogo dove provare a costruire qualcosa di suo .

Ciccio Sultano, il Tortino mediterraneo al cioccolato, arancia candita e "ficupala" (ossia il cladodio del fico d'india)

Suo nella gestione, nell’idea di cucina, nella filosofia di gestione. E due stelle Michelin dopo (la prima nel 2004, la seconda subito nel 2006), una nuova organizzazione societaria e una nuova vita familiare, con al fianco, fuori e dentro il Duomo, Gabriella Cicero che fa il general manager della brigata, Ciccio Sultano svolta ancora. “Sentivo forte il bisogno di un’ulteriore crescita, di dare ai miei clienti un senso di benessere ancora più grande”, racconta aprendo un documento dove foglio dopo foglio tutto il progetto è disegnato. E’ il progetto del nuovo Duomo che prenderà forma a partire da gennaio 2018. Gli schizzi dell’architetto mostrano i nuovi colori delle pareti, le luci, i mobili. Ma anche il nuovo spazio acquisito – i locali a fianco all’attuale sede – destinato alla cucina di produzione. L’obiettivo è trasmettere sempre di più quell’atmosfera rilassata di una splendida casa borghese, costruita oltre trecento anni fa, dove in piccole stanze, calde e silenziose, la cucina di Ciccio Sultano arrivi in tavola portandosi dietro il fascino della sua storia. Con una brigata di sala puntuale e cordiale che si muove con delicatezza in quelle stanze, guidata dal restaurant manager Giuseppe Di Franca, da un anno a dettare lo stile di un servizio garantito da uno staff rafforzato.

Ciccio Sultano, Merluzzo baccalà, con salsa allo zafferano e insalata di arance e finocchio


Così, in questo luogo solido e rassicurante, da marzo 2018 Ciccio Sultano punta ad offrire all’esperienza di un pranzo o di una cena al Duomo una marcia in più (aspirando magari a una stella in più?). Osannato dal Wall Street Journal e dal Financial Times, arrivano da tutto il mondo per sedersi ai suoi tavoli impreziositi di lino. Lui li accoglie forte di una cucina che è la quintessenza della Sicilia, la sua sublimazione in chiave contemporanea. Solo alcuni esempi: l'Ostrica a beccafico, omaggio alla classica ricetta regionale con la sarda, opulenta di pangrattato alla palermitana, uvetta e pinoli, maionese leggera di soia, insalatina liquida di limoni, è insieme moto d'orgoglio per le preparazioni e i prodotti dell'Isola ("c'è anche la sarda e possiede l'ostrica" dice lo chef) e funambolico gioco di sapori, aromi, consistenze, carnosa e golosissima; le Polpettine fritte al sugo di pomodoro servite con nastri di seppioline quasi crude e salsa della carbonara, piatto apparentemente illogico che è invece squisita celebrazione della tipica salsiccetta di Gela che si fa con suino e seppie e si cuoce alla griglia per poi essere condita di diverse salse; il Volevo essere fritto, un gambero rosso crudo, la cui parte fritta è invece un cannolino siciliano, ripieno di ricotta e guarnito di caviale, a cui si appoggia, come fosse una croccante pastella esterna, servito con un boccone di anguria marinata.
E peccato per questo vizio che ultimamente ha fatto usare l’aggettivo barocco in un’accezione negativa. Altrimenti sarebbe proprio da usare per parlare della cucina di Sultano: ricca, generosa, sontuosa, asimmetrica, tonda, dorata, che in un apparente affastellamento di elementi diversi si rivela sempre coerente, colta, elegantemente citazionista, volutamente trasgressiva.




Sorseggiare un Van Gogh: barista disegna capolavori nel cappuccino


Dalla 'Notte stellata' di Vincent Van Gogh ai cartoni animati della Disney, dall'urlo di Edvard Munch ai Pokemon. Sono solo alcuni dei capolavori disegnati nel cappuccino appena servito da Lee Kang Bin, barista 26enne che vive in Corea del Sud. Proprietario del Cafe Through a Seul, Bin non è un artista professionista: come lui stesso ha dichiarato, abbina "la passione per il disegno al lavoro". Il ragazzo ha iniziato a decorare la bevanda nel 2007, riscuotendo grande successo nel corso degli anni. Grazie alle sue decorazioni, la caffetteria ha guadagnato popolarità in tutto il Paese.

AMORE 

Una promessa di matrimonio fatta all'asilo: dopo vent'anni Matt e Laura si sposano



Matt e Laura sono due ragazzi americani. Lui, all'asilo, a soli tre anni, ha promesso di sposarla. Vent'anni dopo - la maggior parte dei quali trascorsa insieme - i due sono diventati marito e moglie

MORTE 

Vivere tra i defunti. Gli ultimi di Manila che sono al sicuro solo fra le tombe

Manila, una tavola apparecchiata sul marmo di una lapide. .

Una giornata qualunque per i bimbi che vivono tra le tombe del cimitero della capitale filippina. Piscine improvvisate all’interno dei mausolei, amache agganciate agli alberi che fanno ombra alle tombe su cui riposano i genitori con i figli tra le braccia, e ‘ tavole apparecchiate’ sui marmi delle lapidi, su cui si consumano i pasti quotidiani. Tutti i reportage fotografici di R2 di ADAM DEAN*

Le ossa di un defunto.

