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3.9.24

IL MIO This Wandering Day

Non importa  dove  sia  la  tua  casa   e  quale  sia  il  tuo  percorso   ma  tieni presente     che  il  nostro  stato non è  mai certo   è  che  la  fortuna  può  capovolgersi  anche  per  i  più potenti   
  Un sentiero   sicuro  può  franare   ma  ce  n'è  sempre  un altro   che  spesso  può  condurci   in un posto  migliore  \  propizio   da cui  ripartire   \  ricominciare   prima di   riprendere  il  viaggio  o rincominciare  uno nuovo  

24.7.24

Claudio Carastro, lavora a Milano e fa l'università in Sicilia: si sveglia alle 3 del mattino e torna alle 2 di notte. La storia del pendolare estremo



   da  ilgazzettino  tramite  https://www.msn.com/it

 di   
Cecilia Legardi
 • 2 ora/e •




Lavora a Milano e studia Economia aziendale a Catania: «Aereo alle 5, alle 9 gli esami». È la storia di “pendolarismo estremo” di Claudio Carastro, un ragazzo italiano che ha scelto un percorso "al contrario" e lo ha concluso da poco.
La scelta dello studente
Quella di Claudio Carastro, 24enne di Paternò, è una vicenda da fuori sede “al contrario”: un lavoro al Nord non gli ha impedito di laurearsi a casa sua, in Sicilia. Per sostenere gli esami, partenza all’alba e ritorno in tarda serata. Perché lo ha fatto? per dimostrare che le università del Sud non hanno nulla da invidiare al resto d’Italia. Lo ha spiegato lui stesso al portale Skuola.net.È lui stesso ad aver soprannominato il suo stile di vita con “pendolarismo estremo”: lavora in Lombardia in uno studio di commercialisti, mentre consegue la laurea a Catania, facendo un percorso inverso a quello che tanti suoi compagni scelgono. E la distanza tra le due sedi è di 1.400 chilometri. Per fortuna, Claudio deve recarsi fisicamente nelle aule universitarie soltanto nelle giornate in cui si tengono gli esami.
Claudio è un pendolare estremo
A Skuola.net il ragazzo ha spiegato come è nato il termine "pendolarismo estremo": «Mi è venuto in mente quando, durante la lettura di un bando per le borse di studio, vidi una tabella che riportava varie attribuzioni a seconda della distanza dello studente fuorisede. Si partiva dai “pendolari a stretto giro”, al di sotto dei 15 km di distanza, per poi proseguire a scaglioni. Ovviamente il mio caso era fuori da ogni schema, così pensai che, con una distanza di 1.420 Km non potevo che essere un “pendolare estremo”».
La giornata di viaggio di Claudio
«Per rendere l’idea, la giornata tipo della “trasferta” aveva inizio alle 3 di mattina, dopo una rapida preparazione mi dirigevo in aeroporto, dove parcheggiavo l’auto - racconta Claudio - Il volo tendenzialmente partiva tra le 5.30 e le 6.00 ed era l’unico che mi permetteva, salvo imprevisti, i quali ovviamente si palesavano spesso, di essere presente per l’orario di inizio dell’esame generalmente alle ore 9.00/9.30. Durante il volo, 1 ora e 35 minuti, avevo modo di simulare l’esame nella mia mente, la quale si spegneva in una stanca dormiveglia. Arrivavo a Catania, prendevo il bus che mi lasciava davanti la facoltà, il tempo di un caffè e successivamente entravo in aula. Finito l’esame, se restava ampio margine prima del volo ritorno, che sovente partiva all’ultimo orario disponibile (22.30/23.30), rientravo volentieri al mio paese, a trovare la mia ragazza, gli amici e i parenti. Altrimenti, se avevo meno tempo, passeggiavo per Catania e attendevo l’orario per tornare direttamente in aeroporto. Il rientro avveniva, causa continui ritardi dei voli, verso le 2.00 di notte. L'indomani ricominciava la giornata di lavoro, sicuramente con maggior vigore se l’esame era stato superato».

Che "tabella di marcia" dovevi rispettare per conciliare un lavoro comunque impegnativo con lo studio a distanza?
«Sfruttavo ogni momento libero della giornata: studiavo sul treno durante il tragitto verso lo studio con il quale collaboro ormai da alcuni anni, o mentre rientravo a casa, o durante la pausa pranzo, o ancora appena rientrato a casa, ecc. Sicuramente il weekend era il momento in cui massimizzavo gli sforzi, anche se ciò comportava dover rinunciare a molti aspetti legati alla vita sociale, per non andare eccessivamente oltre con le tempistiche del percorso».
La strategia per andare avanti con gli esami, invece, qual era?
«L’iter base prevedeva il superamento per ciascun appello di due esami, per due materie differenti. La difficoltà principale che ho dovuto affrontare era la sfida costante con la consapevolezza di non poter sbagliare. Avevo un solo tentativo per ogni materia: lo ripetevo sempre a me stesso. Un passaggio a vuoto avrebbe comportato un dispendio ulteriore di energie e di soldi, un carico supplementare di stress, nonché lungaggini dei tempi di completamento. Ogni errore faceva slittare all’appello successivo. Con un approccio del genere sono riuscito a terminare il percorso di studi in poco più di 3 anni e mezzo, arrivando a 4 con la discussione della tesi».
A questo punto la domanda sembra scontata: perché non hai scelto un corso di laurea a Milano? Sarebbe stato più comodo…
«La mia forma mentis, la mia istruzione, la mia crescita derivano tutte dal percorso fatto nella mia terra. Per cui, se da un lato le strade si sono divise per varie ragioni, dall’altro ho nutrito il sentimento di creare un legame indissolubile con essa, concludendo il mio percorso di formazione, per l’appunto, in Sicilia, la quale investe per me, come per tutti gli altri studenti, nella nostra formazione. E poi, in qualche modo, ho voluto dimostrare che le università al Sud sono valide tanto quanto le università del Nord».
Oggi, alla fine del percorso, qual è il tuo bilancio di questa esperienza?
«La mia missione è man mano diventata, anche e non solo, una sfida d’orgoglio. Mi è stato spesso chiesto il motivo della mia scelta e, devo dire, molte volte ho pensato, soprattutto a metà percorso, di trasferirmi in un'università più vicina. Nel momento in cui, però, durante una normale conversazione a riguardo mi risposero: “Fai bene, così concludi velocemente visto che giù gli esami li regalano”, nonostante tu sapessi dentro di te quanto è difficile superare ciascuna prova e quanta ansia dovessi affrontare ogni volta. Allora ho sentito quasi il dovere di portare a termine ciò che avevo cominciato, al fine di poter sottolineare, qualora la vita mi avesse riservato anche semplici soddisfazioni a livello lavorativo, di essere laureato presso l’Università di Catania».
A conti fatti, consiglieresti ad altri giovani una esperienza simile alla tua?
«A chi deve intraprendere un corso di laurea, più che la mia esperienza in senso letterale, consiglio di scegliere non in base al blasone dell’istituto in sé. Anzi, bisogna far sì che ognuno porti avanti il nome degli istituti della propria terra natale, in qualsiasi regione si trovino, anche al Sud, dove molte strutture hanno ben poco da invidiare al resto del Paese».
Intanto, però, i dati sugli immatricolati ci dicono che ogni anno c'è un vero e proprio esodo di universitari dal Sud al Nord. Secondo te perché?
«Ritengo che gran parte degli studenti opti per un’università situata al Centro-Nord più che altro nell’ottica di un inquadramento lavorativo futuro più celere e immediato. Sono indiscutibili i legami e le porte d’accesso che varie facoltà al Nord offrono agli studenti. Mi sento però di evidenziare, per quanto riguarda l’università di Catania, l’organizzazione e la puntualità dei professori, oltreché le competenze in materia».
Ora quali sono i tuoi piani per il futuro, sia a livello professionale che personale? Sceglierai Milano o Catania?
«A livello lavorativo, purtroppo, non è possibile al momento eseguire lo stesso ragionamento proposto a livello di istruzione. Ho provato ad approcciarmi al mondo lavorativo anche in Sicilia ricevendo, però, delle delusioni. Inoltre, per chi come me ha intrapreso un percorso in ambito economico e finanziario, Milano rappresenta il vertice in Italia. Attualmente, a livello professionale e personale, sto bene. In futuro si vedrà».

