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26.7.24

Ogni squadra olimpica, da qualunque Paese provenga, ha i suoi personaggi, le sue storie, le sue vicende curiose

 Le Olimpiadi di Parigi saranno un grande evento sportivo e mediatico e cadranno in una fase critica per il mondo. I tempi passati delle tregue olimpiche dell’antichità sono un lontano ricordo. Ora, più che mai, lo sport è politica, primeggiare nel medagliere un obiettivo di soft power, le rivalità geopolitiche e militari inevitabilmente riflesse nelle arene. Per il momento  riporto    da  Olimpiadi Parigi 2024 (insideover.com) del  23 LUGLIO 2024 quelle degli  Usa  poi  se ne  trovo  asltre    le riporterò  nei post  successivi    



 

Ogni squadra olimpica, da qualunque Paese provenga, ha i suoi personaggi, le sue storie, le sue vicende curiose. Proviamo qui a raccontare in breve quattro storie fuori dal comune che appartengono alla squadra più numerosa (592 atleti per 44 discipline) e probabilmente più forte dei Giochi, quella degli Stati Uniti d’America.

QUINCY WILSON – Tutti lo considerano la stessa del presente e del futuro. Ha 16 anni è si è guadagnato un posto nella staffetta maschile 4×400 metri, diventando così il più giovane atleta maschio a rappresentare gli Stati Uniti nella storia delle Olimpiadi. Wilson frequenta la scuola superiore a Potomac (Maryland) e ai trial delle selezioni olimpiche ha lasciato tutti a bocca aperta: prima ha cancellato il record nei 400 metri per gli atleti sotto i 18 anni, che resisteva da più di 10 anni. Poi, nella prova successiva, ha addirittura migliorato il proprio freschissimo record. Le riviste specializzate ricordano che solo 23 atleti, quest’anno, hanno corso i 400 metri più veloci di lui. Ma erano tutti più “vecchi” di lui. Gli hanno chiesto se si sentisse pronto per le Olimpiadi. Lui ha risposto: “Non corro più le gare delle scuole superiori, qui ci sono i cagnacci feroci”.

SUNI LEE – Nata nel Minnesota, nel 2021 ha vinto la medaglia d’oro olimpica di ginnastica femminile a Tokyo. Poi ha dovuto combattere una rara malattia renale che, diagnosticata all’inizio del 2023, le ha imposto di sospendere gare e allenamenti per sei mesi per affrontare le cure. Nonostante questo, Sun è riuscita a conquistarsi un posto nella squadra per le Olimpiadi di Parigi. Sul suo account Instagram, a qualificazione raggiunta, ha commentato: “Sono stata io a dimostrarmi che posso superare le cose difficili e, si spera, a ispirare gli altri a non lasciare mai che gli ostacoli della vita ti impediscano di perseguire i tuoi sogni”.

VICTOR MONTALVO – Campione mondiale in carica nella breakdance, ha ufficialmente il compito di portare negli Usa l’oro in una specialità che per la prima volta a Parigi assurge al rango di specialità olimpiaca. Montalvo, 30 anni, di Kissimmee (Florida), ha le idee chiare: “Il breaking è stato ispirato e influenzato dal Kung Fu, dalla ginnastica e da molte danze africane e indiane. È tutto mescolato in uno. Non vedo l’ora di mostrarlo, alle Olimpiadi, tutti coloro che pensavano fosse rimasto bloccato agli anni Ottanta”.

WEINI KELATI – 27 anni, gareggia a Parigi per la squadra olimpica statunitense dieci anni dopo aver chiesto asilo negli Stati Uniti. Nata in Eritrea, è arrivata negli Stati Uniti nel 2014 per competere in una competizione internazionale di atletica leggera e non è mai salita sull’aereo per tornare a casa. Invece, è andata a vivere con i parenti a Leesburg, in Virginia. Al liceo ha fatto man bassa di campionati statali e nazionali al liceo, poi ha corso per l’Università del New Mexico prima di diventare professionista nel 2020. Kelati, che è diventata cittadina statunitense nel 2021, detiene il record americano nella mezza maratona e ha vinto i 10.000 metri ai trial olimpici Usa del 2024. A Par

15.5.17

"Cammini diversi possono anche incrociarsi" Lindo Ferretti in Gucci sulla copertina di Dust

Giovanni Lindo Ferretti, persona pubblica e uomo privato, negli anni disorienta fan e opinione pubblica manifestando un pensiero libero e forte, senza sottrarsi a critiche e fraintendimenti  . (...) Pensiero politico-intellettuale e attitudine punk, cristianesimo e comunismo, musica popolare e letture salmodianti, palcoscenico e stalla: questioni esistenziali e storie famigliari che tratteggiano un percorso anticonformista, coerentemente controcorrente.  da  http://www.fedeleallalinea.it/wordpress/film/sinossi/
Infatti  Giovanni Lindo  Ferreti    stupisce  ancora  ,  dopo la  svolta  spirituale  (   veddere  il   film      citato nelle righer  precedenti  )  o leggere il suo libro   il reduce    qui  sotto alcune presentazioni

la  prima  

8 Novembre 2010 'Otto e Mezzo' Il nome, non è un caso ma la scelta di segnare una svolta interiore e culturale nel proprio percorso di artista. Artisticamente Ferretti si può considerare uno dei padri del punk italiano ("punk filo-sovietico e musica melodica emiliana"), e con i CCCP punto di riferimento per il mondo della musica alternativa in Italia. La storia dei CCCP-CSI segna una tappa decisiva nel rock italiano.