Una giornata qualunque tra le tombe del cimitero della capitale filippina


Una piscina improvvisata all’interno del mausoleo

Lorgen Lozano, 14 anni, guarda una soap opera alla televisione, dentro alla cripta in cui vive con la sua famiglia

Parenti in visita alla tomba di un proprio caro

Un uomo lavora a una lapide

Una giornata qualunque tra le tombe del cimitero della capitale filippina


Inaugurato nel 1904, il cimitero di Manila Nord è uno dei più antichi ed estesi delle Filippine. I suoi mausolei riccamente decorati e le fila interminabili di loculi ospitano circa un milione di morti. E qualche migliaio di vivi. In questo luogo, dove sono sepolti presidenti, star del cinema e glorie della letteratura, vivono infatti alcuni dei più poveri abitanti della capitale filippina. Alcuni di essi occupano le cripte e i mausolei delle famiglie ricche, che custodiscono e curano in cambio di un piccolo compenso. Altri trovano soluzioni alternative per beneficiare dell'economia che ruota attorno alla morte e alle sepolture.
"All'interno del cimitero non c'è lavoro. Ecco perché nel 2007 ho imparato questo mestiere", afferma Ferdinand Zapata mentre è intento a scolpire il nome di un defunto su una lapide di marmo riccamente lavorata. "È il lavoro migliore che si possa svolgere qui aggiunge - perché non hai nessuno che ti dà ordini". Zapata, 39 anni, ha due figlie ed è cresciuto nel cimitero. Circa un quarto dei dodici milioni di abitanti di Manila sono "residenti atipici". Chi vive nel cimitero preferisce la tranquillità e la relativa sicurezza di questo luogo all'atmosfera pericolosa delle baraccopoli cittadine. Tuttavia, vivere qui richiede intraprendenza e ingegnosità. Le famiglie trascorrono le giornate tra mausolei e alloggi di fortuna costruiti sopra le tombe. Chiacchierano, giocano a carte e guardano soap opera su televisori che poggiano tra lapidi e croci ornamentali. "Vivere qui può essere difficile", dichiara Jane de Asis, che ha 26 anni e occupa un mausoleo di stile classico insieme a suo figlio, due sorelle, i figli delle sorelle e sua madre, pagata per prendersi cura del luogo. "La corrente elettrica va e viene, e non abbiamo acqua corrente. In estate col caldo tutto diventa particolarmente difficile ". Di notte gli abitanti del cimitero dormono sopra le tombe. In questo Paese così religioso, la linea che separa i vivi dai morti è considerata assai labile.
Isidro Gonzalez ha 74 anni. Ama parlare con sua madre. Mentre fa le parole crociate volge la schiena alla sua tomba: "Forse mi risponde, ma fino ad oggi non lo ha mai fatto".
In una mattina di qualche giorno fa, da un angolo remoto del cimitero giungeva l'odore acre del fumo di metanfetamina, o shabu, come la chiamano i filippini. Una donna di mezza età stava fumando da un pezzo di carta di alluminio, mentre sua figlia teneva tra le braccia un neonato. Poco lontano, alcuni adolescenti si erano addormentati su pietre tombali e amache per smaltire l'effetto degli stupefacenti. I residenti del cimitero raccontano che droga e criminalità sono in aumento. Anche il violento giro di vite messo in atto dal presidente Rodrigo Duterte contro gli spacciatori e i tossicodipendenti ha avuto delle ripercussioni qui a Manila Nord, dove lo scorso settembre tre uomini sono stati uccisi nel corso di un'operazione antidroga. Pare che stessero cercando di vendere dieci dollari di shabu. Al calare della sera molti consigliano a me e al mio interprete di andarcene, spiegando che aggirarsi per questi luoghi dopo il tramonto può essere rischioso.
I defunti rimangono sempre una presenza costante. "Talvolta sento dei rumori o delle voci, e faccio silenzio perché so che sono le voci dei morti", spiega la signora Javier. I numerosi bambini che giocano festosamente tra le tombe non sembrano preoccuparsi dei fantasmi. Qui e là sorgono degli spacci improvvisati: vendono merendine e oggetti di prima necessità. Non mancano nemmeno le macchine per il karaoke: un passatempo che di sera è molto in voga. Pur non abitando nel cimitero il signor Gonzalez, il settantaquattrenne che fa le parole crociate, trascorre spesso la notte nella cripta della sua famiglia. Possiede un appartamento in città, ma si trova in un quartiere più pericoloso del cimitero. "Almeno - dice - i morti non possono fare del male".

© 2017 New York Times News Service (Traduzione di Marzia Porta)

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 L’AUTORE
Adam Dean è un fotografo freelance che vive tra Bangkok e Pechino. Collabora con il New York Times, Time Magazine, New Yorker e il National Geographic Magazine. Nel 2011, Pdn ( Photo district news), prestigioso mensile di fotografia, lo ha selezionato tra i trenta fotografi emergenti dell’anno.

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