7.7.24

ritorno per un po' alla mia comfort zone prima di ritornare all'azione



ci sono  momenti come  questo    in cui non mi  va  di  uscire  dalla mia Zona di comfort   ed andare   a cercare  isole  che non ci sono     ed  pensare  a  combattere  i  miei fantasmi  \  incubi  che  a  volte premono per  ritornare     (  come di  solito  faccio   aumentando ulteriormente  il mio stato  ansioso  E    di sconforto  in quanto  




)  o lamentarmi   ed    rivangare  il mio passato tenendo  aperti  rimorsi e  sensi di colpa   , rimanendo   in ambito     fummettistico   come  Geremia Lettiga  di  Alan  ford   . E  fare  cosi  


Topolino e l'isola che non c'è - Cap. 5: la resa dei conti in topolino 3580
Soggetto e sceneggiatura di Giorgio Salati
Disegni di Giampaolo Soldati
Chine di Simone Paoloni
Colore di Irene Fornari

perchè  come dice   l'augurio  che mi   fece  quando apri il blog o meglio iniziai    con il  mio \  nostro   blog    CDV.SPLINDER.COM   al'inizio  ,   Mario pischedda  un mio amico scrittore   ed  artista poliedrico   festina lente  Festìna lente ("Affrettati lentamente" in lingua italiana)  *  ovvero  



  topolino  n 3580


* è una locuzione latina attribuita all'Imperatore Augusto dallo storico latino Svetonio. In realtà, nel testo di Svetonio (Vite dei dodici Cesari. Augusto, 25, 4), viene riportata una citazione di Augusto (in greco antico, σπεῦδε βραδέως spèude bradéōs), della quale "festina lente" è la traduzione latina. La locuzione unisce, in un ossimoro, due concetti antitetici, velocità e lentezza, e sta a indicare un modo di agire senza indugi, ma con cautela. .....  https://it.wikipedia.org/wiki/Festina_lente

22.5.24

DIARIO DI BORDO N 52 ANNO II . Ingegnere cambia vita, si licenzia e molla tutto: «Giro il mondo in bicicletta» ., Ferite e vive per miracolo dopo incidente stradale si scattano un selfie sul bordo della strada ., ed altre storie