la seconda 



Venerdi 3 maggio 2013 Lorenzo Fazzini intervista Giovanni Lindo Ferretti in un incontro pubblico presso la Congregazione dell'Oratorio di San Filippo Neri di Roma.
Cantautore, scrittore, fondatore e leader dei CCCP- Fedeli alla linea, poi dei CSI e dei PGR. E'stato ed è una delle voci e dei volti più importanti del punk italiano.


ecco il suo  ultimo gesto  , provocatore   a  tal punto da  non capite  se    ha  mandato  alle  ortiche     il suo passato  



REGGIO EMILIA. 
Giovanni Lindo Ferretti e Gucci. Un abbinamento che per molti è l'esatta traduzione di ossimoro, diventa realtà in uno scatto che sta girando mezza Europa e – come di consueto con un personaggio tanto amato quanto detestato come l'ex voce di Csi e Cccp – generando un fiume di discussioni, battute e polemiche. Pochi giorni fa è stata annunciata la nuova copertina di Dust, una rivista realizzata fra l'Italia e Berlino da un gruppo di autori italiani che lo definiscono «a european magazine about fashion and its opposites».
È uno scatto di Ferretti, inginocchiato nella sua casa di Cerreto Alpi e vestito con abiti Gucci: difficile capirlo al primo sguardo, a parte forse per i super esperti di moda, ma la prestigiosissima e costosissima marca è confermata da Dust. Gucci è partner della rivista per i suoi approfondimenti, e ha fornito il corredo anche in questa occasione. Giacche e pantaloni da migliaia di euro, lontani dagli scarponi da montagna e dagli abbinamenti – sempre originalissimi – molto “rurali” e “monacali” dell'ultimo Ferretti.
Eppure, è tutto vero. E il cantante e scrittore, oggi impegnato soprattutto con l'allevamento di cavalli di Collagna e il collegato circo equestre, ha apprezzato: «Luigi Vitali, Luca Guarini ed Emanuela Amato. Alessio Boni e Silvia Calderoni. Cico Filotico, Benjamin Kirchoff, uno staff tecnico efficiente, rispettoso e rispettabile.
Una esperienza imprevista, accettata con un margine di dubbio che solo a posteriori poteva essere risolto», ha scritto sulla propria pagina Facerbook. All'inizio pure lui era dubbioso, a quanto pare: «Mi sono fidato ed affidato, ne sono felice. Cammini diversi tra spazi diversi possono incrociarsi con piacere reciproco. Un piacere che nulla chiede ma gioisce nello sguardo di una vicinanza. L'enigma del percorso, il mistero del vivere. Un grazie per grazia manifesta», ha raccontato omaggiando il lavoro dei ragazzi della rivista.
Oltre alle immagini Gucci-style, il servizio comprende ovviamente una lunga chiacchierata avanti e indietro nella ricchissima esperienza di vita di Ferretti. Nato a Cerreto Alpi in una classica famiglia contadina, rimasto orfano giovanissimo, finito in collegio e poi tornato a casa, immerso nella politica della caldissima Reggio degli anni ’70 in Lotta Continua. E poi gli anni ’80, iniziati come operatore sanitario e decollati con gli indimenticabili Cccp-Fedeli alla linea creati assieme a Massimo Zamboni, reggiano conosciuto proprio a Berlino.
Inevitabili – e inevitabilmente divise fra plausi e acidità
– le reazioni. E inevitabile anche la citazione, «Produci, consuma, crepa», storico e indimenticabile ritornello del vecchissimo classico dei Cccp “Morire”, “Ode a Mishima e a Majakovskij”, un giapponese e un russo maestri di poesia. Gucci, all’epoca, sembrava davvero lontano


 qindi  concordo con

per me è inspiegabile e fortissimo il sentimento che provo pensando al suo cambiamento: dolore e lacerazione, ma amore e stima e comprensione....non offendetelo...provata ad ascoltarlo e capire... vi ricordate "non fare di me un idolo , lo brucerò. Trasformani in megafono e m'incepperò. Come fare e non fare non lo so" se lo amiamo davvero capiremo.




5.3.17

Cominciò radendo i fascisti a 91 anni è ancora in bottega Arturo Busso barbiere da guinness: festeggia i tre quarti di secolo di professione

http://mattinopadova.gelocal.it/padova/cronaca/ del  04 marzo 2017


Cominciò radendo i fascisti a 91 anni è ancora in bottega
Arturo Busso barbiere da guinness: festeggia i tre quarti di secolo di professione Premiato dal “suo” Comune, Agna, confessa: «Il mio lavoro mi dà ancora gioia»

