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23.9.25

diario di Bordo Speciale Quando la maternità cambia forma: la storia Laura Marziali in menopausa a 28 anni a causa di un tumore all'utero ., L'accompagnamento nel fine vita: chi è l'assistente spirituale e cosa fa., Resistere con il calcio, la prima calciatrice palestinese a giocare in Italia

da https://www.vdnews.it/societa-e-costume/


A 28 anni a Laura Marziali è stato diagnosticato un tumore all’utero. L'intervento per rimuoverlo ha comportato una menopausa precoce. Da allora, Laura è diventata una voce instancabile nella lotta per i diritti delle persone colpite dal cancro. Dopo aver vinto la sua battaglia contro l’oblio oncologico, ha iniziato a interrogarsi su cosa significhi non poter avere figli in un Paese dove le adozioni richiedono tempi lunghi e la maternità surrogata è vietata.
Da qui è nata una riflessione più ampia sul senso della genitorialità e sulle vie possibili per diventare madri anche senza un legame biologico.



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In Italia, ogni volta che si parla di fine vita c'è una grande divisione tra chi difende il diritto alla scelta e chi – soprattutto nel centrodestra e fra le associazioni cattoliche e ProVita – teme, invece, possibili derive e che s'arrivi a fenomeni come accabadora ( Non ci sono fenomeni esattamente uguali all'agabbadora in Italia soprattutto nel sud , poiché la figura è strettamente legata alla tradizione sarda, ma concetti simili di aiuto a morire esistevano anche altrove in alcune culture, anche se meno strutturati e documentati. Si trattava di pratiche informali e "domestiche" di eutanasia da parte di un familiare o di un vicino di casa, talvolta interpretate come un atto di pietà per porre fine alle sofferenze di un malato terminale. per ulteriori approfondimenti seguire l'asterisco ⁕  ) Nel mezzo,   come  racconta   video comreso   https://www.vdnews.it/societa-e-costume/  ci sono le persone con malattie gravi e degenerative e le rispettive famiglie che si trovano in un limbo giuridico ed esistenziale, senza certezze su come affrontare questo momento con dignità.



La Corte Costituzionale ha già riconosciuto questo diritto, con una sentenza del 2019 che ha stabilito la non punibilità del suicidio assistito in specifiche condizioni: la presenza di una patologia irreversibile, dolori intollerabili, la dipendenza da trattamenti di sostegno vitale e la piena capacità di autodeterminazione del paziente. Riconoscere il diritto di scegliere sul proprio fine vita significa, infatti, mettere al centro l’autodeterminazione della persona, garantendo un percorso regolamentato, sicuro e rispettoso per chi vive una sofferenza estrema.
Nonostante la sentenza del 2019, il Parlamento non ha mai adottato una legge nazionale che regolamenti in modo uniforme la questione, lasciando un vuoto normativo che le Regioni stanno cercando di colmare.
Ma al di là delle leggi, cosa significa davvero accompagnare qualcuno nel fine vita? Grazie al progetto SPHERA, per capirlo siamo andati a Pescara ad incontrare Ilaria Di Liso, assistente spirituale, che offre supporto a chi affronta l’ultima fase della vita. Con lei, abbiamo cercato di esplorare il significato dell’assistenza, tra cura materiale e sostegno interiore, per restituire dignità a un momento che riguarda tutti.

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Resistere con il calcio, la prima calciatrice palestinese a giocare in Italia



Natali Shaheen, nata a Gerusalemme nel 1994, ha cominciato a giocare a calcio a sei anni: «non mi importava di essere l’unica bambina che voleva giocare a calcio. E da subito, non ebbi nessun dubbio nello scegliere il ruolo: a me piaceva fare gol». Ma per allenarsi ha sempre dovuto districarsi tra i vari checkpoint. Adesso si trova a Sassari, dove studia ed è diventata la prima calciatrice palestinese a giocare in Italia. Abbiamo parlato con lei di cosa significhi vivere nella Palestina occupata e come si può diventare professionista nel calcio in questa terra, tra occupazione e cultura patriarcale.

16.7.25

La figura del recuperante È una figura storica che nell'Altopiano di Asiago ha avuto un senso.

qualche giorno fa sfogliando msn.it \ bing ho trovasto ( il video sotto ) ed ho ) ho appreso dela figura del recuperante . Ecco cosa ho trovato ( trovate a fine post le mie fonti consultate ) . Il termine "recuperante" (o "recuperanti" al plurale) indica una figura storica, spesso presente
dopo conflitti bellici, che si dedicava alla raccolta e al recupero di materiali residuati dai campi di battaglia. Questi oggetti, come armi, munizioni, e rottami metallici, venivano poi venduti, spesso come rottame, o utilizzati per altri scopi, generando un profitto. che Il recuperante è colui che, in particolare dopo le grandi guerre mondiali, si recava nei luoghi dove erano imperversati i combattimenti, specie di trincea, e recuperava i residuati bellici per rivenderli come rottami pregiati o come esplosivi. Successivamente l'attività è divenuta prevalentemente di carattere storico e di ricerca. Infatti Se in altri tempi come dice anche la testimonianza del video sotto, da cui ho pres a prestito il titolo per il post era dovuto a motivi no solo economici ma di sopravvivenza , oggi per passione delle vicende storichje che colpirono quelle zone e per alcuni anche per lucro .