 Nnon è  mai troppo tardi per  cambiare  vita  e  rimettersi indiscussione  



Alex Battiston© Anthology

SAN VITO - Mollare tutto e fare il giro del mondo. Un pensiero che fa capolino nella mente di molte persone, almeno una volta nella vita. Alex Battiston lo sta facendo davvero, in sella alla sua bici. Classe 1985, il viaggiatore è originario di Sesto al Reghena. Dal borgo si era poi trasferito nella vicina San Vito, ma da una decina di anni la sua vita è in Finlandia. A portarlo nel nord Europa, la sua tesi di laurea incentrata sull'automazione. Alex è un ingegnere meccatronico e con i suoi studi si era guadagnato un'ottima posizione lavorativa a Helsinki. Un incarico che negli anni gli ha dato molte soddisfazioni, e che non ha lasciato a cuor leggero. Qualche settimana fa, la scena quasi da film. L'incontro con il capo per comunicare «mi licenzio e mi metto in viaggio». «È stata una scelta difficile racconta Alex -, ma avevo questo sogno da tanti anni e non volevo aspettare ancora. La cosa bella è che sono stato non solo compreso, ma anche appoggiato. Hanno capito tutti il valore che ha per me questa esperienza». 150 mila chilometri da percorrere su quello che da sempre è il suo mezzo preferito, alla scoperta di culture diverse, bellezze naturali, sapori e profumi di ogni parte del globo. Un tour che richiederà più di tre anni. E soprattutto un cambio d'abitudini radicale, dalla quotidianità "tradizionale" del lavoro in azienda, a quella nuova e a volte imprevedibile dell'avventura.
LE TAPPE
Ma da buon ingegnere, Alex è organizzato: tenda, materassino, fornello a gas da campeggio, piccoli attrezzi per la bici, telefono e pc, e lo stretto necessario per spostarsi in sicurezza. Il viaggio è cominciato qualche giorno fa dalla Finlandia, con un traghetto per arrivare a Tallinn, capitale dell'Estonia, e cominciare a pedalare «tra foreste - spiega Alex -, piccole città e gemme quasi sconosciute che meritano di essere viste». In questi giorni continua il tragitto in direzione sud-ovest, che toccherà, oltre ai Paesi baltici, la Polonia, la Slovacchia, l'Austria e la Slovenia. In Italia non mancherà la tappa in Friuli Venezia Giulia, per salutare la famiglia, e poi via per la Francia, l'Andorra e la Spagna. Terminata la parte europea del tour, sarà il turno dell'Africa, un momento molto atteso dall'ingegnere, che pensa al deserto del Sahara, e ai colori e alle ombre delle foreste tropicali. Pedalerà lungo tutta la costa occidentale del continente nero per poi risalire a est e arrivare in Etiopia. Seguiranno i soggiorni in alcuni Paesi del Medio Oriente, in India, Bangladesh, Thailandia, Malesia e Indonesia. E giù, fino all'Australia. «Un "must" - commenta Alex per chi come me ama i deserti». Il ciclista raggiungerà poi il Sud America e si sposterà verso l'emisfero Nord. Argentina, Cile, Bolivia, Perù e Colombia. E ancora Panama, Costa Rica, Nicaragua, Honduras, Guatemala, Messico, per finire con gli Stati Uniti, da percorrere da ovest a est.
SUL SUO SITO
L'itinerario di Alex è pubblico, si possono leggere tutte le tappe sul suo sito, World On Bicycle. Nel portale, così come nei suoi canali social, l'ingegnere condivide foto e video della sua avventura. Scrive e parla in inglese, così da rendere i suoi contenuti fruibili per un pubblico più ampio possibile. Alex non nasconde di avere un ulteriore sogno: trasformare la sua passione in un lavoro, proprio grazie all'ausilio dei social media. Una passione che gli ha trasmesso il nonno Felice, «che mi ispira - spiega - ogni volta che conquisto una salita», e che nel tempo è cresciuta. Il desiderio di affrontare in bici sfide sempre più ardue è stato alimentato anche dal mondo del web, caro all'ingegnere. «Ho fatto i primi viaggi in Irlanda, Scozia, Islanda e Toscana - conclude - spinto da alcuni video visti su YouTube. Ora vorrei anch'io motivare altre persone, ispirarle a inseguire i loro sogni. Tutto si può fare, basta volerlo».


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leggendo   su https://www.fanpage.it/  la  vicenda      riporta  sotto  

Mi chiedo e mi sono sempre chiesto ( vedere il precedente post : << perchè non dobbiamo diffondere ulteriormente e non ho guardato ed diffuso il video della pompa di benzina di brescia o dintorni >> d'appassionato fotografo , io che volglio sempre cogliere l'attimo e fare foto da bastard inside 😇😂 agli amici senza chiedere di mettersi in posa , perché c'è un bisogno così costante di scattare una foto di tutto ciò che facciamo. Stiamo raggiungendo un livello ridicolo ed esagerato solo per attirare l'attenzione"? .

Ferite e vive per miracolo dopo incidente stradale si scattano un selfie sul bordo della strada
È accaduto in Messico, dove due ragazze gravemente ferite dopo un incidente stradale si sono scattate un selfie sul bordo della strada in attesa dei soccorsi.

                             A cura di Davide Falcioni

Scampate alla morte per miracolo dopo un terribile incidente stradale hanno trovato la voglia e il modo di scattarsi un selfie. Sta facendo discutere l'immagine scattata in Messico di due donne insanguinate, gravemente ferite e sedute su un marciapiedi intente a scattarsi una fotografia dopo essere state protagoniste di uno schianto nel quartiere Lomas del Mirador della città di Cuernavaca.
L'incidente è avvenuto sabato sera: nella foto scattata da un passante si vedono due ragazze sedute sul
bordo di una strada con lo smartphone in mano, intente a scattarsi un selfie mentre tutto intorno gli altri occupanti della vettura incidentata erano intenti a chiamare polizia e ambulanza. L'auto sulla quale viaggiavano intanto era ribaltata in mezzo alla strada con i finestrini rotti. Il sospetto delle forze dell'ordine è che lo schianto sia avvenuto a causa dell'eccessiva assunzione di alcol da parte della persona al volante.
Stando a quanto riferiscono i giornali locali entrambe le ragazze protagoniste del selfie avrebbero riportato ferite gravi e sarebbero state condotte in ospedale insieme agli altri tre occupanti della vettura. I dettagli dell'incidente non sono stati resi noti e le autorità messicane stanno ancora indagando, tuttavia online si è scatenato un acceso dibattito sulla "scena del selfie"


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3.1.24

La bicicletta è comunità e condivisione la storia di Davide Ferrario

Suggerimenti    musico  \ letterari 
https://bicimtbebike.com/2021/08/02/canzoni-bicicletta/
Musica per andare in bici: 10 canzoni consigliate da 10 artisti indie 

Inizialmente ,  forse   perchè ispirato    al  libro   e  film  diari della  motocicletta      e  alle canzoni  :    1) VESPA 50 SPECIAL- LUNAPOP.wmv ., 2 ) motocicletta - lucio battisti  ed  alla  famosa  una  vespa    soprattutto  quella  della   pubblicità fine anni   fine  anni  80   : <<  una vespa ed uncasco  è via  >> credevo che    che  solo  la moto  fosse  un  mezzo di libertà  nonostante     esistessero anche  testimonianze inverse   . Tesi   che  iniziai    a mettere  indisciussione  con  la  canzone   tratta  da una storiua  reale   iul bandito  ed il campione  e  ora  confermata  rima  dalla  storia  di alfonsina strada   rappresentata   da questo monologo teatrale    di Miche  Vargiu     da    mwe recensito  qui in : << chi lo ha detto che il teatro dev'essere solo al chiuso ? l'esecuzione dell'opera : a perdifiato la storia di alfonsina strada la prima donna che corse il giro d'italia di michele vargiu >> 

  conclusasi     da     questa  storia   di Davide  Ferrario  

Per chi   volesse   sapere  chi è Davide Ferrario potete visitare la sua pagina Instagram
@davideferrario.wav e rivedere  qua  sotto  la sua intervista per le Storie di BIKE per cui  è  
Già stato ospite di Bike Channel per Le Storie di BIKE, Davide Ferrario è un musicista e producer con la passione della bicicletta. Con questo articolo inizia la sua collaborazione con BIKE.
È curioso che, quando ci si appassiona a qualcosa, si iniziano a notare un sacco di cose che prima sembrava non ci fossero. Eppure sono sempre state lì, non viste, e all’improvviso non capiamo come non ci avessimo fatto caso prima. Ti compri un paio di scarpe nuove, un telefono, inizi ad ascoltare un genere musicale che non avevi mai considerato e ti accorgi che attorno a te c’è pure un sacco di gente che ha avuto la stessa idea.