di Nicola Stievano






AGNA. Era ancora un ragazzino quando fece barba e capelli a gerarchi fascisti, soldati tedeschi e partigiani. Settantacinque anni dopo è ancora al suo posto, nella bottega di famiglia, davanti allo specchio, con forbici e pettine in mano. A 91 anni Arturo Busso è il barbiere dei record, una vera istituzione nella zona. Lavora da quando aveva 15 anni e non ha mai pensato di smettere: «Sono fortunato», ammette, «di salute sto bene, ho la mano ferma e mi piace stare in mezzo alla gente. E poi a casa non saprei che fare». Così trascorre le giornate nella bottega che ha aperto quando aveva vent'anni, attività poi proseguita dal figlio Michele, al suo fianco da ormai 35 anni. «È grazie a lui se sono ancora qua», conferma Arturo, «altrimenti avrei dovuto smettere. Invece lui ha scelto di proseguire con l'attività e io gli dò una mano». Ogni giorno il barbiere è al suo posto, pronto a servire i clienti vecchi e nuovi. La sua dedizione al lavoro e il suo record incontestabile gli sono valsi una festa a sorpresa giovedì sera in municipio, con la consegna di una targa dal parte del sindaco e del consiglio comunale. «Non me lo aspettavo proprio», continua Arturo, «e ringrazio tutti per il pensiero, a partire dall'amico Carlo Vedovetto. Ho sempre lavorato volentieri e non mi sento stanco. Ovviamente faccio quello che posso, intanto trascorro le giornate in mezzo alla gioventù».
La sua memoria va a quando, a 15 anni, venne assunto dal falegname del paese per fare il barbiere. «La bottega era condotta dal nipote del proprietario, il signor Varagnolo», ricorda, «che però era stato chiamato sotto le armi. Dalla guerra purtroppo non è più tornato. Fra i miei clienti in quegli anni c'erano i fascisti e i soldati tedeschi al comando insediato nella canonica. Poi arrivarono i partigiani e mi occupai anche di loro. Ricordi della guerra non he ho altri, ho preferito dimenticare quegli anni». Al termine del conflitto Arturo decise di mettersi in proprio e aprì bottega in piazza, dove rimase fino all'inizio degli anni Settanta, quando «un camion con tanto di rimorchio uscì di strada e mi sfondò il negozio. Nell'incidente morì anche una donna. Per un po' mi trasferii altrove, poi passai nella bottega attuale, in via Roma, sempre in centro. Ho scelto io, ancora da giovane, di restare ad Agna. Avrei potuto andare a Milano nel salone aperto da un mio amico ma ho preferito stare qua, tra la mia gente. Mi è sempre piaciuto questo lavoro, peccato che i giovani non lo vogliano più fare, ci vuole tanta umiltà, nessuno invece vuole più iniziare facendo il garzone di bottega. E poi ci sono gli orari, il lavoro al sabato, ma una volta era anche peggio. Per non perdere i clienti tenevo aperto anche ben oltre l'ora di cena».
In questi tre quarti di secolo Busso ha visto cambiare non solo la professione ma anche il suo paese e la società: «Non è vero che si viveva meglio in passato», conclude, «dopo la guerra c'erano la miseria e la fame, la gente si spaccava la schiena nei campi e non aveva nemmeno di che vestire». Al barbiere va il plauso del sindaco Gianluca Piva a nome di tutto il paese: «I suoi 75 anni di professione siano di esempio e stimolo per tutte le future generazioni e per i nostri giovani. Le persone come Arturo sono un orgoglio per tutti noi».





7.3.16

che fine hano fatto quelli che si spellavano le mani a funerale di Dalla o filmano che cellulari ed intasavano i social ? Lo hanno dimenticato e condannato all'oblio .


Infatti   <<  (....)  A quattro anni dal suo 73esimo compleanno e beffa del destino anche a quattro anni dal suo funerale, il vuoto che lascia il cantautore bolognese nel panorama musicale è molto più grande della piazza celebrata in una delle sue canzoni più note. Ma l’Italia, si sa, è un paese dalla memoria corta. Grandi manifestazioni si fecero fino all’anno scorso per ricordarne la scomparsa, ovviamente concentrate nella sua Bologna, dove i litigiosi eredi di un patrimonio ultra milionario aprirono la casa-museo di Via D’Azeglio ad alcuni selezionatissimi visitatori ed agli amici musicisti di una vita che si esibirono a turno in una giornata per Lucio, a casa di Lucio.(...)  >>




LUCIO DALLA, QUELLA SERA AL PALASOJOURNER CON DE GREGORI / IL RICORDO
in Archivio, Cultura, Index, Personaggi 04/03/2016 17:11

(di Sabrina Vecchi)



 Quella sera aveva una scarpa da ginnastica blu ed una rossa perché si sapeva che per lui “l’impresa eccezionale”, era essere normale. Di tutte le volte che l’ho sentito cantare dal vivo, certamente il ricordo più vivo ed emozionante è quello del 2010, al PalaSojourner di Rieti con Francesco De Gregori per il tour “Work in Progress”. Due colossi della musica italiana di nuovo insieme dopo un trentennio dal geniale “esperimento” di Banana Republic: fu un evento. Lucio Dalla, anche quella volta, non si risparmiò al suo pubblico e diede il massimo tra il colore della sua verve e la poesia dei suoi capolavori senza risparmiare battute ed un’ironia fuori dal comune, spesso incompresa, a volte derisa.  (....)
Il grande escluso fu Marco Alemanno, compagno silenzioso e riservato di Dalla fino alla morte, estromesso dall’asse ereditario per mancanza di testamento, sfrattato dalla casa del cantante, e cancellato in un colpo di spugna. Duole questo rumore assordante del silenzio della memoria di un grandissimo artista, dolgono i litigi sull’eredità materiale e sugli amori terreni di una persona che ha cantato l’amore inteso in ogni sua forma in maniera tanto profonda. Ma in fondo, è solo la vita che finisce, e lui da qualche parte ci guarderà sentendosi felice, e ricominciando il suo canto.