Infatti    se     come     dice  la  voce   recuperante  di wikpedia  ⁕ «   [... ] Per le popolazioni locali dell'immediato dopoguerra (prima e seconda guerra mondiale), si trattava prevalentemente di un'attività supplementare per integrare gli scarni guadagni mensili, per altri divenne invece il lavoro principale.[3] Si trattava anche di un'attività pericolosa in quanto era frequente incappare in materiale inesploso:[3] quindi i recuperanti iniziarono anche a brillare gli esplosivi in modo artigianale.Le diverse generazioni di recuperanti che si sono succedute erano animate inizialmente dallo spirito di sussistenza-sopravvivenza (1919-1950), mentre in seguito le motivazioni sono divenute storico-sociali.[3]A partire dagli anni 1970 e nell'epoca contemporanea, il recuperante è gradualmente divenuto figura che agisce essenzialmente per due ragioni:

  • il recupero a scopo commerciale, la cui ricerca nei siti delle guerre è finalizzata al ritrovamento, restauro e vendita dei reperti, presso i mercatini sparsi nel Nord e centro Italia o durante le fiere normalmente denominate "Militaria" o simili.
  • il recupero a scopo collezionistico o storico, che impronta la sua ricerca nel ritrovamento, il restauro conservativo e la creazione di una collezione o la cessione dei reperti a musei e collezioni pubbliche.

Durante queste ricerche avviene che vengano ritrovati i resti di militari a cui può essere data una identità e una tumulazione.[4]In alcuni luoghi, come la regione Veneto, l'attività del recuperante è regolamentata e per svolgerla è necessario ottenere un'autorizzazione, comunemente chiamata patentino.[5]  »

Ora  a  prescindere    dallo  scopo   di  tale  attività  essa  permette  che tale periodo storico  non finisca  nelle  nebbie  e nelll'oblio  o  strumentalizzato politicamente  come propaganda  e   mitizzato  . E ridotto  ad una semplice pagina   sintetica    nei libri  di storia   scolastici   e destinata  (  salvo eccezioni  )  a nonessere  affrontata nei programmi   visto che   generalmente  vi ci s'arriva   negli ultimi mesi  scolastici   se   ci s'arriva    vi sto che   di solitoi  ci  si ferma     alla breccia di porta   pia   o al massimo a Giolitti  .  Quanto sangue è stato versato sull’Altopiano di Asiago: ce lo ricorda Ermanno Olmi, regista di innumerevoli film-testimonianza sulla comunità montana (in particolare quella bresciana, da cui proviene) e che con il film I recuperanti (1970) racconta “l’arte” del recupero dei materiali bellici su quelle che furono le trincee delle due guerre mondiali.⁕⁕


26.7.24

Ogni squadra olimpica, da qualunque Paese provenga, ha i suoi personaggi, le sue storie, le sue vicende curiose

 Le Olimpiadi di Parigi saranno un grande evento sportivo e mediatico e cadranno in una fase critica per il mondo. I tempi passati delle tregue olimpiche dell’antichità sono un lontano ricordo. Ora, più che mai, lo sport è politica, primeggiare nel medagliere un obiettivo di soft power, le rivalità geopolitiche e militari inevitabilmente riflesse nelle arene. Per il momento  riporto    da  Olimpiadi Parigi 2024 (insideover.com) del  23 LUGLIO 2024 quelle degli  Usa  poi  se ne  trovo  asltre    le riporterò  nei post  successivi    



 

Ogni squadra olimpica, da qualunque Paese provenga, ha i suoi personaggi, le sue storie, le sue vicende curiose. Proviamo qui a raccontare in breve quattro storie fuori dal comune che appartengono alla squadra più numerosa (592 atleti per 44 discipline) e probabilmente più forte dei Giochi, quella degli Stati Uniti d’America.

QUINCY WILSON – Tutti lo considerano la stessa del presente e del futuro. Ha 16 anni è si è guadagnato un posto nella staffetta maschile 4×400 metri, diventando così il più giovane atleta maschio a rappresentare gli Stati Uniti nella storia delle Olimpiadi. Wilson frequenta la scuola superiore a Potomac (Maryland) e ai trial delle selezioni olimpiche ha lasciato tutti a bocca aperta: prima ha cancellato il record nei 400 metri per gli atleti sotto i 18 anni, che resisteva da più di 10 anni. Poi, nella prova successiva, ha addirittura migliorato il proprio freschissimo record. Le riviste specializzate ricordano che solo 23 atleti, quest’anno, hanno corso i 400 metri più veloci di lui. Ma erano tutti più “vecchi” di lui. Gli hanno chiesto se si sentisse pronto per le Olimpiadi. Lui ha risposto: “Non corro più le gare delle scuole superiori, qui ci sono i cagnacci feroci”.

SUNI LEE – Nata nel Minnesota, nel 2021 ha vinto la medaglia d’oro olimpica di ginnastica femminile a Tokyo. Poi ha dovuto combattere una rara malattia renale che, diagnosticata all’inizio del 2023, le ha imposto di sospendere gare e allenamenti per sei mesi per affrontare le cure. Nonostante questo, Sun è riuscita a conquistarsi un posto nella squadra per le Olimpiadi di Parigi. Sul suo account Instagram, a qualificazione raggiunta, ha commentato: “Sono stata io a dimostrarmi che posso superare le cose difficili e, si spera, a ispirare gli altri a non lasciare mai che gli ostacoli della vita ti impediscano di perseguire i tuoi sogni”.

VICTOR MONTALVO – Campione mondiale in carica nella breakdance, ha ufficialmente il compito di portare negli Usa l’oro in una specialità che per la prima volta a Parigi assurge al rango di specialità olimpiaca. Montalvo, 30 anni, di Kissimmee (Florida), ha le idee chiare: “Il breaking è stato ispirato e influenzato dal Kung Fu, dalla ginnastica e da molte danze africane e indiane. È tutto mescolato in uno. Non vedo l’ora di mostrarlo, alle Olimpiadi, tutti coloro che pensavano fosse rimasto bloccato agli anni Ottanta”.