Sebbene questo tipo di esperienza provochi una sottile delusione all’ego, che forse credeva di essere molto più originale e unico di così, entrare in contatto con una comunità è probabilmente la vera natura dell’essere umano. E, va detto, sentirsi parte di una societas è molto più stimolante che occuparsi della propria anima da soli.
Qualche anno fa ho iniziato a fare un po’ di sport. Un po’ per tenermi in forma, un po’ per dimostrare a me stesso qualche capacità fisica, un po’ perché se fai il musicista avere del fiato in più sul palco fa sempre piacere

   
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Li vedevo i ciclisti, nella mia antisportiva vita precedente, e pensavo che mai avrei voluto essere
così, fino a quando accadde per puro caso un’epifania: la riscoperta dell’andare in bicicletta. Da quel giorno non l’ho più lasciata, la mia gravel.
Ho cominciato a vivere in simbiosi con l’idea della bici, la gente ha iniziato a riferirsi a me come ad un ciclista amatoriale, gli amici al bar hanno iniziato a dire: “vabbè, ma questo fa centinaia di chilometri” e anche io ho iniziato a pensare alle vacanze in funzione delle ciclabili.
Insomma, la mia vita, come è successo a molti dopo la forzata reclusione pandemica, improvvisamente è cambiata. Per molte città, inoltre, europee e non solo, la bicicletta rappresenta il mezzo principe con cui spostarsi. Consente di muoversi con agilità in contesti dove l’automobile sta diventando sempre più ostica. Grandi città come Milano e Roma, ad esempio, impongono limiti sempre più rigidi e, senza voler entrare nella consueta polemica che ne valuti la correttezza, è necessario e inevitabile un adattamento del cittadino.
Di tutto questo e molto altro ancora, Ferrario, ci racconterà qui, su Bikechannel.it, offrendo ai nostri lettori il suo punto di vista di artista e professionista della musica… e “a pedali”. Una passione, quella per la bici, la gravel in particolare, che, come ci ha detto, lo porta a condividere in questo spazio, le sue esperienze e quelle delle tante persone che per lavoro e piacere ha l’occasione di incontrare

3.12.23

Diversamente simili rencensione di Marco Meucci a “Sulle tracce dell’altrove” di Cristian Porcino

Graie ad una  conessione  di  fortuna  ( grazie   fastweb    per i 150  giga   di offerta  su  telefonino mobile )    sono  riuscito  a  leggere    la   rencensione   di Marco Meucci  .   Io non avrei saputo    recensirlo   vorrei aggiungere  solo    due  cose   : 1)  lo consiglio    per  natale  e  che   confermo   come   come  ha  risposto  l'autore  stesso in  un  commenti   alla  diretta  su   istangram   

@vivielacarta grazie Vivi. Dopo anni di odio sono diventato l’incarnazione vivente della canzone omonima di Michele Bravi 😘😜

 

la  trovate   su queste  pagine    appena  mi  mettono apposto la linea  .  Per   iul momentoaccontentatevi di     questa   bella   recensione   

Incredibili analogie e curiose similitudini che hanno caratterizzato stralci della mia vita sono balzate fuori dalle pagine del breve ma intenso “Sulle tracce dell’altrove”, ennesima fatica letteraria dell’amico Cristian. Un sipario mai completamente chiuso su questa incredibile commedia, a volte dramma, che è la nostra esistenza terrena; passando fra le braccia di personaggi immortali come Franco Battiato, Raffaella Carrà, Manlio Sgalambro e molti altri che attraverso la loro Arte sono riusciti a lenire, se non guarire, le ferite inferte dagli artigli spietati dell’ignoranza e del giudizio.
“L’uomo è la belva più feroce” afferma il Generale Zaroff nel racconto “The Most Dangerous Game” di Richard Connell (1924); da che mondo è mondo gli umani hanno creato spietati giochi al massacro chiamati “guerre” “battaglie” “inquisizione”… la crudeltà è sempre stata il sollazzo del popolo e la strategia del Potere. Guerre più silenziose ma non meno terribili si consumano nelle famiglie, nelle scuole e in quei luoghi che la società e le chiese vorrebbero indicarci come “templi di edificazione” ma che spesso si rivelano fabbriche di etichette terribili, marchiate a fuoco sui singoli individui colpevoli di essere se stessi. Seguiamo dunque le “tracce dell’altrove” per trovare la nostra strada verso la serenità, facendo della “diversità” il nostro vessillo!

4.9.23

cosa è 'l'amore ? risposta del dottor Cristian Porcio autore di Sulle tracce dell'altrove

un piacere ascoltare le parole di Cristian . Condivido ciò che dice. Però dico anche di non smettere mai di credere nell'amore. Perché lí fuori potrebbe esserci qualcuno\a che ti aspetta, che ti merita e ti accetta per ciò che sei. Per la grande persona che sei!!! ma ma sopratttutto perchè l'amor merità  qualuque  esso  sia  per parafraare una famosa canzone dal titolo omonimo

 


4.1.23

viaggiare da soli o in compagnia ?

il perché ho scelto di chiamare le mie appendici internet anch'io è per questo che avevo chiamato il mio mio blog cdv.splinder.com poi con il passaggio a blogger www.ulisse-compagnidistrada.blogspot.com  e  poi  la   pagina Facebook    compagnidistrada   sta  in questo post   del  gruppo    facebookiano   compagnidiviaggio2013




Chi viaggia senza incontrare l'altro,
non viaggia, si sposta.
Vorrei sempre essere altrove, dove non sono, nel luogo dal quale sono or ora fuggito.
Solo nel tragitto tra il luogo che ho appena lasciato e quello dove sto andando io sono felice.