Foto: RietiLife ©

19.1.16

«Così la bicicletta mi ha salvato la vita» Il racconto del manager Filippo Mari che ha vinto la depressione aprendo l’agenzia Biko Adventures a Praga. Paola Gianotti 34 anni ciclista d'ivrea in bici fino ad Oslo: "Il Nobel per la Pace 2016 alla bicicletta" La 34enne ciclista di Ivrea,

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APPROFONDIMENTI


Ma  è possibile  che ogni volta  che  leggo storie di biciclette  , mi debba  venire  in mente   sempre  questa  canzone



«COSÌ LA BICICLETTA MI HA SALVATO LA...LA STORIA
«Così la bicicletta mi ha salvato la vita»
Il racconto del manager Filippo Mari che ha vinto la depressione aprendo l’agenzia Biko Adventures a Praga 
di FILIPPO MARI




Mi chiamo Filippo, sono di Ferrara e questa e la storia di come la bici mi ha salvato la vita. Ho 37 anni, molti dei quali passati godendomi la gioia del vento tra i capelli che solo una bici può dare.
La mia storia comincia con una piccola bicicletta sulle rive del Po dove scavavo trincee andando avanti e indietro mentre i miei genitori grigliavano con amici sulle secche formatesi nel fiume. Più tardi cominciai ad allargare i miei orizzonti ciclistici grazie alla scuola. Abitavo in Porta Mare e il tragitto per andare alla Tasso prima e Ragioneria dopo, percorrendo le mura, era pura avventura. Un giorno mia zia mi regalò la mia prima bici seria, una bici da corsa Bianchi alla quale sono ancora molto affezionato tanto che la espongo in vetrina nel mio negozio di Praga. Fu allora, all'età di 11 anni, che scoprii che la bici non è solo gioie ma anche dolori. Mio padre mi portò ad un raduno organizzato dal Salumificio Estense. Ricordo che nemmeno l'idea della mortadella offerta alla fine del giro riuscì a non farmi pensare al dolore e la fatica dopo i primi 30 chilometri
Gli anni passarono e la bici, come ogni ferrarese che si rispetti, diventò parte della mia vita quotidiana. Non solo per spostamenti di tutti i giorni ma anche per esplorazioni del fine settimana con amici. Baura, Cona, Tamara suonavano a noi come paesi esteri da scoprire.
La domenica si andava alla Spal con la ragazza seduta sul cannone. Erano i tempi di G.B. Fabbri ed era uno spettacolo vedere confluire tutte quelle bici la domenica allo stadio.
Fu durante il servizio militare fatto sul Lago di Garda che mi innamorai di sentieri sterrati e pendenze e mi venne la febbre per la mountain bike. Al mio ritorno cominciai a lavorare come responsabile al Bennet e ogni sabato sera, dopo aver chiuso l'ipermercato, mi lanciavo al vicino casello Ferrara Nord con l'amico di avventure Ivo e ce ne andavamo sul Garda, Cortina o qualche altro bel posto in montagna dove potersi ubriacare di mountain bike.
Più tardi mi resi conto che quelle brevi fughe nel fine settimana non erano più sufficienti così mi trasferii a Trento per lavorare nella mia prima multinazionale. Fu un periodo fantastico e prima di decidere di mollare tutto e viaggiare, diventai forte in bici.
Proprio all'apice della mia “carriera” ciclistica decisi di licenziarmi e passare un paio d'anni in giro per il mondo per fare una bella esperienza ma soprattutto per imparare l'inglese che avevo capito essere molto importante per il tipo di vita che sognavo, o che almeno credevo di sognare, il manager.
Al mio ritorno dall'Australia entrai in un’altra multinazionale che mi mandò a vivere a sud delle Marche dove ci sono bellissime montagne e l'amore per la bici, mai estinto, tornò più forte che mai e decisi di celebrare con un gran giro attraverso l'Europa. All'ultimo minuto un mio caro amico decise di aggregarsi ma non essendo abbastanza allenato per il viaggio che avevo in mente decidemmo di cambiare itinerario, fu un evento cruciale che influenzò tutto il resto della mia vita a venire.
Partimmo da Ferrara in direzione Praga attraversando Slovenia e Austria. Il giorno prima di arrivare a Praga ci fermammo per la notte in una bellissima cittadina medievale chiamata Tabor dove incontrai Denisa, la mia futura moglie. Da quel momento cominciò un periodo di innumerevoli viaggi avanti e indietro che mi permise di immergermi nella cultura e lo stile di vita dell'Europa Centrale. Nel contempo la mia carriera nel marketing andava benissimo portandomi a trasferirmi ogni anno in un posto diverso. Perugia, Firenze e Roma sono alcuni esempi.
In un batter d'occhio mi ritrovai trentenne e nella crisi più nera. Mi sentivo triste e senza energie. Avevo messo su 12 chili. Della bici neanche l'ombra. Lavoravo tantissimo per una causa alla quale non credevo e sapevo che sarei avanzato di carriera e ciò mi avrebbe spinto ancora più vicino al baratro. Cominciai a non dormire e a soffrire di ansia. Mi svegliavo la mattina senza nessun entusiasmo. Qualche dottore che visitai mi definì depresso.
Circondato da una crisi economica mondiale, che gridava di tenersi stretto quello che si aveva, mi licenziai per ricominciare tutto da capo. Decisi di prendermi un anno sabbatico e trasferirmi a Praga, dove tra l'altro il costo della vita è inferiore all'Italia. Mia moglie cominciò a lavorare all'Università mentre io cercavo di capire cosa fare nella vita.
Fu allora che feci della bicicletta la mia medicina. Ricominciai a pedalare ogni giorno cercando di rimettermi in forma. Presto mi resi conto quanto i dintorni di Praga siano ideali per la mountain bike. Già a 15 minuti dal centro ci sono sentieri di tutti i livelli con pendenze dignitose e fantastici panorami. Un giorno, tornato da un giro esaltante caratterizzato da viste mozzafiato e discese con il Ponte Carlo sullo sfondo, mi fiondai su Google e, con il fiato sospeso, digitai “mountain bike tours Prague”. Niente. Niente! Solo agenzie che offrivano tour in bici del centro storico che peraltro, purtroppo, non credo siano il meglio che si possa fare a Praga per via del traffico, dei tram e del porfido. Possibile che nessuno ci abbia pensato visto che fuori dal centro storico Praga è un paradiso per la bici? In quel momento capii di aver trovato la mia strada, anzi, il mio sentiero.
Dopo aver frequentato svariate località per mountain bike intuii il potenziale di Praga ma chiaramente i dubbi c'erano visto che nessuno lo aveva fatto prima. Sondai allora il terreno con amici e conoscenti. Tutti quelli con cui parlai della mia idea mi dissero che non avrebbe mai funzionato perchè nessuno viene a Praga per fare mountain bike o bici da corsa. Tutti tranne mia moglie la quale mi supportò nell'inseguire il mio sogno.
Dopo una breve analisi capii che non avevamo abbastanza fondi per cominciare un'azienda in maniera tradizionale ovvero pubblicità, negozio, grande flotta di bici, qualche impiegato. Tutto questo non mi scoraggiò. Mi dissi che quella era la prima vera prova per dimostrare di essere bravo nel marketing. Studiai tutto inverno come farmi da solo un sito web dove pubblicai i primi tour che avevo tracciato. Disegnai, con il continuo supporto artistico di Denisa, i volantini e il logo e tutti i materiali di cui avevamo bisogno. Cominciai a promuovere l'azienda a più non posso. Fu in quel periodo che mi guadagnai l'appellativo di “uomo del rinascimento”. Non si possono offrire tour in mountain bike con bici scadenti ma bici di qualità costano tanto. Fu allora che tre dei miei più cari amici di Ferrara mi comprarono tre biciclette di qualità di diverse misure che avrei ripagato poi nei successivi anni. Un altro amico di Praga mi permise di usare la cantina del suo negozio di tatuaggi come punto di partenza per i tour ad un prezzo simbolico. Tutto era pronto. Chiamammo la nostra agenzia BIKO Adventures. BI come le prime due lettere di bicicletta e KO come le prime due lettere di kolo, bici in ceco. Correva il maggio 2011 quando i primi clienti bussarono alla porta, una coppia di Inglesi.
Il primo tour fu un successo e così il secondo e il terzo e così via. Il primo anno di Biko non mi diede da vivere così sbarcai il lunario insegnando italiano e facendo consulenze di marketing grazie a qualche conoscenza che mi portavo dietro dalla vita passata. Sebbene pochi, furono però i primi clienti soddisfatti che mi diedero l'energia di continuare e di credere nel progetto. Fu la scelta giusta.
Nel 2015 abbiamo avuto la nostra 5ª stagione e abbiamo messo in bicicletta più di 1300 persone. Abbiamo 40 bici nel garage. Svariati giornali e riviste hanno parlato di noi incluso il National Geographic. Siamo presenti in quattro sezioni della Lonely Planet e siamo una delle migliore aziende del turismo a Praga secondo Trip Advisor.
Il nostro team è formato da 14 fantastiche guide. Abbiamo un bel negozio costruito da noi con legno riciclato. Siamo supportati da Giant, il più grande produttore di bici al mondo e sono sponsorizzato dal marchio scozzese Endura che da due anni mi veste da testa a piedi. Abbiamo allargato il nostro portfolio e offriamo anche sci, hiking e corsa. Le nostre magliette, relative alla cultura della bicicletta che ho disegnato come progetto secondario, hanno avuto un successo strepitoso vendendo più di 2000 pezzi. Non è stato facile ma ce l'abbiamo fatta.
Oggi sono felice ed in ottima forma. La bicicletta mi ha salvato la vita.