WEINI KELATI – 27 anni, gareggia a Parigi per la squadra olimpica statunitense dieci anni dopo aver chiesto asilo negli Stati Uniti. Nata in Eritrea, è arrivata negli Stati Uniti nel 2014 per competere in una competizione internazionale di atletica leggera e non è mai salita sull’aereo per tornare a casa. Invece, è andata a vivere con i parenti a Leesburg, in Virginia. Al liceo ha fatto man bassa di campionati statali e nazionali al liceo, poi ha corso per l’Università del New Mexico prima di diventare professionista nel 2020. Kelati, che è diventata cittadina statunitense nel 2021, detiene il record americano nella mezza maratona e ha vinto i 10.000 metri ai trial olimpici Usa del 2024. A Par

15.11.22

Mamma sta per morire di tumore e implora l'infermiera: «Prenditi cura di mio figlio». Così Wesley trova una nuova famiglia

 da  https://www.ilmessaggero.it/mondo/  Lunedì 14 Novembre 2022, 19:00 - Ultimo aggiornamento: 15 Novembre, 06:42

La donna ha esaudito l'ultimo desiderio della sua paziente e ha dato a Wesley la famiglia che la madre aveva sempre desiderato per lui




Perde la madre per un cancro ma viene adottato dall'infermiera. Capita spesso che, nei reparti dove si trovano pazienti terminali, alcuni di loro allaccino rapporti umani molto intensi con gli infermeri che si prendono cura di loro. Questo è quello che è capitato nel 2014 a Tricia Seaman, un'infermiera di oncologia, la quale è arrivata a creare un legame molto intenso con una donna malata di cancro, Tish Somers, 45 anni.
Tish, disperata, sapendo a cosa sarebbe andata incontro, ha deciso di affidare la cosa più preziosa che aveva al mondo (Wesley, il figlio di 8 anni) all'amore di quell'infermiera con cui aveva costruito un rapporto d'amicizia così vitale: «Voglio che ti prenda cura di mio figlio quando morirò».Oggi sulle pagine del giornale americano "People", Tricia ha deciso di raccontare questa incredibile storia, accaduta 8 anni fa presso l'UPMC Community Osteopathic Hospital di Harrisburg, in Pennsylvania (Stati Uniti). Dopo tutti questi anni, Tricia e suo marito Dan considerano ormai Wesley loro figlio. La famiglia è riuscita ufficialmente a ottenerne l'adozione nel luglio 2020, sei anni dopo la perdita della madre da parte del piccolo. Wesley oggi ha 16 anni: «Non riesco nemmeno a descrivere quanto sia stato fortunato. Sono grato per essere stato accolto in questa casa ogni giorno. I miei genitori adottivi per me significano tutto».

Tricia ricorda commossa: «Per me e mio marito è stato subito chiaro che prendere il bambino con noi era la cosa giusta da fare. Sono incredibilmente orgogliosa di lui e grata per essere diventata parte della sua vita, mi prenderò cura di fino alla fine dei miei giordi» conclude emozionata.


12.11.22

«Libera grazie allo sport ai ragazzi dico: provateci» Silvia Salis, atleta olimpica del lancio del martello e vicepresidente Coni Il suo libro contro gli stereotipi di genere ha vinto il premio “Gianni Mura”

   a prescindere  dal  doping  imposto e   dal doping  spontaneo ,  dalle  violenze  psicolgiche     che  certi  allenatrori o dirigenti fanno  sugli atleti  vedi recenti  scandali    L’attività sportiva è  << uno strumento sempre più importante per favorire l’emancipazione femminile >> ma  soprattutto ed è ricca  di passioni   e sogni  . 

