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24.11.24

The Oldest Tattooing Family in the World \ 5 g L'antica tradizione di tatuaggio della famiglia Razzouk

Wasim Razzouk is a tattoo artist in Jerusalem’s Old City. Ink runs deep in his family. The Razzouks have been tattooing visitors to the Holy Land for 500 years (and in Egypt for 200 years before that). Christian pilgrims flock to Razzouk Tattoo to get a cross tattoo based on one of the designs on wooden stamps that have been in the Razzouk family for generations. Razzouk is honored to be entrusted to leave such a special mark on someone’s skin. “It’s almost like baptizing somebody, and that’s a big responsibility,” Razzouk says.


ho tentato   di  er  chi lo volesse    in italiano   ma  il  donwload  ,  tramite  l'estensione  downloadhelper    cui sono  riuscito  a scoricarlo  da  msn.it   suopera   il limite    richiesto da bloggger  mi    spiace  .  Proverò appena    ho  tempo ad  inserirlo nel mio canale  di youtube  e  a  fornirvi il link  per  i prossimi post


25.9.22

Uccise come Masha Amini o Rieducate alla sharia. Così vengono punite le iraniane accusate di "mal velo" e i pseudo influenzer che intervengono su tutto sono zitti

 davanti  a quello che   sta  succedendo  in Iran   mi  chiedo   ma     i  famosi  o meglio  i pseudo influenzer    che intervengono    su tutto  e  tutti    stanno  zitti   ?   Infatti   


[...]  Le ragazze iraniane che vengono in Italia del velo non ne vogliono sapere, e sono convinta che la maggior parte di quelle che lo indossa lo fa per le pressioni della famiglia". Ad assicurarcelo è Nazli, 28 anni. Nessun hijab, sulla sua testa c’è il cappellino di una nota squadra di baseball americana. È una millenials e ha uno smartphone in mano. "Per Masha c’è stata una buona mobilitazione anche in Italia, sui social tanti utenti hanno condiviso e denunciato l’accaduto, ma che fine hanno gli influencer?", si domanda. "È mancato il supporto delle persone influenti. Le donne che hanno un seguito sui social e che si sono esposte sono state poche. Non c’è stata quella adesione che abbiamo visto con il caso Floyd e il Black lives matter". Come mai? "È come se l’argomento non avesse appeal, sembra che il velo sia qualcosa di sacro e intoccabile e che se non sei musulmano non puoi permetterti di giudicarlo", risponde.[...  ]

dal portale  \  aggregatore    https://www.msn.com/it-it/notizie/italia/ fonte  l'articolo  :   "Rieducate alla sharia". Così vengono punite le iraniane accusate di "mal velo"   di Elena Barlozzari   de  IL  Giornale  Ieri 21:36


Ed   ecco  la  mia   provocazione .  Se  si è  vero   che   il velo islamico  (  uso  tale termine  per  differenzialo   nonostante    la  comune  origine  da quello   cristiano  \  cattolico )  come    lo  definisce    sempre    l'articolo   sopracitato   e  linkato    nelle  righe precedenti  :  << Non si può banalizzare né decontestualizzare. Non è uno slogan né un accessorio alla moda. Ci vuole cautela e l’Occidente non può usarlo come simbolo di libertà. Ce lo insegnano Masha Amini e le tante iraniane che in questi giorni stanno protestando nel suo nome e per la loro autodeterminazione. Chi il velo lo conosce e lo subisce, lo brucia. È quello che sta accadendo nelle piazze della Repubblica islamica dell'Iran: a Teheran, Mashhad, Tabriz, Rasht, Isfahan e Kish. Centinaia di hijab dati alle fiamme. La 22enne curda è stata percossa dalla polizia morale lo scorso venerdì. [...] >> perchè    non chiedono  pubblicamente   che  : le  mogli  dei capi di stato  che   che  vanno in  vaticano  ,   le  suore  ed  in certi  paesi tradizionali    del sud  e  delle  isole  anche  al di fuori   delle  chiese     o  ai matrimoni  la  donna     non sia  velata  o  a testa  coperta  ? Concludo  rispondendo  cosi  a  miei  utenti ed  amici  di destra  che mi  hanno    classificato \  etichettato  come   filo  islamico perchè    vedo il velo o coprirsi i  capelli   come segno di libertà    dico   che si  il  coprirsi i  capelli   non  è  simbolo  di libertà ma  per  alcune  culture   esso  è  un  segn  identitario   \ tradizionale   e  come   tale    ,  se è  spontaneo   ed  non obbligato   imposto  come in molti regimi    teocratici  come  l'iran  ,  va  rispettato   e  compreso .  qui  sta  la  verà laicità  di cui   molti  si  fanno  ipocritamente  portatori   e  rappresentanti   del  vaslore  della laicità