da http://www.today.it/green/mobilita/del 18\1\2016


Paola Gianotti in bici fino ad Oslo: "Il Nobel per la Pace 2016 alla bicicletta"

La 34enne ciclista di Ivrea, reduce dal Giro del mondo in bicicletta è già partita da Milano; arrivo previsto a destinazione il prossimo 29 gennaio
frame  tratto da questo video
https://youtu.be/0rXs8UfqfZs
A chi assegnare il premio Nobel per la pace 2016? Alla bicicletta. A non avere dubbi che sia questa la risposta giusta e a lanciare la speciale candidatura è Caterpillar, il programma di Rai Radio2 condotto da Massimo Cirri e Sara Zambotti. Tanti i motivi per cui il mezzo a due ruote più usato del mondo meriterebbe questa occasione: "non causa guerre, non inquina, riduce di molto gli incidenti stradali, elimina le distanze tra i popoli, è uno strumento di crescita per l'infanzia e, in passato, è stata usata dai movimenti di liberazione e resistenza di molti paesi.
Le firme raccolte a sostegno della candidatura ufficiale al Nobel per la pace alla bicicletta sono già tante e a portarle ad Oslo sarà Paola Gianotti, la 34enne ciclista di Ivrea, reduce dal Giro del mondo in bicicletta in cui ha percorso 25 paesi in 144 giorni. Gianotti è partita il 16 gennaio da Milano e dovrebbe arrivare a Oslo venerdì 29 dopo un percorso di 2000 chilometri. Ad oggi, il Nobel non si può dedicare a un oggetto, quindi la candidatura è stata intestata alla squadra femminile della Federazione Ciclistica dell'Afghanistan.



19.8.14

La voce e il suo “strumento”. Le corde vocali sono lo strumento del cantante anche se molti lo dimenticano – intervista a ERIKA BIAVATI Cantautrice ed insegnante di canto di Dario Cicchero

Angela è una bambina autistica, esile, bionda, con meravigliosi occhi celesti. Non vuole essere toccata, se non da altre persone speciali come lei.