 da la  nuova  Sardergna  



Un campo di atletica come parco giochi, una distesa enorme dove correre, saltare e sfogare un’energia incontenibile e libera di esplodere. Sembra di vederla la piccola Stella spalancare la porta di casa e correre su e giù nel giardino enorme, tuffarsi e rituffarsi nella sabbia, arrampicarsi su attrezzi e pedane. E guardare, divorare con gli occhi gli atleti – bambini e adulti – che si allenano lì ogni giorno, sulla pista rossa e nella gabbia, e a poco a poco capire che quel parco, quell’iniezione quotidiana e continua di sport, avrebbe segnato la sua vita per sempre. La piccola Stella è la protagonista del libro “La bambina più forte del mondo” e la sua storia è quella di Silvia Salis, 37 anni, che nel campo di atletica
di Villa Gentile a Genova ha vissuto da quando aveva 3 anni sino all’adolescenza. Silvia e Stella Figlia di Eugenio, il custode del campo, Silvia è andata via quando è stata convocata in Nazionale e ha iniziato a girare il mondo conquistando decine e decine di titoli nel lancio del martello e partecipando a due Olimpiadi. Oggi Silvia, originaria di Sorso «luogo del cuore, delle amicizie, dei giochi con i cugini, di tanti ricordi bellissimi – è vicepresidente vicario del Coni, prima donna a ricoprire questo ruolo. Ed è anche scrittrice: la sua Stella ha conquistato i lettori e ora anche i giudici del premio letterario intitolato a Gianni Mura, il grande giornalista sportivo, anche lui con origini sarde (di Ghilarza). Oggi a Torino (Casa Tennis a Palazzo Madama) Silvia Salis riceverà il premio per la sezione “Fuoriclasse”: la sua “Bambina più forte del mondo” è il miglior libro di letteratura sportiva per ragazze e ragazzi. «Un onore, perché Gianni Mura ha raccontato lo sport, le imprese e le persone. con uno stile unico e ineguagliabile. Ed è bellissimo ricevere questo premio per un libro che racconta la mia storia, con il quale voglio trasmettere un messaggio». Maschi e femmine La storia di Stella è la storia di Silvia, è la favola di una bambina cocciuta che riesce a svettare in uno sport riservato fino al Duemila solo agli uomini. È un libro-manifesto sulla parità di genere nello sport, contro luoghi comuni che troppo spesso ancora tarpano le ali e uccidono i sogni di ragazzi e ragazze. «Mi sono sentita dire “lascia perdere” con il lancio del martello diventerai un maschio, non avrai mai un fisico e una bellezza femminile – dice Silvia Salis – io non ho dato retta e sono andata avanti, seguendo il mio istinto e la mia passione. E sono stata fortunata perché la mia famiglia mi ha sempre lasciato libera. Se i miei genitori avessero ceduto agli stereotipi “delle cose da maschio e da femmina” magari avrei indossato un tutù e fatto danza con poca voglia. Non avrei ottenuto i risultati di cui vado fiera, non avrei avuto la possibilità di raggiungere obiettivi importanti. Questo dico nel libro e questo racconto ogni volta che ho l’opportunità di confrontarmi con
adolescenti e genitori. C’è la tendenza da parte delle famiglie a fare percorrere ai figli le strade che sembrano più “sicure” perché rientrano nel concetto di “normalità”: succede per esempio che un ragazzo venga spinto a fare calcio anche se il pallone non è nelle sue corde e la ragazzina che si sente portata per una disciplina in cui dominano i maschi – come la lotta, lo judo o il rugby – venga dirottata da un’altra parte. In realtà – dice Silvia – è importante assecondare le inclinazioni di ciascuno, non
importa se si viene etichettati come “strani” o “stravaganti”: chi se ne importa dei giudizi altrui, le strade meno sicure sono quelle che possono dare soddisfazioni enormi. Io facevo salto in lungo ma il martello era una calamita. Avevo un fisico esile per quel tipo di attività, ma il mio allenatore Walter Superina ha visto qualcosa in me. È stata una folgorazione, una svolta, ero nel mio mondo. Ai bambini dico “provateci” , inseguite la strada che sentite vostra». Lo sport per affermarsi La favola nella favola, nella storia di Stella-Silvia, è quella di una bambina che non ha grandi mezzi eppure supera ogni ostacolo. «Ero la figlia del custode del campo di atletica – ricorda Silvia – la mia casa era lì dentro. E questa è stata la mia fortuna più grande perché grazie allo sport sono riuscita a ottenere rinoscimenti altrimenti impossibili». Non solo le medaglie, la gloria dei tanti titoli conquistati in giro per il mondo «ma una vera e propria emancipazione: senza lo sport non sarei qui, non sarei stata scelta per ricoprire un ruolo così importante nel Coni. Lo sport è fondamentale nella consapevolezza femminile e nello sviluppo dell’indipendenza, nell’affermazione di sè. Io sento di essere profondamente debitrice verso lo sport, anche per questo cerco di restituire quello che ho avuto». Le donazioni Silvia Salis ha un rapporto speciale con l’ospedale Gaslini. «È una eccellenza della mia città e della sanità italiana, che è doveroso sostenere». Già due anni fa Silvia e il marito, il regista Fausto Brizzi, hanno aperto in occasione del matrimonio una raccolta fondi su GoFundMe a favore del Gaslini e il regista ha devoluto all’ospedale il cachet per lo spot della Liguria. Non solo: la storia di Stella, bambina coraggiosa, è stata presentata in anteprima lì e il ricavato delle vendite del libro alimenta la ricerca e le cure per altri bambini.
Silvia Salis è nata a Genova il 17 settembre del 1985. Suo padre Eugenio, originario di Sorso, era il custode del campo di atletica Villa Gentile. È lì che Silvia ha iniziato a praticare attività sportiva, sino a diventare campionessa di lancio del martello, vincitrice di 22 titoli italiani (9 seniores, 3 universitari e 10 giovanili). Ha iniziato a praticare atletica leggera nel 1993, a 8 anni. Ha provato un po' tutte le specialità e si stava specializzando nel salto in lungo (a 9 anni saltava 3,70 metri): poi verso i 13 anni ha provato i lanci con il martello ottenendo risultati eccezionali con il supporto di Valter Superina, ex martellista che l'ha allenata per molti anni. Ha partecipato alle Olimpiadi in Cina nel 2008 e a Londra nel 2012 e detiene 2 delle 20 migliori prestazioni italiane femminili all time nel lancio del martello, lerestanti se le ripartiscono la primatista italiana Ester Balassini (10) e Clarissa Claretti (8). A 30 anni ha lasciato poco prima delle Olimpiadi in seguito a un infortunio. ] Il 6 novembre 2016 è stata eletta nel Consiglio Federale della Fidal, Federazione italiana atletica leggera. Nel 2017 è stata eletta nel Consiglio nazionale del CONI, il Comitato Olimpico Italiano e nel 2021 è stata eletta vicepresidente vicario. Nel novembre del 2020 – in piena pandemia – Silvia Salis ha sposato in Campidoglio il regista romano Fausto Brizzi. «La bambina più forte del mondo», pubblicato nel gennaio 2002, è il suo primo libro


1.11.22

un prete che è sceso fra la gente ed uscito dal tempio il caso di don totoni cossu di bitti che non avendo chiesa ha detto messa in un bar di paese

canzone consigliata

Qualche  giorno  fa  mettendo  in ordine  i  giornali    ho trovato   , credendo fosse  d'ieri  ,    l 'unione  sarda    (   trovate  a sinistra  lo  screenshot  visto  che  l'archivio  è a €💰) 
invece  era     d'aprile  di quest'anno ,  e  all'interno  cera  un  ho  trovato  l'articolo  sotto riportato .  Ho  cercato in rete la  notizia o  qualcosa  su  don Totoni Cossu  ,   ho  trovato  solo  questo  video trovato  grazie  ai motori   di ricerca     fra quelli di    facebook 


 

Ora direte che strano . Mah i non ci vedo niente di strano . Anche Gesù se vivesse oggi e vedesse le chiese vuote o piene solo a Natale o pasqua o la crisi di vocazione farebbe la stessa cosa . Come ha

detto l'amica Dulcinea nel post : << il cambiamento non lo si può fermare >> esso è un rimedio per  non morire ed aprirsi alla gente credente tiepida e anche perchè no a quelli dubbiosi o non credenti oppure come me laico credenti \ senza chiesa cioè non praticanti . 












