La distinzione tra islamisti cosiddetti moderati, come la Fratellanza Musulmana, e islamisti estremisti è illusoria. Intervista dellla rivista tempi al professore Wael Farouq

N.b


Prima di riportare qui sul nostro blog l'interessante intervista , riportata \ condivisa sull' appendice  sulla  pagina facebook del nostro blog   dalla carissima Daniela Tuscano , della rivista http://www.tempi.it aWael Farouq  (  foto  a  sinistra  ) esponente intellettuale del mondo musulmano nonchè docente di lingua araba all’Università Cattolica di Milano e all’Università Americana del Cairo, originario dell’Egitto e profondo conoscitore della realtà araba (  qui  un suo  intervernto  del  2015  in cui  durante una diretta di Tgcom24 ha affrontato i temi dell’Islam, dell’integrazione e del terrorismo ) 
 , riporto una  definizione   , da leggere per  chi volesse una  visione equilibrata dell'islam  non quella distorta e preconcetta islam=terrorismo e fondamentalismo 





Wahhabismo
Il Wahhabismo è un movimento di riforma religiosa, sviluppatosi in seno alla comunità islamica sunnita, fondato nel XVIII° secolo da Muḥammad ibn ʿAbd al-Wahhāb (al-ʿUyayna, Najd, 1703 - Dirʿiyya, presso Riyāḍ, 1792), un Arabo della tribù sedentaria dei Banū Tamīm.
Definito nelle maniere più diverse - "ortodosso", "ultraconservatore",[1] "austero"[2] - per oltre due secoli il Wahhabismo è stato il credo dominante nella Penisola Arabica e dell'attuale Arabia Saudita. Esso costituisce una forma estremamente rigida di Islam sunnita, che insiste su un'interpretazione letteralista del Corano. I wahhabiti credono che tutti coloro che non praticano l'Islam secondo le modalità da essi indicate siano pagani e nemici dell'Islam. I suoi critici affermano però che la rigidità wahhabita ha portato a un'interpretazione quanto mai erronea e distorta dell'Islam, ricordando come dalla loro linea di pensiero siano scaturiti personaggi come Osama bin Laden e i Ṭālebān. L'esplosiva crescita del Wahhabismo ha avuto inizio negli anni settanta del XX secolo, con l'insorgere di scuole (madāris, plurale di madrasa) e moschee wahhabite in tutto il mondo islamico, da Islamabad a Culver City (California). ( continua https://it.wikipedia.org/wiki/Wahhabismo )

Dopo le ultime stragi terroristiche, la condanna della violenza islamica e della debolezza mostrata dall’Occidente risulta ancora più potente se a pronunciarla è  Parlando con tempi.it, Farouq parte da una delle domande radicali che più assillano il dibattito pubblico europeo di questi anni: è corretto sostenere che l’islam è una dottrina che ammette o addirittura ordina l’uccisione degli infedeli? O è solo una questione di interpretazione del Corano? «È una discussione che va avanti da centinaia di anni, nonostante più del 90 per cento dei dotti musulmani concordi che l’islam non ordini per nulla, né ammetta, l’uccisione degli infedeli. Immaginate questa scena: un malvagio assassino, noto a tutti, afferra la testa della vittima prescelta, estrae il coltello e gliela taglia sotto lo sguardo generale. Scoppia la rivolta. Uno grida: “Coltello infame!”. Un altro dice: “Coltello senza cuore!”. Un terzo dice: “Non c’è da stupirsi, è la sua natura di coltello! Guardate la sua lama affilata! Guardate la sua estremità appuntita!”. Un quarto ribatte: “Sì, ma ci sono anche coltelli senza lama”. E un altro: “E coltelli che non tagliano più”. Allo stesso modo, dopo ogni attacco terroristico, i codardi e gli ipocriti si mettono a criticare il Corano, invece di additare i veri responsabili».
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È necessario quindi fare un distinguo, sostiene Farouq, tra musulmani e islamisti: «I primi sono le persone di fede islamica, i secondi quelli che trasformano la religione in ideologia e sono pronti a morire e uccidere per renderla dominante. Una persona che prega, digiuna e rispetta la propria tradizione religiosa è un musulmano, ma una persona che considera la propria tradizione religiosa come un progetto politico per purificare le altre tradizioni (che ritiene corrotte) è un islamista. L’islam politico, in sostanza, non è una scelta che si fa per se stessi, ma una scelta che si cerca in tutti i modi di imporre agli altri».