22.4.18

Wabi Sabi, quando la bellezza dell'imperfezione conquista l'arredo La concezione estetica che viene dall'Oriente applicata all'interior design: qualità artigianale, materiali naturali, imperfetti e asimmetrici



uno  dei tantoi articoli pubblicitatri presi dalla rete  


Nell'estetica giapponese tradizionale Wabi-sabi   è una visione del mondo incentrata sull'accettazione della transitorietà e dell'imperfezione, in cui la bellezza è appunto "imperfetta, impermanente e incompleta".


Wabi Sabi, quando la bellezza dell'imperfezione conquista l'arredo



 La traduzione dei due termini è complessa e nel corso dei secoli hanno cambiato significato persino nella lingua d'origine. Wabi si riferisce all'eleganza discreta, non ostentata e semplice.  Sabi rimanda alla bellezza che solo il passare del tempo può donare.
 


Ora l’estetica giapponese chiamata wabi-sabi si traduce nel campo dell’interior e nel décor in pochi pezzi ma di qualità artigianale, in materiali naturali le cui  “imperfezioni divengono elementi narrativi, che raccontano il vissuto specifico dell'artefatto, le sue peculiarità e l'uso che ne è stato fatto” spiega il libro Il valore dell'imperfezione. L'approccio wabi sabi al design "Attribuire valore all'imperfezione significa progettare prodotti capaci di invecchiare, di modificarsi, di essere riparati; significa stimolare il legame emotivo tra utente e prodotto, allungarne il ciclo di vita e, soprattutto, accettare la presenza di una variabile non controllabile che spesso "cambia il finale del racconto".
Wabi Sabi, quando la bellezza dell'imperfezione conquista l'arredo
Ma qual è nell'arredo questa 'variabile' incontrollabile? Prima di tutto la materia da cui viene ricavato il mobile - i 'difetti' naturali del legno diventano pregi – e poi la lavorazione artigianale che fa si che non esistano prodotti replicabili perfettamente, ogni pezzo è unico e irripetibile.Forme irregolari, eleganza, imperfezioni naturali, oggetti originali con una storia, sono dunque queste le parole d’ordine del wabi sabi associato alla decorazione di interni che si caratterizza anche per i materiali organici usati come il cotone, il legno, la carta o la pietra, forme semplici e colori tenui, spesso neutri.
Wabi Sabi, quando la bellezza dell'imperfezione conquista l'arredo
Wabi Sabi, quando la bellezza dell'imperfezione conquista l'arredo
Artigianale, unico, naturale, autentico, asimmetrico, materico sono queste le caratteristiche degli arredi Devina Nais, atelier di mobili di design per la zona giorno e notte, dove ogni pezzo viene prodotto, confezionato e rifinito in forma artigianale. Le materie prime vengono selezionate per la loro unicità, dove il “difetto” non viene considerato tale ma parte integrante dell'effetto finale che vuole ottenere. 


La lavorazione, che ricorda le tecniche e la meticolosità dei falegnami di un tempo, riesce a regalare ai modelli proposti un sapore dimenticato, che evoca piccole e grandi gioie da condividere. La nuova collezione ,che sarà presentata al Salone del mobile di Milano dal 17 al 22 aprile, è stata concepita con l'intento di creare uno stile unico per arredare tutta la casa con prodotti contraddistinti da giochi materici, grafismi e asimmetrie in cui domina il legno massello.
 