La  sua  storia    cosi come   quelle di tutte le persone    noi chiamiamo  con un misto  di  buonismo   ( eccessivo    quasi stucchevole e d  ipocrita  ) e  politicamente   corretto  chiamiamo   diversi    di è    riassunta  da    questa bellissima canzone   della brava  e promettente    cantante    Erika  Biavati  (  https://www.youtube.com/user/erikabiavati  )  

             
Ma  come  avete  notato ( soprattutto quelli \  e  che mi seguono dagli esordi  , cioè quando si chiamava   cdv.splinder   o  da quando sono passato a  blogger  )  , cari amici\che   e nemici  , poiché  non riesco ad essere  sintetico   sono troppo prolisso  , ecco la  storia  - intervista   fatta dal bravissimo e competente  in ambito medico e sociale  https://www.facebook.com/dario.cicchero--- di  Erika  Biavati.
La  sua  storia   dimostra   che  gli   artisti non sono so lo spocchiosi e saccenti ( OVVIAMENTE SENZA GENERALIZZARE ) 
La conoscenza, la cura e la manutenzione dello strumento che viene usato da un musicista è alla base del mestiere di musicista, cono




La conoscenza, la cura e la manutenzione dello strumento che viene usato da un musicista è alla base del mestiere di musicista, conoscere come funziona è fondamentale per realizzare un buon lavoro musicale. I cantanti spesso ignorano che il loro strumento “musicale” sono le loro corde vocali, non le conoscono e non le curano se non in caso di impossibilità a cantare. Non conoscendo le peculiarità di questo strumento naturale ci si limita anche nelle proprie possibilità canore.
Erika Biavati è una cantautrice che ha imparato a conoscere molto bene il suo strumento e che continua a studiarlo per migliorare le sue capacità e per trasmetterle ai suoi allievi.

Per conoscere la biografia di Erika Biavati cliccare QUI
Canale YOUTUBE


  eccone  alcuni suoi pezzi  più belle








12.2.14

chiedi di renato

Daniela Tuscano, insegnante, blogger e scrittrice milanese, classe 1964. Cristian Porcino, filosofo, romanziere e autore di diversi saggi, di Catania, 33 anni. Cosa li accomuna? La passione per Renato Zero, naturalmente. Che li ha spinti a scrivere un libro («Chiedi di lui», ed. Lulu,foto a  sinistra  acquistabile  qui )

- Un libro su Renato Zero è sempre una novità, malgrado ne siano stati scritti tanti. Come mai, secondo voi?

«Si, è vero, negli anni sono usciti diversi libri su Renato Zero ma l’intento degli autori molto spesso è stato forse quello di dare più risalto al personaggio dimenticandosi o tralasciando la forza prorompente della sua produzione musicale. Ciò che
contraddistingue il nostro libro consiste proprio in una rilettura personale dell’opera del cantautore romano. Non ci siamo occupati di gossip o di dare rilievo ad argomentazioni becere, bensì abbiamo analizzato più di 40 anni di carriera discografica di Zero. Quindi non ci stupisce l’entusiasmo che ancora oggi desta negli spettatori il carisma e il talento del re dei sorcini ».
- Ho notato che si struttura in tre parti…
«Abbiamo preferito questa opzione per spiegare in modo più lineare ed esaustivo il percorso storico-artistico di Zero. Nella prima parte Daniela si è occupata degli esordi di Renato fino alla fine degli 80, mentre nella seconda parte Cristian ha raccontato dagli anni Novanta fino ad oggi. Alla fine delle due sezioni abbiamo incluso alcune testimonianze di fan di quasi tutte le età per completare un ritratto a 360 gradi di Renato Zero».
«Quando ho proposto a Daniela di scrivere un libro su Renato Zero – interviene Cristian – le ho detto che il testo doveva raccontare le nostre emozioni e il nostro vissuto per poter meglio descrivere la sua musica. Nel libro ci siamo appunto noi, però non noi in quanto semplici ammiratori di Renato ma Cristian e Daniela; 
due soggetti della storia che sono cresciuti e si sono evoluti anche grazie alle canzoni di Zero. Non volevamo redigere una sequela di nozioni biografiche, ma partire proprio dalla nostra vita, dai momenti importanti che coincidevano quasi sempre con le svolte artistiche di Renato. Il nostro obiettivo principale era proprio quello di descrivere uno dei più grandi cantautori italiani partendo proprio da noi stessi. Anche se con età ed esperienze diverse, Daniela ed io siamo stati in grado di raccontare un mito transgenerazionale che non smette mai di entusiasmare le folle… e anche noi».
Il libro ha la prefazione di Maria Giovanna Farina. Grazie agli autori e buona lettura… a fans e non.
Silvia Calzolari, poetessa e scrittrice  


14.11.13

dall'italia all'estero e dall'estero in italia le storie di Lara Manganaro

Sfogliando  con curiosità  www.americaoggi.info   ho trovato quest'altro  sito   da  cui riporto due  articoli interessanti

da  http://www.lavocedinewyork.com/

SFIDA NEW YORK

Sono originaria di Varese, al momento di casa a New York prima di tornare a Rimini dove vivo…per ora. Ho lavorato in
televisione e nella carta stampata. Laureata in Scienze politiche e con un Master in Pnl e Neurosemantica sono giornalista e life coach. Da qui ho ideato la nuova figura di life journalist un connubio tra la creativitá e la capacitá di raccolta delle informazioni del giornalista e l’umanitá e positivitá del life coach per aiutare le persone a raggiungere i propri obiettivi ad affrontare positivamente i cambiamenti. Così una volta arrivata a New York ho creato il mio blog lifejournalistblog.com dove parlo di life style, coaching, benessere ma soprattutto racconto la storia degli italiani, e non solo, che hanno realizzato il loro sogno di vivere nella Big Apple superando ostacoli e difficoltà. Ma come hanno fatto? Me lo sono chiesta più volte allora sono andata a cercare le risposte