2.11.22

L’impresa trasmessa nei monitor delle sale d’attesa dell’Aou La missione della “Sassari” in Qatar Tre biker fra le dune del Marocco «Grazie per il vostro coraggio»

 dalla  nuova  sardegna    del  2\11\2022   


Nuova sfida vinta dopo il tumore, la chirurga Nonnis: «Esempio per tutti»


                                Nadia  cossu  
Sassari
“Lacrime libere di donne che non temono l’emozione”. Una breve didascalia che dice tanto. L’ha scritta Rita Nonnis, chirurga senologa dell’Aou di Sassari, sul suo profilo Facebook per accompagnare l’immagine del traguardo finale raggiunto dalle “sue” tre combattenti, innamorate della vita e pronte ad accettarne le sfide. In sella alle loro mountain bike, Paola Zonza, Daniela Tocco e Donatella Mereu

hanno partecipato alla Marocco Expedition Women Challenge. Quasi quattrocento chilometri percorsi in bicicletta tra dune e terreni pietrosi, tra piste e sentieri del profondo Marocco, dalle montagne al deserto, attraversando piccoli villaggi e remoti insediamenti di popolazioni berbere. Senza però mai perdere di vista l’obiettivo: arrivare all’ultima tappa e urlare al mondo “Noi ce l’abbiamo fatta, potete riuscirci anche voi”. Un “voi” che comprende chiunque stia affrontando la propria battaglia personale. Così come è successo a loro tre, che hanno combattuto e vinto la malattia. «Grazie di cuore per il vostro impegno e la vostra grande generosità per aiutare chi come voi ha affrontato periodi difficili – è il messaggio che la dottoressa Nonnis, componente medica della spedizione, ha dedicato a Paola, Daniela e Donatella – Grazie per la grande serietà ma anche per l’allegria con cui avete affrontato senza mai
perdervi d’animo i momenti difficili». Un medico è una sicurezza quando si vivono esperienze complesse. Rita Nonnis è una grande e stimata professionista la tenacia con la quale ha portato e continua a portare avanti – cercando di superare innumerevoli difficoltà – vari progetti di crescita per la sanità sassarese (la Breast Unit è un esempio calzante) hanno fatto di lei un punto di riferimento soprattutto per le donne che combattono contro il tumore. «Con voi e da voi ho imparato molto, dal punto di vista umano e professionale – si rivolge ancora alle biker – Come nelle altre sfide della vita vi siete preparate con caparbietà e avete affrontato con consapevolezza tutto il percorso con una forte motivazione. Siete donne sensibili, coraggiose e determinate». E lo specifica, la Nonnis, che far parte delle “women challenge” non significa essere “super women” «ma donne che conoscono i propri limiti, li accettano e sanno cosa fare». Esattamente l’identikit di ciascuna delle protagoniste di questa avventura in Marocco. Che, naturalmente, è stata possibile grazie alla sinergia e all’impegno imprescindibile di altre persone. Il progetto è stato organizzato e realizzato da Acentro per il sociale di Cagliari con il patrocinio di Regione, Comune di Cagliari, Asl di Cagliari, Aou di Sassari, Lilt, Ail Cagliari,Fondazione Taccia, Mai più Sole e Associazione sinergia femminile. Con il supporto di numerose aziende del territorio. L’Aou di Sassari è stata molto presente durante questo viaggio, prima con la consegna di materiale medico alla vigilia della partenza e poi con la trasmissione – nei monitor delle sale di attesa dell’Azienda – delle immagini che raccontavano quotidianamente la piccola grande impresa. A guidare l’avventura il capo carovana, Maurizio Doro, biker d’esperienza e fine conoscitore del Marocco. Con loro anche il coach Antonio Marino e Michele Marongiu, ideatore dell’avventura, oltre al videomaker Pierandrea Maxia che ha documentato ogni singola tappa. Prima del rientro in Italia la comitiva ha donato i presidi medici e i farmaci – che per fortuna non è stato necessario di utilizzare – del kit di pronto soccorso. La dottoressa Nonnis li ha consegnati nelle mani di madame Keltoum Touhami Elwazzani che nel villaggio di Agdz è attiva proprio nella sensibilizzazione contro il cancro alla mammella. Un modo speciale di concludere la sfida

29.7.22

a piedi dalla baviera a barletta stesso percorso del padre ex deportato militare nei lager nazisti ed altre storie

 chi mi  dice   che  per  post  come questi  debbano essere  pubblicati  solo  il  il  27 genaio    non  sa che  .....  sta  dicendo  .  certe  vicende  non  hanno  (  in teoria  non dovrebbero  avere  )    date  fisse   ,  vanno  soprattutto  quando c'è  ancora  gente  che  lo nega  e coltiva ancora  certe  ideologie    già  condannate  dalla  storia  

"Un'idea nata nella notte della grande nevicata del 1956, mio padre mi parlò per la prima e ultima volta di questo lungo viaggio. Quelle notizie me le sono portate addosso per 66 anni e ora che lui non c’è più da 34, voglio ripetere quel percorso". Pasquale Caputo ha 73 anni, è di Barletta e il 6 maggio partirà dalla Puglia per ripercorrere le orme paterne: rifare a piedi la strada da Monaco a Barletta che diede a suo padre, un deportato di guerra in Germania, la libertà. 1700 chilometri per 68 tappe che lo riporteranno a casa a luglio. Pasquale dall’età della pensione a oggi ha già corso 25 maratone. Per tutto il suo cammino, sarà monitorato da strumenti innovativi di telemedicina messi a disposizione da AReSS Puglia

Pasquale Caputo ha 73 anni. E’ partito lo scorso 8 maggio da Monaco di Baviera per rivivere il viaggio che suo padre Francesco e migliaia di soldati italiani fecero al termine della seconda guerra mondiale per tornare nelle loro case. Un viaggio per riflettere e fare memoria. Oggi l’ultima tappa a Barletta, la sua città



«Durante le notti passate in Baviera ci sono stati dei temporali. Mi svegliavo all’improvviso e pensavo ai miei “ragazzi”, li sentivo vicino». Pasquale Caputo non trattiene la commozione. Il suo viaggio sta per terminare, eppure dentro di lui echeggiano ancora i passi che dall’8 maggio lo accompagnano in questo lungo percorso alla scoperta del passato. Ma dentro di sé esplodono anche i passi di coloro che lo hanno preceduto, che hanno compiuto il suo stesso, identico, percorso, molti anni prima. Perché Pasquale, che di anni ne ha 73, ha ripercorso il tragitto che suo padre, Francesco, compì alla fine della seconda guerra mondiale da un campo di concentramento tedesco alla sua casa di Barletta. Come suo padre e le migliaia di soldati italiani che al termine del conflitto tornarono a piedi alle proprie abitazioni, anche il pensionato è partito da Monaco di Baviera per rivivere la loro esperienza percorrendo 1700 km, suddivisi in 68 tappe che lo hanno fatto passare per i luoghi della Resistenza italiana al nazifascismo. In tutte le città ed i presidi in cui è stato, in particolare nelle sedi dell’Associazione Nazionale Partigiani Italiani, ha ricevuto accoglienza e riconoscimento per l’iniziativa che ha intitolato “Sulle orme di mio padre e di tutti gli Internati Militari Italiani”.