11.6.17

BAB’AZIZ - IL PRINCIPE CHE CONTEMPLAVA LA SUA ANIMA - NACER KHEMIR FILM DRAMMATICO ED ESISTENZIALE





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Non ricordo   precisamente, come nel mio cazzeggiare   giorvagare in rete   forse  cercando  url o spunti   per  introdurre  un precedente post sull'islam abbia treovato   il film Bab’Aziz - Il principe che contemplava la sua anima. Un film  dai contenuti esistenziali interessanti  .
Ora, mi sono già stati segnalati molti film con contenuti "esistenziali", ma raramente il film aveva contenuti così evidenti e belli come Bab’Aziz - Il principe che contemplava la sua anima. IL film  peraltro, non è mai stato importato in Italia, nonostante una paternità in parte italiana per cui è liberamente disponibile per tutti, per esempio su Youtube,  dove  è  li che l'ho trovatroe  visto  
Paternità in parte italiana, d  si  diceva   pocofa  : il film, diretto da Nacer Khemir, è stato scritto a quattro mani dal regista stesso e dallo sceneggiatore Tonino Guerra, sì, proprio quello   di “Gianni, l’ottimismo è il profumo della vita”.  Bab’Aziz - Il principe che contemplava la sua anima (2005) è il terzo film di una trilogia, la cosiddetta Trilogia del deserto, dopo I figli delle mille e una notte (1984) e La collana perduta della colomba (1991).
L’ambientazione è quella del deserto, col film che ha svolto le sue riprese in parte in Iran e in parte in Tunisia (a Tataouine il luogo che ha dato volto e nome a Tatooine di Guerre stellari), e In Iran . Le altre riprese sono state girate a Kashan, Yazd, Kerman e nell'antica città di Bam, dove è stata girata la scena del raggruppamento dei dervisci. Pochi mesi dopo aver girato la città fu distrutta da un terremoto. In Tunisia, le altre riprese sono state girate a Tunisi, Korba, Sultan Walad e Tataouine.
IL  film  culturalmente si muove tra sufismo e misticismo islamico, e che più in generale ci parla di fiducia, del cammino dell’esistenza, del viaggio esteriore ed interiore, dei talenti e dei doni personali, e del rapporto tra le persone. Il regista ha affermato -- secondo  wikipedia   che le scene venivano girate solo una volta, poiché era impossibile ricreare la purezza della sabbia dopo che gli attori avevano lasciato orme su di essa, quindi nel caso una scena risultava insoddisfacente il set dove spostarsi in zone senza impronte. Sempre riguardo al luogo ha dichiarato: Il deserto è un campo letterario e un campo di astrazione, allo stesso tempo. Si tratta di uno dei rari luoghi dove l'infinitamente piccolo, che è un granello di sabbia, e l'infinitamente grande, che sono miliardi di granelli di sabbia, si incontrano. È anche un luogo dove si può avere un vero senso dell'Universo e della sua scala. Il deserto evoca anche la lingua araba, che porta la memoria delle sue origini. In ogni parola araba, vi scorre un po' di sabbia. È anche una delle principali fonti di poesia d'amore araba.
Ecco in grande sintesi la trama del film: Bab'Aziz è un vecchio derviscio ormai cieco, il quale viaggia con la nipote Ishtar, una bambina sveglia e premurosa.
I due sono diretti a un misterioso raduno di dervisci (sorta di monaci-mistici che utilizzano il canto e la danza come metodo di consapevolezza e di illuminazione spirituale) che si tiene ogni trent’anni…
… ma in un luogo sconosciuto, da cui il motivo del loro peregrinare alla sua ricerca.
Durante il loro viaggio, essi incontrano vari personaggi, tra cui Osman e Zaid, e inoltre Bab'Aziz racconta alla nipote, a puntate, la storia del principe che contempla la sua anima in una pozza d’acqua, racconto nel racconto.
<< Va da sé che :  Bab’Aziz - Il principe che contemplava la sua anima ci mostra -come dice https://foscodelnero.blogspot.it-- un viaggio, quello fisico di Bab’Aziz e di Ishtar (nome della dea babilonese dell’amore e della fertilità, mentre il nome Aziz richiama la forza e potenza, e suppongo che i nomi non siano stati scelti a caso), ma soprattutto ci racconta un viaggio interiore, quello che formalmente è la ricerca del raduno dei sufi, ma che di fatto è il viaggio di scoperta di sé e di evoluzione personale che ogni persona compie.>>
La natura di meta-racconto del film è evidenziata anche dal suo essere cornice di un racconto dentro al racconto: quello già citato del principe che contemplava la sua anima, che il nonno racconta alla nipote. A proposito, il rapporto tra i due è molto bello, e rappresenta il rapporto educativo ideale tra anzianità e giovinezza, quella che vi era nelle società tradizionali di millenni fa e che si presume tornerà in futuro: in esso l’anziano non è un relitto della società, un uomo che ha smesso di essere utile e che "è andato in pensione", ma è una risorsa enorme di saggezza ed esperienza… a patto, ovviamente, che abbia percorso un cammino di crescita spirituale, altrimenti si sarà come la gran parte dei vecchi di oggi, che sono bambini spirituali in corpi anziani.
A sottolineare il valore del film, mi sono segnato prese  da lla recensione  di    fosco   del nero (  vedere  citazione delle righe  precedenti  ) alcune frasi, tutte dette da Bab’Aziz, che ci parlano di fiducia nell’esistenza, di cammino personale, di talenti personali, di reincarnazione, ancora di fiducia e di cambiamento e abbandono-resa.