La scienziata che qui ha imparato a non giudicare gli altri


Lara Manganaro, biologa molecolare, è ricercatrice del virus Hiv al Mount Sinai Hospital, : "Mi manca tantissimo l'Italia, ma tutti dovrebbero uscirne per un periodo, aiuta ad aumentare l'elasticità mentale"
                                                                    Lara Manganaro a Washington Square

Una passione per la ricerca scientifica e una vita di studi. L'amore per la scienza sbocciato da bambina per poi crescere sui banchi del liceo e il sogno di diventare uno scienziato l’ha portata a New York.
“Qualunque cosa tu possa fare, qualunque sogno tu possa sognare, comincia. L’audacia reca in se genialità, magia e forza. Comincia ora”. Johann Wolfgang Göethe



Lei è Lara Manganaro originaria della provincia di Udine. Dopo la laurea in Biotecnologie mediche ed un dottorato in biologia molecolare vola a New York con in tasca una borsa di studio per il The Mount Sinai Hospital uno dei più antichi e grandi ospedali didattici degli Stati Uniti. Qui è ricercatrice del virus Hiv o Aids. Prima di lavorare a Microbiologia ha lavorato un anno nel dipartimento di Immunologia, poi ha deciso di cambiare perchè il primo amore non si scorda mai. “Ho sempre avuto una grande passione per i virus e in particolar modo per l’Hiv, che è stato anche il mio argomento di ricerca durante il dottorato in Italia. Hiv è un virus talmente affascinante che anche dopo tanti anni non mi annoia!”


Lara vive col marito, anche lui ricercatore, nella Big Apple ormai da 4 anni. Ci siamo incontrate nel parchetto di fianco alla fermata della subway sulla 72st per poi recarci ad un caffè lì vicino ed iniziare a raccontarci. Lara inizia a parlarmi del suo percorso professionale puntando l’accento sul fatto che andare all’estero è una tappa obbligata se vuoi fare ricerca: “Tutti i miei colleghi di laboratorio più ‘anziani’ di me se ne sono andati dopo la fine del dottorato. Quindi ho sempre saputo che se avessi volute continuare a fare ricerca, prima o poi, avrei lasciato l’Italia. Gli USA sono molto competitivi nel mio campo quindi erano la mia prima opzione. Purtroppo il mio primo
impatto con l’America mi ha lasciato molto delusa. Nel 2006 sono andata ad Atlanta per un congresso. Era la prima volta che vedevo l’America. Ero piena di aspettative e Atlanta l’ho trovata molto triste. Quindi mi sono detta ‘io in USA non ci vado’. Così ho cominciato a considerare laboratori a Londra. Poi nel 2007 sono venuta a NY durante il viaggio di nozze. Io e mio marito ci siamo innamorati della città. Ho pensato che NY era un posto dove potevo vivere”. E così è stato. Lara dopo la laurea in Biotecnologie Mediche presso l’Università di Trieste è entrata nel programma di Dottorato in Biologia Molecolare della Scuola Normale Superiore di Pisa continuando a svolgere la sua attività di ricerca a Trieste all’ICGEB (International Centre for Genetic Engineering and Biotechnology) da qui ha poi ottenuto la borsa di studio per svolgere ricerca negli States.
“Lasciare l’Italia è stato difficile. In aeroporto ho pianto tantissimo! Ma quando sono arrivata a NY tutto era elettrizzante. Mi sono sentita subito a casa”. Nonostante si sentisse a casa, i primi mesi non sono mancate le difficoltà. Parlava solo l’inglese scientifico quindi quando si discuteva di Dna, protein, molecole etc., non aveva problemi. L’inglese “da tutti i giorni” era più complicato. “Potevo tranquillamente parlare di DNA e proteine ma non sapevo come intavolare una conversazione su film, musica o qualsiasi altra cosa che non fosse scienza. Dopo un po’ di mesi impari e tutto fila liscio. I primi mesi a NY me li ricordo bellissimi, tutto era nuovo, emozionante, mi sembrava di essere in un film. Ogni tanto ancora adesso”.
L’ostacolo della lingua rendeva complicato anche le cose più stupide come pagare le bollette, il contratto d’affitto e capire cosa la gente diceva, soprattutto al telefono! “Essere in due rende tutto piu’ semplice. Ci si aiuta a vicenda. Iniziare un nuova vita insieme alla persona che ami è una bellissima esperienza”. Dopo i primi mesi le cose iniziano a migliorare e anche la lingua inglese diventa sempre più familiare.Lasciando l’Italia è potuta crescere professionalmente grazie alle opportunità che offre la città. “A NY hai la possibilita’ di conoscere molte più persone, di andare piu spesso a congressi per presentare il tuo lavoro e partecipare a seminari di scienziati molto importanti che raramente passano per l’Italia”. 
“Il viaggio non soltanto allarga la mente: le dà forma”.
 Bruce Chatwin
Lara consiglia a tutti di uscire dall’Italia, anche solo per un breve periodo. Aiuta ad aumentare l’elasticita’ mentale e capire quali sono le cose importanti. Nonostante viva da 4 anni a NY, l’Italia le manca sempre “L’Italia è il mio paese e penso che sia il paese più bello del mondo anche se ha un sacco di problemi. Quando te ne vai ti accorgi di quanto è bella e ti manca”.
Nei momenti di maliconia o tristezza Lara per tirarsi su di morale parla con il marito oppure esce con i suoi amici o li chiama su Skype se sono fuori NY. “Non ho mai pensato di tornare indietro, non avrebbe senso. Ho passato mesi a concentrarmi sul problema. Poi quando non mi piaceva più il lavoro che svolgevo ho iniziato a cercarne un altro per trovare la soluzione. Vivere a NY può sembrare complicato perchè è molto cara e frenetica. Ti devi spostare sempre in metro. Per fare qualcosa con i tuoi amici devi organizzarti settimane prima perchè sono tutti molto impegnati. Ma allo stesso tempo è difficile che tu ti senta uno straniero a NY, lo sono tutti. Ed inoltre la trovo molto “europea” come città. Credo che per un italiano sia piu facile vivere a NY che ad Atlanta!” 
“Sii il cambiamento che vuoi vedere avvenire nel mondo”. Gandhi
New York l’ha cambiata. L’ha resa una persona più forte e indipendente. Poi le ha insegnato a non giudicare: “Credo che la cosa principale che ho imparato è di non giudicare gli altri. Allo stesso tempo mi sento piu libera perchè gli altri non giudicheranno me. Credo che qui a NY nessuno ha veramente tempo di preoccuparsi di cosa fanno gli altri, nel bene e nel male”.
In future lei e suo marito vorrebbero tornare in Europa perchè NY è una citta troppo cara per crescere dei figli: “Vorrei tornare in Europa. L’Italia sarebbe il mio sogno, ma Francia, Germania e Inghilterra vanno bene”. 
Lifejournalistblog.com