«Mio padre ha perso dieci anni della sua vita tra il 1935 ed il 1945, tra il servizio militare, il richiamo, l’entrata in guerra ed i due anni trascorsi nei campi di concentramento» racconta Pasquale Caputo nella tappa che lo ha accolto nella sua Puglia, a Foggia. «Non mi rendevo conto della forza che aveva avuto per tornare a casa in quelle condizioni. I soldati erano stracciati, ammalati, denutriti ed ho compreso in quali condizioni disumane si trovavano ed il coraggio che hanno avuto per fare ritorno dai loro cari». Anche per questo, Pasquale ha documentato con foto e parole sulla pagina facebook del progetto tutto il viaggio. Suo padre Francesco nacque a Barletta il 21 maggio 1917. Da soldato, era in forza al Reggimento di Cavalleria di Ferrara. Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, fu catturato a Verona e deportato nei campi di prigionia tedeschi, andando a far parte di quella schiera di IMI (Internati Militari Italiani) ritenuti traditori dall’ex alleato nazista. Dopo la detenzione nei campi di Moosburg, Memmingen e Kaufbeuren nei dintorni di Monaco di Baviera, il padre di Pasquale e gli altri sopravvissuti iniziarono un lungo cammino a piedi per tornare nelle loro città.




Francesco Caputo giunse nella sua casa paterna di Barletta il 27 luglio 1945. Ma non tutti riuscirono a tornare a casa. Molti persero la vita nei campi di concentramento, durante il difficile viaggio per tornare a casa, spesso affrontato in condizioni di salute assai precarie. Per questo, il viaggio di Pasquale, oltre a raccontare attraverso il ritmo dei passi la vicenda di suo padre, vuole essere un’occasione per fare memoria, per riflettere sul tema della guerra, delle discriminazioni razziali, delle persecuzioni e dell’immigrazione. Tutte tematiche ancora tristemente attuali.
«Questo lungo percorso mi ha fatto pensare anche a tutti i popoli che oggi sono in marcia per cercare un futuro migliore, a chi attraversa il Mediterraneo, a chi il deserto africano per finire nei lager libici, al popolo ucraino in fuga dalla guerra. E’ stato un modo per essere vicino a tutta questa gente». Dopo oltre 70 giorni di cammino, Pasquale deve affrontare l’ultima tappa. Gli ultimi metri di un percorso che gli ha provocato un misto di emozioni e sentimenti. Oggi arriverà a Barletta, la sua città, la terra di suo padre da cui tutto ha avuto inizio. Ad accoglierlo ci sarà tutta la sua comunità e, probabilmente, confuso tra la folla, anche il sorriso del padre con le braccia aperte per abbracciarlo.



Superstite di Auschwitz incontra i nipoti del soldato che la salvò 

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Di euronews
Superstite di Auschwitz incontra i nipoti del soldato che la salvò
Diritti d'autore  Richard Drew/Copyright 2019 The Associated Press. All rights reserved.




Ottantacinque anni dopo l'esperienza del campo di sterminio di Auschwitz una sopravvissuta incontra i nipoti del militare statunitense che le regalò un biglietto di auguri. Lily Ebert venne prelevata coi suoi dalla loro casa in Ungheria e portata in Polonia. Stessa sorte di centinaia di migliaia di ebrei, rom, omosessuali e oppositori politici, finiti nella mostruosa follia nazista."Quel soldato mi augurò buona fortuna, fu una cosa straordinaria, non me lo aveva detto nessuno". Un messaggio di speranza rimasto scritto su una banconota tedesca, che Lily ancora conserva. "Per la prima volta qualcuno ascoltava la mia storia e non voleva uccidermi, ma solo ascoltare: questo ha fatto una grande differenza".

Alla liberazione di Auschwitz, da parte dei soldati dell'Armata Rossa, Lily aveva 16 anni. Nel campo da cui lei è uscita viva, i nazisti hanno ucciso milioni di persone. "Nessuno pensava che saremmo state liberate, da quel posto si poteva uscire solo attraverso il forno".




A far incontrare la donna e i nipoti del suo salvatore è stato uno dei suoi nipoti, che ha pensato di pubblicare la sua storia su una rete sociale. "Mi ha toccato il cuore quel messaggio, sono solo dieci parole: "Inizia una nuova vita, buona fortuna e felicità". Che emozione scoprire un gesto di gentilezza".
Il soldato statunitense non ha vissuto abbastanza per ricontrarsi con Lily. I suoi familiari lo hanno fatto al suo posto, trasformando un semplice gesto di cordialità in una notizia. Settantacinque anni dopo questa donna ha potuto ringraziare i discendenti del soldato che scrisse il suo nome su una banconota. Un inconro casuale in tempo di guerra, un messaggio che ha viaggiato nel tempo, e due famiglie che ora vogliono rtornare a vedersi.

20.7.22

La letteratura è un lungo viaggio fra te e il mondo di nicola la goia fatto quotidiano del 19\7\2022