“Chi ha fede non si perderà mai.
Chi è nella pace non perderà la sua strada.”
“È sufficiente camminare, solo camminare.
Chi è stato invitato troverà la sua strada.”
“È sufficiente camminare, solo camminare.”
“E se ci perdiamo?”
“Chi ha fede non si perde mai.”
“Tutti usano i loro doni più preziosi per trovare la strada.
Nel tuo caso è la voce.
Canta, figlio mio, e ti sarà mostrata la strada.”
“Porti il marchio dell’angelo.”
“Bab’Aziz, cos’è il marchio dell’angelo?”
“I bambini nel ventre della madre conoscono tutti i segreti dell’universo. Ma poco prima di nascere viene un angelo che pone un dito sulle loro bocche così che dimentichino tutto. In ricordo di questa conoscenza perduta, alcuni di loro, come te, hanno un segno sul loro mento: questo è il marchio dell’angelo.”
“Ma allora un giorno ricorderemo tutto ciò che sapevamo?”
“Chi lo sa? Forse.”
“Figlio mio, non accontentarti di una goccia d’acqua.
Devi gettarti nella corrente.”
“Se al bambino nell’oscurità del ventre di sua madre fosse detto “Fuori c’è un mondo di luce, con alte montagne, grandi mari, distese ondulate, bei giardini in fiore, ruscelli, un cielo pieno di stelle, e un sole fiammeggiante, e tu, dinanzi a tutte queste meraviglie, stai rinchiuso in quest’oscurità”, il bambino non ancora nato, non sapendo nulla di queste meraviglie, non crederebbe a nessuna di esse. 




Bab'Aziz offre una visione affascinante in bilico tra sogno e realtà, dove immagini e ambientazioni, che paiono scaturire dalle favole dell’antico Oriente, si mescolano con grande naturalezza a dettagli contemporanei come radio, moto, occhiali e abiti. La figura del derviscio cieco fa il paio con quella del Derviscio Rosso, un sufi cencioso che risponde in pieno ai canoni del “folle di Dio”, mentre la bambina Ishtar, spirito rinchiuso in un corpo infantile, ha tuttavia un’anima anziana per saggezza e misteriosa esperienza. Il giovane Osman, invece, vuole ritrovare una bellissima donna incontrata in un palazzo incantato in fondo al pozzo in cui era precipitato, e sembra essere il gemello spirituale di Zaid, un altro giovane innamorato di una donna, conosciuta e sedotta dopo una tenzone poetica in cui è risultato vincitore con una poesia sulla danza dell’universo in lode a Dio.