Poi non è una novità tali atti sono già stati fatti in passato  come  la  storia      trovata  in   rete   durante  le  ricerche 

 da  https://www.larena.it/territori/  28 novembre 2017 


La Bibbia si legge anche al bar
Sette incontri tra birre e caffè


                                           Lidia Morelato


 «La Bibbia al bar». È la nuova ed originale proposta della Comunità pastorale di Salizzole, Bionde ed Engazzà, che al bar, davanti a un caffè a un bicchiere di vino o ad una birra, offrirà la possibilità di conoscere i testi dei Vangeli che parlano di cibo. Sette appuntamenti della durata di un’ora ciascuno, che
si svolgeranno nei luoghi di ritrovo del paese secondo il format della tradizionale Lectio divina: lettura del Vangelo, approfondimenti, comprensione e condivisione. «Gesù andava in mezzo alla gente a predicare parlando un linguaggio comprensibile per farsi capire», riferisce don Massimiliano Lucchi, parroco di Salizzole insieme a don Luca Pedretti. «Quest’iniziativa», aggiunge il sacerdote, «è il tentativo di diffondere la Parola di Dio con una modalità evangelica fuori dagli schemi». Si tratta, infatti, di un vero e proprio percorso, caratterizzato da varie esperienze, dove la tradizionale lettura del Vangelo sarà arricchita con immagini, slide e degustazioni che contribuiranno ad approfondire e semplificare la comprensione dei testi sacri. Nel primo incontro che parla di vino, per esempio, è previsto l’assaggio di vino nuovo e vecchio per coglierne le sostanziali differenze. «La gente va al bar per rilassarsi e in questi momenti è più ricettiva e predisposta all’ascolto», aggiunge don Massimiliano, meglio conosciuto da tutti come don Max, «quindi la proposta evangelica può avere un peso diverso con la possibilità di andare più in profondità. Vedremo quale riscontro avrà». L’idea della «Bibbia al bar» è stata molto apprezzata anche dagli esercenti che l’hanno accolta fin da subito con entusiasmo. «È sicuramente una bella iniziativa», sottolinea Scila Tedesco, titolare del bar da Ugo insieme alla sorella Valentina, «che può avvicinare anche persone diverse dagli avventori abituali». «Tanta gente», aggiunge la barista, «ha visto la locandina e ha chiesto informazioni incuriosita dall’accostamento del bar con parroci e Bibbia». Il primo appuntamento su «Vino nuovo in otri nuovi» si terrà questa sera, alle 21, proprio al bar «Da Ugo», in piazza Castello. Si proseguirà poi il 4 dicembre al bar «L’Angolo» con «Dammi da bere l’acqua viva». Il 5 dicembre, alle 17.30, toccherà al bar «Capitel» con «Hai tenuto da parte il vino buono»; il 12, alle 20.30, appuntamento al bar «Colombini» di Bionde con «Voi stessi date loro da mangiare», e il 13, alle 21, alla «Cantina» con «Avevo sete e mi avete dato da bere». Il 20 dicembre, alle 21, sarà la volta del bar «La Pinta» con «Non di solo pane vive l’uomo». La rassegna si chiuderà il 21 dicembre, alle 18, al bar «Isoli» di Engazzà con «Prese il pane e rese grazie». Già alla vigilia dell’inaugurazione, in paese la singolare iniziativa sembra gradita da un ampio pubblico, considerato che il calendario dei sette appuntamenti postato sulla pagina Facebook della parrocchia in pochi giorni ha avuto 2.400 visualizzazioni con altrettanti «mi piace». Un canale evangelico alternativo che mira ad avvicinare anche nuovi i fedeli ed in particolare i giovani. Anche se per la verità, a Salizzole, contrariamente a quanto si possa pensare, l’affluenza alle messe festive e alle funzioni religiose - per esempio, a Bionde, questa settimana sono in corso gli esercizi spirituali - è ancora piuttosto elevata rispetto alla media nazionale, come tengono a rimarcare i parroci. È una comunità vivace con un bel gruppo di giovani e adolescenti, dove è presente anche una compagnia teatrale, composta da un’ottantina di elementi capitanati da don Max, che diffonde il messaggio evangelico attraverso il linguaggio dell’arte.

                                        
quindi come le  note     della  famosa     canzone  , pietra miliare  del rock ,  di Bob  Dylan   the time we are a changin

8.8.22

IL RIMORSO DI EATHERLY (Il pilota di Hiroshima)

  ho aspettato  prima  di scrivere    tale  post   perchè   nella  mia  ingenuità credendo che   vista  l'attualità  della  guerra    che  su  tale  evento  ormai storia     ci  fossero  il solito  classico    fiume  d'inchiostro   celebrativo invece    è  passato   quasi  in silenzio   .Ma quel  che  è  peggio   che   si  è, solo parlato  dei  fatti  più noti     di tale evento  ,  ma  si   ci  si  dimentica   come spesso succede     dei retroscena   come  (  esempio  vedere    slide  a sinistra  )    quello  della    vicenda  del  2  pilota      protagonista della vicenda    storica avvenuta   nel  lontano  6\8\1945 . Ma  ora   basta    con  i Pipponi  ,  vi lascio    sulle  note    della struggente  e  bellissima  il Pilota  di Hiroshima  dei Nomadi

Articolo di Rosella Reali  da Email:Info@Viaggiatoriignoranti.It
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IL RIMORSO DI EATHERLY (Il pilota di Hiroshima)
Nella vita non bisogna avere dubbi, non bisogna mostrarsi scettici, né tantomeno deboli...
Metti la bomba atomica sganciata su Hiroshima il 6 agosto 1945...
Paul Tibbets fu il pilota che sganciò la bomba... a distanza di anni commenterà: “Non mi posi un problema morale, feci quello che mi avevano ordinato di fare. Nello stesse condizioni lo rifarei”.
Lasciò l'aeronautica a cinquantun'anni anni col grado di generale di brigata e morì a novantadue anni.
Claude Eatherly invece, fu il pilota mandato in avanscoperta per scegliere l'obiettivo, in base alle condizioni atmosferiche, tra Hiroshima, Kukura e Nagasaki. Una volta dato l'ok per Hiroshima si allontanó, come da disposizioni ricevute, ma non abbastanza. Quello che vide non lo abbandonerà più.E fece l'errore più grande: si pentì.