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Vorrei provare a fare un breve elogio della letteratura attraverso la sua capacità di colmare le distanze, cioè di viaggiare. Non un viaggio fisico, ma uno stupefacente viaggio interiore.Solo che il viaggio che la letteratura ci propone (alla sua essenza) non è un viaggio fisico, ma uno stupefacente viaggio interiore. Al tempo stesso si tratta di un viaggio che avviene salendo a bordo di una scialuppa molto particolare: il mezzo di navigazione più sofisticato e veloce fino ad ora a nostra disposizione: il pensiero, la mente umana. Certo, potremmo dire che la letteratura occidentale

nasce nel nome del viaggio e della guerra. Anzi: della guerra e del viaggio, attraverso l’iliade (la guerra) e l’odissea (il viaggio). Attraverso le gesta di chi incarna l’istinto primordiale della guerra (Achille, la forza fisica) e chi incarna l’astuzia e l’intelligenza di cui deve armarsi chi intraprende un viaggio verso l’ignoto (Ulisse). Sarebbe bello poter dire (Iliade vs Odissea) che il viaggio a cui siamo destinati (il nostro vero ritorno a casa) è un viaggio iniziatico attraverso il quale siamo chiamati a mettere da parte tutta la nostra aggressività, la nostra arroganza, la nostra violenza, in modo che il ritorno a Itaca ci trovi molto diversi. Pacificati, liberi dalla violenza. Ma temo che questa sia una prospettiva molto rassicurante. La storia della letteratura è piena di viaggi pericolosi che sembrano non portare a niente. Il Viaggio al termine della notte di Céline, per esempio: un viaggio al cuore del Novecento, dove si trovano fondamentalmente guerra, colonialismo, miseria, ingiustizia. Oppure il viaggio che Conrad ci fa intraprendere in Cuore di Tenebra, lungo il fiume Congo, alla scoperta del lato più oscuro e vergognoso dell’animo umano.

Ma non è questo il cuore del problema. Non è che per far viaggiare il lettore la letteratura deve raccontare per forza di viaggi. Il viaggio, con la letteratura, viene intrapreso per il semplice fatto di aprire un libro e cominciare a leggere. “Nel mezzo del cammin di nostra vita mi ritrovai per una selva oscura...” ed ecco: stiamo già viaggiando! Ma anche: “Quasi tutti pensavano che l’uomo fossero padre e figlio”. Anche qui: stiamo già in viaggio. Chi sono questi due individui che forse sono padre e figlio, ma forse non lo sono affatto ed è in questo fraintendimento che nasce il dramma? In quest’ultimo caso si tratta dell’incipit de Le notti di Salem di Stephen King.

SE CI PENSIAMO, LA SCRITTURA

è la forma più sofisticata di comunicazione tra mente e mente (o tra spirito e spirito). Prima cioè che la telepatia diventi possibile, se mai sarà possibile (o magari un giorno sarà possibile addentrarsi nella mente di un’altra persona attraverso la tecnologia), abbiamo il linguaggio. E il linguaggio letterario più che ogni altro tipo di linguaggio. Vorrei provare a spiegare com’è possibile questo miracolo: il viaggio tra mente e mente, il viaggio interiore attraverso la lingua letteraria. (...) Quando noi diciamo: “Un’intera nottata / buttato vicino ad un compagno massacrato / con la sua bocca digrignata / volta al plenilunio / con la congestione delle sue mani penetrate nel mio silenzio / ho scritto lettere piene d’amore / non sono mai stato tanto / attaccato alla vita”. (...) Quando noi recitiamo questi versi stiamo ripercorrendo mentalmente la stessa strada, o meglio stiamo doppiando gli stessi circuiti mentali, o meglio ancora stiamo facendo aderire la nostra mente (o il nostro spirito, a seconda di cosa sia la mente) alla mente di Giuseppe Ungaretti quando, l’antivigilia di Natale, nella notte del 23 dicembre del 1915, si ritrovò durante la Prima guerra mondiale sul Monte San Michele, a Cima Quattro, accanto a un compagno d’armi morto in trincea (reale o ricordato non importa), e dunque davanti alla morte, reagì in questo modo meraviglioso. Noi non stiamo semplicemente immaginando Ungaretti che mette in fila queste parole, noi siamo quella parte della sua mente che presiede a quel tipo di organizzazione del linguaggio, che a sua volta è il più fedele portatore di quelle emozioni. Il Monte San Michele è un rilievo del Carso, in Provincia di Gorizia, nel Friuli Venezia Giulia. Ma oltre che linguisticamente, immaginiamolo per un attimo anche biograficamente. Immaginiamo il Giovane Giuseppe Ungaretti, a 27 anni, che l’anti-vigilia di Natale, soldato, forse in seguito alla morte di un commilitone, su frammenti di carta recuperata esercita l’operazione letteraria suprema: dà una forma a ciò che prima non ce l’ha. Quello che è caos, dolore, solitudine, freddo, inquietudine, magari anche panico davanti al mistero insuperabile della morte (e davanti al mistero altrettanto insondabile della stupidità umana nella sua manifestazione suprema: la guerra), tutto questo nella poesia assume una forma (...). Il poeta o lo scrittore mette in una forma chiusa tutto questo informe e lo rende trasmissibile, non come si trasmette una notizia o una statistica, ma come si trasmette un sentimento, un moto dell’animo, un movimento dello spirito la cui complessità e le cui sfumature sono infinite rispetto a quelle di una semplice notizia. O di una semplice comunicazione. Ecco. Il contrario della letteratura è la comunicazione. La letteratura ci fa “viaggiare”, la comunicazione no. E tutto questo Ungaretti lo riesce a fare mettendo delle semplici parole in fila l’una dietro l'altra, tutto qui.

E tuttavia, di cosa ha bisogno, Ungaretti? Di cose molto concrete. Qui stiamo parlando di poesia, non di prosa, ma questo per dire che persino la poesia, che è in apparenza più astratta della prosa, si basa su cose molto concrete, e non restituisce mai un sentimento attraverso l’enunciazione di un altro sentimento. Rileggendo la poesia di Ungaretti c’è una scelta molto precisa delle parole che servono a contestualizzare. C’è un elemento diciamo così, cronologico, ma continuato: non una notte, ma “un’intera nottata”. E poi, “buttato vicino ad un compagno massacrato”. Ecco, in due versi c’è già un'immagine fortissima. Per un’intera notte l’io narrante giace, da vivo, accanto a un morto, che non è il suo nemico ma un suo commilitone (“un compagno”). Poi arriva il capolavoro linguistico che rende questa poesia immortale. “Con la sua bocca digrignata / volta al plenilunio”: quindi c’è lontanissima da una parte la luna piena, e della parte opposta c’è una bocca digrignata di un ragazzo morto (...) e le due cose sono messe in comunicazione tra di loro (...). La bocca digrignata di un ragazzo morto in qualche modo è in comunicazione – lo è per noi che leggiamo – con la luna, cioè con un satellite che sta oltre l’atmosfera, con un astro freddo e luminoso. “Con la congestione delle sue mani penetrate nel mio silenzio”. Quindi le mani gonfie e livide per il ristagno del sangue (una cosa concretissima) sono penetrate in una cosa pure in un certo senso concreta ma intangibile (“il mio silenzio”). E poi, dopo tanta torsione linguistica, c'è la liberazione molto semplice, quasi naif: “ho scritto lettere piene d’amore / non sono mai stato tanto / attaccato alla vita”.