C’è dunque un continuo contrappunto tra queste esistenze, che intersecano le loro strade e le sciolgono, mentre la luce del deserto delinea, con precisione e volatilità insieme, le orme del cammino che essi imprimono sulla sabbia. Come ha detto il regista stesso: “Il deserto è un campo letterario e un campo di astrazione, allo stesso tempo. Si tratta di uno dei rari luoghi dove l'infinitamente piccolo, che è un granello di sabbia, e l'infinitamente grande, che sono miliardi di granelli di sabbia, si incontrano. È anche un luogo dove si può avere un vero senso dell'Universo e della sua scala. Il deserto evoca anche la lingua araba, che porta la memoria delle sue origini. In ogni parola araba, vi scorre un po' di sabbia. È anche una delle principali fonti di poesia d'amore araba.”
La stessa storia del principe, perduto a contemplare la sua anima specchiandosi nel pozzo, si discosta dal mito di Narciso innamorato del proprio involucro esteriore, visione destinata a sbriciolarsi e a fallire, per calarsi nelle sue profondità invisibili ma durature. Conseguenza naturale è che, alla fine, il principe non si accontenterà della mera contemplazione dell'anima, ma l’abbraccerà fino in fondo in maniera più che sorprendente. Il regista ha spiegato che l’idea del principe gli era venuta da una lastra dipinta in Iran nel 12° secolo, e che voleva anche offrire una visione dell'Islam molto diversa da quella che purtroppo emerge dai fatti di cronaca, dalla lettura che ne danno i media e dagli integralismi religiosi.Infati il regista ( foto a sinistra ) riguardo al titolo del film dichiarato : << (...) È vero che il Principe si specchia sulle acque, ma non vede il proprio volto, a differenza di Narciso, perché chi vede solo il suo riflesso nell'acqua è incapace di amare. Il principe contempla ciò che è invisibile, che è la sua stessa anima. Siamo tutti simili agli iceberg; solo un decimo di noi è visibile, mentre il resto giace sotto il mare. L'idea del "Principe" mi è venuta da una bella lastra che è stata dipinta in Iran nel XII secolo. Si presenta con un principe in prossimità dell'acqua, e porta la seguente scritta "Il principe che contemplava la sua anima." Questa immagine mi ha colpito come qualcosa che dovevo costruire su di essa, motivo per cui mi sembrava ovvio che il film doveva essere girato in Iran. (....) continua qui su http://www.spiritualityandpractice.com/film >> .Il senso del film è una metafora della vita come viaggio nel tempo e libertà di ricerca, secondo la quale, come nel detto sufi che apre il film: Ci sono tante strade che portano a Dio, quante sono le anime sulla terra.”
Un film consigliato a tutti coloro non sono prevvenuti ma aperti e che ancora resistono alla proganda post 11\9\2001 e guardano per parafrasare Una famosa canzone dei  Mcr   sui questi tempi bui ed inquieti." da me più vote citata più volte in questo blog , oltre la guerra e la paura e riesce a sfuggiree e non cadere o quanto meno a schivare ed ad uscirne subito l’imperante cultura del terrore, che si fonde col qualunquismo e la sfiducia e ci rende egoisti, e deboli.
Scongliato  
 ai   :  leghisti (  e non ) , malpancisti   ,   agli islamfobici ma soprattutto a quelli che sono appiatti sulla proganda   che  afferma  l'equazione  islam \ mondo arabo = fanatismo e bombe .




Così siamo noi dinanzi alla morte. Ecco perché abbiamo paura.”

emergenza femminicidi non basta una legge che aumenti le pene ma serve una campaga educativa altrimenti è come svuotare il mare con un secchiello

Apro l'email  e tovo  queste  "lettere "   di  alcuni haters  \odiatori  ,  tralasciando  gli  insulti  e le  solite  litanie ...