Finita la guerra si congedò, rifiutò la cospicua pensione e dispose che quei soldi fossero devoluti alle vedove dei suoi compagni morti in guerra. Tentò diverse volte il suicidio, il suo rimorso fu "curato" negli ospedali psichiatrici. Dopo un lungo rapporto epistolare col filosofo tedesco Günther Anders, si convinse a scrivere una lettera di scuse ai superstiti di Hiroshima. Questi gli risposero che in fondo anche lui non era che una vittima della bomba atomica. Solo in quel momento la sua situazione psichica migliorò. Morirà a sessant'anni per un tumore. Due piloti, due uomini. Se l'eroe Tibbets fu inserito nella National Aviation Hall of Fame, per Eatherly ci sarà solo il perdono dei nemici.Il suo mondo che era pronto ad onorarlo per la sua partecipazione al massacro, si rivolse contro di lui. Il pentimento fu la sua condanna.






















26.6.22

Giulia Lamarca. La dura verità sui miei viaggi

da https://www.semprenews.it/news/

17 Novembre 2021
Ultima modifica: 21 Dicembre 2021 ore 15:44

Giulia Lamarca. La dura verità sui miei viaggi
Psicologa, travel blogger. Dopo l'incidente si reinventa ed esplode la passione per il viaggio. Ora racconta tutto in un libro
Scritto da Nicoletta Pasqualini





Una ragazza piena di vita, appassionata di beach volley. A 19 anni, per un banale incidente, il suo mondo crolla improvvisamente. Ma Giulia reagisce, incontra Andrea e insieme cominciano a viaggiare, scoprendo una nuova missione.
Quando abbiamo incontrato per la prima volta Giulia Lamarca, nell’agosto del 2019, la sua pagina Instagram aveva 16 mila follower; un risultato che, ci diceva, aveva superato ogni sua aspettativa. Ora, a distanza di soli due anni, i follower sono diventati oltre 150 mila. Conquistati grazie a un forte investimento sul piano comunicativo, ma anche ad una storia davvero unica e alla straordinaria capacità di condividerla facendo sentire tutti partecipi delle sue emozioni.

"Prometto che ti darò il mondo" è il primo di libro di Giulia Lamarca in cui racconta la sua vita. Una storia che parla di disabilità, ma soprattutto di amore, perseveranza e libertà.

La vita di Giulia è una continua sfida, per superare barriere fisiche legate alla sua disabilità, ma soprattutto barriere mentali, che vorrebbero relegare persone come lei entro percorsi dedicati. Giulia invece, proprio da quando è in carrozzina, ama viaggiare, ma non le va di seguire corsie riservate, perché è convinta che a nessuno dovrebbe essere preclusa la possibilità di andare ovunque, fosse anche sul Machu Pichu o sulla Muraglia Cinese (dove effettivamente è stata), o di prendere un aereo anche se non l’ha prenotato con largo anticipo.
Una scelta scomoda che l’ha portata, assieme al marito e amico Andrea, a vivere avventure incredibili, che ora racconta nel libro Prometto che ti darò il mondo edito da De Agostini. Un testo autobiografico scritto con la stessa immediatezza con cui ama raccontarsi sui social, che è difficile collocare in un genere: c’è la storia di una ragazza che a 19 anni si ritrova in un letto di ospedale e scopre dagli sguardi di chi le sta attorno che la sua vita non sarà più come prima ma trova anche la forza di reagire, c’è una storia d’amore, c’è il racconto di tanti tanti viaggi che delineano progressivamente un percorso di crescita umana che va oltre la storia personale e diventa una proposta anche per il lettore.
L’intervista che trovate di seguito, realizzata nel 2019, si concludeva proprio con il suo desiderio di raccontare tutto in un libro. Obiettivo raggiunto. Come pure un altro grande desiderio, avere un figlio, e chi la segue sui social sa come la vita di Giulia e Andrea sia cambiata con l’arrivo della piccola Sophie.
Chi è Giulia LamarcaGiulia Lamarca, giovane psicologa torinese, nel suo blog racconta tutto, ma proprio tutto, sui suoi viaggi in carrozzina. Città agibili, cosa mettere in valigia, come prendere un aereo, gli ostacoli… insomma, consigli utili. Si può andare in giro per il mondo se si è in carrozzina? Lei non ha dubbi, visto che lo sta facendo da anni il marito Andrea Decarlini, sposato il 13 marzo 2016, con il quale condivide questa passione. In quasi 8 anni hanno toccato 5 continenti, 23 Paesi e visitato più di 75 città. Lei prova, sperimenta, osa con la sua carrozzina e poi dà delle dritte a chi vuol fare una vacanza all’insegna del divertimento ma anche dell’accessibilità, mettendo in guardia da barriere architettoniche e mentali in cui si può incappare. Ad esempio: «Io amo Parigi, ma hai mai provato ad andare in bagno a Parigi? È praticamente un’impresa – racconta –. Ho fatto perciò un video, per aiutare chi come me deve affrontare questo problema. Ebbene, qualcuno mi ha dato della sbruffona, altri invece hanno capito».
Giulia non ama le mezze misure. Questa è la dura realtà di chi viaggia in carrozzina, perciò vuole farla conoscere, per aiutare a non rimanerne impantanati.
Era una sportiva, oggi una viaggiatrice. Il suo carattere vulcanico non si è spento neppure dopo che, il 6 ottobre 2011, un assurdo incidente l’ha resa paraplegica.
Quello che si è aperto dopo l’incidente è uno scenario del tutto inedito per lei. L’amore per il viaggio le dà una nuova prospettiva, perché è convinta che la disabilità non può bloccare la libertà.
Cosa mettere in valigiaDue sono gli ingredienti necessari per affrontare un viaggio in queste “condizioni”: perseveranza e audacia, doti che sente di avere in abbondanza e che – forse per la sua formazione da psicologa – vuole infondere negli altri.