La distinzione tra islamisti cosiddetti moderati, come la Fratellanza Musulmana, e islamisti estremisti, invece, è illusoria, spiega Farouq, perché i due gruppi si spartiscono semplicemente i ruoli. Ricordando l’assassinio dello scrittore giordano Nahed Hattar, Farouq descrive «la loro danza» come «caratterizzata da diverse fasi che sempre si ripetono:
1 – La vittima, di solito, è un artista, uno scrittore o un professore universitario, perché questi sono i nemici naturali dell’ideologia religiosa e dei “commercianti di religione”.
2 – La vittima di solito – guarda caso – è attiva e influente nel criticare l’islam politico. La sua critica, inoltre, gode di credibilità presso un vasto settore di pubblico, per la sua integrità e il suo comportamento non ipocrita nei confronti del potere, coerentemente con i suoi principi.
3 – Gli islamisti moderati pescano una frase o una vignetta della vittima, la estrapolano dal contesto e accusano l’autore di miscredenza.
4 – Gli islamisti moderati avviano la propaganda contro la vittima e istigano l’opinione pubblica contro di lei. E poiché sono moderati, non chiedono che la vittima sia assassinata, ma che sia processata.
5 – Il governo laico cede alla pressione e processa la vittima con leggi del Medio Evo.
6 – Infine, arriva il turno dell’islamista estremista che spara alla vittima per ucciderla fisicamente, dopo che gli islamisti moderati l’hanno uccisa moralmente.
7 – A questo punto, gli islamisti moderati condannano l’assassinio della vittima, dicendo che sono contrari alla sua uccisione, anche se è un miscredente.
8 – Poi, gli islamisti moderati propagandano l’idea che sia la persecuzione dell’islamismo moderato a condurre alla violenza dell’islamismo estremista.
9 – Per finire, un gruppo di sciocchi con titoli accademici abbracciano la stessa idea e, se si dice loro che gli islamisti moderati sostengono che la punizione per la blasfemia e l’apostasia sia la pena di morte, ti dicono: ma questa è la sharia, non si può cambiare. E se dici loro che anche la vittima era musulmana, ma non credeva che la sharia fosse questa, l’accademico occidentale progressista ti risponde: sì, ma la vittima era un miscredente!»
La contestualizzazione delle diverse interpretazioni si basa su una premessa fondamentale: non è possibile parlare di islam in generale. «L’islam è qualcosa di troppo vasto che ha numerose interpretazioni persino nel Corano. Il multiculturalismo dell’islam è un aspetto bellissimo e la possibilità di averne infinite interpretazioni non è un fatto negativo. I problemi nascono quando specifici poteri, in specifici momenti storici, approfittano di questa sua caratteristica positiva per abusare del testo sacro e fare del male». Farouq prende quindi ad esempio il recente isolamento del Qatar da parte dell’Arabia Saudita e di alcuni suoi alleati: «Tutti discutono se sia peggio il Qatar o l’Arabia Saudita, per quanto riguarda il loro sostegno al terrorismo, ma nessuno affronta la vera questione. Tutti sanno, infatti, che il wahhabismo, in tutte le sue versioni, saudita, qatariota e anche turca, nonché la storica versione rappresentata dalla Fratellanza Musulmana, è il principale responsabile di questa interpretazione violenta dell’islam. Allora, invece di dibattere se sia meglio il Qatar o l’Arabia Saudita, il mondo intero dovrebbe boicottare entrambi, finché non cessino di sostenere e finanziare la dottrina wahhabita. Questo non è un invito alla violenza, è una presa di posizione morale, simile a quella che il mondo prese con il Sud Africa dell’apartheid».
Il legame tra l’Islam e il potere politico ed economico spiega perché sia solo il Corano ad essere abusato in questo modo. «Sfortunatamente la gente che crede nel Corano vive nelle regioni in cui si trovano le risorse che fanno girare il mondo». Per questo spiega Farouq, quando si parla di terrorismo, bisogna sempre considerare il mercato di armi, cibo ed energia. Farouq cita un altro esempio: «Abbiamo visto tutti, sui muri di Bengasi, il murale dei Manchester fighters, giovani britannici di origine libica spediti in Libia a combattere contro Muammar Gheddafi. Ebbene, chi è il responsabile dell’attacco terroristico di Manchester? Il versetto coranico che il giovane terrorista, responsabile dell’attacco, forse non ha nemmeno letto? Oppure la politica del suo governo che gli ha permesso di arruolarsi e andare a combattere in Libia, a fianco delle truppe alleate?». Anche l’Occidente è chiamato ad assumersi la sua parte di responsabilità: «L’Europa che tollera il wahhabismo e gruppi politici come la Fratellanza Musulmana non è l’Europa liberale, ma quella colonialista che sfrutta tutte queste persone per mettere al sicuro i propri interessi».
Il problema, conclude Farouq, va oltre l’interpretazione del Corano e riguarda la distanza che si è creata fra gli interessi e i valori dell’Europa. «Io credo nel buono dell’islam e nel buono dell’Europa, ma la civiltà superiore dei nostri tempi sembra essersi ridotta a un ristretto margine di scelta fra il male minore e il male peggiore, fra Obama e Trump, fra il fascismo religioso e la dittatura laica. È questo estremismo che mi spaventa».

Giugno 9, 2017 Francesca Parodi - Tempi

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