Voi pensate la potenza del linguaggio poetico, che da una fredda notte del 1915, oltre 100 anni fa (tra le dita di un ragazzo che scriveva, in cima a un rilievo, l’antivigilia di Natale), ha fatto un viaggio di 100 anni e di alcune centinaia di chilometri (o di migliaia di chilometri se fossimo in Cina) per ricalcare nelle nostre menti capaci di leggere il linguaggio, e compiere lo stesso percorso che seguì la mente del giovane Giuseppe Ungaretti.

Presto sapremo chi siamo: a questo serve (forse) la letteratura. Molto spesso, nella nostra vita, non ci ritroviamo più. Molto spesso la nostra parte più autentica, il nostro nucleo irriducibile è lontano anni luce da dove siamo noi. La letteratura può forse, certe volte, consentirci di intraprendere questo viaggio, di colmare cioè la distanza (a volte enorme) che ci separa da noi stessi. Ecco: adesso siamo davvero pronti al viaggio.

13.7.22

Michele Agostinetto, 44 anni, di Treviso, ha iniziato il suo viaggio a maggio per raccogliere fondi per la ricerca sula sclerosi multipla

 riascoltando  un  classico   della musica  italiana   deglianni 90
In viaggio - Consorzio Suonatori Indipendenti - traccia 11 dell'album Ko de Mondo (1994).



  mi     è veuta  alla mente  questa  storia   letta  temo fa  


Agostinetto, duemila km a piedi
contro la sclerosi multipla

 corriee  della sera  
di Camilla Palladino

Michele Agostinetto, 44 anni, di Treviso, ha iniziato il suo viaggio a maggio per raccogliere fondi per la ricerca: «Sono stanchissimo ma soddisfatto

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Michele Agostinetto con Edward von Freymann (in carrozzella), il papà di Gaia, una delle due 16enni travolte e uccise a corso Francia (foto Giuliano Benvegnù)

Un itinerario composto da 87 tappe, per un totale di circa duemila chilometri a piedi. È l’impresa di Michele Agostinetto, trevigiano 44enne e affetto da sclerosi multipla, che lo scorso primo maggio si è messo in cammino per raccogliere fondi per la ricerca e per lanciare un messaggio di resilienza e di speranza diretto a chi, come lui, combatte contro la malattia neurodegenerativa.È partito da Valdobbiadene, in Veneto, città natale di suo padre. La destinazione è Santa Maria di Leuca, in Puglia, paese di origine della madre, che Michele conta di raggiungere il 22 agosto. Un «viaggio da sclero» (che è anche il nome del progetto) e una sfida fisica lunghi quasi quattro mesi. In questi giorni è arrivato a Roma, dopo essere entrato nel Lazio lo scorso 10 giugno e aver attraversato Civita di Bagnoregio, Montefiascone, Viterbo, Vetralla, Sutri, Campagnano di Roma e La Storta. Proseguirà passando per Castelgandolfo, Velletri, Cori, Sermoneta, Sezze, Priverno, Terracina, Fondi, Itri, Formia e Minturno, fino a sconfinare in Campania.A ospitarlo in zona Fleming mentre si trova nella Capitale è stato Edward von Freymann, il papà di Gaia, una delle due 16enni investite e uccise su corso Francia nel 2019. «Avevo comprato casa in questo quartiere dieci giorni prima della morte di mia figlia, proprio per starle più vicino. Ora voglio che sia un luogo di passaggio per trasformare il dolore in amore», spiega Edward. Il caso ha voluto che Michele venisse ospitato da un uomo costretto in carrozzina a seguito di un incidente stradale. «Guardo al futuro – sostiene Michele – so che un domani potrei ritrovarmi anche io su una sedia a rotelle. Con Edward abbiamo parlato soprattutto del problema delle barriere architettoniche in città».Michele lascerà Roma nella notte tra mercoledì e giovedì, dopo aver visitato il Campidoglio, fontana di Trevi, il Vaticano e il Parlamento. Ma le scene che gli resteranno più impresse sono il momento in cui nei pressi de La Storta è stato caricato da un gruppo di cinghiali, o quando alcuni agenti della Forestale l’hanno scortato a piedi per 22 chilometri per fargli compagnia e tenerlo al sicuro. «Nei primi mille chilometri percorsi ho incontrato persone meravigliose, Roma è il giro di boa. Sono stanchissimo – specifica – ma soddisfatto, perché ricevo tanti messaggi da persone che si sono rimesse in piedi dopo la diagnosi». I suoi occhi brillano mentre parla, è sorridente. Si soprannomina da solo «Forrest “Cramp”». Poi racconta la sua quotidianità: «Inizio a camminare alle 4 di mattina e mi fermo alle 10,30, percorrendo una media di 26 chilometri al giorno». L’orario è dettato dalla malattia. «Soffro il caldo 5 volte più degli altri – dice – e il mio cervello rischia di andare in tilt».La vita di Michele è cambiata nel 2020, quando gli è stata diagnosticata la malattia. A causa dei dolori fisici, ha dovuto chiudere il suo negozio di telefonia e informatica nel pieno della fase più critica della pandemia. Per un anno è stato costretto a muoversi solo con l’ausilio di stampelle e deambulatore, ma un giorno ha deciso di reagire. Ha iniziato ad allenarsi e a progettare il suo viaggio in solitaria, per dimostrare a se stesso e agli altri che poteva farcela. Chilometro dopo chilometro. Anche un’altra preoccupazione, tuttavia, l’ha spinto a partire: «Voglio visitare i luoghi che probabilmente non potrò mai più raggiungere in questo modo». In Puglia poi si ricongiungerà con la sua compagna di vita da 13 anni, Stella, e il suo cagnolino. «Loro sono un incentivo – conclude Michele – per arrivare fino in fondo»



Il viaggio di Michele, 2mila chilometri a piedi per combattere la sclerosi multipla  su fanpage  


emergenza femminicidi non basta una legge che aumenti le pene ma serve una campaga educativa altrimenti è come svuotare il mare con un secchiello

Apro l'email  e tovo  queste  "lettere "   di  alcuni haters  \odiatori  ,  tralasciando  gli  insulti  e le  solite  litanie ...