Travel blogger su Instagram, perché?
«Sto cercando sempre di più di esserlo, non è neppure un anno che sono sui social. Voglio lanciare un messaggio forte: provarci, non arrendersi. Dare consigli reali, ovunque le persone vogliano andare. Parlo a tutti, ma raccontando il quotidiano tratto di resilienza, di inclusione. Perché vivo così, ne faccio parte.»

Solare, positiva, decisa…
«Sì, ma anche testarda. Se c’è una cosa in cui credo molto, lotto, mi arrabbio, ma sempre con il sorriso, con una battuta. Ci sono persone che vivono la mia stessa condizione e, per stanchezza, diventano passive. Il sorriso e l’abilità nel parlare sono la mia forza. Queste caratteristiche mi hanno permesso di fare cose per cui normalmente ti dicono: “Non si può”. Non mi volevano far andare a Machu Picchu, ma alla fine ci sono riuscita. Questo è il motivo per cui ho deciso di andare sui social e aprire un blog, per raccontare che sono poche le cose impossibili nella vita.»

Com’è nata la passione per il viaggio?
«Sono cresciuta in una famiglia di camperisti che ha viaggiato per l’Italia. Fin da piccola desideravo scoprire altre culture, conoscere la loro storia. Ho sempre dubitato di quello che la gente mi raccontava. Volevo vedere di persona. Ma non avevo ancora trovato qualcuno che volesse fare quel tipo di esperienza. Tutto è cambiato dopo l’incidente. Sono diventata un’altra persona ed ho iniziato a viaggiare.»

L'incidente di Giulia LamarcaCosa ti è successo?
«Sette anni fa ero in scooter con il mio ragazzo di allora. Durante una curva ha perso il controllo e io sono caduta indietro. È stato un incidente strano. Pensavo di essermi rotta il piede. Non capivo bene cosa mi stava succedendo. Ero per terra e non potevo alzarmi.»

Poi?
«Ho avuto una lesione midollare e ho trascorso 9 mesi nell’unità Spinale dell’ospedale di Torino, che è diventata la mia famiglia. Lì dentro tutto è cambiato: i valori, le amicizie. Hai a che fare con un altro tipo di problemi che creano un dislivello enorme con le persone che conoscevi prima. Ricoverati con me c’erano anche molti stranieri, provenivano da culture diverse, ma avevamo gli stessi sentimenti, bastava uno sguardo per capirci. Questa cosa mi ha insegnato molto.»

Rimettersi in piedi psicologicamente e trovare la forza di affrontare il mondo da seduti.
«Il mio problema casomai è stato inverso. Non tanto come ho fatto a rialzarmi, ma quanto ci ho messo a decidere che era una situazione critica. Non ho mai smesso di ridere anche se tutti si chiedevano quando avrei pianto. Mio marito, che ho conosciuto in ospedale nel 2012 mentre stava facendo tirocinio di fisioterapia, si è innamorato di me proprio perché sorridevo. Ho imparato che il dolore è una cosa che la gente non sa contenere.»

In che senso?
«Quando parli del dolore, d’istinto la gente cerca di trovare una soluzione, proponendoti di fare terapie varie: ippoterapia, tanto per dirne una. Non capisco perché per un disabile tutto si debba trasformare in terapia. Quando hai un dolore così, non c’è soluzione. Non è che la gente non voglia ascoltare, è che nessuno ci insegna ad ascoltare il dolore, condividendo quello che sta provando l’altro.»

E la tua famiglia?
«Non ho mai voluto caricarli troppo. Gli raccontavo tutto una volta passata la crisi. Chi ha visto veramente la parte più vera di me è stato Andrea e, a pillole, la mia migliore amica. Ma se sono diventata la persona che sono è grazie ai miei genitori, che mi hanno sempre sostenuta e lasciata libera.»

Non viaggio da sola
Giulia Lamarca insieme al marito Andrea

Nel blog Andrea lo presenti come fisioterapista, migliore amico, compagno di viaggio e marito.
«In realtà mi sono sciolta quando Andrea mi ha detto: “Se tu un giorno crollerai, io, anche alle 3 di notte, ci sarò”. Ed è così che è successo. Era un mercoledì sera, erano più o meno le 3 di notte quando l’ho chiamato al telefono. Abbiamo parlato fino a mattina e da quel giorno ho iniziato con lui a permettermi di dirgli tutto quello che stavo vivendo, soprattutto la pesantezza.»

Non riesco ad immaginarti così.
«Un altro momento forte di pianto è stato quando mi ha chiesto di sposarmi. Ero felice davvero, ma ho realizzato in quell’istante che non potevo coronare il sogno di bambina di essere in piedi con lo strascico e camminare lungo la navata. Questa cosa mi ha fatto molto male.»

Giulia Lamarca nel giorno del suo matrimonio

Invece com’è andata?
«Provarsi l’abito da sposa è veramente un casino: le commesse che ti dicono che devi metterti i tacchi e io rispondo che i tacchi non me li metto, è inutile tanto non mi alzo. Sono queste piccole cose che fanno soffrire. Andrea era disposto ad annullare tutto, amen! Ma è uno che non si lascia intimorire dal parere degli altri. Mi ha aiutato con piccoli escamotage. Io mi sono presa l’abito da sposa che mi stava meglio. Avevo bisogno di sentirmi molto bella quel giorno.»

Racconti anche cose scomode.
«Altre persone in carrozzina forse non te lo dicono, ma in realtà ti senti sempre inferiore ad un’altra donna, soprattutto in eventi in cui le persone si mettono in tiro. Hai questa sensazione che ti ritorna. Se guardi la pubblicità sono tutte alte, snelle, hanno i tacchi e non hanno il problema di andare in bagno. Per Andrea non era un problema, per lui sono già bella, era solo un problema mio.»