  La  seconda    storia  sempre  dallo stesso  sito    riguarda il  percorso inverso  

Quella ragazza italo-canadese che amava tanto l'Italia...


[14 Nov 2013 | 0 Comments | 182 views]


Escono le nuove statistiche AIRE (Anagrafe Italiani Residenti Estero), che confermano l'allarmante fuga dei giovani soprattutto dalle regioni Settentrionali. Leggendo i dati, ci viene in mente una storia emblematica



La tabella indica in migliaia gli italiani iscritti all'AIRE: nel 2012 i cittadini italiani residenti ufficialmente all'estero erano 4 milioni e 341 mila

Uno spaccato inedito -per certi versi sorprendente - della nuova emigrazione professionale italiana: le nuove statistiche Aire (Anagrafe Italiani Residenti Estero) sui 20-40enni in uscita dall'Italia nel 2011 certificano il sorpasso delle regioni del Nord Italia su quelle del Sud, almeno per quanto riguarda le "forze fresche" che emigrano. La crisi sembra dunque incentivare soprattutto la fuga dei giovani settentrionali, residenti nelle zone più produttive. Un segnale allarmante.
Le statistiche ufficiali pero' non

10.9.12

un italia lontana dai media o ai margini : 1) paraolimpiadi 2012 ., 2 ) arte ed ortoterapia




Paralimpiadi Londra 2012 video: tutte le medaglie e le emozioni azzurre
Lunedì 10 Settembre 2012, 18:48 in Paralimpiadi di Massimo Brignolo

 Rai Sport per ricordare tutte le emozioni italiane alle Paralimpiadi di Londra
Alessandro Zanardi
L'immagine di Alessandro Zanardi (foto Infophoto) che solleva la propria handbike dopo la vittoriosa prova in linea sul circuito di Brands Hatch è l'icona della avventura azzurra alle Paralimpiadi di Londra ma sono decine le emozioni che la pattuglia italiana ci ha riservato. A partire dalle 28 medaglie con i 9 titoli olimpici conquistati da Cecilia Camellini (2),Alessandro Zanardi (2), Oscar De PellegrinMartina CaironiAssunta LegnanteRoberto Bargna e i fratelli Ivano e Luca Pizzi.

Le Paralimpiadi italiane
Rai Sport, che come per le Olimpiadi di Londra ha fornito un ottimo servizio caldo e ricco di emozioni a differenza degli asettici feed internazionali di Sky Sport, ha prodotto due splendidi video per rivivere le Paralimpiadi italiane in 3 minuti e per riassaporare in 40 minuti tutte le medaglie italiane.









dall'amico   Dario Cicchero  riporto  tratto  da http://www.videomedica.org/   , il video  sopra intervista che porta alla luce (nel suo piccolo) il bel lavoro che ogni giorno viene fatto nelle ASL e di cui non parla mai nessuno perché non essendo "malasanità" non fa notizia..... Intervista a Luca Pinciaroli, psicologo del Centro Diurno ASL TO 2, Pietro SanFilippo, infermiere Centro Diurno ASLTO2 e a un Gruppo di pazienti del Centro dell’ASLTO2. 
Un bel lavoro tra arte e orto praticamente artorterapia..... Una bella iniziativa  far incontrare la malattia con altri mondi “possibili” per parlare di altre vite “possibili”: un progetto di ASLTO2 e PAV (Parco d’Arte Vivente)La costruzione di un orto urbano nel cortile dell’ASLTO2: uno spazio per sperimentare ruoli diversi e identità nuove.I pazienti del servizio di arteterapia incontrano la natura: la capacità di prendersi cura con arte e consapevolezza può arricchire la terapia.Vite, storie e racconti per far conoscere la rinascita, non il disagio




















       
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emergenza femminicidi non basta una legge che aumenti le pene ma serve una campaga educativa altrimenti è come svuotare il mare con un secchiello

Apro l'email  e tovo  queste  "lettere "   di  alcuni haters  \odiatori  ,  tralasciando  gli  insulti  e le  solite  litanie ...