Pensavi sarebbe stato possibile che qualcuno ti avrebbe amato ancora, anche se in carrozzina?
«Ancora oggi ci sono dei periodi in cui mi sembra impossibile. Io sono stata lasciata dal ragazzo dell’incidente, per telefono, il giorno in cui gli ho detto che non avrei più camminato. Questa vita è faticosa per me e anche per Andrea. Uno lo vede come un eroe che mi porta sulle spalle a Machu Picchu, ed è vero. Magari si stuferà di qualcuno che per mettersi alla prova deve sempre andare in giro. Di ogni cosa ci sono due facce. Se dovessi stare ferma a Torino sarei molto infelice. Questo mi spaventa ancora oggi. La carrozzina non c’entra proprio niente. Quello che c’entra è il carattere.»

Cosa significa viaggiare per te?
«I primi viaggi sono stati una fuga. Poi è diventato un modo per ricostruirmi una personalità nuova e smettere di costringermi ad adattarmi a quello che facevo prima. “Fai ancora sport?” mi chiedeva chi mi conosceva. “No”, punto e basta! Credo che tutto questo viaggiare porti con sé le grandi domande della vita. Alcune ricevono risposte, altre le sto ancora cercando nei posti in cui mi sento veramente bene.»

Cosa scopri?
«Che le discriminazioni sono stupide.»

Viaggi sempre in coppia con tuo marito: un bisogno o una scelta?
«Non è che ho bisogno di lui, io voglio Andrea. Non potrei scoprire delle cose senza lui. Andrea è un ingrediente essenziale. Il viaggio ci ha aiutato, siamo cambiati insieme.»

Come li organizzate i vostri viaggi?
«All’inizio avevo tanta paura. Sai, in ospedale ti dicono che sei delicata, che non devi farti male, perciò pianificavo e controllavo tutto. Ora viaggiamo più all’avventura. Le persone, vedendo che ho bisogno, si avvicinano a me spontaneamente e sono più idonee di quelle che si pagano. Prendiamo un biglietto andata/ritorno. Poi ci organizziamo nel territorio. Giriamo anche senza spendere tanti soldi, adattandoci, dormendo negli ostelli. Quando viaggi devi essere una persona disponibile a metterti in gioco. E raccontare può produrre qualcosa d’importante».


Perché dalla carrozzina mi racconto, anche su Instagram Scrivere sui social suscita anche reazioni. «Intanto non mi aspettavo un riscontro così forte. Poi alcuni, vedendomi allegra, pensano che io non abbia problemi. Ho fatto una video intervista qualche mese fa dove mi raccontavo: ho beccato tanti commenti positivi ma anche insulti che mi hanno fatto male. “Allora puoi viaggiare”, “la disabilità non ti dà problemi”... È che cerco di non farli vedere. I miei viaggi in realtà sono una sfida. A volte ho pensato di aver rischiato troppo. È che i viaggi mi fanno bene. Mi fanno dire che questa vita per me ha un senso, ne vale la pena.» Psicologa e blogger. Come ti combini?
«Ad oggi uso la psicologia per questo tipo speciale di persone. Alcune Startup mi stanno contattando per questo pubblico specifico. Perciò sto collegando la psicologia ad innovazione. Voglio far conoscere la diversità e tutelare i diritti di chi è in difficoltà.»

Cosa si aspetta chi viene in terapia da te?
«Hanno capito che ho la capacità di ascoltare davvero il dolore e di sviluppare la resilienza. Lo psicologo deve smettere di non far conoscere quello che fa nella vita. Anche da paziente io vado da chi conosco. Il mondo è cambiato, non siamo più all’epoca di Freud.»

Quali sono i tuoi sogni?
«Il più forte è essere Ambasciatrice Onu o lavorare nelle mediazioni tra Paesi. Non escludo neppure di entrare in politica.»

E il sogno più vicino?
«Sto scrivendo un libro. Racconterò la mia vita ma in maniera applicativa. Farò conoscere ciò che mi ha aiutata ad uscire da quello che ho vissuto. Insomma, delle istruzioni per l’uso per vivere in questo mondo che cambia.»

22.12.21

In Spagna, una coppia gay ha adottato due bambini. Durante un'intervista, entrambi hanno espresso la loro contrarietà verso la pratica dell'utero in affitto, respingendo così la retorica del sangue patriarcale.

   ringrazio  https://www.facebook.com/rosalia.alocco  per avermi fatto conoscere questa storia presa da

17 dSifcm9ceumcbre a0iul990le or5eo 138h:ha37  In Spagna, una coppia gay ha adottato due bambini. Durante un'intervista, entrambi hanno espresso la loro contrarietà verso la pratica dell'utero in affitto, respingendo così la retorica del sangue patriarcale.

Ai loro figli hanno spiegato che sono nati da una MADRE, senza raccontare storielle orribili su "portatrici" e "ovini magici". Questi due uomini hanno accettato il loro limite biologico, rifiutando la pretesa egoistica di strappare due neonati alle madri sulla base di una goccia di sperma, e oggi sono due splendidi genitori. Grazie per la vostra preziosa testimonianza, ragazzi. Siete un esempio da seguire, a differenza di chi si riempie la bocca di parole come "amore" e "diritti", per poi commissionare neonati e neonate nelle cliniche statunitensi, recidendo a tavolino il legame materno. Finalmente, qualcuno che vive la mia soggettività ha capito che non si nasce né da un desiderio né da un progetto, bensì dal corpo di una donna. Dire la verità ai bambini e alle bambine è un atto di grande maturità che supera quelle illusioni che non saranno mai realtà. Storie che fanno sperare.

Manuale di autodifesa I consigli dell’esperto anti aggressione Antonio Bianco puntata n LX IMPARATE A “LEGGERE” IL LINGUAGGIO DEL CORPO

 Il linguaggio del corpo da solo non basta a prevenire femminicidi o violenze, ma può essere un segnale precoce utile se integrato con educ...